Inizia questo nuovo capitolo della sua opera parlando della caccia, vista come principale, se non unica, attività di sostentamento dei popoli nativi di quella zona dell’Acadia. Secondo Diereville essi potevano resistere anche otto giorni senza mangiare, anche se ciò significava che la caccia era andata male.
Egli comincia spiegando come funziona la caccia presso di loro raccontando un
275 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.114 276 Ivi, pag.106
277 Ivi, pag.96 278 Ivi, pag.109
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episodio che lo sorprese molto. Uno di questi Indiani era a caccia con i suoi compagni, armato di fucile. Ad un certo punto, mentre camminavano su un lago ghiacciato, egli sentì l’odore di un orso. Essi riuscirono a trovarne la tana e a circondarlo prima che questi potesse fuggire o attaccarli. Lo uccisero con un colpo di fucile, gli levarono la pelle e infine ne mangiarono la carne. Diereville descrive allora il letargo dell’orso con queste parole “cet animal se bâtit une loge dans terre, & la couvre de plusieurs branches de Sapin[…] pour n’être pas incomodé de la neige jusqu’au Printemps”279.
Un altro animale a cui essi davano spesso la caccia era l’alce. Per quanto fosse meno pericolosa rispetto alla caccia all’orso, quest’attività richiedeva un grande sforzo da parte dei cacciatori. In inverno, quando “La neige a par endroits quatre à cinq pieds/ de haut”280 e i cacciatori erano costretti a seguirle utilizzando delle racchette per i piedi. La caccia finiva quando per l’animale “la force défaut. / Quand elle est toute dissipée”281. Infine i cacciatori
uccidevano gli animali a colpi di fucile o di coltello. Essi erano soliti mangiarne la carne fresca o ben affumicata; anche il muso e la lingua venivano mangiati ed egli li considera assai buoni. Per Diereville questo animale è grosso come un mulo, e “qui porte un grand bois sur sa tête”282 che tuttavia non serve a difenderlo dai cacciatori. La pelle veniva invece
venduta dagli indiani ai francesi, che sapevano come usarla.
Ultimo animale di taglia grande di cui egli parla è il Caribou, il quale però non dava ai selvaggi più di tanta pena per catturarlo.
Egli inizia poi una descrizione dei mammiferi di piccola taglia presenti sul territorio. Il primo che egli illustra è lo scoiattolo volante. Questo animale colpisce la sua curiosità in quanto “Qui volent sans avoir des aîles”283. Loro infatti utilizzano due membrane larghe e
piatte, e questa pelle li sostiene mentre planano nell’aria, dove possono raggiungere anche i trenta passi di distanza. Essi sono assai diversi dagli scoiattoli europei, non solo per questa loro tipicità, ma anche per il colore: sono infatti bianchi sul ventre e grigi sul dorso.
Dopo aver parlato di quest’animale, inizia una lunga dissertazione sul castoro. Inizia dicendo che se essi fiutano i cacciatori sono ben rapidi a nascondersi. Gli indiani possono aspettare anche molto tempo, ma questi non ricompariranno. Quello che fa difetto ai castori è la vista, in quanto “mais ils ne voyent[…] que de côté, & ils ont les yeux fort
279
Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.121 280 Ivi, pag.124
281 Ibidem 282 Ivi, pag.125 283 Ivi, pag.127
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petits”284. Questo implica che essi spesso si trovino davanti ai cacciatori senza
accorgersene. Se si sparava loro quando sono sui bordi dell’acqua c’era il rischio di vederseli facilmente sfuggire o di farne andare a fondo il corpo. La maniera più sicura per catturarli era usare delle trappole. Essi usavano come esca alcuni pezzi di corteccia di Pioppo tremulo, “qu’ils aiment plus que toutes choses”285. Queste trappole avevano anche il
grande vantaggio di essere facili da preparare e non implicavano dispendio di polvere da sparo o di piombo. Nel periodo invernale i cacciatori potevano utilizzare la seguente tecnica per cacciarli: quando il lago ghiacciava si recavano presso le loro capanne e le distruggevano a colpi di ascia. I castori, costretti a fuggire, si nascondevano ai bordi del lago, tra ghiaccio e terra. A quel punto i cacciatori liberavano i cani, che “ils ont si bon nez,[…]& ils en marquent les endroits en s’y arrêtant”286. I cacciatori iniziavano allora a
spaccare il ghiaccio; una volta trovato l’animale lo uccidevano a colpi di ascia. Dopo aver descritto come avviene la caccia contro di loro, ci descrive il modo con cui i Castori costruiscono le loro capanne. Queste vengono edificate nel periodo degli amori, ovvero nel momento in cui si accoppiano e stanno per avere i loro piccoli. Per costruirle usano alberi di varie dimensioni che abbattono con i loro incisivi, mettendosi tutti attorno all’albero che intendono utilizzare. Essi lo fanno poi cadere nella direzione che è a loro più comoda per poi trasportarlo fino al luogo in cui intendono costruire la loro capanna. Per portarlo essi se lo caricano sul dorso, e qui dimostrano una forza eccezionale, in quanto questi tronchi possono essere grossi come due uomini, o anche di più. Per caricarseli “ils prennent les arbres par un bout avec leurs dents, tournant la tête vers l’épaule qui porte, ils les levent, & font passer leur corps par-dessous pour les soûtenir”287. La terra, che essi
utilizzano nella costruzione delle tane, viene tenuta dalle zampe anteriori, mentre camminano su quelle posteriori. La prima di queste tane la costruiscono sopra degli alberi piantati come pali. La terra funziona come pavimento per la capanna, la quale ha due buchi ai bordi che permettono loro di entrarne e di uscirne. Su questo fondo costruiscono poi una piccola cupola di pari larghezza, alta dai tre ai quattro piedi. I loro piccoli vi nasceranno in primavera e qui vi rimarranno fino a quando i genitori non li scacceranno, il che accade nella stagione degli amori.
In estate,“Quand les grandes chaleurs de l’Eté font abaisser l’eau des Lacs & des Riviers où sont leurs cabannes”288 utilizzano un metodo ingegnoso per ovviare a questo problema. Essi
284 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.128 285
Ibidem 286 Ivi, pag.129 287 Ivi, pp. 130-131 288 Ivi, pag.132
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costruiscono infatti delle dighe per impedire all’acqua di fuoriuscire: in questo modo essa rimane all’altezza del buco d’entrata della tana. Essi sono soliti abbattere gli alberi da utilizzare in questa opera durante la notte, sotto la guida di un castoro più vecchio. Egli la considera un’opera sorprendente, di cui sarebbe stato assai difficile descriverne la struttura. Queste dighe possono essere costruite su fiumi anche molto grandi e
rappresentavano un grande ostacolo per le canoe dei nativi, tanto che per distruggerle essi dovevano “Mettre leurs haches en usage”289 e il lavoro poteva durare anche un paio di giorni. Quando poi l’inverno si avvicina essi fanno una grande scorta di legname, loro unico cibo, e sono soliti metterlo dentro la loro capanna, per non dovere uscire a cercarlo.
I selvaggi erano soliti cacciare anche altri animali, a parte quelli sopra descritti, tra cui: lontra, ghiottone, martora, gatto selvatico, volpe, lince e topo muschiato. Per tutti loro, durante la stagione invernale, costruivano delle trappole; solo ogni tanto sparavano alla lontra, ma non lo facevano spesso, in quanto non sempre avevano disponibilità di polvere da sparo (donata dai francesi in cambio delle pelli).