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I costi: classificazioni e problemi di allocazione

Il concetto di costo risulta fondamentale in quanto saperlo individuare permette non solo di conoscere la composizione della commessa, individuandone tutte le risorse utilizzate, ma permette anche di valutarne l’incidenza di ciascuna sul ri- sultato economico aziendale, nonché l’efficacia e l’efficienza della produzione, per prendere decisioni in merito alle politiche di prezzo e per poter soddisfare i requisiti richiesti dalla normativa.

3.1 – Le classificazioni di costo

Le diverse categorie di costi, sono classificate generalmente secondo il seguente schema38:

Criterio classificazione Classi

Variabilità rispetto ad un fattore de- terminanti (c.d. cost-driver)39

- Variabili - Fissi - Misti Oggettività della misurazione rispetto

all’oggetto

- Speciali - Comuni

Modalità di attribuzione - Diretti

- Indiretti

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Quelli elencati sono solo alcuni criteri di classificazione; possono essere individuati altri criteri come ad esempio in base alla funzione aziendale che ha sostenuto quei costi (ammi.vi, commerciali ecc.).

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Impiego nelle decisioni aziendali

- Rilevanti - Irrilevanti - Opportunità - Differenziali - Preventivi

Per il controllo di gestione

- Consuntivi - Standard - Controllabili - Non controllabili

Variabilità rispetto al cost - driver

Tale classificazione di costo suddivide le voci in base al loro comportamento al variare del cost driver preso a riferimento, ovvero un fattore determinante in base al quale al suo variare, variano anche i costi.

È tuttavia da considerare l’intervallo di variazione, cioè l’ampiezza della variabi- lità nell’entità del cost-driver che determina l’area di rilevanza40, e il periodo di tempo di riferimento in quanto, costi fissi nel breve periodo possono essere con- siderati variabili nel medio lungo periodo. In base a queste caratteristiche si diffe- renziano i costi fissi, quelli che non variano al variare del cost driver, e quelli va- riabili41:

- costi fissi: devono essere sostenuti indipendentemente dall’attuazione e dal dimensionamento dell’attività produttiva;

- costi variabili: sono costi che possono o potrebbero variare continuamen- te, esclusivamente in concomitanza del variare, solitamente, del volume di produzione;

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Al di fuori della c.d. area di rilevanza, non è possibile sapere se tale costo si comporterà, rispetto al driver, nella stessa misura predefinita; se per ipotesi, all’interno dell’area di rilevanza, un costo variabile è pari a 5€, non è detto che rimanga tale anche al di fuori di quest’area.

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Talvolta ci può essere una variazione di livello di un costo variabile: fino a un certo livello di output il costo variabile è costante, ad un determinato valore, per poi cambiare una volta superata quella deter- minata soglia di output.

47 A loro volta i costi variabili, in base alle modalità di variazione rispetto al cost driver, possono essere suddivisi in:

- proporzionali: costi che hanno un rapporto costante al variare del driver; ne sono esempi le materie prime dirette o la mano d’opera; solitamente in questi contesti, si prende a riferimento la distinta base del prodotto; al rad- doppiare delle unità prodotte, dovrebbero raddoppiare anche le risorse consumate (fatto salvo l’aumento di esperienza del personale che permet- terebbe di ridurre tali costi);

- degressivi: sono costi che seppur variano al variare del cost-driver, au- mentano in misura meno che proporzionale; nel mercato tipografico, in particolare nella fase di stampa, all’aumentare delle copie da stampare, il costo delle macchine relative a quella stampa si riduce, in quanto l’avviamento per la lavorazione usufruisce del fenomeno delle economie di scala;

- progressivi: sono costi che al contrario dei precedenti, aumentano più che proporzionalmente rispetto al driver di riferimento; questo può accadere quanto sussiste un eccessivo sfruttamento del macchinario o in generale quando viene superato il punto di ottimizzazione delle risorse.

É possibile, inoltre, individuare i c.d. “costi misti”, riclassificabili a loro volta in:

- semivariabili: voci di costo caratterizzate da una componente fissa ed una variabile in base all’effettivo utilizzo;

- costi a scalini: voci di costo caratterizzate dal fatto che, superato un certo livello di output, è necessario incrementare i costi fissi che a loro volta re- steranno tali fino ad un livello successivo.

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Oggettività della misurazione

In base a questa classificazione, i costi possono essere classificati in costi speciali e comuni, facendo riferimento all’oggetto di costo di volta in volta considerato. I costi speciali possono essere riferiti agli oggetti di costo in maniera oggettiva, moltiplicando le quantità del fattore effettivamente consumate dall’oggetto per il suo prezzo (costo) unitario, oppure costituiti dal valore dei fattori produttivi i cui servizi sono impiegati in modo esclusivo per quel determinato oggetto di costo; sono relativi a fattori della produzione partecipanti esclusivamente alla coordina- zione produttiva alla quale il calcolo del costo è riferito, ed esistono solo se viene deciso di attuare la produzione dell’oggetto considerato; si utilizza, quindi, il cri- terio dell’esclusività.

I costi comuni, invece, fanno riferimento ai costi di fattori impiegati contempora- neamente in più oggetti per i quali non è possibile identificare le quantità specifi- che di fattore consumato; sono costi relativi a fattori che, direttamente o indiret- tamente, concorrono allo svolgimento di coordinazioni produttive differenti, as- sunte come distinti oggetti di imputazione dei costi; tali costi devono essere im- putati all’oggetto di costo sulla base di un procedimento di ripartizione, utiliz- zando il criterio della “comunanza” dei costi.

Inoltre, all’aumentare della “dimensione” dell’oggetto individuato, i costi saran- no sempre più considerati speciali in quanto fanno riferimento specificatamente per quell’oggetto42.

Modalità di attribuzione

In base alle modalità di attribuzione all’oggetto di costo, possiamo individuare i costi diretti e quelli indiretti; i primi sono quelli imputabili direttamente all’oggetto di costo secondo criteri di specialità, ovvero in maniera specifica al bene, in quanto vi è convenienza tecnica ed economica a poterlo fare, utilizzando il criterio della misurazione; sono riferiti a fattori della produzione che hanno una relazione causa-effetto con il prodotto.

42I costi considerati comuni per un prodotto, possono essere considerati speciali, qualora l’oggetto di

49 Quelli indiretti invece vengono attribuiti attraverso criteri di comunanza e con le opportune basi di riparto perché non vi è la possibilità – o la convenienza, eco- nomica e/o tecnica – a imputarli direttamente; viene utilizzando in questo conte- sto il criterio della ripartizione, necessitando di individuare, di volta in volta, un nesso causale, tenendo in considerazione le problematiche derivanti dai limiti e vincoli imposti inerenti alla capacità produttiva.

Bisogna considerare che i costi comuni sono sempre indiretti ma quelli speciali non è detto che siano diretti. Questo perché ci possono essere particolari elementi che seppur direttamente imputabili ad un oggetto di costo (essendo speciali), non vi è convenienza economica o tecnica a calcolarne la quota di imputazione, rima- nendo così costi speciali ma indiretti.

Impiego delle informazioni di costo nelle decisioni aziendali

Come sottolineato nei paragrafi precedenti, le informazioni di costo possono es- sere fondamentali per prendere decisioni aziendali, soprattutto laddove è necessa- rio scegliere tra due alternative di produzione, per effettuare scelte di make or buy o di accettazione di un ordine a particolari condizioni di prezzo; a tal propo- sito si individuano:

- costi rilevanti: influiscono sul giudizio finale in quanto sostenuti solo in alcune delle alternative valutate;

- costi irrilevanti: presenti in tutte le alternative o comunque dovrebbero es- sere sostenuti a prescindere dalla scelta effettuata dagli organi decisionali;

- costi differenziali: non si tratta di una vera e propria classificazione ma di un metodo per individuare la convenienza economica tra più alternative, sottolineando la differenza di costi tra l’una e l’altra;

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- costi opportunità: rappresentano un mancato guadagno dovuto al mancato investimento in altre attività;

- costi preventivi: fanno riferimento a stime e previsioni future; utilizzati soprattutto ai fini di un miglior controllo di gestione;

Utilità per il controllo di gestione

Il controllo di gestione, fa un enorme utilizzo di informazioni di costo per poter prendere decisioni e veicolare i comportamenti aziendali; in questo contesto i co- sti possono essere classificati in:

- costi consuntivi: costi effettivamente sostenuti durante una certa fase della produzione o per tutto il ciclo di vita della commessa; vengono confrontati con quelli preventivi per la valutazione sul grado di raggiungimento degli obiettivi, sia in termini qualitativi che in termini quantitativi;

- costi standard: sono spesso utilizzati per la redazione del budget rifletten- do ipotesi di un futuro svolgimento della gestione, rappresentando, talvol- ta, veri e propri obiettivi che i manager si impegnano a conseguire; sono costi che si dovrebbero verificare qualora si realizzassero le ipotesi poste alla base della loro determinazione, e si suddividono in:

o costi standard ideali: rappresentano il consumo obiettivo di fattori produttivi e sono individuati con riferimento a condizioni ideali del processo produttivo43;

o costi standard pratici: sono calcolati considerando le condizioni normali di svolgimento del processo produttivo, tenendo conto del verificarsi di guasti dei macchinari, dei fermi, degli scarti ecc; ser- vono per avvicinarsi notevolmente al costo che, probabilmente, verrà effettivamente sostenuto;

51 - costi controllabili: l’ammontare di questa categoria è influenzabile in ma-

niera significativa e diretta dal management responsabile;

- costi non controllabili: fanno riferimento a fattori produttivi sui quali il management non dispone di leve decisionali che consentano di influenzare in modo diretto e significativo il consumo.

3.2 – Problemi di allocazione dei costi

3.2.1 – Il costo di acquisto

Anche il costo di acquisto può risultare particolarmente utile in quanto rappresen- ta un dato di input della contabilità analitica, ma ottenibile soltanto grazie alle scritture della contabilità generale, sottolineando lo stretto legame tra le due; per quanto riguarda il costo di acquisto il codice civile (art. 2426 co. 1, numero 1) af- ferma che esso è comprensivo degli oneri accessori di diretta imputazione, come per esempio i costi di trasporto, gli oneri doganali, i tributi direttamente imputa- bili ai prodotti ecc., permettendo però di poter portare in riduzione dei costi gli eventuali resi, sconti commerciali, abbuoni o premi; per costo di acquisto si do- vrebbe intendere una spesa (variazione finanziaria) che si sostiene nel momento in cui si acquistano dei fattori produttivi, entrando in contatto con terze econo- mie.

L’individuazione del costo di acquisto non sembrerebbe generare alcun tipo di problema per come è definito ma bisogna sottolineare che una società può veder- si imputare oneri accessori che non sono sostenuti esclusivamente per un’unica tipologia di beni; può accadere che all’interno di un ordine di acquisto ci siano più beni, non interscambiabili tra loro (non fungibili) e per i quali è stato sostenu- to un unico costo di trasporto. In questo caso, la contabilità generale è in grado di individuare, tramite la fatturazione, il costo specifico di acquisto di ciascuna ca-

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tegoria di beni e il costo di trasporto totale, ma non la quota parte di quest’ultima voce da imputare al singolo bene; la contabilità analitica dovrà intervenire per ri- partire il costo di trasporto, ovvero un costo comune relativo a diversi fattori pro- duttivi, ai diversi beni per i quali tale costo è stato sostenuto.

La contabilità analitica deve quindi essere in grado di poter effettuare questa ri- partizione, cercando di individuare il criterio funzionale più opportuno, ovvero quello che è in grado più di altri di rappresentare in maniera veritiera e corretta l’iscrizione a bilancio. Come accennato nelle pagine precedenti, la ricerca di una “perfetta verità” è impossibile in quanto anche in un caso semplice come quello appena illustrato ci possono essere delle variazioni a seconda del criterio di im- putazione utilizzato. La tenuta di una contabilità analitica potrebbe far variare le politiche di prezzo applicate, rischiando di attribuire un mark-up eccessivo a un prodotto a discapito di un altro, proprio perché la società si è basata su una “sba- gliata” valutazione/imputazione degli oneri accessori.

3.2.2 – Il costo di produzione: le produzioni congiunte

Ben più complessa è invece la disciplina del costo di produzione; infatti, non tutti i valori dei fattori produttivi che vengono impiegati per l’ottenimento di un pro- dotto o di una produzione, vengono normalmente accolti nella formazione del costo, perché esistono diverse figure o configurazioni, intese come stratificazioni successive di costi elementari atti a fornire evidenza della composizione del costo di un dato oggetto di calcolo a un prefissato stadio del processo produttivo sia tecnico che economico. In linea generale, per costo di produzione si dovrebbe in- tendere tutta una serie di informazioni monetarie che evidenziano il valore delle risorse consumate per ottenere un determinato risultato.

Nello specifico, il costo di produzione, comprende tutti i costi diretti e indiretti sostenuti nel corso della produzione della commessa e necessari per portare il bene nelle condizioni in cui si trova alla fine della produzione stessa.

Per quel che concerne il costo di produzione un’altra problematica da portare all’attenzione per il controllo di gestione, riguarda la questione delle produzioni

53 congiunte. I costi congiunti, come suggerisce il nome stesso, sono una particolare tipologia di costi comuni ma che si differenziano da quest’ultimi in quanto, sep- pur sostenuti in un unico processo produttivo come i costi comuni, permettono la realizzazione di due o più prodotti che non potrebbero essere realizzati in altro modo, ovvero non è possibile o non conveniente dal punto di vista sia tecnico che economico, ottenere un prodotto senza la realizzazione dell’altro che potrà quindi garantire un rientro economico attraverso il relativo mercato di sbocco44.

In sintesi, la differenza tra la comunanza e i costi congiunti è che in questa sede siamo obbligati, tecnicamente o economicamente, a ottenere due (o più) prodotti e i costi del processo produttivo “congiunto” sono a fronte dei ricavi di entrambi. I prodotti, in questo caso, sono realizzati tramite processi congiunti fino al punto di c.d. split-off, ovvero un punto del processo produttivo dopo il quale i due o più prodotti realizzati intraprendono percorsi produttivi separati e ben distinti tra loro fino al momento della vendita nei diversi mercati. I costi congiunti sono quindi identificabili solo prima del punto di split-off, in quanto dopo di esso si possono individuare processi separati, ognuno con i suoi costi speciali o comuni.

Anche in questo caso, il controller deve far affidamento a scritture o rilevazioni non ottenibili dalla contabilità generale che non analizza l’utilizzo dei fattori pro- duttivi, al contrario della contabilità analitica. Per chi lavora su commessa come nel caso del mercato tipografico, è opportuno considerare che qualora si presen- tassero degli scarti di lavorazione, questi dovranno essere considerati come pro- dotti congiunti, qualora facessero riferimento ad un proprio mercato di sbocco (riciclo carta).

In questo contesto, l’analisi dovrebbe esprimere un nesso causale per imputare tali costi all’oggetto di riferimento, cercando di individuare quello ritenuto più opportuno, considerando che la dottrina ritiene che dal punto di vista del criterio funzionale-causale qualsiasi allocazione non può che risultare arbitraria45.

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Caratteristica necessaria per poter distinguere i costi comuni da quelli congiunti.

45 P. Miolo Vitali (a cura di), Strumenti per l’analisi dei costi. Approfondimenti di Cost Accounting, Giappi-

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In situazioni dove sono presenti i costi congiunti, è necessario prima di tutto in- dividuare se da tale processo produttivo vengono realizzati più prodotti dalla me- desima importanza (anche dal punto di vista della redditività del prodotto), oppu- re se è logico individuare un prodotto principale ed uno secondario. Nella lavora- zione del legno è logico pensare che la segatura ottenuta non rappresenti il core - business aziendale, né tanto meno il prodotto principale del processo; qualora sussista questa condizione parte della dottrina ritiene che si può imputare tutti i costi congiunti al prodotto principale, oppure attribuire al secondario costi fino al raggiungimento del valore di realizzo e per la restante parte al prodotto principa- le. A parere dello scrivente però, entrambi i criteri non possono essere considerati validi; nella prima alternativa verrebbero allocati tutti i costi congiunti al prodot- to principale, il quale verrà valutato in maniera eccessiva; inoltre, per quanto non sia il prodotto principale, anche il secondario contribuirà ai ricavi futuri, avendo una propria domanda di mercato e per tale motivo è opportuno che parte dei costi di produzione siano imputati a quest’ultimo, anche perché se così non fosse, i prodotti secondari è come se avessero un costo di produzione pari a zero, un dato fuorviante dato i ricavi futuri.

Con la seconda alternativa invece, a seconda dei casi, si correrebbe il rischio di imputare maggiori costi ai prodotti secondari piuttosto che al prodotto principale e se così fosse, un’analisi più dettagliata per la presa di decisioni si baserebbe su valori non congrui, in quanto si potrebbe pensare che i prodotti secondari siano maggiormente redditizi del prodotto principale46.

Un altro metodo di allocazione spesso utilizzato è quello di imputare i costi con- giunti in base al valore di realizzo dei prodotti. Con questo metodo i costi con- giunti devono essere ripartiti attraverso un confronto con i ricavi presunti che verranno realizzati, individuando come coefficiente di riparto il costo su unità di ricavo; data la difficoltà nell’individuare un nesso causale per la corretta imputa- zione dei costi congiunti, a parere dello scrivente quello appena descritto risulta il metodo più adatto, in quanto i costi vengono attribuiti ai singoli prodotti attraver-

55 so un coefficiente che permette di valutare i beni realizzati ad un valore inferiore rispetto a quello desumibile dall’andamento del mercato, permettendo una più fa- cile lettura del bilancio.

Per quanto riguarda i residui della lavorazione, è necessario valutare se questi siano riutilizzabili o meno. Nel primo caso è opportuno che questi vengano valu- tati al costo di acquisto secondo i metodi già individuati in precedenza; se invece i residui non sono riutilizzabili ma hanno una propria domanda di mercato47 è possibile, in base ai kilogrammi prodotti individuare il ricavo presunto e valutarli come nel metodo appena esposto, ovvero imputando costi in proporzione ai rica- vi che i residui, presumibilmente, permetteranno; se invece non hanno alcun va- lore, non si può parlare di prodotti congiunti in quanto rappresentano una conse- guenza logica e necessaria del processo produttivo e per tale motivo non potran- no essere valutati ai fini dell’esposizione in bilancio.

Pur non parlando di prodotti congiunti, si può applicare lo stesso ragionamento agli scarti della lavorazioni, ovvero prodotti che non presentano le caratteristiche tecnico-qualitative desiderate dall’azienda; i difetti di produzione sono possibili all’interno del processo produttivo e pare opportuno individuare se questi possa- no avere o meno una domanda di mercato e in tal caso, valutarli in proporzione al presunto valore di realizzo.

3.2.3 – Metodi di allocazione dei costi

Individuate le diverse classificazioni di costo e sottolineate le problematiche de- rivanti da alcune di esse, è possibile ora individuare le modalità con le quali cia- scuna categoria di costo verrà imputata all’oggetto di costo prescelto.

In particolare, considerando come oggetto di costo il prodotto, l’azienda è in gra- do di valutare l’efficienza della produzione e di poter prendere particolari deci- sioni strategiche e di marketing; soprattutto laddove le aziende operano su com-

47 Ad esempio la lavorazione del rame, per la produzione di tubi pluviali, grondaie o quant’altro, genera

numerosi residui di lavorazione; tuttavia il rame è una materia quotata in borsa e molte aziende acqui- stano i residui di lavorazione, per “recuperare” la materia prima. Discorso simile vale per gli sfridi deri- vanti dalla produzione della carta.

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messa, è consigliato imputare all’oggetto considerato, tutti i costi aziendali con- siderando che è necessario, per i costi indiretti, individuare un giusto criterio di allocazione.

Ad ogni oggetto di costo devono essere attribuiti valori che siano espressione quanto più significativa del concorso offerto da ciascun fattore produttivo alla re- alizzazione dell’oggetto; la ricerca di un nesso di causalità per l’imputazione dei costi indiretti è il motivo principale per cui non può esistere, ai fini della valuta-

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