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Alessandra Sannella

1. I germogli dello sviluppo sostenibile

Nel momento in cui l’umanità sta affrontando una delle più forti crisi della sto- ria, legata alla capacità di poter gestire l’accelerazione dovuta ai cambiamenti cli- matici, alla riduzione delle risorse a disposizione e ai limiti della crescita, le scelte della politica internazionale risultano essere ancora troppo deboli. Il dibattito che attualmente si articola con forza tra i 193 paesi aderenti all’ONU, ruota intorno al fondamentale concetto dello sviluppo sostenibile e alla modalità di adesione all’Agenda ONU 2030. Negli ultimi anni, numerosi studi (Szabo et al., 2018) han- no dimostrato quanto i cambiamenti climatici, anzi per meglio dire l’accelerazione

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dei cambiamenti del clima, hanno un forte impatto sullo svolgimento della vita del- le persone. Ciò è dovuto, non solo alle evidenti catastrofi naturali, agli smottamen- ti, alle alluvioni, alle desertificazioni che si stanno susseguendo inesorabili, ma an- che conseguentemente alle ripercussioni che tali eventi avranno sulle popolazioni. In questo senso ci si riferisce all’aumento delle povertà in alcune aree del pianeta, allo squilibrio tra i paesi e, a cascade, all’innalzamento degli ostacoli alla riduzione della povertà e della disuguaglianza. La crisi climatica potrà colpire l’ambiente bio- fisico minando altresì gli ecosistemi di flora e di fauna, ma di certo l’ecological food print2 è l’indicatore determinante per valutare i bisogni, e anche i danni, pro- vocati dall’impatto dell’uomo sul pianeta. Seppure questo è un tema ampiamente dibattuto nell’ultimo decennio, non è un argomento nuovo nella riflessione scienti- fica. La complessità dei fenomeni, legati alla crescita della popolazione umana era- no già chiari quando il Club di Roma, fondato da Aurelio Peccei3, in seguito al bo- om economico che coinvolse gli assetti mondiali all’inizio degli anni Settanta, si interrogò sugli equilibri derivanti da questo sviluppo e sulla conseguente crescita demografica. Il punto di partenza può essere individuato dalla pubblicazione nel 1972 dello studio scientifico sui “Dilemmi dell’Umanità” (Peccei, 1972) commis- sionato al Massachusetts Institute of Technology (M.I.T.) dallo stesso Club. Un la- voro di ricerca straordinaria che si prefigurava di poter essere un approfondita pro- iezione per progettare al meglio lo sviluppo futuro. Nel Rapporto Meadows, dive- nuto il più noto documento Limits to Growth (Meadows et al., 1972), si delineava- no due questioni importanti: la questione legata alle disuguaglianze, e quella ine- renti la redistribuzione delle risorse. Un punto di partenza funzionale dell’analisi di dati che potevano essere una riflessione necessaria per la società che si andava de- lineando in quegli anni: si prospettava sempre più poteva la riduzione delle risorse a disposizione ma anche la necessità di porre l’attenzione sui cambiamenti in fieri. Ancora oggi lo studio è uno strumento fondamentale per la nostra comprensione di

economia e di prosperità. A questo primo studio, sono susseguiti una serie di im-

portanti lavori scientifici che hanno dato vita a movimenti ambientalistici, ‘ecolo- gisti’, ma anche a strategie funzionali a tutelare l’ecosistema del pianeta e l’attivismo di una parte della popolazione. Seppure persiste la difficoltà di redistri- buire le risorse la complessità di attuare processi di transizione industriale e, di conseguenza, economica, sono stati redatti importanti documenti da parte delle or- ganizzazioni internazionali, tra cui Il Rapporto Brundtland del 1987, che ingloba ciò che poi diverrà il dibattito sullo Sviluppo Sostenibile: è in questa sede, infatti che lo si definisce come lo sviluppo che soddisfa le esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le loro proprie esigenze. Queste premesse puntano a delineare un confine di responsabilità con una matrice antropocentrica a cui dobbiamo però includere la domanda su cosa accadrà al genere umano e quali sono le soluzioni da adottare per gestire nuove forme di economia, di progresso scientifico e di adattamenti necessari all’accelerazione dei cambiamenti. Le successive strategie messe in atto, come la Conferenza di Rio del giugno del 1992, United Nations Conference on Environment and Development - Il

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L’ecological foot print, è un indicatore complesso che valuta il consumo della popolazione umana sugli ecosistemi terrestri.

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Ricordiamo che il Club di Roma venne costituto nel 1968 per volontà dell’illuminante attività di Aurelio Peccei e da Alexander King, con la collaborazione di intellettuali di quel periodo che provenivano da tutte le parti del mondo, tra cui Premi Nobel, economisti, demografi e politici.

La rete delle università per gli obiettivi di sviluppo sostenibile: impegni e vision per il 2030

Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2020, 5(1), pp. 133-141

ISSN: 2531-3975 135

Summit sulla Terra4 - pone le indicazioni urgenti ed emergenti affinché sia lo svi- luppo, che la sostenibilità, diventino centrali nelle agende internazionali, con le conseguenti ricadute dei cambiamenti da apportare sul piano economico e politico. A questo importante incontro seguirà Conferenza delle Nazioni Unite sullo svilup- po sostenibile, Rio + 205, ma molto è ciò che resta ancora da fare (Sannella, 2018). Se questo poteva essere stato lo snodo del conflitto economico, sociale, e politico degli anni Novanta (Kolm, 1971; Rawls, 1972), ci sono dei limiti di sostenibilità evidenti nella crescita delle popolazioni che a ottobre 2019 si attesta intorno ai 7.7 miliardi di persone, con un aumento di circa 2 miliardi di persone previste nel 2050 (UN, 2010; Giovannini, Speroni, 2019, p. 96). Inoltre, un recente studio di Michele Brunetti, evidenzia la differenza tra la generazione Millenials e la X, e quanto i se- condi abbiano vissuto il ‘gap’ dovuto al surriscaldamento globale rispetto ai primi. Dagli anni Settanta, infatti, la temperatura media in Italia è salita di 0,25 gradi (Fig. 1).

Fig. 1 - Il cambiamento del clima 1971-2000

Fonte: Michele Brunetti Isac-CNR. Da un’idea di Riccardo Reitano. Anno 2019. Sito ASviS6.

Tutti questi aspetti sono destinati ad accentuarsi, in modo accelerato nel prossi- mo decennio: si sollevano importanti interrogativi sia riguardo alle strategie da uti- lizzare per contrastare le crisi climatiche - e le conseguenze che ne derivano -, che per arginare la spinta antropocentrica. La proposta è quella di un’azione collettiva in grado di educare alla valorizzazione all’impegno e alla reciprocità. Un New deal globale nella proposta di Rifkin, dove gli individui dovranno avere una coscienza “biosferica” (Rifkin, 2019), e ancor di più, non pensarsi come monadi autopoieti- che, ma come comunità. Se il mutamento rappresenta una normale evoluzione sto- rica, sarà utile stimolare l’attenzione al cambiamento per la generazione dei Mille- nials, e rinforzare la ola ecologista della generazione ‘Z’ che, per inclinazione alla

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Il Protocollo di Kyoto del 1997 ha avuto l’obiettivo di creare strategie di contrasto al riscaldamento del pianeta, all’effetto serra, all’emissione dei gas tossici ecc. Importante momento storico ha rappresentano il fulcro del dibattito per delineare le differenze nell’ecosistema.

5 Per un maggiore approfondimento sul tema si veda: https://sustianabledevelopment.un.org/rio20

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Si veda il sito web: https://asvis.it/home/46-4720/la-rivoluzione-dei-bambini-il-primato-va-ai-diritti- sociali-e-ambientali#.XmNLhZNKhQI

con-divisione, al viaggio e all’innovazione tecnologica, manifestano senza esitare per il diritto di poter avere un pianeta in cui vivere. Ne sono testimonianza i molte- plici movimenti internazionali creati intorno al fenomeno Fridays for future7.

Per valicare il confine che rende l’individuo miope rispetto alla complessità del fenomeno, tra le diverse strade che si intersecano, nella necessità di virare verso modelli di economia circolare, transizioni industriali, mobilità sostenibile e politi- che ambientali che favoriscano una possibilità di sopravvivenza dell’uomo sulla terra, oltre alla proposta di un urgente cambio di paradigma (Nocenzi, Sannella, 2020) e di uno sviluppo e di una sostenibilità letti congiuntamente, c’è l’emergenza di perseguire una giustizia sociale. Vale a dire, far progredire le condizioni dei me- no abbienti e ampliare lo spettro dei diritti (Piketty, 2014), contrastare le disugua- glianze esistenti e quelle che si potrebbero amplificare a seguito dei cambiamenti climatici: carestie, guerre per l’acqua, o per detenere territori coltivabili. In un re- cente lavoro l’UNESCO denuncia che attualmente sono 263 i conflitti per le cosid- dette ‘guerre per l’oro blu’ The United Nations world water development report 2019: leaving no one behind (UNESCO, 2019, pp. 17-34-43).

In questo delicato frame la prospettiva di poter perseguire lo sviluppo sostenibi- le, e l’importante sfida per contrastare le crisi climatiche e per adattarsi al novocene Lovelock (Lovelock, Appleyard, 2019), sono state poste all’attenzione dell’Agenda delle Università, sia sul piano nazionale che internazionale. L’insieme dei tanti A- tenei ha fatto nascere nei network volti alla possibilità di creare una sinergia di sforzi verso un cambiamento radicale, sia nell’organizzazione che nelle attività di ricerca, didattica e terza missione di cui parleremo nel presente lavoro. L’educazione diviene così la sfida pervasiva per il raggiungimento degli obiettivi sostenibili, considerando questo percorso come un elemento del campo di bourde- riana memoria. Utile in questo senso il rimando è alla teoria del costruttivismo strutturalista dell’autore francese in virtù del rapporto che lega l’individuo alla struttura che come «la grammatica condiziona ma non determina il nostro linguag- gio, così la struttura condiziona ma non determina il nostro agire». La proposta di poter attuare azioni collettive di sviluppo sostenibile, cambiare il paradigma di rife- rimento, agire in modo collettivo, è possibile attraverso la promozione dei 17 SDGs dell’ONU.

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