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I medici arab

Nel documento La storia del dolore (pagine 39-42)

I grandi medici arabi: Razi, Avicenna, Averroé, Maimonide.

La conquista araba delle sponde meridionali del Mediterraneo, da cui muoveranno a quelle della Spagna, porta nuove nozioni, in quanto gli insegnamenti della medicina greca erano stati trasmessi attraverso la scissione nestoriana, assimilati ed elaborati attraverso il loro insedia- mento di Gondisciapur, ove si formò una fi orente scuola medica, nata intorno al grande ospedale di quella città.

Si è portati, in analogia ad altri, a riconoscere, nello sviluppo della medicina araba i seguenti periodi:

- quello della assimilazione delle nozioni greche, romane, ebraiche, bizantine

- quello dell’apporto originale o del massimo splendore (900-1100 d.C.), ove emergono le fi gure di Razi, Avicenna e Abulcasi

- quello del declino, tuttavia contraddistinto dalle fi gure di Avenzoar, Averroé e Maimonide (Figura 1).

In linea di massima la dottrina medica è quella ippocratica con i quattro umori ove, viceversa, gli arabi sono innovatori, oltre che per l’introduzione in terapia di nuove piante, per l’estrazione dei principi attivi attraverso la distillazione, la sublimazione, la calcinazione, la fi ltrazione. Eccelsero nel- l’arte della preparazione ed a loro dobbiamo gli sciroppi, i giulebbi, gli alcoli, oltre che i correttivi dei cattivi sapori come l’acqua di rose, gli estratti di arancio ed il tragacanto o gomma dragante.

Da questa arte raffi nata derivò, indub- biamente, il distacco dalla medicina della farmacia che, tra l’altro, viene sottoposta, dall’autorità civile, a controlli di qualità, e la nascita dell’alchimia che grande importanza rivestirà nella nascita e sviluppo della chimi- ca, che conserverà molta della terminologia araba. Il padre dell’alchimia viene identifi - cato in Giaibir, per quanto lontane origini derivino dall’Egitto e dalla Grecia.

È noto come essa si prefi gga la ricerca di una sostanza in grado di convertire i metalli,

che sono nella loro essenza sempre gli stessi, in oro. Da tale utopica spe- ranza derivò la conoscenza degli acidi minerali, del fosforo, del bismuto, eccetera. Fra i nuovi derivati fi toterapici ricorderemo la senna, la canfora, il cubele, l’aconito, i chiodi di garofano, il legno di sandalo, il muschio, il tamarindo, la mirra, la cassia, la noce moscata, oltre al mercurio ed all’ambra grigia. Sostanzialmente tre sono i grandi medici arabi che infl uenzeranno, in qualche modo, la risorgente medicina occidentale: Avicenna, Abulcasi e Maimonide.

Avicenna, il principe dei medici, come venne defi nito dai contempo- ranei, eccelle non solo nella medicina ma anche nella fi losofi a, poesia, matematica. Visse fra il 936 ed il 993.

Genio precoce, cura e sana principi e potenti, viene nominato visir, all’età di dieci anni recita a memoria il Corano, a 21 scrive un trattato enciclopedico di tutte le scienze, salvo la matematica.

Continuerà interessandosi ad ogni scibile della scienza, scrivendo oltre 100 libri, fra i quali “al Quanum”, ovverossia “Il Canone” che, dopo 500 anni, verrà compreso fra i libri di testo dell’Università di Vienna e considerato uno dei testi fondamentali per la cultura medica.

Dal punto di vista analgesico si servì del ginepro, della camomilla, della ruta, della maggiorana, della lavandula, oltre che della mandragora e dell’oppio. Singolare il trattamento proposto per l’emicrania: allorché nulla si è ottenuto dai farmaci, cauterizzare o inserire, sotto la cute della tempia, uno spicchio d’aglio schiacciato, applicarvi sopra delle compres- se ed una fascia da tenere per 15 ore, quindi estrarre l’aglio, applicare cotone imbevuto di burro e lasciar suppurare. Medicare con unguento fi no alla cicatrizzazione.

Descrive cinque sensi esterni e cinque interni, la cui sede pone nei ventricoli cerebrali, e ben 15 forme di dolore (articolare, renale, auri- colare, vescicale, eccetera) proponendo, a sedazione, l’esercizio fi sico, il calore o il freddo, sotto forma di neve o di acqua gelata. È anche il pri- mo a descrivere il tic doloroso. Il suo concetto di dolore ricalca quello celsiano della fl ogosi e rientra fra i sintomi di quella specifi ca malattia e, pertanto, va studiato ai fi ni della diagnosi. Sostiene, tuttavia, anche il concetto che il dolore possa, già di per sé, costituire malattia.

Abulcasi, nato nei pressi di Cordova nel 1013, fu, probabilmente, il più abile chirurgo della sua epoca. Trasfuse le sue conoscenze in un’opera di 20 volumi, tradotta in latino da Simone da Genova col titolo di “Practica”, chiaramente ispirata all’opera di Paolo di Egina. Peraltro, assai utile per i numerosi disegni dello strumentario chirurgico.

Altro illustre cordovese è Maimonide (1135-1204), di famiglia ebrea che ebbe una vita travagliata allorché dovette spostarsi, per motivi religio-

in astronomia ed in varie scienze, oltre a quella medica ove rapidamente si afferma, divenendo medico del Gran Visir. È autore di diversi trattati, fra cui uno di “Aforismi” o, meglio, di Commentari agli aforismi di Ippo- crate, un libro sui veleni e sugli antidoti che avrà lunga vita, un “Regimen”, scritto per il fi glio maggiore del visir, affetto da problematiche digestive e da emorroidi. Per questi disturbi prescrive una dieta, frequenti abluzioni ed applicazione di unguenti a base di oppio.

Risale a lui la proibizione dell’alcol ai bambini ed una serie di norme igieniche, come la sveglia precoce, gli esercizi, il breve riposo post pran- diale e l’ascolto della musica, prima di coricarsi.

È anche noto per il famoso giuramento, secondo solo a quello di Ippocrate. Da ricordare ancora Ibn, vissuto a Toledo e compilatore di un “Libellus” sulla sperimentazione dei farmaci, vero e proprio ricettario, ove ogni prescrizione si chiude con l’invocazione a Dio: “Si quiere Dios,

iensalzado sea!”

Rizzi, nella sua “Storia della terapia antalgica”, ne riporta accurata- mente alcune contro i dolori renali e la sciatica, oltre ad una contro le gastralgie e per il dolore splenico. Protagonista è il decotto di malva.

CAPITOLO 11

Nel documento La storia del dolore (pagine 39-42)