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I «nomadi»: un soggetto sociale sfuggente

Le descrizioni prerivoluzionarie dell’economia e della società kazache, a partire dalle grandi inchieste statistiche ed

etnografiche degli anni 1896-1914,2 pur registrando una

tendenziale sedentarizzazione e un’espansione

dell’agricoltura, caratterizzavano i kazachi, nella loro stragrande maggioranza, come «pastori nomadi». Questa categorizzazione permase anche in periodo sovietico. Essa comportava un discorso complementare sulla necessità di «sedentarizzare» – e quindi portare a un più elevato livello di civiltà, i nomadi. La definizione dei kazachi come nomadi tuttavia comporta delle difficoltà. Il tipo ideale di nomadismo pastorale implica una «condizione di mobilità, dettata dalla ricerca di nuove risorse», in cui «gli spostamenti non sono sempre predeterminati: [...] essi coinvolgono l’intero gruppo familiare, che compie lunghi tragitti in cerca di pascoli migliori e di luoghi per abbeverare gli animali».3 Esso si differenzia dalla transumanza, proprio in quanto quest’ultima implica degli spostamenti in luoghi predeterminati a distanze minori (il caso tipico è l’alpeggio, con l’ascesa in quota in primavera e la ridiscesa a valle durante la stagione autunnale, quando l’erba dei pascoli alti inizia a seccare), e non prevede

2 La prima e più importante fu quella capeggiata da uno dei più

importanti statistici dell’Impero, Fëdor Andreevič Ščerbina, a partire dal 1896, che produsse 12 tomi di dati e analisi: Materialy po kirgizskomu zemlepol’zovaniju, sobrannye i razrabotannye êkspediciej po issledovaniju stepnych oblastej pod rukovodstvom F. Ščerbiny, 12 voll., Sankt-Peterburg, 1898-1909.

3 Ugo Fabietti e Francesco Remotti (a cura di), Dizionario di

lo spostamento dell’intero gruppo familiare. Rispetto a questi tipi ideali, le descrizioni etnografiche ponevano i kazachi in una posizione intermedia dello spettro che va dalla pastorizia transumante a quella nomade, con grosse differenziazioni regionali. Con il nomadismo essi avevano in comune lo spostamento su lunghe distanze (soggette però ad un processo di accorciamento con il procedere della colonizzazione agricola della steppa) e la mobilità dell’intero gruppo familiare, mentre alla transumanza li assimilava invece la predeterminazione dei luoghi di spostamento (i percorsi erano divisi piuttosto rigidamente tra i vari lignaggi) e la regolarità delle oscillazioni tra le aree stagionali di pascolo. Le differenze regionali più marcate dividevano i kazachi dell’ovest, abitanti le regioni semidesertiche contigue alla riva orientale del mar Caspio, e quelli dell’est, che sfruttavano i pascoli montani del Tjan-Šan e dell’Altaj. I primi si spostavano di pozzo in pozzo in aree semidesertiche, percorrendo grandi distanze in pianura, con percorsi quasi circolari («nomadismo orizzontale»). I secondi, invece, praticavano spostamenti a più corto raggio dalle vallate, dove in inverno occupavano insediamenti nei pressi dei corsi d’acqua, raggiungevano pascoli situati a più alta quota in primavera, per poi salire ulteriormente in estate e discendere in un quarto sito di pascolo in autunno («nomadismo verticale»). Vi erano anche alcuni gruppi di kazachi che rimanevano in quota (intorno a montagne che sfioravano i 5.000 metri) tutto l’anno, spostandosi solo di qualche decina di chilometri tra estate e inverno (ad esempio gli Adban e i Čala-kazak del rajon Asiisko-Čilinsk nel Džetysu); i loro villaggi invernali erano disposti sui versanti meridionali dei crinali, più riparati dal vento e maggiormente riscaldati dal sole. Il «nomadismo» in questo caso si limitava alla pastorizia di montagna, con spostamenti verso gli alpeggi estivi.

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In realtà, la stessa definizione dei kazachi come pastori è

approssimativa:4 tra di essi era diffusa anche l’agricoltura, ma

in funzione secondaria e accessoria rispetto alla cura degli animali. Si dedicavano all’agricoltura soprattutto i membri più poveri dell’uru (l’unità di lignaggio primaria), coloro che possedevano pochi o nessun animale, e che rimanevano negli accampamenti invernali tutto l’anno, mentre il resto della comunità si disperdeva nei vari pascoli. L’economia kazaca era piuttosto un «sistema multi-risorse», che combinava più elementi produttivi: pastorizia, agricoltura e lavoro salariato. Questo concetto, elaborato dall’antropologo Philip Carl Salzman sulla base di materiale etnografico relativo alla popolazione degli Yarahmazdai dell’Iran, indica un sistema produttivo orientato verso la sussistenza e fondato sullo sfruttamento di risorse differenti, l’accesso alle quali è reso

possibile da una serie di movimenti della comunità stessa.5

Almeno fin dagli anni venti, la consapevolezza che l’economia kazaca non potesse essere facilmente descritta con categorie univoche era chiara in mente ai migliori etnografi e statistici sovietici che si occupavano della regione.

V.G. Sokolovskij, autore nel 1926 di uno studio della società rurale kazaca, basato sul lavoro sul campo nel Syr- Darya (Kazakstan meridionale) sottolineava addirittura l’impossibilità di usare categorie basate sul grado di mobilità dell’aul. «Deve risultare chiara la grande distanza dalla realtà [pol’naja nereal’nost’] di parole usate con tanta leggerezza

oggigiorno: “nomade”, “seminomade”, “sedentario”,

“semisedentario”».6 E aggiungeva: «Se noi li paragoniamo

4 Per una discussione critica della categoria di «pastore» si veda Philip

Carl Salzman, Pastoralists. Equality, Hierarchy, and the State, Westview, Boulder, Colorado, 2004.

5 P.C. Salzman, Multi-Resource Nomadism in Iranian Baluchistan, in

Perspectives in Nomadism, ed. by W. Irons and N. Dyson-Hudson, Leiden, Brill, 1972. Cfr. anche Ugo Fabietti, Nomadi del Medio Oriente. Un’analisi dell’organizzazione sociale, Torino, Loescher, pp. 44-68.

6 V. G. Sokolovskij, Kazakskij aul. K voprosu o metodach ego izučenija

all’ “immobilità” cui noi siamo abituati nel caso della conduzione economica dei contadini russi, dovremmo dire che

tutti i kazachi, senza eccezione, sono “nomadi”».7 Secondo

Sokolovskij, fino a quel momento si erano classificate le aul pastorali che si spostavano lontano come nomadi, quelle che si spostavano vicino come sedentarie, mentre quelle che spostavano il proprio bestiame a una distanza intermedia (arbitrariamente definita), erano classificate come seminomadi o semisedentarie. Una classificazione significativa avrebbe dovuto prendere invece in considerazione il gradiente tra agricoltura e pastorizia, che non si sovrapponeva, secondo Sokolovskij, a quello tra immobilità e mobilità. Infatti, anche le aul agricole si spostavano a lavorare la terra su campi che a volte erano più lontani dei pascoli raggiunti dai pastori. Sokolovskij proponeva di classificare le aul in quattro categorie: (1) pastori che non hanno nessun tipo di seminato; (2) pastori, che posseggono dei seminativi ausiliari, coltivati dal lavoro della propria famiglia; (3) agricoltori, che posseggono, oltre al bestiame da lavoro, anche altro bestiame; (4) agricoltori che hanno solo bestiame da tiro per i lavori

agricoli.8 Le unità economiche kazache (sia che si prendessero

in considerazione le singole famiglie, sia intere aul) non rimanevano fisse in una di queste categorie, ma si assisteva ad un incessante movimento dalle une alle altre. Il centro dell’economia e della società kazaca era la seconda categoria, dal momento che i pastori «puri» cercavano di ottenere un appezzamento di terra da coltivare (spesso a fieno) che li mettesse al riparo dalle gelate primaverili dei pascoli che portavano a morìe di bestiame. La pastorizia rimaneva il centro della vita economica kazaca. Anche tra i kazachi che coltivavano, una crescita della ricchezza non si traduceva in un’espansione dell’area coltivata, ma nell’acquisto di un maggior numero di capi di bestiame. Quindi anche le famiglie classificate all’interno delle categorie (3) e (4) aspiravano a

partkonferencii i 2-go Plenuma Kazkrajkoma VKP(b). Predisl. U. Džandosova, Taškent.1926, p. 4.

7 V.G. Sokolovskij, op. cit., p. 4. 8 Ivi, p. 5.

spostarsi nel novero dei pastori che utilizzavano seminativi ausiliari.9

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