A confermare l’ autonomia posseduta nel momento dell’appropriazione della commedia latina, che lo ha indotto a compiere tagli scenici e soprattutto a ricorrere al dialetto romanesco, ottenendo quasi un’opera totalmente differente dall’originale, uno dei procedimenti più evidenti adoperati a tal proposito è la riformulazione d’alcuni nomi che denotano oggetti d’uso comune188.
Estrapoleremo dal testo gli esempi più rappresentativi procedendo ad un confronto tra la versione originale di Plauto, nella traduzione di Ripamonti, e la traduzione pasoliniana:
[…] pallium / malacum et calidum e tunicae hibernae bonae189. Ai classici mantelli greci e alle antiche tuniche romane190 Pasolini191, con una più semplice immagine domestica, parla di indumenti propri del ventesimo secolo:
‘na maglia e un par de calze per la brutta stagione?
188 Non è solo il riferimento ad oggetti d’uso comune che ci rivela il tentativo di attualizzare
la commedia plautina al XX secolo; nell’Atto I, scena 1, in occasione dell’adulazione del servo Artotrogo a Pirgopolinice, le «[…] armi d’oro» plautine assumono una propria cittadinanza moderna, trasformandosi in «[…] armi d’oro der Giappone».
189 PLAUTO, traduzione e introduzione di RIPAMONTI, cit., Atto III, scena 1.
190Vitali traduce «[…] un pallio morbido e ben caldo / e tuniche pesanti»; Ripamonti «[…]
un pallio soffice e caldo e buone tuniche invernali»; Scandòla «[…] un mantello morbido e caldo e belle tuniche pesanti».
109 Il procedimento riguarda anche, nella stessa pagina, la resa delle ricorrenze festive dell’anno, in merito al quale il termine plautino “calendis”, che sta ad indicare le calende, sullo spunto suggerito da Ripamonti192, diventano per Pasolini193 la festa della donna, quella istituita ufficialmente nel secondo dopoguerra, nel 1948, e da allora sempre celebrata l’8 di marzo d’ogni anno:
Caro, te lo ricordi che domani è la festa / della Donna?
Per lo stesso motivo, la piccola turba di mestieranti, che l’ipotetica moglie di Periplecomeno potrebbe elencare in fila, nei vv. 690-694:
praecantrici coniectrici, hariolae, quae supercilio spicit, plicaqtricem, ceriaria, opstetrix194.
Nella versione di Pier Paolo Pasolini si converte, con felice invenzione creativa, in una lista di personaggi familiari riconoscibili anche in un qualsiasi quartiere popolare d’oggi:
192 Per Scandòla sarebbero «le calèn di marzo» e per Vitali «le feste di matronalia». 193 PASOLINI, Atto III, scena 1, p. 71.
194 Nella versione di Vitali «maga, interprete dei sogni, indovina, profetessa, quella / che
predice l’avvenire nel moto delle coglia, pieghettatrice, ceraria, ostetrica, balia», «fattucchiera chiromante indovina profetessa quella degli scongiuri, pieghettatrice, stiratrice, levatrice, balia» per il Ripamonti, «fattucchiera, interprete dei sogni indovina aruspice quella che legge nelle sopracciglia, piegatrice di vesti, ceraiola, levatrice, nutrice» per Scandòla.
110 Periplecomeno:195
E c’è da compensare il prete, il sagrestano, la chiromante…Inoltre bisogna che paghiamo la massaggiatrice…la stiratrice è un mese che mi fa il muso, dice che lei sta sulle spese… Piange anche l’ostetrica, che la paghiamo poco… E la balia […].
Nel Vantone invece persiste inalterato un aspetto prettamente plautino: i nomi dei protagonisti, conservati nella loro versione originale. Siamo certi che la loro presenza aveva sicuramente un senso nel corpo della commedia latina, essendo nomi parlanti196 e quindi comprensibili, nella loro ambiguità, dalla maggior parte del pubblico latino; ma in un testo che viene recuperato mediante l’esplicito riferimento all’avanspettacolo, il cui strumento linguistico è preminentemente dialettale, l’utilizzo di questi nomi parlanti è per lo meno un fatto strano e alquanto discordante con le altre soluzioni stilistiche adottate, soprattutto perché al pubblico moderno era totalmente preclusa la possibilità di comprenderne il significato nascosto. Perché questo scarto così forte? È mai possibile che Pasolini non si sia posto il problema?
Da una lettura del testo risulta subito evidente che il traduttore ha comunque adottato una soluzione pratica per adeguare questi nomi al tessuto linguistico dialettale, mediante il frequente artificio fonetico
195 PASOLINI, Atto III, scena 1, p. 71.
196 Pyrgoplynices: conquistatore di città turrite; Artrogus: rodipagnotta; Acroteleutium:
altacima, tratto fisico compensato da una parrucca altissima e appuntita; Palaestrio: provetto in tutti gli sport, da intendersi in senso metaforico; Pleusicles: navigatore famoso; Philocomasium: crapulona; Periplectomenus: intrigone; Secledrus: sfortunello, sciagurato, Lucrione: Rimpinzone, vorace.
111 dell’apocope197 delle sillabe atone finali degli allocutivi, tipico del romanesco delle borgate:
Palestrione:198 Che fai Periplecò? […]
Periplecomeno: […] A Palestriò, […]
Palestrione:
[…] A Scelè, mbeh, che fai?
Nonostante questo tentativo d’adeguamento linguistico cui fa ricorso l’autore bolognese, resta sempre un senso di distacco e d’estraneità di quei nomi alla realtà del testo. Sarebbe tuttavia un grosso errore liquidare il problema addossando a Pasolini la croce di questa svista stilistica, senza invece cercare di cogliere le motivazioni che sottendono a questo apparente limite dell’operazione di traduzione. A questo scopo ci viene nuovamente in soccorso, come già accaduto più volte in passato, l’autografo.
Ci basta appena una lettura della pagina di presentazione dei personaggi della commedia per poter affermare che Pasolini si era posto sicuramente il problema e lo aveva per di più risolto quasi subito, perché i nomi del miles e del parassita sono tradotti
Limurimelimagno e Rodiciriole199.
197 Questo fenomeno morfologico, come tanti altri di cui tratteremo più avanti, caratterizza
la varietà bassa del romano, nell’itinerario di avvicinamento dei dialetti alla lingua standard indagato da Tullio De Mauro.
198 PASOLINI, Atto II, scena 2, p. 22, p. 25; Atto II, scena 3, p. 31.
199 La lettura è particolarmente difficile specie per l’ultimo nome, perché è cancellato
112 Nel primo nome è mantenuta evidente l’allusione al significato originale che aveva il nome Pirgopolinice, conquistatore di città murate e turrite, ma c’è anche un interessante tentativo, con quel ‘magno’ finale, di dare l’idea più che di un soldato, di un comandante, come il ben più celebre Alessandro.
A questo tipo di soluzione però Pasolini ha immediatamente rinunciato, perché già nella seconda pagina dello stesso autografo i nomi sono, senza correzioni, quelli tradizionali greci, poi latinizzati. Il motivo di questo ripensamento è imputabile all’ipotesi che probabilmente i nomi tradotti nel modo che abbiamo visto sembravano all’autore eccessivamente burleschi e quindi avrebbero abbassato eccessivamente il tono della traduzione, lungo un registro stilistico non più direttamente confrontabile con quello colto di Plauto, dando l’idea più di una farsa che di una commedia. Lungo l’estensione dell’autografo si nota comunque una certa trascuratezza a proposito della resa grafica dei nomi: Artrotogo è più volte corretto a penna in Artrotrogo, alternato con Artrodoco, così come capita con Scelledro, alternato a Sceledro.
Questo è, sicuramente, uno dei pochi segni che ci dimostrano la fretta avuta da Pasolini nella stesura della traduzione: infatti, è facile notare che gli errori commessi da Pasolini nei nomi d’alcuni personaggi della commedia ricalcano la stessa forma utilizzata dal suo predecessore Ripamonti: così l’originale Periplectomenus è reso in Periplecomeno, Sceledrus in Scelledro, con la doppia e l’accento sulla penultima, mentre nell’edizione definitiva diventerà Sceledro, per scempiamente della doppia L, fenomeno usuale della fonetica romanesca.
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