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SEZIONE II: Principi giuridici alternativi per la risoluzione delle

3.2 I problemi derivanti dall’assenza di disposizioni convenzional

La Convenzione Unidroit del 1995 ricopre un ruolo fondamentale nell’agevolare la restituzione e il ritorno di beni culturali oggetto di furto o di illecita esportazione tra Stati contraenti e, a oggi, rappresenta sicuramente lo strumento più efficace a tal fine sul piano internazionale. Ciò è possibile grazie alla predisposizione di un corpus di nome uniformi che risolvono ex ante i problemi derivanti dalle difformità legislative intercorrenti tra singoli ordinamenti interni per disciplinare una medesima fattispecie. Lo strumento predisposto dall’Istitut fa quindi da “ponte” tra i vari ordinamenti degli Stati contraenti, armonizzando le norme di diritto privato dei singoli Stati mediante una disciplina materiale comune e uniforme.

Per meglio capire in che modo la Convenzione superi tale probematica, è necessario approfondire alcuni aspetti fondamentali dell’accordo che non sono stati ancora affrontati nella presente tesi, come ad esempio la natura stessa della Convenzione.

Sotto il profilo sostanziale, la Convenzione Unidroit del 1995 può essere fatta rientrare tra quelle c.d. di diritto uniforme. Le convenzioni di diritto uniforme tout

court327, a differenza delle convenzioni di diritto materiale e di diritto internazionale privato in senso stretto, disciplinano mediante disposizioni di carattere strumentale solo specifici tipi di rapporti, ricompresi in un determinato ambito. Le norme di diritto uniforme, a seguito dell’adozione della convenzione, sono posizionate all’interno dell’ordinamento sullo stesso piano delle norme nazionali già esistenti.328 Nello

327 S. Bariatti, L’interpretazione delle convenzioni internazionali di diritto uniforme, Edizioni CEDAM,

Padova, 1986, p. 18

328 Diverso è il caso invece delle convenzione di diritto materiale uniforme in senso stretto. Tale

tipologia di strumento è finalizzata a stabilire una disciplina di diritto materiale unica e identica per tutti gli Stati contraenti ma, a differenza delle convenzione di diritto uniforme tout court, le disposizioni

specifico, lo strumento predisposto dall’Istitut ha lo scopo di modificare - non interamente - il diritto interno degli Stati contraenti, mediante la predisposizione di norme strumentali che disciplinino solamente fattispecie che presentino determinate caratteristiche, ovverosia: siano denotate da un carattere d’internazionalità e siano riconducibili, per una serie di elementi, ad altri Stati contraenti la Convenzione.329 Nell’ipotesi in cui uno Stato contraente esperisca una richiesta di restituzione a un altro Stato parte, la Convenzione non mira a stabilire quale sia la legge materiale dei due Paesi applicabile al singolo rapporto. Al contrario, la Convenzione identifica, mediante la previsione di un corpus uniforme di norme per entrambe le Parti, una disciplina materiale comune che possa essere applicata al caso concreto, a prescindere dalla giurisdizione in cui la richiesta di restituzione è proposta.330

Ciò nonostante, tale scenario risulta possibile quando il processo di implementazione delle disposizioni convenzionale da parte degli Stati avviene in maniera uniforme, in modo che sia garantita, per le fattispecie giuridiche soggettive che presentano carattere di internazionalità, una certa parità di trattamento all’interno dei singoli ordinamenti nazionali.331

Se quindi l’interpretazione delle norme convenzionali deve essere omogenea da parte di tutti gli Stati contraenti, così che sia raggiunto lo scopo di uniformazione del diritto cui mirano tali tipologie di convenzioni, sul piano interno il contenuto concreto della norma che il giudice nazionale potrebbe applicare al caso non può differire da ordinamento a ordinamento.

Tuttavia, la Convenzione non disciplina in toto la materia trattata, poiché, pur presentando un carattere self-executing, lascia agli Stati libera facoltà di determinare alcuni elementi che non sono stati volutamente uniformati dall’Istitut.332 Tale facoltà lasciata agli Stati, andrà però a incidere sul tenore della norma e non sul suo contenuto

convenzionali sostituiscono completamente le norme dell’ordinamento interno che disciplinano quella materia, non limitandosi a regolare i soli rapporti che presentino carattere di internazionalità ma anche i rapporti puramente interni. Ivi, p. 20.

329 M. Marletta, La restituzione dei beni culturali. Normativa comunitaria e Convenzione Unidroit,

Cedam, 1991, pp. 184.

330 Ibidem. 331 Ivi, pag. 188.

332Non si ritiene necessario inserire nell’elaborato un riferimento alla natura delle norme contenute

nelle convenzioni di diritto uniforme data la complessità e la vastità dell’argomento. In merito alle divergenti opinioni presenti in dottrina riguardo la sussistenza o meno del carattere self-executing delle norme che caratterizzano le convenzioni internazionali si veda B. Conforti, Diritto internazionale (10ª edizione), Editoriale Scientifica, Napoli, 2014, pp. 342 e ss.

pratico e concreto.333 Si pensi ad esempio al processo di attuazione delle norme convenzionali nello Stato italiano, descritto nella Sezione precedente. Il legislatore nazionale nel recepire l’art. 4.(1) della Convenzione Unidroit ai fini di adattamento dell’ordinamento interno, relativo alla fair and reasonable compensation, ha caratterizzato la norma di attuazione con elementi di discrezionalità non previsti dalla disposizione convenzionale senza però modificarne la sostanza, ovvero la previsione di un equo indennizzo per il possessore in buona fede di un bene culturale rubato e che deve essere restituito.

La possibilità di lasciare una sostanziale libertà agli Stati, se pur limitata, per determinare singoli elementi in modifica all’originale testo convenzionale non deve essere interpretata come una “mancanza”; al contrario tale possibilità è stata lasciata poiché, a monte, l’Institut non ha ritenuto che la modifica di tali elementi potesse compromettere la natura self-executing delle disposizioni e quindi viziare il carattere di uniformità che costituisce l’elemento fondamentale della Convenzione.334 Difatti, la definizione analitica di tutti gli elementi del testo convenzionale – es. la definizione di furto o di possessore335 - avrebbe causato molte difficoltà nel predisporre un corpus di norme uniformi che potessero essere egualmente compatibili con tutti i sistemi giuridici degli Stati contraenti coinvolti.

A prescindere da ciò, durante la fase di progettazione del testo convenzionale, gran parte della dottrina riteneva che l’armonizzazione delle norme di diritto privato dei singoli ordinamenti avrebbe risolto ex ante il problema dell’identificazione della legge applicabile nel caso di controversie concernenti più giurisdizioni, eliminando così il problema derivante dal funzionamento delle norme di conflitto di diritto internazionale privato, che, come si vedrà più avanti, presentano non poche complicazioni se utilizzate con riferimento ai beni culturali.336

Alla luce dei risultati raggiunti dal Committee of the Whole nel progettare la Convenzione si può ritenere che tale aspetto positivo sia stato raggiunto, date le

333 L’art. 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati stabilisce che: “Un trattato deve essere

interpretato in buona fede in base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto ed alla luce dei suo oggetto e del suo scopo.”

334 M. Marletta, La restituzione dei beni culturali … op. cit., p.188.

335 Si pensi ad esempio all’ordinamento italiano, in cui il concetto di possesso riconduce a due

situazioni soggettive differenti (art. 1140 c.c.). Da un lato si ha la figura del possessore, ovvero colui che detiene il potere materiale sul bene mediante un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altri diritti reali, c.d. animus possidendi. Dall’altro la figura del detentore, ovvero colui che possiede la cosa, ma in via indiretta, poiché è riconosciuta l’altruità del diritto reale di proprietà sulla cosa posseduta, c.d. animus detinendi.

soluzioni tecnico-giuridiche inserite all’interno del testo convenzionale e la volontà dimostrata da parte degli Stati contraenti di modificare le proprie legislazioni interne in riferimento alla materia oggetto del trattato. Si può ragionevolmente concludere che uno degli aspetti più importanti della Convenzione Unidroit del 1995 sia quello di risolvere l’incertezza della legge applicabile alle controversie che presentano elementi di estraneità rispetto all'ordinamento statale nel quale la questione è sorta.

È necessario soffermarsi però anche sull’ipotesi in cui tale uniformità legislativa tra Stati sia assente. In tal caso la risoluzione di controversie concernenti i diritti reali connessi ai beni culturali che presentano carattere d’internazionalità sarà più complessa, poiché le diversità legislative intercorrenti tra gli ordinamenti interni coinvolti pongono un problema di scelta su quale sia la legge idonea a risolvere la controversia. Gli ostacoli giuridici principali riguarderanno i termini di prescrizione relativi all’azione di rivendicazione in capo al legittimo proprietario e i diversi regimi di tutela garantiti all’acquirente di buona fede negli ordinamenti di civil e common

law.

Non potendo quindi fare riferimento all’uniforme corpus di norme previsto dalla Convenzione Unidroit del 1995, la controversia verrà risolta in base all’ordinario funzionamento delle norme di conflitto della giurisdizione in cui la rivendicazione è stata proposta. Come è noto, in quasi la totalità dei casi il criterio di collegamento, in relazione ai diritti reali connessi ai beni culturali mobili di provenienza illecita, individuato dalla norma di conflitto tra la controversia e la legge applicabile ricade sulla lex rei sitae, principio che data la sua “neautralità” non comporta, spesso, soluzioni soddisfacenti sotto il profilo della restituzione dei beni culturali.

3.3 La scelta della legge applicabile nell’ipotesi di conflitto di leggi: il