Il ruolo svolto dalla giurisprudenza è stato quello di definire i contorni di costituzionalità entro i quali il captatore informatico potesse muoversi senza, necessariamente, circoscrivere e limitare, in maniera eccessiva,
153 Cfr. P. FELICIONI, L’acquisizione da remoto di dati digitali nel procedimento
penale: evoluzione giurisprudenziale e prospettive di riforma, in Processo penale e giustizia, 2016, pp. 118 ss.
154 Cfr. R. ROMANELLI, Trojan horse: tecnologia, indagini e garanzie di libertà, in
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le libertà ed i diritti fondamentali dell’individuo. Infatti, “la possibilità di monitorare, segretamente e senza limiti spazio-temporali, ogni attività che il soggetto conduce, non può che stridere con le prerogative di riservatezza sancite sia a livello costituzionale che sovranazionale: […] [si configurerebbe] una violazione dell’art. 13 Cost., baluardo della libertà di ogni individuo; dell’art. 14 Cost., posto a protezione del domicilio; dell’art. 15 Cost., che tutela la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione; nonché una lesione del principio di proporzione così come previsto dall’art. 8 CEDU”.155 A causa del vuoto normativo si sono poste differenti
questioni in giurisprudenza: definizione dei limiti oltre i quali l’utilizzo del captatore debba ritenersi abusivo; quali sono i soggetti predisposti a verificarne il rispetto; quali sono le sanzioni processuali applicabili; tempi di conservazione dei file, la stessa, infatti, non può avvenire senza limiti spazio-temporali ma deve rispettare il principio di proporzionalità nel bilanciamento tra il diritto alla protezione dei dati personali e le esigenze di pubblica sicurezza156; che succede alle informazioni non rilevanti ai fini delle indagini che sono state comunque acquisite; come ci si muove nei casi in cui il dispositivo target è in uso a diverse persone, non tutte sottoposte ad indagine157.
L’evoluzione cui facciamo riferimento riguarda soprattutto il diverso approccio assunto dalla Corte di Cassazione sul tema nel corso degli anni.
In una delle sentenze più risalenti in materia, riguardante un caso di estrapolazione di dati, dal personal computer in uso all’imputato, mediante l’installazione di un captatore informatico, non attinenti alla corrispondenza e non aventi ad oggetto flussi di comunicazioni, la c.d.
155 Cfr. W. NOCERINO, Le sezioni unite risolvono l’enigma: l’utilizzabilità del
‘captatore informatico’ nel processo penale, in Cassazione penale, 2016, pp. 3582- 3583.
156 Cfr. W. NOCERINO, Le sezioni unite risolvono l’enigma: l’utilizzabilità del
‘captatore informatico’ nel processo penale, in Cassazione penale, 2016, pp. 3565 ss.
157 Cfr. A. TESTAGUZZA, Exitus acta probat. Trojan di Stato la composizione di un
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sentenza Virruso158, la Corte ha inquadrato il captatore informatico come mezzo atipico di ricerca della prova ed ha escluso che l’attività captativa avesse violato gli artt. 14 e 15 Cost.. Il Collegio, a supporto di tale conclusione, ha posto il fatto che il computer non si trovasse in un luogo domiciliare o di privata dimora, bensì in un ufficio comunale aperto al pubblico.159
Il punto della decisione su cui è necessario soffermarsi è la motivazione, addotta dalla Corte, per negare la sussistenza di una violazione dell’art. 14 Cost., in tema d’inviolabilità del domicilio160. Difatti si è limitata a respingere il motivo di ricorso sulla base del mero luogo fisico di ubicazione dell’apparato informatico interessato dalla captazione.161
La critica che è stata rivolta a tale argomentazione è l’aver confuso il luogo fisico ove è ubicato il dispositivo informatico col luogo astratto generato dal sistema informatico stesso, entrando così in conflitto col concetto di domicilio informatico.162
In una più recente pronuncia163 notiamo una maggiore sensibilità interpretativa della Corte, ciò denota una più consapevole valutazione delle effettive potenzialità intrusive del captatore informatico. Difatti, in questa sede, la Corte ritiene fondati due dei motivi del ricorso, riguardanti alcuni dei profili peculiari dello strumento investigativo in esame, ossia: l’attivazione, da remoto, del microfono e della telecamera. Il punto focale è che l’utilizzo del virus informatico dia vita ad
158 Cass., Sez. V, 14 ottobre 2009, n. 16556, Virruso, in Penale.it. 159 Cass., Sez. V, 14 ottobre 2009, n. 16556, Virruso, in Penale.it.
160 Il dispositivo target, infatti, “si trovava nei locali sede di un ufficio pubblico
comunale, ove sia l’imputato sia gli altri impiegati avevano accesso per svolgere le loro mansioni ed ove potevano fare ingresso, sia pure in determinate condizioni temporali, il pubblico degli utenti ed il personale delle pulizie, insomma una comunità di soggetti non particolarmente estesa, ma nemmeno limitata o determinabile a priori in ragione di una determinazione personale dell’imputato”.
V. Cass., Sez. V, 14 ottobre 2009, n. 16556, Virruso, in Penale.it.
161 Cfr. L. BATTINIERI, La perquisizione on line tra esigenze investigative e ricerca
atipica della prova, in Sicurezza e giustizia, 2013, p. 45.
162 Cfr. L. BATTINIERI, La perquisizione on line tra esigenze investigative e ricerca
atipica della prova, in Sicurezza e giustizia, 2013, p. 45.
A. TESTAGUZZA, Exitus acta probat. Trojan di Stato la composizione di un conflitto, in Archivio penale, 2016, p.3.
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intercettazioni non soggette ad alcun tipo di restrizione, né temporale, né spaziale; inoltre, intervenendo, nello specifico, su un telefono cellulare mobile questa intercettazione potrebbe avere luogo anche all’interno del domicilio. La Corte accogliendo tali motivi, riconosce che l’attivazione da remoto del microfono dia luogo ad un’intercettazione ambientale, di conseguenza ritiene esistente la violazione dell’art. 15 Cost., in quanto tale norma prevede l’inviolabilità della libertà e della segretezza delle comunicazioni, la cui limitazione è possibile solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nel rispetto delle garanzie previste dalla legge. L’art. 266, comma 2, c.p.p., in tema di intercettazioni tra presenti, alla luce del dettato costituzionale, non può essere oggetto di interpretazione estensiva, l’unica interpretazione accettabile è quella di ritenere possibili e legittime solo le intercettazioni ambientali che intervengono in luoghi circoscritti ed individuati ab
origine.164
“Il decreto autorizzativo deve individuare, con precisione, i luoghi nei quali dovrà essere espletata l'intercettazione delle comunicazioni tra presenti, non essendo ammissibile un'indicazione indeterminata o addirittura l'assenza di ogni indicazione, al riguardo.”165
In riferimento, invece, all’attivazione da remoto della telecamera, dunque in tema di videoregistrazioni, la Corte, richiamando la sua precedente giurisprudenza166, precisa che non possono avere luogo ovunque e che se interessano l’ambito domiciliare, affinché possano
164 “Non sembra potersi dubitare che l'art. 266, comma 2, cod. proc. pen. , nel
contemplare l'intercettazione di comunicazioni tra presenti, si riferisca alla captazione di conversazioni che avvengano in un determinato luogo e non ovunque. Una corretta ermeneutica della norma di cui all'art. 15 Cost. osta infatti all'attribuzione al disposto dell'art. 266, comma 2, cod. proc. pen. di una latitudine operativa così ampia da ricomprendere intercettazioni ambientali effettuate in qualunque luogo. […] Le norme che prevedono la possibilità di intercettare comunicazioni tra presenti sono di stretta interpretazione, ragion per cui non può considerarsi giuridicamente corretto attribuire alla norma codicistica una portata applicativa così ampia da includere la possibilità di una captazione esperibile ovunque il soggetto si sposti.”
Sent. Cass., Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 27100, Musumeci
165 Sent. Cass., Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 27100, Musumeci. 166 Sent. Cass.,Sez. Un. 28 marzo 2006, n. 26795, Prisco.
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essere ritenute legittime, è necessario un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria.
La Corte, nell’ultima sentenza che abbiamo analizzato, ha scelto, dunque, la via della illegittimità e quindi inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali effettuate senza la specificazione dei luoghi. Procedendo nella nostra disamina vediamo come sia stato compiuto un ulteriore passo in avanti dalla Cassazione, che, nella c.d. sentenza Scurato167, ha mostrato, ancora una volta, un approccio diverso, rispetto alla sua stessa giurisprudenza.
In questa sede viene presentato alla Corte un ricorso avverso un’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Palermo. La difesa sostiene l’illegittimità del decreto di autorizzazione delle intercettazioni ambientali e la conseguente inutilizzabilità dei risultati da queste ottenuti, rilevando l’elusione del divieto posto dall’art. 266, comma 2, c.p.p. di effettuare intercettazioni all’interno di abitazioni private, a meno che in esse non si stia svolgendo l’attività criminosa, visto che, nel caso di specie, hanno interessato anche l’abitazione di un soggetto non coinvolto nelle indagini. Inoltre il suddetto decreto non presentava nemmeno l’indicazione dei luoghi in cui sarebbe avvenuta la captazione, violando nuovamente il disposto dell’art. 266, comma 2, c.p.p., nonché l’art. 15 Cost.
La Corte nella prima parte della pronuncia in esame, riguardante la presunta illegittimità delle operazioni di intercettazione, prende atto del fatto che il decreto di autorizzazione, posto in discussione, manchi effettivamente dell’indicazione dei luoghi interessati dalle attività di captazione mediante virus informatico. Nella discussione si richiama la sentenza Musumeci, sostenendo che stando a quanto stabilito in quella sede “la mancanza di limitazioni spaziali alle captazioni ambientali
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determinerebbe l’illegittimità del decreto autorizzativo e l’inutilizzabilità delle conversazioni captate”168.
In questa pronuncia, però, la Corte assume una posizione diversa dalla precedente e, qui, mette in rilievo il fatto che, trattandosi di intercettazioni da effettuare mediante il captatore informatico, non è possibile pretendere una preventiva indicazione dei luoghi che saranno coinvolti nelle attività di captazione, “in quanto la caratteristica tecnica di tale modalità di captazione prescinde dal riferimento al luogo, trattandosi di una intercettazione ambientale per sua natura itinerante.”169 “Ciò che rileva nelle intercettazioni di questo genere è che
il decreto autorizzativo sia adeguatamente motivato per giustificare le ragioni per le quali si ritiene debba utilizzarsi la metodica dell’installazione da remoto, consentendo così una captazione dinamica.”170
La Corte sottolinea che, viste le caratteristiche tecniche di tale strumento di indagine, anche se il decreto autorizzativo escludesse le intercettazioni nei luoghi di privata dimora, non sarebbe possibile impedire che la captazione, in concreto, interessi, comunque, anche questi luoghi; “il controllo non potrà che essere successivo e riguardare il regime di inutilizzabilità delle conversazioni captate in uno dei luoghi indicati dall’art. 614 c.p.”171
Nel caso di specie, trattandosi di un delitto di criminalità organizzata, non è necessario che vi sia motivo di ritenere che nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p. si stia svolgendo l’attività criminosa per poter effettuare l’intercettazione. Nei casi di criminalità organizzata, dunque, vengono meno quei profili problematici che caratterizzano la materia. Non possiamo non notare come nella sentenza Musumeci, che pure aveva ad oggetto un delitto di criminalità organizzata, non sia stato
168 Sent. Cass. Sez. VI, 10 marzo 2016, n. 13884, Scurato. 169 Sent. Cass. Sez. VI, 10 marzo 2016, n. 13884, Scurato. 170 Sent. Cass. Sez. VI, 10 marzo 2016, n. 13884, Scurato. 171 Sent. Cass. Sez. VI, 10 marzo 2016, n. 13884, Scurato.
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attribuito alcun rilievo a tale circostanza. Per questa ragione, nonché per gli altri punti di incongruenza già evidenziati, la Corte ritiene di non poter sposare la soluzione accolta nella sentenza Musumeci del 2015. “Considerata la delicatezza della materia, in cui il ricorso a strumenti di sofisticata tecnica informatica, di così formidabile invadenza nella sfera della privacy e nello stesso tempo di applicazione tendenzialmente semplice, può determinare, da un lato, la compromissione di diritti costituzionali, dall’altro, assicurare una maggiore capacità investigativa finalizzata alla repressione di gravi reati, si ritiene che la questione debba essere rimessa alle Sezioni Unite, per evitare potenziali contrasti di giurisprudenza su un tema di tale rilevanza, anche tenuto conto della ormai diffusa utilizzazione delle tecniche di intercettazione con il c.d. agente intrusore.”172
3.1 (Segue) Le Sezioni Unite Scurato.
Le Sezioni Unite sono chiamate ad intervenire su un contrasto interpretativo tra due diversi orientamenti espressi dalla Sezione VI a poco meno di un anno di distanza tra loro. La questione rimessa al vaglio delle Sezioni Unite può essere sintetizzata come segue: “Se - anche nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., pure non singolarmente individuati e anche se ivi non si stia svolgendo l’attività criminosa – sia consentita l’installazione di un captatore informatico in dispositivi elettronici portatili (ad es., personal computer, tablet, smartphone, ecc.)”173.
La Corte apre la disamina, analizzando il captatore informatico per le sue caratteristiche tecniche e precisa che, volendo dare una qualificazione giuridica di tale attività di indagine, non si può fare altro
172 Sent. Cass. Sez. VI, 10 marzo 2016, n. 13884, Scurato. 173 Sent. Cass. Sez. Un., 28 aprile 2016, n. 26889, Scurato.
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che riferirsi alle c.d. intercettazioni ambientali; sposa, quindi, l’orientamento assunto sia nella sentenza Musumeci, sia nell’ordinanza di rimessione.
Il punto sul quale si interroga la Corte è la rilevanza dell’individuazione, e quindi la conseguente indicazione, nel decreto che autorizza le operazioni di intercettazione a mezzo del virus informatico, del luogo nel quale deve essere svolta l’intercettazione di comunicazioni tra presenti. Sin da subito si precisa l’impossibilità di avallare l’orientamento assunto, sul punto, dalla Sesta Sezione nel caso Musumeci, poiché l’art. 266 c.p.p. fa riferimento all’ambiente solo nella seconda parte, e solo riguardo alla tutela del domicilio.174 La Corte, sul punto, richiama anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo175 che, nel sottolineare la necessità di regole chiare e
dettagliate sulle intercettazioni nella legislazione nazionale, ha specificato quali siano i punti sui quali il legislatore nazionale dovrà soffermarsi. Tra questi non è dato rinvenire alcun riferimento all’obbligo dell’indicazione del luogo nel decreto di autorizzazione, se non in alternativa alla identificazione fisica del soggetto interessato.176
La tesi sostenuta nella sentenza Musumeci rappresenta, in verità, un
174 “La necessità dell’indicazione di uno specifico luogo – quale condizione di
legittimità dell’intercettazione – non risulta inserita né nell’art. 266, comma2 (in cui, con riferimento all’intercettazione di comunicazioni tra presenti, vi è solo la previsione di una specifica condizione per la legittimità dell’intercettazione se effettuata in un luogo di privata dimora), né nella giurisprudenza della Corte EDU secondo cui le garanzie minime che la legge nazionale deve apprestare nella materia delle intercettazioni riguardano la predeterminazione della tipologia delle comunicazioni oggetto di intercettazione, la ricognizione dei reati che giustificano tale mezzo di intrusione nella privacy, l’attribuzione ad un organo indipendente della competenza ad autorizzare le intercettazioni con la previsione del controllo del giudice, la definizione delle categorie di persone che possono essere interessate, i limiti di durata delle intercettazioni, la procedura da osservare per l’esame, l’utilizzazione e la conservazione dei risultati ottenuti, la individuazione dei casi in cui le registrazioni devono essere distrutte […]: non è dato rilevare, dunque, alcun riferimento alla indicazione del luogo della captazione.”
Sent. Cass. Sez. Un., 28 aprile 2016, n. 26889, Scurato.
175 Si fa riferimento alla sentenza emessa il 4 dicembre 2015 dalla Grande Camera
della Corte europea dei diritti dell’uomo, Zakharov c. Russia.
176 Cfr. A. BALSAMO, Le intercettazioni mediante virus informatico tra processo
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caso isolato nella giurisprudenza di legittimità177, la stessa, infatti, ha sempre escluso la necessità dell’indicazione del luogo dove interverranno le operazioni di captazione, a meno che queste non interessino i luoghi di privata dimora, nei quali l’intercettazione potrà avere luogo solo se vi è fondato motivo di ritenere che in essi si stia svolgendo l’attività criminosa.
La Corte precisa poi che “nell’intercettazione tra presenti, compiuta con mezzi definibili ‘tradizionali’, il riferimento al luogo non integra un presupposto dell’autorizzazione, ma rileva solo limitatamente alla motivazione del decreto nella quale il giudice deve indicare le situazioni ambientali oggetto della captazione, e ciò solo ai fini della determinazione delle modalità esecutive del mezzo di ricerca della prova, che avviene mediante la collocazione fisica di microspie” esigenza che non rileva nel caso sia impiegato il captatore informatico. “Volendo giungere ad un primo approdo ermeneutico, deve escludersi –
de iure condito - la possibilità di intercettazioni nei luoghi indicati
dall’art. 614 c.p., con il mezzo del captatore informatico, al di fuori della disciplina derogatoria di cui all’art. 13178 della legge n. 203 del 1991.”179
Tale assunto fa sorgere una ulteriore questione, anch’essa affrontata dalla Corte, in merito al “se” il captatore informatico possa essere utilizzato, quale strumento di indagine, nei procedimenti per criminalità organizzata.
177 Sentenza Cassazione sez. VI, 5 novembre 1999, n. 3541 Bembi; Cassazione sez. I,
25 febbraio 2009, n. 11506, Molè; Cassazione sez. II, 8 aprile 2014, n. 17894, Alvaro.
178 “In deroga a quanto disposto dall'articolo 267 del codice di procedura penale,
l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'articolo 266 dello stesso codice è data, con decreto motivato, quando l'intercettazione è necessaria per lo svolgimento delle indagini in relazione ad un delitto di criminalità organizzata o di minaccia col mezzo del telefono in ordine ai quali sussistono sufficienti indizi. Nei casi di cui al comma 1, la durata delle operazioni non può superare i quaranta giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di venti giorni, qualora permangono i presupposti indicati nel comma 1. Nei casi di urgenza alla proroga provvede direttamente il pubblico ministero; in tal caso si osservano le disposizioni del comma 2 dell'articolo 267 del codice di procedura penale.”
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Sul punto si ritiene poco soddisfacente la tesi sostenuta dalla sentenza Musumeci, innanzitutto perché valorizza in modo eccessivo il riferimento all’ambiente in cui avvengono le intercettazioni, nonchè per lo scarso rilievo riconosciuto alla norma speciale derogatrice, ossia l’art. 13 della legge n. 203/1991.180 Le Sezioni Unite, infatti, mettono in rilievo come non ci sia alcun appiglio normativo a supportare la tesi sostenuta nel caso Musumeci, poiché nel tessuto normativo non esiste alcun riferimento alle intercettazioni ambientali. Tale sentenza ha, quindi, “omesso di confrontarsi con il dato normativo dal quale emerge la distinzione tra ‘intercettazioni tra presenti’ e ‘intercettazioni tra presenti nei luoghi di privata dimora’ ( e sui loro specifici requisiti autorizzativi) ed ha piuttosto ancorato la conclusione, cui è pervenuta, alla distinzione, che non trova invece nessun aggancio normativo, tra intercettazioni tra presenti in ambienti predeterminati e intercettazioni prive di tale preventiva (individuazione e) indicazione.”181
“Deve dunque ritenersi che – in relazione a procedimenti di criminalità organizzata, una volta venuta meno la limitazione di cui all’art. 266, comma 2, c.p.p. per quel che riguarda i luoghi di privata dimora – l’installazione del captatore informatico in un dispositivo ‘itinerante’, con provvedimento di autorizzazione motivato e nel rispetto delle disposizioni generali in materia di intercettazione, costituisce una delle naturali modalità di attuazione delle intercettazioni al pari della collocazione di microspie all’interno di un luogo di privata dimora.”182
A questo punto la Corte enuncia il principio di diritto secondo cui l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra presenti, mediante l’installazione di un captatore informatico, è consentita limitatamente ai procedimenti per delitti di criminalità organizzata anche nei luoghi ex art. 614 c.p., anche se non singolarmente individuati
180 Cfr. F. CAJANI, Odissea del captatore informatico, in Cassazione penale, 2016,
pp. 4140 ss.
181 Sent. Cass. Sez. Un., 28 aprile 2016, n. 26889, Scurato. 182 Sent. Cass. Sez. Un., 28 aprile 2016, n. 26889, Scurato.
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e anche se ivi non si stia svolgendo l’attività criminosa. La Corte si premura di precisare anche che, data la particolare forza intrusiva del mezzo in questione, la qualificazione giuridica del fatto, come inquadrabile in un contesto di criminalità organizzata183, debba essere sorretta da “sufficienti, sicuri ed obiettivi elementi indiziari che ne sorreggano, per un verso, la corretta formulazione da parte del pubblico ministero e, per altro verso, la successiva, rigorosa, verifica dei presupposti da parte del giudice chiamato ad autorizzare le relative operazioni intercettative.”184
Il fatto che la Corte abbia ritenuto ammissibile uno strumento così invasivo per i soli delitti di criminalità organizzata si potrebbe giustificare pensando alla ratio che ha sorretto la volontà del legislatore del 1991 nell’introdurre uno speciale regime derogatorio, art. 13 l. n. 203/1991, in ordine a tale tipologia di reati.185
La sentenza che abbiamo appena esaminato ha sicuramente il merito di aver fatto chiarezza in un ambito di difficile gestione ma ciò non basta a salvarla dalle critiche della dottrina. Infatti, non è mancato chi ha visto nella pronuncia in esame il pericolo di una strumentalizzazione del reato associativo, al fine di legittimare l’utilizzo del captatore informatico.186C’è chi invece ha posto l’attenzione sul fatto che la Corte
183 Il collegio ha, infatti, cercato di individuare con precisione quali siano le fattispecie