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I rapporti con la casa produttrice Lefranc

3. Dall’epistolario: il socialismo di Morbelli alla luce dell’amicizia

2.4 I rapporti con la casa produttrice Lefranc

Il 1891 era anche l’anno che aveva visto il lancio della rubrica Pei Pittori su «Cronaca d’arte» di Vittore Grubicy. Morbelli, in occasione di un inchiesta promossa da Grubicy sulla qualità dei prodotti Lefranc, era stato chiamato a rispondere e ad esprimere un proprio giudizio sull’argomento. Il pittore sembrava a quella data particolarmente entusiasta per la costanza dei toni dei colori della casa Lefranc e per la solidità delle lacche di garanza. Tuttavia esprimeva delle riserve sulle vernici Vibert (fig. 84) che contenevano essenze di petrolio e una resina normale di cui però non conosceva la composizione74. Nel testo il pittore tesse le lodi della casa Lefranc evidentemente per avere una chance in più di entrare in contatto diretto con la casa produttrice, con lo scopo di ottenere delucidazioni specifiche sulle vernici e sugli altri materiali75 (fig. 85).

Quella sopra descritta è la conseguenza di una serie di eventi connessi con le novità della rivoluzione industriale che aveva portato alla produzione e diffusione di una grande quantità di nuovi prodotti per pittura. Come è stato più volte specificato, in concomitanza con la pubblicazione di testi e di trattati sull’ottica e di tecniche pittoriche diffuse nella seconda metà dell’Ottocento, le grandi case produttrici di materiali per pittura si erano impegnate nella produzione di nuovi colori; facendo questo non era stato travolto dall’industrializzazione moderna soltanto il campo dei pigmenti, ma anche

73 Per questo motivo, secondo Annie Paul Quinsac, si può ipotizzare che già a quella data

Morbelli avesse fatto uso del cerchio cromatico. Si veda Quinsac, op. cit.

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Vibert approfondisce il tema delle vernici, che tradizionalmente erano composte da trementina, sostanza che si ossidava facilmente con l’aria, ingialliva e diventava grassa. La trementina era già conosciuta in antichità da Plinio (I sec.) che parla di una distillazione di trementina tratta dal balsamo del pino. I pittori se ne servivano non solo per sciogliere le resine e creare una vernice che essiccava molto rapidamente, ma anche come diluente per i colori per renderli più fluidi. Ma tendeva all’ossidazione all’ingiallimento che la facevano diventare una sostanza nemica della pittura. Rosa, op. cit., p. 172. Per questo motivo Vibert aveva trovato una formula all’essenza di petrolio che si poteva applicare in tre usi: la Vernis à peintre, la Vernis à retoucher e la Vernis à tableaux. Queste vernici erano acclamate positivamente dai pittori.

75 Nella lettera del 15 luglio 1891scritta a Grubicy, Morbelli gli chiedeva di far avere il suo

articolo al rappresentante milanese della ditta Lefranc. M. D’Ayala Valva, Precetti e ricette. Evoluzione

dialettica del pensiero critico di Grubicy fra idea e materia, in Oltre il Divisionismo, a cura di M. Patti,

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l’intera industria dei materiali per le Belle Arti76

. Erano nate infatti aziende specializzate che operavano su scala europea per assecondare le esigenze degli artisti. I movimenti artistici più preparati a servirsi di queste novità erano proprio quelli nati negli stessi paesi dove queste case produttrici erano nate e si erano sviluppate; è il caso ad esempio della ditta francese Lefranc che fu per prima sperimentata dagli Impressionisti77.

A Parigi nel 1850 esistevano 276 Marchand de couleurs78. Va puntualizzato che la Francia aveva visto un particolare incremento dello sviluppo delle case produttrici per pittura dal momento che, nel 1791, erano state abolite le corporazioni e questo aveva determinato la libera concorrenza nelle produzioni di materiali industriali. Da qui, con i progressi appunto della chimica e l’industrializzazione, erano nati i fabricants de

couleurs, ovvero ditte specializzate come ad esempio la Lefranc, la Bourgeois Ainé in

Francia e la Winsor&Newton in Inghilterra. Anche se la disponibilità di prodotti già pronti sul mercato era molto ampia, molti commercianti di Parigi preferivano comunque acquistare dalle ditte solo le materie prime, per poi procedere alla lavorazione dei materiali autonomamente, applicando ai prodotti i propri marchi di fabbrica79 (fig. 86).

Morbelli non era l’unico pittore a tentare di stringere con le case produttrici rapporti più stretti. Gli artisti infatti lo ritenevano un grande vantaggio perché solo così potevano ottenere informazioni importanti sulle caratteristiche dei materiali che poi venivano applicati spesso in maniere molto differenti. Nel caso dei divisionisti infatti è utile tenere in considerazione il fatto che non c’era omogeneità nei procedimenti tecnici; ognuno aveva un proprio modo e una propria tecnica per tradurre su tela ciò che era stato appreso dai testi e acquistato tra i materiali a disposizione. Questa tradizione si va a sommare alle cause che possono spiegare e giustificare le difficoltà, di cui soprattutto Morbelli risentiva, di presentarsi alle esposizioni come un gruppo unito. Se Morbelli applicava meticolosamente la tecnica divisa con un reticolo di colori, Segantini

76 Quali materiali usavano gli impressionisti?, cit., p. 43. Nell’epoca dell’industrializzazione i

colori erano ottenuti attraverso dei mulini azionati a vapore che avevano sostituito la fabbricazione manuale dei pigmenti. Anche per le tele vi erano stati notevoli sviluppi, con l’utilizzo di telai meccanici che producevano tele su alcune delle quali quali veniva applicata una preparazione cosi da essere vendute agli artisti già pronte per l’uso.

77 Bensi, op. cit., p. 76.

78 Il termine Marchand de couleurs era utilizzato per definire quei negozi che, dal 1757,

vendevano, oltre ai colori, l’attrezzatura necessaria per gli artisti. Si veda Quali materiali usavano gli

impressionisti?, cit., p. 43. 79

Si veda il retro del dipinto di A. Guillaumin, Il mare a Saint-Palais, 1892, cm 60,4 x 93,4 Colonia, Wallraf, Richartz Museum & Fondation Corboud. Qui sono presenti il timbro della ditta Tasset & L’Hôte sulla tela e il marchio di fabbrica della ditta Bourgeois Ainé su un listello del telaio. Un altro esempio è quello del commerciante di colori Julien Tanguy che aveva una cucina posta sul retro del proprio negozio in cui preparava a mano i colori. Ivi, p. 45.

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dipingeva con filamenti più marcati e Pellizza procedeva per una vibrante tessitura a tocchi. C’era ovviamente un punto di partenza comune a tutti; vi era infatti un rapporto continuo con la tavolozza, che appariva sempre aggiornata ai prodotti disponibili e più recenti80. E nel Nord Italia i pittori acquistavano i loro colori soprattutto nel negozio Calcaterra, che era il rivenditore milanese ufficiale dei prodotti Lefranc (che aveva aperto anche una filiale a Marsiglia e una a Firenze) e un punto di riferimento fondamentale per la vendita di vernici di produzione propria e per i colori di importazione inglese, francese e tedesca81 (fig. 87).

Una volta acquistati i materiali prodotti industrialmente gli artisti sentivano ad ogni modo la necessità di accertarsi della loro stabilità prima di procedere all’applicazione su tela. Angelo Morbelli fu uno dei primi pittori a testare i prodotti della casa Lefranc. Il 25 giugno 1891 il pittore raccontava a Grubicy di aver testato al calore e alla luce le lacche di garanzia Lefranc, e che queste erano risultate perfettamente stabili82. Sull’esempio di Morbelli, anche Pellizza aveva testato alcuni colori che intendeva utilizzare. Il pittore su una tavoletta di legno (che in alcuni casi era sostituita da pezzi di tela) rivestita di biacca aveva steso direttamente dal tubetto del colore procedendo per sfumature83 (figg. 88-89). Le case produttrici, essendo a conoscenza della sempre maggiore richiesta di informazioni sugli ingredienti da parte dei pittori, avevano iniziato a dare nozione dei contenuti dei loro prodotti scrivendo sui tubetti la composizione chimica dei colori. Segantini e Morbelli sarebbero stati

80 Cfr. Bensi, op. cit., p. 77; Lamberti, op. cit.

81 La ditta di Luigi Calcaterra era stata fondata a Milano nel 1839 ed era diventata un punto

focale di riferimento per gli artisti che avevano a disposizione una vasta gamma di prodotti disponibili sul mercato. Gli artisti per agevolare gli acquisti, avevano la possibilità di avere un conto corrente e prendeva ordini anche tramite posta. Sia Morbelli che Pellizza erano clienti fissi della ditta, e lo testimoniano i numerosi riferimenti ai prodotti da acquistare presso il negozio a Milano. A. Gioli, La ditta Luigi

Calcaterra: La Lefranc a Milano, in Oltre il Divisionismo, cit., p. 107. Negli Appunti pella risaia

Morbelli fa nella parte finale una sorta di lista dei materiali da acquistare nel negozio a Milano: «Occorre a Milano – forbicetta da tagliare –colori violetti caldi – Oltremare 2°, qualche pennello molle da dividere più recpinetini per acqua ragia ecc., tubo bleù lumiera Num sei (Calcaterra), vernice da Calcaterra (?), Boccettine (S. Caterina), specchio, - (tubo nero vigna), 1 pacco vetri (Coppola) , Vestito nero (Sarto) prendere coperchio footgrafia V.». Scotti- Tosini, Angelo Morbelli, documenti inediti, cit., p. 44; Scotti Tosini, L’infuenza positiva delle scienze, la pittura in trasformazione, cit., p. 571.

82 Ibidem. si veda la lettera scritta da Morbelli a Grubicy il 25 giugno 1891.

83 Le prove di colore effettuate da Pellizza sono tutt’oggi visibili all’interno del suo museo-studio

a Volpedo e a testimonianza dell’inalterabilità di questi materiali sta il fatto che sono ancora perfettamente conservati. Inoltre nel 1893 Pellizza si era rivolto direttamente alla Lefranc per chiedere se potevano mandargli delle tele già preparate alla caseina secondo il sistema Vibert, su suggerimento di Segantini. Ivi, p. 573. Per un approfondimento sui test eseguiti da Pellizza si rimanda a G. Poldi,

Ricostruire la tavolozza di Pellizza da Volpedo mediante la spettrometria in riflettenza, in Il Colore dei Divisionisti, tecnica e teoria, analisi e prospettive di ricerca, cit., pp. 119-134.

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entusiasti di questa novità che era stata la Lefranc la prima ditta a sperimentare84. Sull’importanza della pubblicazione della formula chimica dei colori si era espresso anche Vibert quando affermava, in un passo de La Science de la Peinture, che la questione della conservazione dei dipinti era fondamentale per i pittori, ma era raro che questi se ne interessassero e dunque bisognava

«costringere i fabbricanti a fornire delle buone materie, ed ecco un mezzo che crediamo eccellente per raggiungere questo risultato. Basta che i pittori esigano, quando acquistano un tubo di colore, che il cartellino abbia, di fianco al nome usuale di questo colore, la sua formula chimica, come nella lista più sopra descritta. In questo modo, se il mercante non dà quel che annunzia, può essere tradotto in giudizio, come qualunque falsificatore: vi è inganno sulla qualità della mercanzia»85.

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