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Questioni palpitanti!!! Attinenti alla tecnica del

3. Dall’epistolario: il socialismo di Morbelli alla luce dell’amicizia

2.2. La cultura scientifica del pittore

2.3.1 Questioni palpitanti!!! Attinenti alla tecnica del

I testi citati in precedenza vanno a costituire solo una parte del bagaglio culturale di Angelo Morbelli, ma forniscono comunque un esempio della prassi seguita dall’artista; il pittore, prima di procedere nell’applicazione pratica, trovava fondamentale lo studio del dato teorico e dei concetti espressi in questi trattati. Ne è un esempio il manoscritto di Morbelli Questioni palpitanti!!! Attinenti alla tecnica del

dipingere; il testo si rivela essere la prova inconfutabile delle riflessioni operate dal

pittore Morbelli sui testi consultati53. Se è vero che questo manoscritto non propone al lettore particolari novità rispetto a ciò che già era stato pubblicato nella seconda metà dell’Ottocento, è in ogni caso un prezioso lascito della consapevolezza del pittore che, per avere totale padronanza della pittura moderna, era necessario possedere un patrimonio di acquisizioni teoriche e tecniche quanto più ampio possibile; questo era fondamentale soprattutto per poter affrontare con coscienza i processi di industrializzazione moderna che minacciavano di spazzare via le conoscenze teoriche sulla pittura.

Era accaduto infatti che, con l’incalzare della rivoluzione industriale era sempre più evidente la facilità con cui era possibile acquistare i materiali per pittura disponibili largamente sul mercato rispetto alle difficoltà che si incontravano servendosi delle ricette che in passato erano segretamente conservate dai maestri. La conseguenza di

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Il manoscritto è pubblicato per intero in Il Colore dei Divisionisti, tecnica e teoria, analisi e

prospettive di ricerca, cit., p.195.

53 Si rimanda a M. d’Ayala Valva, L’artista lettore, la tecnica, la scrittura. Morbelli legge Selvatico, in Pietro Selvatico e il rinnovamento delle arti nell’Italia dell’Ottocento, a cura di A. Auf der

Heyde, M. Visentin, F. Castellani, Edizioni della Normale, Pisa; Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Venezia, in pubblicazione.

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questo processo era stata una sorta di democratizzazione del segreto di bottega. Tutto ciò andava anche a sommarsi ad un altro fattore; c’era stato infatti un incremento massiccio della presenza di una schiera di pittori dilettanti che avevano a diposizione alcune ditte specializzate che producevano delle confezioni di colori, strumenti, e manuali appositamente creati sia per gli artisti, sia per coloro, appunto, che si avvicinavano alla pittura quasi esclusivamente come passatempo54. In reazione a questo fenomeno i pittori professionisti si sentivano in dovere di prendere le distanze da questa massa di dilettanti incompetenti proprio attraverso la conoscenza e lo studio approfondito delle ricerche scientifiche. Inoltre, i pittori, si sentivano legittimati a farsi tesorieri dei saperi antichi55 che, con la crescente industrializzazione, si andavano a poco a poco perdendo.

Gli artisti dunque trovavano di fronte alla scelta di lasciarsi travolgere dall’impeto crescente dell’industria di materiali e di tecniche di pittura che, con sempre più veemenza, si imponeva sul mercato. A questo reagivano da una parte grazie alla possibilità di recuperare il passato e gli antichi saperi, dall’altra attraverso la sperimentazione e l’accertamento della stabilità e dell’inalterabilità dei nuovi materiali disponibili.

È in questo contesto che bisogna inserire il recupero di tecniche che erano cadute in disuso come la tempera, l’affresco e l’encausto romano; sulla tavolozza inoltre ricomparivano quei pigmenti e materiali che appartenevano al passato, ma che era giusto recuperarli per la loro preziosità, in quello che può sembrare un atteggiamento di nazionalismo culturale. Il problema era che il recupero di questi procedimenti era stato condotto senza accurate impostazioni filologiche e scientifiche di base; ciò aveva contribuito a far nascere sempre più fraintendimenti a livello tecnico con conseguenze disastrose per le opere d’arte. Inoltre, in questo modo, i pittori fallivano nel tentativo di

54 P. Bensi, Materiali e procedimenti della pittura italiana tra Ottocento e Novecento, «Ricerche

di Storia dell’arte», n. 24 p. 76. Nel XIX secolo a Parigi la richiesta di materiali per pittura era cresciuta vertiginosamente, non solo perché era diventata la città più importante del panorama artistico europeo e non solo, ma anche perché c’era un gran numero di dilettanti che si era dato alla pittura. Quali materiali

usavano gli impressionisti? in Impressionismo: dipingere luce / le tecniche nascoste di Monet, Renoir e Van Gogh, cat. della mostra a cura di I. Schaefer et ali, (Colonia e Firenze 2008), Milano, Skira, 2008, p.

43. Uno die manuali citati messi in commercio era L’enciclopedia artistica di Erbici, nel 1900. Si trattava di un testo, legato alla promozione dei prodotti venduti nel negozio Calcaterra di cui si servivano dilettanti, pittori e i giovani pittori futuristi. M. D’Ayala Valva, C. Marchese, I materiali d’atelier del

fondo Grubicy-Benvenuti della Fondazione Livorno, in Oltre il Divisionismo, cit., p. 80.

55 Scrive Morbelli a Pellizza il 19 ottobre 1896: «Lo credo anch’io finirai col macinare i colori,

almeno i più fini e cari come faccio io, escluse le biacche, le terre e volgari, almeno per conoscerne de intimo i colori come facevano gli antichi, tanto sei giovane e non è tempo perduto nello studio.». Poggialini Tominetti, op. cit., p. 136.

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recuperare e preservare le tecniche antiche dall’industrializzazione moderna, dal momento che, proprio per la sperimentazione di queste tecniche del passato, si servivano dei nuovi prodotti in commercio. Anche il recupero delle tecniche rinascimentali aveva visto l’applicazione di esse attraverso l’uso di trementina, olio, caseina e petroli56. Si può portare come esempio il caso della tempera; questa era stata rivalutata e molto apprezzata dai divisionisti, ma spesso veniva utilizzata per stendere l’abbozzo dei dipinti sul quale poi si procedeva a stendere i colori con la pittura ad olio; questa procedura aveva dei risultati a dir poco disastrosi. Proprio della tempera parla Angelo Morbelli nella lettera del 28 febbraio 1888 a Grubicy in riferimento al dipinto

Venduta. Il pittore dice che

«è impossibile andar avanti con quella Venduta. Ho, tolto pastelli, ma inutilmente, le tinte sono cosi fuse e leggere colla Glicerina che la tempera non arriva, l’acqua smacchia i contorni, e finisco a guastarla maggiormente»57.

I pittori, dunque, affascinati dalle lettura dei trattati antichi, riprendevano i precetti ivi spiegati e li applicavano e li riadattavano alle nuove esigenze tecniche. Anche Pellizza da Volpedo tendeva a questo atteggiamento se nel 1892 nell’eseguire

Mammine (fig. 82), era particolarmente soddisfatto di aver effettuato sull’opera ritocchi

frequenti proprio prendendo a riferimento delle ricette riscoperte nel manuale di Giovanni Battista Armenini, dal titolo De' veri precetti della pittura58.

Angelo Morbelli nel manoscritto Questioni palpitanti!!! Attinenti alla tecnica

del dipingere a cui si è fatto riferimento, riprende infatti i temi della pittura antica e ne

parla ampiamente; descrive la pittura ad encausto59, che era stata riscoperta infatti

56 P. Bensi, op. cit., p. 78. 57

Citazione tratta dalla lettera già citata del 28 febbraio 1888, infra, p. 10, n. 5.

58 A. Scotti Tosini, Pellizza da Volpedo, catalogo generale, Milano 1986, pp. 296-298. Pellizza

nel Diario del 1892 afferma che nel trattato Dei veri precetti della pittura dell’Armenini «ho trovato questo metodo giovevolissimo perché la pennellata nuova che si mette sopra resta subito morbida; ciò che prima non ottenevo se prima non l’avevo tutto bagnato lavorandovi su col colore; con quel metodo dovevo sempre passar nuovamente sopra anche a quelle pennellate che più non lo richiedessero».

59 Della pittura ad encausto Morbelli cita i vantaggi rispetto alla pittura ad olio: «il primo e il più

importante di tutti, è l’inalterabilità dei toni i quali, quando pure ingialliscono un poco (il che non avviene se la cera e resina son perfette) non portano mai nel chiaroscuro que disaccordi che vediamo spesso nei dipinti a olio per causa del differente grado di certe tinte che crescono relativamente a certe altre. Il secondo vantaggio considerevole dell’encausto è pur quello, che la vernice finale da cui va coperto il dipinto constando di cera soltanto permette un rinettamento facile da puorsi rinnovar senza danno ogni volta che sembri opportuno, la quale cosa non conviene in quella ad olio. Il terzo vantaggio consiste nel

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proprio a metà del Settecento e sulla quale si era creato un acceso dibattito e, in seguito, affronta il tema della pittura ad olio, descritta a metà del Cinquecento dal Vasari e nelle

Vite di Bottari e Della Valle60. Descritta anche negli antichi trattati di Cennini e Teofilo, la questione della pittura ad olio aveva, come il caso della tempera, generato un acceso dibattito a metà Ottocento; la conseguenza era stata la pubblicazione del manuale di Charles Lock Eastlake dal titolo Notizie e pensieri sopra la storia della pittura ad olio edito nel 1849 e di quello di Giovanni Secco Suardo intitolato Sull scoperta ed

introduzione in Italia dell’odierno sistema di dipingere ad olio del 1858. Nella parte

finale dello scritto Morbelli si dedica poi alla trattazione dei materiali veri e propri per pittura descrivendone il loro uso, i vantaggi e gli inconvenienti che i pittori potevano incontrare durante la loro applicazione.

Va puntualizzato che questo manoscritto, rispetto alla Via Crucis del

Divisionismo di cui si parlerà in seguito, ha la caratteristica di esser stato redatto con

appunti e frasi estrapolate dai trattati di pittura che il pittore aveva sotto mano e inserite senza un filo logico all’interno del testo; ma è proprio grazie ai manuali che sono citati e che sappiamo con certezza che il pittore aveva letto che è possibile mettere in discussione la data in cui sembra essere stato scritto. Il manoscritto infatti porta la data del 17 marzo 1914, ma questa è preceduta dalla frase «scritto in chissà quale anno». Ciò che ha portato gli studiosi a retrodatare l’opera è anche il fatto che nel testo mancano riferimenti ai trattati di Gaetano Previati, che già a quella data aveva pubblicato due dei suoi scritti; e mancano anche riferimenti ai testi di Vibert e di Rood che, proprio perché sappiamo aver ricoperto un ruolo di grande importanza per Morbelli, risulta difficile sostenere la tesi secondo cui il pittore abbia scelto di non inserire delle loro citazioni. Questi dati avvalorano l’ipotesi che il testo sia stato scritto dal pittore prima di quella

poter rendere certe parti del quadro opache e diafane a volontà, ciò che è sommamente difficile a olio o affresco. Il quarto di poterla applicare in ogni sorta di casi e di luoghi cosi all’interno che all’esterno, senza tema delle influenze come umido o della siccità- è pure gran vantaggio grande di esso genere di pittura quello di poter operare i ritocchi come e quando si voglia , senza pericolo di veder annerite le parti ritoccate o scemar la loro lucentezza pei prosciugamenti che accadono di quelle a olio, o di farle apparir poco legate alle parti già secche. Qualsiasi ritocco all’encausto si fonde facilmente nella massa a mezzo del caldamino passato leggermente sulla parte ritoccata.». Il Colore dei Divisionisti, tecnica e teoria,

analisi e prospettive di ricerca, cit., pp. 203-204.

60 Il Vasari viene citato nelle Questioni Palpitanti!!! quando il pittore spiega quali erano le

maniere degli antichi di dipingere. Inoltre descrive l’uso delle tempere nei pittori del ‘400: «Tempere degli antichi 400centisti – tuorlo di uova con mele asciutte e secche le tempere bene, la si passava colla spugna o pennello di vernice liquida anzi diafana, probabilmente olio di sandracca o piuttosto come insegna l’Armenini olio d’abete, o meglio dire resina di mastice. Sebbene il Cennini faccia appena menzione della tagliatura di fico mista alle tempere, e indubitabile che i Trecentisti le usavano, e l’Eastlake nel suo egregio libro sulla pittura ad olio, ci dimostra come molti scrittori del medio evo insegnavano il modo di estrarre il latte di fico. […]».Il Colore dei Divisionisti, tecnica e teoria, analisi e

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data. Anche se è difficile collocarne la stesura ad una datazione precisa, Paolo Plebani, in un saggio dedicato proprio al manoscritto, ipotizza che questo non avrebbe potuto essere stato redatto dopo la I Triennale di Brera; Morbelli, se avesse conosciuto i testi sopra citati, non si sarebbe astenuto facilmente dall’inserire delle citazioni all’interno del testo61.

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