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Nel caso della famiglia Torlonia il concetto di “teatralità” sembra essere stata quella qualità fondamentale all’interno delle strategie rappresentative messe a punto tra i secoli XVIII e XX da una delle più potenti famiglie nobiliari romane: l’intenzione di manifestare “teatralmente” la gloria del Principe e dei suoi antenati costituì parte integrante dei piani messi a punto in tempi, modi e contesti diversi da G.T.S. e dai suoi discendenti.

Nel caso di questa famiglia il veloce raggiungimento di un importantissimo status economico e sociale fu opportunamente accompagnato da un’opera di auto-propaganda il cui principale strumento fu rappresentato dalle sontuose feste celebrate nei palazzi e nelle ville di proprietà della famiglia alle quali parteciparono i più importanti esponenti del mondo del tempo: proprio questi eventi, ricordati nelle cronache del tempo e in diverse raffigurazioni grafiche, nonostante la loro natura effimera, in modo inaspettato finirono per diventare un inaspettato elemento di “permanenza” storiografica che contribuisce nell’ambito delle attuali ricerche a delineare in modo efficace il ruolo dei Torlonia all’interno degli eventi storici che si sono svolti tra il XVIII e il XX secolo.

L’architettura (Figg. 1.2.1, 1.2.2), l’arte e la tecnologia (Figg. 1.2.3, 1.2.4) costituirono quei tre elementi che contribuirono alla riuscita di varie teatrali messe in scena, più o meno effimere, ambientate negli scenari di ville e palazzi, urbani ed extra-urbanii, contraddistinti dal “sigillo” dei Torlonia: la sistematica giustapposizione dello stemma dinastico sui beni materiali e produttivi appartenuti a questa famiglia, dalla dimora aulica di città al semplice casale di campagna, induce a parlare di “paesaggi di proprietà” all’interno dei quali l’architettura si pose come fondamentale strumento per la riconoscibilità di questa famiglia. Con G.T. questo atteggiamento diventerà ancora più eclatante dal momento che sarà cura dell’Amministrazione “segnare” sempre in modo opportuno tutti i possedimenti del Principe, dai manufatti più importanti a quelli più modesti. Proprio i contesti di questi “paesaggi di proprietà” rappresentano la chiave per comprendere il

ruolo imprenditoriale avuto da questi esponenti dell’aristocrazia romana nel quadro delle trasformazioni della città di Roma e della sua campagna.

La festa effimera costituiva in generale l’occasione più propizia per convincere le masse della verità di un’apoteosi dinastica che veniva percepita da tutti coloro che visitavano le ville e i palazzi dei Torlonia, scrigni di meraviglie artistiche e architettoniche. Il tema della “teatralità” fu parte integrante di quelle feste, inscenate nei luoghi rappresentativi del palazzo e della villa. Le commissioni prestigiose attuate da A.T. costituirono le tappe di un piano non casuale finalizzato al riconoscimento sociale del proprio ruolo di grande mecenate protettore delle arti; la predisposizione di un codice architettonico aulico, nel quale poteva riconoscersi univocamente l’immagine della famiglia, costituiva lo strumento irrinunciabile di una strategia propagandistica finalizzata a rendere incontestabile la verità ed il peso di un “mito” dinastico, abbinato per volontà della committenza a lontane età del passato.

In questo senso le riprogettazioni del palazzo Cenci Bolognetti a piazza Venezia e della villa Colonna sulla via Nomentana furono impostate avendo come principale finalità la conquista di un consenso: questi due poli, rispettivamente urbano e suburbano, furono pensati per essere i capisaldi ideologici di un unico sistema monumentale di proprietà sparse tra Roma e Ferrara. Il palazzo e la villa per adempiere alla funzione di luoghi della festa furono progettati come veri e propri “teatri”, intesi come spazi deputati alla auto-rappresentazione, atti a convincere un pubblico diversificato di “spettatori”, formato da politici, nobili e borghesi, del primato sociale, culturale ed economico della casata.

L’appropriazione al limite del monopolio da parte dei Torlonia dei più importanti teatri della Capitale deve allora essere vista secondo quest’ottica. Il capostipite G.T.S. in modo precoce aveva intuito le potenzialità economiche e rappresentative connesse agli spettacoli delle feste: non è un caso che egli investì una parte dei suoi capitali proprio nel restauro di numerose strutture teatrali

(Figg. 1.2.5, 1.2.6) le quali, una volta riattivate, risultavano essere non solo estremamente

per il ruolo di mecenate assunto dall’imprenditore. In questa strategia i teatri1 come quello di

Tordinona, in seguito chiamato Apollo (Figg. 1.2.7 - 1.2.13), costituivano degli efficienti spazi polifunzionali “flessibili” nei quali potevano essere allestite opere di musica, danza e serate di gala perfette per gli incontri mondani. L’importanza di questa tipologia architettonica fu ribadita da A.T. intorno al 1840, quando incaricò l’architetto Quintiliano Raimondi (1794-1848) di studiare per la sua villa sulla via Nomentana una inedita soluzione di teatro2 che facesse da eccentrico

contrappunto all’edificio principale del “Casino Nobile”: il manufatto, costruito tra il 1841 ed il 1874, fu un’architettura “ibrida” a metà strada tra la sperimentazione di inediti accostamenti di materiali come il ferro e il vetro e la tradizionale applicazione del linguaggio classico degli ordini. Un vettore di ricerca che potrebbe essere oggetto di ulteriori approfondimenti futuri è rappresentato sicuramente dall’insieme eterogeneo di tecnici (ingegneri, architetti, geometri, agronomi, ecc.) che fecero parte dell’Amministrazione Torlonia tra il XVIII e il XX secolo: in questo caso fu proprio la committenza nobiliare di A.T. a volere strutturare una squadra interdisciplinare di progettisti di propria fiducia ai quali demandare la gestione quotidiana delle questioni edilizie connesse alle varie tenute. Nel quadro di queste vicende l’Amministrazione Torlonia deve quindi essere considerata come quell’entità fondamentale nelle cui fila si susseguirono nel corso dei decenni vari tecnici i quali, nel caso di importanti progetti, collaborarono con importanti figure di architetti e ingegneri scelti appositamente dalla famiglia in base alla loro perizia professionale. In questo caso le architetture auliche dei palazzi e delle ville insieme a quella più funzionale dei casali e delle fabbriche rurali dovrà essere considerata il prodotto dell’interazione riguardante tre fondamentali “attori” rappresentati dalla Committenza,

1 Cfr. A. RAVA, I teatri di Roma, Roma 1953; L. SQUARZINA (a c. di), Il Teatro Argentina e il suo museo,

Roma 1982; F. AGGARBATI – R. COSTACURTA – C. SAGGIORO – M. SENNATO (a c. di),

L’architettura dei teatri di Roma 1513/1981, Roma 1987; S. ROTONDI, Il Teatro Tordinona. Storia, progetti, architettura, Roma 1987.

2 Il Teatro di Villa Torlonia è stato oggetto di un recente accurato restauro che ha riguardato sia le

dall’Amministrazione, costituita da una solida schiera di tecnici che lavorarono molto spesso nell’ombra, e da un insieme di progettisti, molto spesso esterni all’Amministrazione, che furono incaricati di sovraintendere ai lavori più importanti e di prestigio. Tra questi ultimi l’architetto Nicola Carnevali (1811-1885) sicuramente occupò un posto di riguardo, dal momento che egli riuscì a risolvere importanti e variegate commissioni volute da A.T.

Il primo incarico che Carnevali, nato a Roma da Pancrazio e Caterina Gentili, ebbe da A.T. fu il progetto di ricostruzione del vecchio teatro Pallacorda3, poi chiamato Metastasio, opera realizzata

tra il 1839 e il 1840 (l’edificio aprì al pubblico l’anno successivo). Egli viene principalmente ricordato per il progetto di innalzamento degli obelischi nella Villa Torlonia sulla via Nomentana, impresa che gli garantì duratura stima da parte del suo importante committente il quale sull’onda di questo successo continuò ad affidargli importanti incarichi tra i quali il restauro dei suoi teatri romani come l’Argentina, il Pallacorda poi Metastasio, il Tordinona poi Apollo, l’Alibert o Delle Dame.

La svolta quindi per il Carnevali avvenne nel 1842 allorquando il principe A.T. affidò al trentunenne Carnevali il compito di innalzare i due obelischi nella propria villa sulla via Nomentana4: l’operazione ingegneristica per l’erezione del primo obelisco in granito rosa,

proveniente dalla cava di Baveno sul Sempione, dedicato alla memoria di G.T.S., si svolse il 4 giugno, diventando un vero e proprio evento di pubblico festeggiamento tanto che la stessa via Nomentana da porta Pia fino alla chiesa di S. Agnese fu illuminata nella notte da una teoria di

3 E. PISTOLESI, Descrizione di Roma e suoi contorni con nuovo metodo breve e facile, Roma 1844, p. 398.

4 Cfr. Diario di Roma, nn. 46, 50, 1842; F. GASPARONI, Sugli obelischi Torlonia nella Villa Nomentana.

Ragionamento storico-critico di Francesco Gasparoni, Roma 1842; A. LEONINI PIGNOTTI, Gli Obelischi eretti nella villa sulla via Nomentana, dal principe d. Alessandro Torlonia. Sermone di Antonio Leonini Pignotti, Roma 1842;

A. G. BALLIN, Notes sur les Obelisques de Rome particulièrement sur ceux de la Villa Torlonia, sur le Luxor et autres,

luesà l’Académie royale de Rouen, dans sa séance du 12 juillet 1844, Rouen 1844; G. MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastico da S. Pietro fino ai giorni nostri, Vol. C, Venezia 1860, pp. 303-319; P. DELLA

TORRE, Alessandro Cialdi 1807-1882. Cenni bibliografici su un benemerito presidente della Pontificia Accademia dei

fiaccole5. Il 26 luglio fu avviato l’innalzamento del secondo obelisco, questa volta dedicato a

Donna Anna Torlonia, madre del principe A.T.: anche in questo caso l’impresa d’ingegneria diventò un evento pubblico di festa, opportunamente intervallato da rinfreschi, scandito dalla musica di bande musicali e spettacolarizzato da globi aerostatici6. A ricordo di questi festosi

eventi fu predisposta su iniziativa di Carlo Torlonia, fratello di A.T. una medaglia sul cui dritto fu raffigurato il ritratto dell’importante banchiere, mentre sul verso i due obelischi con le rispettive dediche7.

Le competenze del Carnevali riguardarono anche l’organizzazione di apparati provvisori: il 6 ottobre 1845 in occasione della visita di papa Gregorio XVI a Monterotondo l’architetto progettò un allestimento effimero formato da archi di trionfo disposti lungo la strada sulla quale affacciavano i palazzi opportunamente addobbati. Il 17 luglio 1847 egli diresse la macchina pirotecnica davanti al Pincio in occasione della festa organizzata a piazza del Popolo per celebrare l’anniversario dell’Amnistia concessa da papa Pio IX: l’allestimento con la statua del papa fu curato dall’architetto Carlo de Ambrogi su commissione del principe di Piombino Antonio Boncompagni Ludovisi. Il principe A.T. affidò al Carnevali l’organizzazione della festa che fu rallegrata dai fuochi artificiali e da bande musicali: l’architetto dispose ai quattro lati del monumento, creato dal de Ambrogi, quattro candelabri ispirati all’antico che furono accesi nel corso della celebrazione. Secondo la tradizione dell’effimero architettonico Carnevali progettò per l’occasione un tempio dedicato alla Pace, intitolato «Gloria a Pio IX Pace ai Popoli». Sempre in

questa occasione curò inoltre il progetto di illuminazione dei palazzi dei due committenti: il

5 Cfr. Cracas 1842, n. 46, 11 giugno, p. 1; P. MAZIO, Il quattro di giugno, in «L’Album», n. 18, 2 luglio 1842,

pp. 137-142; O. GIGLI, Festa per l’inaugurazione dell’obelisco innalzato alla memoria del padre del principe Alessandro

Torlonia nella sua villa, in «Il Tiberino», n. 14, 14 giugno 1842; M. FAGIOLO (a c. di), Il Settecento e l'Ottocento, Roma 1997, p. 342.

6 Cfr. Cfr. Cracas 1842, n. 60, 30 luglio, pp.1, 2; M. FAGIOLO (a c. di), Il Settecento, cit., p. 343.

7 R. LEONE – F. PIRANI – M. E. TITTONI – S. TOZZI (a cura di), Il Museo di Roma racconta la città,

palazzo Torlonia e il palazzo Boncompagni Ludovisi, il primo illuminato da grandi torce di cera, il secondo da fiaccole e lampade8. Nel 1854 realizzò le chiese di S. Maria del Carmine9 e di San

Giuseppe fuori Porta Portese10; nel 1858 gli fu affidato l’ampliamento della palazzina dell’Aurora

Ludovisi11, situata nella Villa Ludovisi.

Nel 1859 prese nuovo avvio l’ambizioso piano di A.T. per la modernizzazione e la riattivazione di importanti teatri romani: rientrò in tale programma il restauro del Teatro Alibert12 con l’annessa

costruzione lungo la stessa via realizzata l’anno successivo utilizzando i vani di una trattoria13.

Con la trasformazione del teatro Argentina14, attuata tra il 1859 ed il 1861, Carnevali mostrò

particolare perizia nella progettazione di nuovi ambulacri e vestiboli, valorizzati da opere decorative di pregevole fattura come i medaglioni del pittore Francesco Grandi e da un sistema di illuminazione a gas all’avanguardia15. L’anno successivo il principe A.T., proprietario del Teatro

Tordinona o Apollo16, chiese al senatore di Roma, il marchese Antici Mattei, di poter sistemare

l’area adiacente il teatro che era rimasta danneggiata in seguito alle vicende belliche del 1849: in tale occasione egli richiese la disponibilità di un terreno vicino il teatro al fine di realizzare una

8 Cfr. C. MATTHEY, Gran festa notturna che l’alta nobiltà di Roma dà nella piazza del popolo per l’aanniversario

dell’Amnistia descrizione di Carlo Matthey, Roma 1847, p. 25; M. FAGIOLO (a c. di), Il Settecento, cit., p. 364.

9 Vedi: C. CESCHI, Le chiese di Roma dagli inizi del neoclassico al 1961, Bologna 1963, p. 288. 10 Vedi: G. SPAGNESI, Roma: la basilica di San Pietro, il borgo e la città, Milano 2002, p. 175.

11 Cfr. G. MORONI, Dizionario di erudizione, cit., Vol. C, Venezia 1860, p. 240; C. PIETRANGELI, Guide

rionali di Roma, Volume 2, Parte 5; I. BELLI BARSALI, Ville di Roma, Milano 1983, p. 238.

12 Cfr. Del rinnovato teatro Alibert, con architettura del romano cav. Nicola Carnevali, in «Eptacordo», 20 settembre

1859; G. MORONI, Dizionario di erudizione, cit., Vol. XCIX, Venezia 1860, pp. 317-319; A. DE ANGELIS,

Il Teatro Alibert o Delle Dame nel Settecento, Roma 1943.

13 Vedi: G. SPAGNESI, Edilizia romana nella seconda meta del XIX secolo (1848-1905), Roma 1974, p. 167, n.

316.

14 Cfr. G. TIRINCANTI, Il Teatro Argentina, Roma 1971, pp. 66-69, 71, 74, 76, 78; C. PIETRANGELI,

Rione VIII S. Eustachio, in Guide rionali di Roma, Volume 8, Parte I, p. 40.

15 Vedi: A. RAVA, I teatri di Roma, Roma 1953, p. 42.

16 Vedi: R. VANNUCCINI, Lo Spazio scenico: storia dell'arte teatrale attraverso i teatri di Roma e Lazio. Mostra

nuova costruzione che fu affidata a Carnevali il quale provvide anche a sopraelevare il teatro in modo da garantire un armonioso riassetto dello spazio urbano.

A partire dal 1863 a Carnevali fu affidata la direzione dei lavori di scavo nella tenuta Torlonia di Porto, in occasione dei quali ebbe modo di studiare, come riportato dal de Rossi17, il cosidetto

xenodochio. Negli anni seguenti l’architetto fu impegnato in una intensa attività edilizia18 nel corso

della quale ebbe modo di intervenire anche nella trasformazione, risalente al 1872, del rinomato fabbricato «Hotel de Russie»19, appartenente ad A.T., situato in via del Babuino.

Il tema della tecnologia ha rappresentato un importante filo rosso che ha legato tra loro le due generazioni rappresentate da A.T. e da G.T. Una forte omologia unisce tra loro due eventi dal carattere fortemente teatrale, distanti tra loro nel tempo, che si risolsero nella spettacolarizzazione di un’impresa tecnologica: l’innalzamento nel 1842 degli obelischi nella villa sulla via Nomentana

17 G. B. DE ROSSI, I monumenti cristiani di Porto, in «Bullettino di archeologia cristiana del Cav. Giovanni

Battista de Rossi», Anno IV, Maggio e Giugno 1866, N. 3, p. 50.

18 Il Carnevali svolse un’intensa attività edilizia nella città di Roma. Tra il 1863 ed il 1864 Carnevali

progettò due case, una in via Montanara al n. 50 ed un’altra in via della Madonna dei Monti ai nn. 108-109. Nello stesso periodo seguì i lavori nel palazzo camerale in via Ripetta in qualità di assistente. Nel 1870 fece parte della Commissione per l’ampliamento e l’abbellimento della città di Roma. Nel 1871 progettò la sopraelevazione di un edificio in via San Pietro in Vincoli, proprietà dei fratelli Marucchi. Risaliva al 1872 il progetto di sopraelevazione di un edificio in via San Nicola in Carcere al n. 8, manufatto che poi scomparirà a seguito dell’apertura di via del Teatro Marcello.

L’anno successivo pianificò per il principe A.T. l’assetto della proprietà rustica posta fra la porta Salaria e Pinciana e curò la richiesta del Sig. Pietro Pericoli per una licenza di accorpamento di alcuni edifici, siti in Via Giulia 141-143/A18. Nel 1882 progettò per A.T. la ricostruzione di un edificio sito tra via della

Penitenza ai nn. 12-16 e via di Porta San Paolo ed il restauro di un edificio in via dei Riari ai nn. 57-59. Nel 1883 progettò sempre per il banchiere la sopraelevazione di un edificio sito tra Vicolo dei Riari al n. 56 e via della Penitenza e curò il restauro e l’ampliamento dell’edificio sito in Via di Sant’Onofrio ai nn. 62- 66/A.

19 Nel 1872 innalzò di due piani il palazzo di proprietà Torlonia su via del Babuino, progettato da

Giuseppe Valadier negli anni 1816-’18: l’edificio originariamente a due piani fu ampliato e trasformato dal Carnevali nell’«Hotel de Russie»; la zona di sopraelevazione consistette in due piani posti al di sopra del cornicione. Cfr. ASC, Titolo 54. Edilizia e Ornato, prot. 41993/1872; F. LOMBARDI, Roma. Palazzi,

e la visita privata nel 1930 di Benito Mussolini alla tenuta di Porto, divenuta famosa per la riqualificazione idraulica del “Lago” di Traiano, inaugurato nel 1924: a loro volta questi due “spettacoli della tecnica”, secondo l’accezione definita da Marcello Fagiolo, portano necessariamente a confrontare i due artefici, rispettivamente l’architetto Nicola Carnevali e l’ingegnere Venuto Venuti, ai quali andò il merito del felice esito di queste due imprese tecnologiche che si rivelarono anche dei preziosi strumenti di propaganda al servizio dei Principi Torlonia.

In epoca novecentesca in seguito alla demolizione del rappresentativo palazzo Torlonia di piazza Venezia, sacrificato per fare posto al grande monumento a Vittorio Emanuele II, il programma di auto-rappresentazione dinastica, svolto da G.T., abbandonò il tipico aulico scenario del palazzo e della villa per prendere a suo nuovo “fondale” il paesaggio delle numerose tenute rurali avviate verso i nuovi assetti dell’indutria nascente. Proprio le rappresentazioni fotografiche e la nuova tecnica della cinematografica contribuirono a documentare seppur in modo tendenzioso, quasi sempre allineato all’ideologia politica del Fascismo, questo nuovo cambio di indirizzo.

Il principe G.T. il quale appoggiò Benito Mussolini e fu a sua volta da questi favorito, non volle sostituire lo scomparso palazzo di piazza Venezia con una nuova architettura aulica quanto la precedente: oltre alla prestigiosa dimora romana del Palazzo Giraud a piazza Scossacavalli, sede ufficiale dell’Amministrazione, e ad altri palazzi sparsi nella città il nipote di A.T. scelse come come sua nuova dimora rappresentativa la preesistente Villa di Porto, situata proprio al centro di un contesto speciale dell’Agro Romano, interessato da epocali trasformazioni tecnologiche connesse alle bonifiche che sostanzialmente ridefinirono l’immagine novecentesca della tenuta e del paesaggio della villa nobiliare.

Il 25 marzo 1930 Mussolini insieme al principe Torlonia e a un gruppo di personalità, tra cui il Sottosegretario per la Bonifica Arrigo Serpieri20, volle visitare il sito lacustre, da poco riqualificato

grazie all’azione delle macchine idrovore (Figg. 1.2.14, 1.2.15). Come avveniva anche in altre occasioni, fotografie e filmati documentarono la passeggiata di Mussolini: il materiale archivistico dell’Istituto Luce21 costituisce una testimonianza fondamentale di interesse storico. La presenza di

Mussolini, opportunamente registrata in tutte le sue fasi (l’arrivo alla tenuta, l’accoglienza del principe Torlonia nella villa, l’affaccio sul “Lago” di Traiano, la visita alle idrovore, alle unità colturali con i casali e infine la partenza), equivaleva a sancire, da una parte la nuova ascesa politica-imprenditoriale dei Torlonia, dall’altra a inserire idealmente quest’impresa nel più ampio programma del Regime per la valorizzazione del Litorale romano.

Con G.T. i diversi contesti rurali delle tenute, interessate da coordinate opere di trasformazione idraulica, divennero di fatto i nuovi spazi rappresentativi nei quali la famiglia avrebbe riguadagnato quel prestigio che era stato in parte offuscato dalla demolizione dell’avito palazzo a piazza Venezia. La ricostruzione storica delle vicende legate al grande contesto della Campagna Romana ha costituito un’occasione per verificare la complementarietà di due fondamentali insiemi di fonti iconografiche: da una parte i tradizionali documenti grafici costituiti da mappe, cabrei, catasti e vedute pittoriche, dall’altra un insieme di rappresentazioni fotografiche e cinematografiche, prodotte tra il XIX ed il XX secolo da una variegata schiera di artefici, sia professionisti che dilettanti (artisti, archeologi, eruditi, nobili, collezionisti, tecnici, ecc.). L’integrazione tra queste rappresentazioni è risultata indispensabile per documentare in modo esaustivo le trasformazioni agrarie, avvenute nel corso del Novecento, di tutte quelle tenute, in genere nobiliari, situate nell’esteso territorio dell’Agro Romano.

Sicuramente uno delle finalità che si potrebbero prospettare nell’ambito di questi studi sull’Agro Romano novecentesco potrebbe essere quella di ridisegnare la parabola di sviluppo dell’arte cinematografica che si è declinata tipologicamente in diverse forme di rappresentazione (documentari, telegiornali, films, reportages), fruite, grazie alla televisione, da un pubblico sempre più vasto. Una storia della rappresentazione dell’Agro Portuense, inteso come nuovo teatro

tecnologico potrebbe costituire un significativo tassello per integrare quel recente corpus di studi

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