• Non ci sono risultati.

Le proprietà rurali dei Torlonia, documentate nell’archivio di famiglia1, costituirono quei contesti

speciali nei quali la “trasformazione agraria” seguì leggi e dinamiche precise finalizzate alla massima produttività agricola coniugata alla nuova abitabilità colonica. Le numerose tenute della famiglia al tempo di G.T. furono dislocate in diversi punti del territorio di Roma (Roma Vecchia, Caffarella, Appia Antica, Cecchignola, Porto, Fiumicino, S. Severa, ecc.), del Lazio (Ceri, Cerveteri, Palombara Sabina, Velletri, Rieti, Bracciano, ecc.), dell’Abruzzo (Fucino, Ovindoli, Avezzano, ecc.), dell’Umbria (Perugia, Serra Brunamonti), dell’Emilia Romagna (Torre San Mauro di Romagna) e del Bolognese (Castellina): tali proprietà, contraddistinte da presenze architettoniche molto diverse tra loro (palazzi, ville, ruderi archeologici, borghi e castelli medievali), specialmente nel caso del territorio romano, furono dei contesti che furono interessati con il tempo da una serie di vettori di sviluppo, innescati dalla diffusione di nuove reti infrastrutturali viarie e ferroviarie.

L’archivista Angelo Gabrielli, al quale il principe G.T. nel 1915 aveva affidato il difficile compito di riordinare l’archivio di famiglia, andato in parte distrutto a seguito del terremoto di Avezzano, dopo avere predisposto un’ampia documentazione, divisa per capitoli, sulla storia della famiglia, analizzava nel III capitolo, intitolato «Industria Agricola Torlonia» il sistema delle tenute, oggetto delle trasformazioni agrarie novecentesche. Naturalmente il punto di vista dal quale si analizzava lo stato dei progressi delle opere svolte nell’Agro Romano coincideva con un’ideologia di tipo propagandistico completamente schierata dalla parte del proprietario aristocratico al quale si contrapponevano la gestione anarchica contadina ossia «il prepotere delle folle organizzate, preda dei

politicanti»: Gabrielli congiuntamente alla riorganizzazione dell’Archivio familiare, originariamente

posto nel palazzo di Avezzano e poi, a causa del terremoto spostato a Roma nel palazzo Giraud

1 Sulla struttura dell’archivio vedi: A.M. GIRALDI(a c. di), L'archivio dell'amministrazione Torlonia: inventario,

di via della Conciliazione, produsse una storiografia “propagandistica” finalizzata all’esaltazione delle diverse e grandi virtù del Principe e dei suoi progenitori, contrapposta invece al presunto “caos” che i movimenti di autonomia contadina stavano diffondendo in diversi contesti rurali. Una visione fortemente paternalistica in base alla quale si riconosceva nel nobile proprietario terriero il principale artefice della trasformazione agraria delle sue proprietà le quali, poste al riparo dalle “spoliazioni” che il movimento contadino stava attuando in diverse parti dell’Agro Romano, avrebbero contribuito con la riattivazione della loro economia al benessere della collettività colonica ivi insediata. Secondo questa concezione «Il contadino non può essere che il braccio

amoroso e diligente – la mente, la fede, l’iniziativa debbono trovarsi più in alto, in chi, cioè, ha la responsabilità sociale anche nel campo agricolo»2.

Sicuramente le politiche attuate dal Governo nel corso del Novecento contribuirono a creare una vera e propria svolta per la decisiva trasformazione del persistente sistema latifondista e per la sua sostituzione con innovativi tipi di gestione più al passo con i tempi nei quali la proprietà nobiliare avrebbe dovuto abbandonare quella condotta assenteista che l’aveva per lungo tempo contraddistinta in modo da mettere a frutto con la sua diretta partecipazione l’ausilio che lo Stato elargiva sotto forma di mutui agevolati per la bonifica e l’ammodernamento delle proprietà. Attraverso lo studio delle tenute Torlonia è possibile analizzare nel dettaglio i casi più rilevanti di quelle trasformazioni agrarie che stavano interessando diffusamente l’Agro Romano e che avrebbero condotto verso la costruzione di un nuovo sistema idraulico-tecnologico-spaziale da lungo tempo prefigurato dagli economisti del XVIII e XIX secolo nelle loro dissertazioni teoriche. Nel corso della seconda metà del XIX secolo il prosciugamento del lago del Fucino (Fig. 1.6.1) nelle terre abruzzesi e la riqualificazione idraulica del sito Portuense con i suoi stagni dovettero costituire per A.T. i maggiori impegni agrari dai quali sarebbero dipese le economie di due aree lacustri fino a quel momento abitate da ristrette comunità di pescatori: inevitabilmente la difficile

attuazione della bonifica portuense passò in secondo piano rispetto all’impresa marsicana che aveva di fatto finito per assorbire in modo prioritario i capitali della famiglia. Nell’ambito di questo studio assume un’importanza centrale l’impresa, realizzata negli anni tra il 1915 e il 1935, della bonifica del “Lago” di Traiano e della conseguente rimodellazione idro-geomorfologica del territorio di Fiumicino e di Porto. Di fatto ripercorre le fasi delle trasformazioni agrarie delle tenute Torlonia significa seguire più da vicino i progressi che la ricerca scientifica riuscì a ottenere nella lotta alla piaga della malaria: non è un caso che la bonifica del “Lago” di Traiano, principale focolaio di malattia nel territorio dell’Agro Portuense, costituì anche l’occasione per ufficializzare la vittoria della medicina su questo flagello che costituiva il difficile ostacolo per la piena modernizzazione del Litorale romano.

All’interno del quadro ideologico predisposto da Gabrielli nei suoi scritti il fiorente sviluppo dell’agricoltura avrebbe innescato in modo virtuoso un meccanismo di totale “rinascita” di virtù in diversi campi dell’attività umana: «L’agricoltura è parte principale del progresso e della civiltà, e la sua

decadenza nel passato fu causa di depressione del viver civile: - il suo rigoglio… determina il rifiorire delle manifestazioni del pensiero, della scienza e dell’arte, mezzo potente del miglioramento delle condizioni sociali»3.

Questo programma di impronta positivista che caratterizzò diffusamente numerose imprese agrarie nel corso del Novecento era stato in realtà prefigurato dalle “anticonformiste” gestioni agrarie di Marcantonio Borghese e di A.T.; proprio a quest’ultimo però spettava il primato di avere investito cospicue quantità di denaro per il miglioramento idraulico delle sue proprietà non solo nel Suburbio e nell’Agro Romano ma anche al di fuori di esso. Egli aveva capito in modo lungimirante che la chiave per garantire la floridezza e la stabilità di un sistema economico esteso come quello delle sue tenute consisteva nell’applicazione rigorosa di un programma contraddistinto dall’instaurazione di un nuovo “ordine” agrario: nel primo caso finalmente attuabile grazie alla costruzione di innovative macchine idrovore, canalizzazioni, arginature; nel

3 A. GABRIELLI (a c. di), Capitolo III: Industria Agricola Torlonia, p. 3, in ACS: Fondo Torlonia, b. 197, fasc.

secondo caso fondato sul concetto di una diversificazione produttiva impostata in modo aggiornato sulle richieste del mercato e dei consumi; da qui la scelta di incrementare l’allevamento dei bovini per la carne ed il latte, la coltivazione della canapa, dei gelsi e nel caso delle proprietà bolognesi il sistema delle risaie4.

Il caso del prosciugamento del lago del Fucino sicuramente costituì il progetto più ambizioso portato a compimento dai Torlonia (Figg. 1.6.2 – 1.6.4) e nel contempo il massimo livello tecnologico che poteva essere raggiunto per quei tempi da un’opera di tipo idraulico grazie al decisivo contributo di prestigiosi ingegneri italiani e stranieri. Le vaste proprietà della famiglia al tempo di G.T. furono il risultato del ragionato accumulo nel tempo di innumerevoli fondi dal valore più o meno strategico (Fig. 1.6.5). Anche la bonifica e la trasformazione del “Lago” di Traiano presso la tenuta di Porto (Fig. 1.6.6) doveva essere portata a compimento secondo un’azione fortemente “aggressiva” nei confronti dell’ambiente originario: sull’esempio di alcune esperienze bretoni A.T. aveva previsto di organizzare la nuova economia lacustre di Porto secondo un discutibile ma lucroso vivaio di ostriche, organizzato secondo un sistema di canali e vasche d’acqua5. Anche se questo progetto di trasformazione alla fine non fu portato a termine,

A.T. approntò comunque quella che fu la prima fase di sviluppo dell’area, basata sulla costruzione di un sistema di fossi, canali e argini, realizzati da un primo gruppo di operai per i quali furono costruite delle abitazioni. Un secondo gruppo di opere idrauliche, risalenti al 1878 e realizzate in collaborazione con il Corpo Reale del Genio Civile, consistette in una bonifica parziale di quelle zone della tenuta che risultavano essere più adatte alla coltivazione. A.T. fece costruire dei ponticelli in muratura che agevolassero il passaggio sopra i canali e migliorassero così la percorribilità all’interno della proprietà; negli anni successivi affidò all’ingegnere agronomo Eugenio Altieri l’incarico di estendere le opere di bonifica anche ad altre aree limitrofe. Attraverso questi primi interventi secondo la ricostruzione di Gabrielli si riuscì a raggiungere un

4 L. ZERBINI, Illustrazione delle principali aziende agrarie del bolognese, Bologna 1913; FELISINI, cit, p. 199. 5 La Rivista repubblicana di politica, filosofia, scienze, lettere ed arti, Vol. 2, p. 19.

primo, anche se instabile, equilibrio produttivo della tenuta. Dal momento però che il “nodo” irrisolto continuava ad essere il “Lago” di Traiano, i risultati positivi ma parziali ottenuti fino a quel momento non dovettero soddisfare molto il Governo che incaricò il Genio Civile di un’ulteriore lavori di bonifica che di fatto si riveleranno non solo inefficaci ma anzi contribuiranno a rovinare lo stato agricolo della tenuta predisposto da Altieri, tanto che lo Stato dovette risarcire i Torlonia tra il 1886 ed il 1900. Si dovranno aspettare le opere programmate dal principe G.T. perché una bonifica efficace potesse essere attuata in modo completo e duraturo. Altra proprietà dal valore fondamentale nell’ambito delle strategie idrauliche predisposte da A.T. nell’Agro Romano fu la tenuta della Muratella lungo la via Portuense: l’area, acquisita dalla principessa Anna Maria Barberini, costituiva uno snodo importante a causa della presenza di acqua potabile che era convogliata naturalmente nel fosso denominato “Tagliente”.

L’ingegno di A.T. e dei suoi tecnici fu quello di predisporre un progetto preliminare di canalizzazione sotterranea per alimentare le tenute circostanti, piano che fu perfezionato dall’industriale belga Cassian Bon il quale si impegnò nell’esecuzione di tubi sotterranei che distribuivano l’acqua del fosso “Tagliente” alle altre tenute denominate Chiavichetta, Quarto di Ponte Galera, Pedica di Tor Carbone, Vignole, Campo Salino, Porto e Fiumicino6, le quali tutte

insieme in seguito alla “rimodellazione” e alla definitiva bonifica del “Lago” di Traiano, che sarà attuata da G.T. nel corso del Ventennio fascista, formeranno quell’importante settore strategico dell’Agro Portuense, posto tra Roma ed il suo mare. La bonifica delle tenute di Porto e di Campo Salino costituirono grazie al principe G.T. il coronamento di quel grande piano per il Litorale romano che era stato intuito e approntato con estrema cura da A.T. nelle sue fasi iniziali.

A.T. ebbe quindi il merito di predisporre un metodo di gestione che funzionò da modello per i decenni che seguirono alla sua morte. Diretti furono gli interventi sulla vegetazione boschiva delle

6 A.T. concesse al Capo della stazione di Fiumicino di potere usufruire dell’acqua del fosso Tagliente

attraverso un’apposita fontanella fatta costruire in quel luogo come atto di riconoscenza per le agevolazioni concesse al Cassian Bon da parte degli uffici della ferrovia.

sue tenute, impostati sul doppio registro del disboscamento, attuato nelle tenute di Ceri, Monte Falco, Monte Gennaro, Palombara Sabina e del rimboschimento per mezzo di castagneti, sperimentato nella proprietà della Faiola7 (Fig. 1.6.7). L’attività di produzione lignea che si

abbinava parallelamente allo sfruttamento delle cave di pozzolana nelle tenute di Ceri e della Faiola (Fig. 1.6.8), di breccia alla Muratella, di ghiaia ai Prati fiscali, costituiva un’importante fonte per la produzione di materiali costruttivi che nei primi anni di Roma Capitale risultavano essere molto richiesti dalle numerose imprese impegnate nei cantieri edili inaugurati per la costruzione delle ferrovie e dei nuovi quartieri abitativi8.

L’esempio della tenuta di Ceri illustrava quindi molto bene la funzione che aveva una proprietà nell’ambito dell’economia predisposta da Casa Torlonia: da una parte lo sfruttamento delle risorse agricole e naturali, dall’altro quello delle opere scultoree antiche, ritrovate in occasione degli scavi predisposti dai Torlonia, che alimentavano il mercato dell’arte e soprattutto la collezione di famiglia a Porta Settimiana.

Se a G.T.S. spettò il principale merito di avere legato l’attività del Banco agli investimenti nell’acquisto di quadri e di sculture antiche che andarono a formare il Museo Torlonia di Porta Settimiana, ad A.T. deve essere riconosciuto il fondamentale impegno nella gestione delle numerosissime tenute agricole, conduzione che fu organizzata secondo una struttura piramidale la cui base era costituita dai tecnici dell’Amministrazione ai quali, a seconda delle diverse competenze, erano demandati specifici compiti. Ad A.T. quindi deve essere riconosciuto il merito di avere coordinato un gruppo di lavoro multidisciplinare formato da diverse figure professionali come architetti, ingegneri, agronomi, periti e geometri ai quali furono affidati diversi compiti pratici quali studi, perizie, rilievi, direzioni di cantieri finalizzati agli opportuni miglioramenti da apportare alle proprietà. Tra i professionisti coinvolti nella trasformazione agraria delle sue tenute

7 D. FELISINI, cit., p. 199. 8 Ivi, p. 200.

spicca il nome delll’ingegnere Leopoldo Tosi (1847–1917) impegnato nella gestione della tenuta di Torre San Mauro in Emilia Romagna.

Nel fascicolo dedicato alle opere dell’Industria Agricola Torlonia Gabrielli avviò una sintetica disamina delle opere attuate da A.T. nelle tenute più importanti comprese tra Roma e la zona del Bolognese quasi come una sorta di introduzione ad una trattazione che egli avrebbe voluto incentrare sulla nuova fase gestionale rappresentata da G.T., ricostruzione storica che però il Principe affiderà a Giuseppe Lugli e a Goffredo Filibeck.

Lo scritto di Gabrielli è importante, nonostante la sua sintesi, perché in esso furono poste in evidenza le problematiche di tipo idraulico che A.T. riuscì a risolvere grazie alla consulenza di alcune figure di tecnici. Egli dedicò la parte finale del suo resoconto ad una disamina delle esperienze attutate fuori dall’Agro Romano nelle tenute di San Mauro di Romagna, della Castellina nel Bolognese e del Fucino in Abruzzo: le gestioni agricole condotte in questi tre contesti rappresenteranno delle esperienze fondamentali che influenzeranno le trasformazioni che riguarderanno altri luoghi dell’Agro Romano.

La conduzione della tenuta Torre S. Mauro di Romagna, acquisita dalla famiglia Braschi nel 1828, costituì forse l’esempio più brillante di azienda agricola, vero e proprio “capolavoro” imprenditoriale ottenuto dalle gestioni perseveranti di G.T.S. e di A.T. Accumulo di proprietà, rimodellamento dei confini, nuova fondazione di comunità coloniche, ammodernamento nella coltivazione e nell’allevamento bovino costituirono i punti programmatici più importanti che posero l’esperienza emiliana al di sopra di altri esempi coevi9.

Lo studio più significativo su questa tenuta, risalente al 1891, fu svolto proprio dall’ingegnere Leopoldo Tosi10 colui che nel suo ruolo ventennale di direttore dell’azienda, facendo le veci della

9 Un altro interessante contesto posto fuori del lazio fu rappresentato dalle tenute della Castellina, Palata e

Guisa, situate nella Provincia di Bologna, un tempo del Marchese Pepoli, le quali divennero proprietà di A.T. nel 1854, due anni prima dell’acquisto dei possedimenti di Porto e di Campo Salino.

famiglia Torlonia, sostanzialmente contribuì alla fortuna di questa estesa proprietà pari circa a 20 chilometri quadrati, compresa tra i Comuni di S. Mauro, Savignano e Rimini. Un’ordinata disposizione di filari arborei (gelsi, olmi o pioppi) posti in parallelo, distanti tra loro 30 metri secondo la direzione nord-sud, ripartivano quasi completamente la proprietà ad eccezione della parte adiacente il Litorale, caratterizzata da praterie naturali; oltre alla coltura più diffusa dell’uva organizzata secondo il doppio tipo delle viti posti a filari e dei vigneti specializzati, fu portata avanti anche la coltivazione degli alberi da frutta (ciliegi, mandorli, peschi, meli, peri, noci e fichi). Il successo della “fattoria” di Torre San Mauro fu dovuto ad una organizzata struttura sociale e produttiva di tipo gerarchico11, il cui centro era rappresentato dalla zona dirigenziale, denominata

“Torre”, identificata nel palazzo padronale12 affiancato dai diversi fabbricati di servizio (scuderie,

magazzini, laboratori, cantine, ecc.), a partire dalla quale si sviluppava un sistema di conduzione basato sulla «mezzadria perfetta, cioè la più corretta applicazione del principio di associazione del capitale al

lavoro. Il proprietario conferisce il capitale terra e il capitale bestiame; la famiglia colonica gli attrezzi e la manodopera per le colture: le spese e i prodotti senza eccezione sono divisi a perfetta metà»13. Un tessuto

produttivo che si basava sul sistema dell’avvicendamento agrario e su di una ricca diversificazione delle coltivazioni (frumento, granturco, leguminose, cocomerai, patate, lino, gelsi, ecc.).

Nella sua trattazione Tosi dedicò alla descrizione dei fabbricati rustici inoltre un apposito paragrafo nel quale, nonostante l’assenza di disegni di progetto, l’autore diede una minuziosa descrizione delle case coloniche Torlonia, analizzate nella disposizione planimetrica, nell’orientamento e nelle tecniche costruttive14. Un altro settore dell’azienda particolarmente

10 Vedi: L. TOSI, L'azienda Torre S. Mauro della eccellentissima casa Torlonia (Esposizione di Palermo, anno 1891),

Città di Castello 1891.

11 L. TOSI, L'azienda Torre S. Mauro, cit., pp. 17, 18.

12 Rilievo del palazzo Torlonia consistente nelle piante del piano terreno, del piano ammezzato, del primo,

secondo e del terzo (belvedere) in ACS: Fondo Torlonia, b.76, b.45.

13 L. TOSI, L’azienda Torre S. Mauro, cit., p. 17. 14 Ivi, pp. 41-52.

avanzato fu quello dell’allevamento bovino, per il quale fu predisposto dal Tosi un accurato lavoro di selezione e di miglioramento della razza romagnola che fu esportata non solo nelle altre tenute della famiglia ma anche in paesi stranieri come la Russia meridionale. Il modello avanzato di Torre San Mauro costituì quindi un sicuro riferimento per G.T. il quale nel 1908 incaricò lo stesso Tosi di predisporre una aggiornata planimetria della tenuta15 che servì da fondamentale

modello per i piani che il nipote di A.T. stava incominciando a studiare per la proprietà di Porto prima ancora che la bonifica del “Lago” di Traiano avesse avuto luogo. Per capire pienamente le permanenze e le trasformazioni che hanno contraddistinto i paesaggi delle tenute Torlonia nelle tre fasi corrispondenti alle gestioni di G.T.S., A.T. e G.T. è stato utile consultare la documentazione del periodo post unitario, conservata presso l’ACS, consistente in numerose perizie predisposte dagli ispettori del Ministero di Agricoltura Industria e Commercio che, prendendo a riferimento la legge del 1883 sul bonificamento dell’Agro Romano, avevano avuto per oggetto le proprietà della famiglia che ricadevano all’interno di quel settore da bonificarsi16.

Tra le proprietà poste nel più diretto Suburbio Romano, le tenute di Roma Vecchia, Appia Antica, Acquataccio, Caffarella e Cecchignola costituivano tutte insieme un estesissimo settore di interesse archeologico, prediletto per il suo carattere pittoresco da numerosi pittori e fotografi. In questo brano di territorio spiccava la proprietà di Roma Vecchia17, che fu ceduta a G.T.S nel 1797

15 Lettera di G.T. datata 6 novembre 1908 all’ing. Leopoldo Tosi con la richiesta di fare eseguire una

pianta aggiornata della tenuta di Torre S. Mauro; lettera di risposta dell’Ing. Leopoldo Tosi datata 1 dicembre 1908 al principe G.T. che accompagnava la grande pianta della tenuta di Torre S. Mauro;

«Planimetria della tenuta Torre S. Mauro di Proprietà di S.E. Torlonia Principe Giovanni» in ACS: Fondo Torlonia,

b .76, b. 45.

16 Elenco dei fondi compresi nella zona soggetta al bonificamento agrario, in virtù della legge 8 luglio 1883 n. 1489, in

ACS: MAIC, V versamento, b. 429; Commissione Agraria, Perizie sui fondi compresi nella zona soggetta al

bonificamento agrario, in virtù della legge 8 luglio 1883 n. 1489, in ACS: MAIC, V versamento, b. 430;

MINISTERO DI AGRICOLTURA INDUSTRIA E COMMERCIO. DIREZIONE GENERALE DELL’AGRICOLTURA, BONIFICAMENTO DELL’AGRO ROMANO, Rapporto della Commissione

Agraria sulle Proprietà del Signor Principe D. Alessandro Torlonia fu Giovanni, 1883, in ACS: MAIC, V

dall’Arciconfraternita del Sancta Sanctorum: tale acquisizione era stata suggellata da papa Pio VI attraverso il conferimento a G.T.S. del Marchesato di Roma Vecchia, trasmissibile alla sua discendenza come riconoscimento dei servigi prestati alla Santa Sede. Si trattava di una estesa tenuta di 578 rubbia, estremamente ricca di testimonianze archeologiche, comprendente le località di Arco di Travertino, Statuario, Torre Spaccata, Sette Bassi, Roma Vecchia, Quadraro (via Latina). La valorizzazione agraria fu ottenuta prima di tutto attraverso la ristrutturazione idraulica della proprietà, iniziata nel 1822 e poi implementata da A.T. attraverso un progetto predisposto dall’agronomo Giaquinto relativo ad una diffusione dell’Acqua Felice per mezzo di sistemi d’irrigazione e di fontanili; la fase successiva consistette nel dotare la tenuta, contraddistinta dal grande Casale di Roma Vecchia18 (Fig. 1.6.9), di strade poderali e di abitazioni

coloniche in modo da trasformare la proprietà in una ricca masseria per l’industria e la produzione casearia.

Documenti correlati