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I vitia poetici dal Materia alla Lectura Horatii

Come mostra il prospetto, l’influenza del Materia è ravvisabile nell’intento di ricondurre ogni verso della Poetria a una norma (che è poetica nel Communiter e retorica nel Materia e parzialmente anche nella Lectura); tuttavia, è evidente che Buti predilige il modello italiano in quanto ne riutilizza il sistema classificatorio binario e, con alterazioni ininfluenti sul piano interpretativo, la terminologia. Il primo aspetto sul quale riflettere – quello che maggiormente porta il segno del mutato contesto culturale in cui il Communiter è stato prodotto – è appunto l’elaborazione di una griglia bipartita che,

266 La fortuna delle tragedie Seneca nel ‘300 è legata essenzialmente all’attività del circolo padovano facente

capo a Lovato Lovati e alla diffusione dei commenti di Nicola Trevet, prodotti tra il 1307 e il 1317 (la datazione viene fissata da Ciccone al 1307, ma uno dei primi manoscritti acquisiti dalla biblioteca pontificia di Avignone – il Vat. Lat. 1650 – è datato 1317: cfr. P. BUSONERO, Un classico e il suo commento: Seneca tragico nel Basso Medioevo, in Le

commentaire entre tradition et innovation. Actes du colloque international de l’Institut des traditions textuelles, Paris et

Villejuif, 22-25 septembre 1999, a c. di M.O. Goulet-Cazè, Vrin, Paris 2000, pp. 127-135; in particolare pp. 127-128); cfr. anche REYNOLDS –WILSON, Copisti e filologi, cit. pp. 109ss e BLACK, Humanism and education, cit., pp. 213-214. Pur notando questa “lacuna” del commento, Ciccone sembra non tenerne conto per la datazione.

credo, è il risultato dell’assimilazione del pensiero aristotelico espresso non nella Poetica, bensì nell’Ethica.

Innanzitutto, tutti i vitia appartenenti alla seconda tipologia (e che per il Buti sono esplicitamente

contra elocutionem) dipendono dall’incapacità di conseguire la mediocritas267.

Che qui si tratti esattamente del concetto aristotelico di mesotes lo dimostrano alcuni precedenti tentativi esegetici e in particolare gli Scholia Vindobonensia, il cui anonimo autore riconduce esplicitamente il medium virtuoso al corrispondente concetto elaborato a philosophis (Sch. Vindob.,

ad v. 369, p. 44).

Un impulso decisivo a questa intuizione, però, non può che attribuirsi alla piena affermazione della “cultura aristotelica”: nella Nichomachea viene infatti esplicitata la natura al contempo etica ed estetica del concetto di mesotes:

E ogni artefice nella sua arte si sforça di tenere lo meçço e lasciare li stremi, e la vertù morale sì è in quelle operationi nelle quali il troppo e ‘l poco è da vituperare, e ‘l mezzo è da lodare. (TADDEO ALDEROTTI, Etica volgarizzata, II 6, 5)

In secondo luogo, la particolare divisione della pars destruens in due segmenti268 può essere imputabile allo stesso Orazio e in particolare alla constatazione che «scribimus indocti doctique poemata passim» (epist. 2, 1, 117), ma l’impiego sinonimico degli attributi ‘dotto’ e ‘indotto’ con ‘buono’ e ‘cattivo’ mi pare autorizzata da quell’equazione indotto (manovale) = cattivo (citarista) e dotto (architetto) = buono (citarista) che si produce in seno alla tradizione aristotelica a corredo delle figure di artefices della Metafisica e della Nicomachea (supra, cap. 1.4).

Tale ipotesi è supportata dall’attribuzione di quella maggior sapienza e nobiltà proprie dell’architetto aristotelico al solo poeta dotto, che appunto può esser considerato optimo e iudex; al contrario, quello indotto neanche merita il titolo di poeta:

IN SCENAM: Hic ostendit auctor quod observantia et lex carminis satirici et cuiuscumque sit ita difficilis, ut a solo iudice, idest optimo poeta et non a quovis alio, discernantur eius vitia que, procedunt aut ex artis poetice ignorantia aut ex nimia celeritate vel negligentia quo ad scientes […] LUDERE QUI NESCIT Dicit primo quod soli boni poete finem debitum consequuntur. Mali autem, qui potius poete dicendi non sunt, id assequi numquam valent. (Communiter, ad v. 260, p. 245 e ad v. 379, p. 253).

Il Communiter, insomma, rappresenta il punto di arrivo di più rami della tradizione esegetica della

Poetria: quello che ne esalta il valore retorico-normativo, il cui più autorevole rappresentante è il Materia, e quello, pur minoritario, che già tra XI e XII sec. ne percepiva la (pur parziale e secondaria)

pertinenza al campo dell’etica in virtù, credo, dei “precetti” de moribus di ars 302ss.

Il terreno ideale per la maturazione di quest’intuizione è appunto il tardo Duecento italiano, in cui è ormai pienamente accessibile la cultura aristotelica e i lirici riflettono appunto sulle prerogative intellettuali dei (bravi) poeti.

267Lo esplicita il testimone V: «IN VICIUM DUCIT CULPE FUGA, manifeste declarans quod hec quinque vitia fallunt

non bene circumspectos poetas qui, dum student aliquod fugere vitium, non caute scientes observare medium».

268 «Dividitur autem liber hic principaliter in partes duas in quarum prima notat vitia que maxime vitanda sunt

in poemate, in secunda tradit precepta que servanda ibi: SUMITE MATERIAM. Prima dividitur in duas, quia primo describit quinque vitia in quibus falluntur maxime indocti poete, in secunda explicat sex vitia in quibus non solum poete mali, sed etiam boni et docti falluntur, ibi: MAXIMA PARS VATUM.» (Communiter, ad vv. 1-38, p. 219).

1.6.2. La modernizzazione delle dottrine relative all’evoluzione della lingua

Un altro evidente caso di modernizzazione dell’interpretazione vulgata della Poetria riguarda la maggiore sensibilità verso il problema dell’innovazione linguistica269.

Ai vv. 58-72 dell’Ars, Orazio polemizza contro i sostenitori dell’arcaismo del teatro romano rivendicando il diritto dei poeti a rinnovare il linguaggio della poesia: la lingua, che è sottoposta allo scorrere del tempo proprio come ogni essere vivente, va incontro alla morte ed è necessario che le parole cadute in disuso vengano sostituite da neologismi, più adatti agli usi del presente. L’arte, quindi, non deve ignorare i cambiamenti sociali e linguistici dell’epoca. Se l’autore stesso ritiene che tale licenza debba essere esercitata con moderazione (attraverso formule quali «Si forte necesse est», «pudenter» e la teorizzazione della callida iunctura, vv. 47-48), i magistri attivi tra il XII e il XIII secolo tendono a vincolare ulteriormente la libertà dei novatori, fino a oscurare completamente la metafora delle parole-foglie. Riporto alcuni esempi:

In uerbis etiam tenuis cautusque serendis dixeris egregie, notum si callida uerbum reddiderit iunctura nouum. Si forte necesse est

indiciis monstrare recentibus abdita rerum, et fingere cinctutis non exaudita Cethegis continget dabiturque licentia sumpta pudenter, et noua fictaque nuper habebunt uerba fidem, si

Graeco fonte cadent parce detorta. […]

Licuit semperque licebit

signatum praesente nota producere nomen. Ut silvae foliis pronos mutantur in annos, prima cadunt, ita verborum vetus interit aetas,

et iuvenum ritu florent modo nata vigentque. […]

Multa renascentur quae iam cecidere, cadentque quae nunc sunt in honore vocabula, si volet usus, quem penes arbitrium est et ius et norma loquendi.

(ars 58-72)

De arte inveniendi verba. In verbis inveniendis debemus esse cauti, quia raro licet nova verba invenire, quod tamen licet per Aristotelem dicentem: “Oportet assignare convenienter ad id quod dicitur; et si forte nomen sit positum, facilis erit assignatio; si non positum sit, necessario est nomen fingere”. Hoc dicit Horatius in Poetria:

In verbis esto tenuis cautusque serendis dixeris egregie si notum callida verbum reddiderit iunctura novum. [= ars 46-48] Excogitanda est igitur dictio nota in veteri significatione, ut hec dictio “hymnum”, quod est “laus dei in cantico”; inde fingitur “Hymnizo, - nizas”, quod est “cantare” (GIOVANNI DI GARLANDIA, Paris. Poet. I, 476-483).

Meno restrittivo sembra Goffredo di Vinsauf, sia nella Poetria nova (1208-1213), in cui scrive che «si vetus est verbum, sis physicus et veteranum» (v. 757) sia nel Documentum de modo et arte

dictandi et versificandi (1213-1220). Qui, l’autore afferma che:

a. è consentito svecchiare il significato di parole note attraverso le figure retoriche, in particolare nominatio, pronominatio e translatio, ovvero onomatopea, antonomasia e metafora;

b. «licet invenire nova vocabula» (Documentum II 3, 141);

c. è possibile «invenire nova vocabula transferendo de una lingua in aliam, de graeca in latinam» (Documentum II 3, 142; opzione di cui nulla si diceva nella Poetria Nova). Quest’ultima opzione, tuttavia, dev’essere praticata con moderazione; inoltre, nel

269 Lo rileva Villa a proposito della liceità di introdurre neologismi (C. VILLA, Introduzione. Protostoria e storia

delle Arti poetiche, in Le poetriae del medioevo latino. Modelli, fortuna, commenti, a c. di G.C. Alessio e D. Losappio,

tradurre, è necessario osservare le variazioni ortografiche tra le lingue, come rileva Prisciano.

e si appella all’auctoritas della Poetria vetus: Ecce versus Horatii testes eorum quae proposui:

Fingere cincutis non exaurita Cethegis contiget dabiturque licentia sumpta pudenter et nova fictaque nuper habebunt verba fidem, si

graeco fonte cadant, pare detorte… Licuit semper licebit

signatum praesente nota producere nomen. [= ars 50-58] (GOFFREDO DI VINSAUF, Documentum II 3, 144)

Anche in questo caso, tuttavia, il cuore del “precetto” oraziano – la metafora naturalistica che riprenderà Dante stesso in Conv. II XIII 10 e Par. XXVI, 137-138 – è espunta.

Se si guarda quindi all’esegesi, si osserva un cambiamento ideologico importante: quella che nel

Materia è una concessione («licet invenire»), nel Communiter diventa una necessità («oportet mutari

et renovari») disciplinata dal placet dei parlanti:

UT SILVAE MUTANTUR per folia IN PRONOS ANNOS, id est volubiles; quod dicit volubiles, non vacat, quia mutatio temporis facit mutationem in rebus. et quo modo folia mutantur, subdit: PRIMA CADUNT; quae enim prima surgunt, PRIMA CADUNT. ita verba a primis inventa pereunt. […] dixi verba perire, et iterum MULTA RENASCENTUR et cetera. ARBITRIUM, id est iudicium; iudicat enim de vocibus et IUS, id est potestas iudicandi, et NORMA LOQUENDI, id est regula secundum casus, coniugationes, modos,tempora. (An. Tur., ad vv. 60 e 69, pp. 251-252)

UT SILUE. Huc usque ostendit quod liceat inuenire. Modo subiungit quare: quia uetera intereunt, sicut in siluis folia uetera cadunt et noua succedunt. Et hoc est: UT SILUE MUTANTUR FOLIIS, id est per folia, IN ANNOS PRONOS, id est uolubiles. Uel aliter: PRONOS, id est uersus finem anni. Et quomodo per folia mutentur ostendit, quia PRIMA CADUNT, id est uerborum prima inuenta pereunt. ET IUUENUM. Sicut, inquit, iuuenes sunt gratiores uetulis, ita nouiter inuenta. […] MULTA RENASCENTUR. Dixi uerba perire. Et iterum MULTA RENASCENTUR, id est reinuenientur, QUE IAM priora CECIDERE. Uel RENASCENTUR, id est resurgent ad usum, QUE IAM CECIDERE ab usu. ARBITRIUM, id est iudicium: secundum usum enim de uocibus iudicatur.

ET IUS, id est potestas iudicii ipsius, ET NORMA, id est regula, LOQUENDI. (Materia, ad vv. 60 e 69, pp. 346- 347)

UT SILVE, et est ratio sua talis: omnia intereunt et successione mutantur et nichil in hiis temporalibus est durabile. Ergo multo minus ipsa verba durabunt, sed oportet illa mutari et renovari sicut ipsis utentibus placet. Qualiter autem cuncta mutentur ostendit primo per opera que sunt a natura: UT SILVE FOLIIS, secundo id ostendit per nos ipsos homines et per ea que sunt a nobis ibi: DEBEMUR MORTI […] MULTA RENASCENTUR: hic aptat similitudinem et rationes superpositas ostendens quod simili modo renovantur verba, usu prevalente, PENES QUEM USUM consistit ARBITRIUM idest discretio vel iudicium, ET IUS, idest potestas vel autoritas, et NORMA LOQUENDI, hoc est regula sive modus.

L’attenzione per il rapporto tra la lingua e i suoi “utenti” dimostrata dall’anonimo trecentesco mi pare un tratto comune al Dante del De vulgari eloquentia e del Convivio, come si vedrà nel cap. 2.2.1.

1.6.3. L’italianizzazione del Materia: i nuovi vitia

Accanto alla nuova classificazione dei vitia riscontrata nel Communiter e nella lectura butiana, è possibile individuare nei due commenti delle innovazioni (almeno apparentemente solo) terminologiche, talora comuni ad altri accessus e chiose tràditi da manoscritti italiani e trecenteschi.

Tali deviazioni rispetto al Materia riflettono una lettura nel complesso più attenta e fedele all’originale oraziano, che – imperniato sul concetto di medium – censura gli eccessi in senso sia quantitativo (oscurità, prolissità delle descrizioni, delle digressioni, ecc.) sia qualitativo (ampollosità/volgarità dello stile, improprietà di linguaggio, disorganicità della materia ecc.).

L’esegeta del Communiter e poi da Francesco da Buti denunciano quindi dei nuovi vitia (qui segnalati in grassetto), o ridiscutono quelli vulgati dal Materia (sottolineati):

Communiter Materia Lectura Horatii

2 categorie Unica categoria 2 categorie

I) 5 errori dei cattivi poeti (contra unitatem aut simplicitatem

poematis) = ars 1-23: a. Multitudo sive pluralitas (vv. 1-

13);

b. contrarietas (vv. 14-15); c. diversitas (vv. 16-18);

d. ampliatio (vv. 19-20); e. restrictio (vv. 21-22).

II) 6 errori comuni anche tra i bravi poeti (assenza di mediocritas) = ars

24-32:

f. obscura brevitas (vv. 25-26); g. vaga et dissoluta prolixitas (v.

26); h. inflata sublimitas (v. 27); i. exanguis humilitas (v. 28); l. monstruosa variatio (v. 29); m. imperfecta conclusio (v. 32). PARTIUM INCONGRUA POSITIO INCONGRUA DIGRESSIO OBSCURA BREVITAS INCONGRUA STILI VARIATIO INCONGRUA MATERIE VARIATIO INCONGRUA OPERIS IMPERFECTIO

I) 6 errori dei cattivi poeti (contra simplicitatem materie aut contra

unitatem forme) = Ars 1-23: a. Multiplicitas (vv. 1-5); b. Multiformitas (vv. 6-9); c. contrarietas (vv. 10-13); d. diversitas (vv. 14-19); e. ampliatio (vv. 19-20); f. restrictio (vv. 21-22).

II) 6 errori comuni anche tra i bravi poeti (assenza di mediocritas) = Ars 24-

32:

f. obscura brevitas (vv. 25-26); g. levis et dissoluta prolixitas (v. 26);

h. inflata turgiditas (v. 27); i. exanguis humilitas (v. 28);

l. prodigiosa variatio (v. 29);

m. imperfecta operis conclusio (v. 32).

Ulteriori suddivisioni All’interno di I: a = contra unitatem; b; c; d; e = contra simplicitatem. All’interno di II: Nessuna All’interno di I: a; c; d = contra inventionem; b; e; f = contra dispositionem. All’interno di II:

f; g = circa materiam; h; i = circa stilum; l = circa ordinem; m = circa operis finem.

Nessuna, tutto circa elocutionem.

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