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Lectura Horatii di Francesco da Buti

Compilatore: Francesco da Buti

Epoca: Pubblicato nel 1395

Edizioni moderne: Il testo è consultabile alle pp. 101-247 dell’inedita tesi di dottorato C. NARDELLO, Il commento di Francesco da Buti all’Ars poetica di Orazio. Dottorato di ricerca in Scienze linguistiche, filologiche e letterarie, indirizzo: italianistica, Ciclo XX, Università degli studi di Padova, 2008 (http://paduaresearch.cab.unipd.it/343/)

Struttura e contenuti: Accessus con biografia e opere di Orazio + commento a testo continuo all’Ars.

Fonti: Materia; Communiter.

Manoscritti: L’edizione moderna è basata sui due testimoni italiani:

1) Milano, Bibl. Ambrosiana E 3 sup., cc. 56r-107r, trascritto da Tedaldo della Casa nel 1395;

2) San Gimignano, Bibl. Comun. 30, datato 1403. Diffusione: Di uso scolastico, è dedicato a Tedaldo della Casa. Commenti derivati: Commento di Buti alla Commedia.

Citazioni presenti: Esplicite: Orazio (Epist. II 1; Epist. I 2 e 18; Sat. I 2; Epod. II); Virgilio (9), Ovidio (7), Cicerone (5), Omero (5), Persio (5), Seneca (5),Terenzio (5), Lucano (4), Archiloco (3), Giovenale (2), Accio (1), Alano di Lilla (1), Aristarco (1), Boezio (1), Cecilio (1), Ennio (1), Eschilo (1), Goffredo di Vinsauf (1), Marziano Capella (1), Pindaro (1), Plauto (1), Prudenzio (1), Tespi (1), Varo (1).

Caratteristiche: a. Accessus: elenco e definizione delle tre discipline sermocinali (grammatica, retorica, dialettica), cui viene aggiunta la poetica; biografia ed elenco opere di Orazio (con numerose imprecisioni); esplicitazione dei sex inquirenda (titulus, materia, intentio, modus, utilitas).

b. Corpo: divisio del testo secondo il procedimento binario del Communiter, con una sola variante relativa ai vitia dei cattivi poeti (ai cinque del Communiter viene aggiunta la multiformitas); identici i sei vitia comuni anche tra i migliori poeti (obscura brevitas; vaga et dissoluta prolixitas; inflata sublimitas; exanguis humilitas; monstruosa variatio; imperfecta conclusio); distinzione fra

i termini “retore”, “poeta” e “autore”; ritratto del buono e del cattivo poeta in relazione agli ultimi versi dell’Ars.

I rapporti tra le due expositiones sono stati indagati da Ciccone, ma vorrei qui illustrare delle questioni che ritengo particolarmente degne di nota e discutere alcuni dati che forse non stati sufficientemente valorizzati.

La maggiore novità dell’anonimo commento, rileva l’editrice, consiste nella definizione della poetica quale scienza sermocinale a sé. La poesis è detta infatti scientia sermocinalis volta all’affectum (come la retorica e differentemente dalla grammatica e dalla logica, volte all’intellectum) che utilizza idonea

verba, gestus e similitudines per generare delectationem.

La netta separazione della poetica dalle altre arti sermocinali e il conferimento di una speciale «dignità» alla ‘nuova’ scienza, scrive Ciccone, possono essersi resi possibili solo dopo che aveva cominciato a circolare la prima traduzione latina del commento averroistico alla Poetica aristotelica (quella di Ermanno il Tedesco del 1256) e che la poesia dei moderni aveva raggiunto risultati ragguardevoli (tra i quali anche la Commedia)259; tuttavia, poiché l’Anonimo, nell’atto di legittimare la poetica come quarta scienza del Trivium, non allude affatto al testo aristotelico (come fanno, invece, Guizzardo da Bologna e Pace da Ferrara nei rispettivi commenti alla Poetria Nova di Goffredo di Vinsauf, ritenuti dall’editrice contemporanei al Communiter), è bene evidenziare che già in alcuni testi del XII secolo:

1. si modifica il rapporto di tradizionale subordinazione dell’ars alla scientia; 2. si riscontrano definizioni piuttosto peculiari della poesia.

È così, ad esempio, nel Didascalicon (ante 1125) di Ugo da San Vittore, secondo il quale «Ars dici potest scientia, quae artis praeceptis regulisque consistit» (2, caput I, 751B), mentre nel De divisione

philosophiae (1150 ca.) di Domenico Gundissalino la poetica viene definita esplicitamente

scienza/arte sermocinale distinta da grammatica e retorica:

Ad eloquentiam enim pertinent omnes [scil. artes liberales], quae recte vel ornate loqui docent, ut grammatica, poetica, rhetorica et leges humanae.

Circa artem quoque poeticam illa eadem consideranda sunt, scilicet: quid ipsa sit, quid genus eius, quae materia, quae species, quae partes, quod officium, quis finis, quod instrumentum, quis artifex, quare sic vocetur, quo ordine legenda sit. Quid ipsa sit, sic definitur: Poetica est scientia componendi carmina metrice. Metrum est temporum et pedum distincta varietate modulata oratio; et dicitur metrum a mensura, eo quod certis pedum mensuris atque spatiis terminatur, neque ultra dimensionis tempora constituta progreditur, “mensura” enim graece “metrum” dicitur; tempus autem consideratur in productione vel corruptione syllabae;

259«La novità del Communiter secondo cui la poesia va inserita tra le discipline sermocinali perché, come la

retorica, riesce a catturare l’attenzione dell’ascoltatore non solo attraverso le parole, ma anche perché in grado di creare immagini recitate o raffigurate mediante i tropi, va pertanto rapportata agli anni in cui bisognava ancora liberare la poesia dalle pastoie scolastiche del Trivio e in cui l’auctoritas di Aristotele immediatamente fruibile tramite le nuove traduzioni e la circolazione del commento di Averroè consentiva un nuovo riordinamento dell’intera scientia sermonis. È del tutto ipotizzabile pertanto che il suo nucleo originario vada collocato, parallelamente alle riflessioni di Guizzardo e Pace da Ferrara, entro il primo quarto del XIV secolo, quando era ormai possibile teorizzare il potere raffigurativo della poesia, di cui il genere bucolico per il latino e la Commedia per il volgare offrivano più o meno in contemporanea una suprema quanto intensa applicazione. Quasi all’inizio del secolo, d’altronde, nel 1315 si era assegnato per la prima volta un riconoscimento pubblico alla poesia nelle forme dell’incoronazione al Mussato. […] Dal punto di vista testuale, la datazione del nucleo originario del Communiter sembra dunque non dover andare oltre la metà del XIV secolo ed essere spostata piuttosto indietro nell’ambito della prima metà del XIV, o, se l’auctor fosse un grande innovatore, addirittura alla fine del XIII, ancora lontana sia dai processi di accusa e difesa della poesia che della medesima presuppongono un’autonoma valutazione, sia dalla fortuna di Seneca e dal clima intellettuale che ruotava attorno a Petrarca.»,

pes est syllabarum et temporum certa dinumeratio. Genus huius artis est, quod ipsa est pars civilis scientiae, quae est pars eloquentiae, non enim parum operatur in civilibus, quod delectat vel aedificat in scientia vel in moribus. Materia huius artis duo sunt: quia aut res gesta aut res ficta.

Post poeticam autem rhetorica discenda est: Nam cum grammatica sit prima et post grammaticam poetica, profecto post poeticam discenda est consequenter rhetorica; ratio enim exigit, ut qui primum per grammaticam docetur recte loqui, consequenter discat per poeticam qualiter delectet auditorem vel prosit; deinde qui per poeticam delectare vel prodesse iam novit, continuo discat per rhetoricam, qualiter persuadere et movere auditorem possit. Iam enim aliquantulum movit, qui delectavit, sed plus commovet, qui persuadet. Naturaliter ergo post grammaticam poetica et post poeticam rhetorica sequitur, nam non sufficit recte loqui, nisi et delectare studeat; nec delectare solum satis est, nisi et auditorem flectat. (DOMINICUS GUNDISSALINUS, De divisione philosophie, p. 5, p. 54 e pp. 68-69)

Nell’ambito dei commenti oraziani segnalo l’accessus anonimo noto come Hec inquirenda sunt (XII- XIII sec.) in cui il commentatore stabilisce la differenza fra poetica e grammatica260:

Hec inquirenda sunt circa artem poeticam, quid sit ipsa ars, quod eius genus, que materia, quod officium, quis finis, que partes, que species, quod instrumentum, quis artifex, quare sic vocatur, que auctoris intentio in hoc libro, que libri utilitas, quo ordine tractetur in hoc opere. Exequamur igitur unumquodque. Ars ista sic diffinitur: poetria est ars que docet scribere poetice, poetice autem ideo dictum est ut ostendatur inter ipsam et gramaticam <differentia>. Gramatica namque docet scribere, sed sine soloecismo et barbarismo, poetria autem fingere docet.

Chiaramente le definizioni qui riportate hanno il solo scopo di evidenziare la gradualità del processo attraverso il quale la poetica ha acquisito indipendenza e specificità all’interno del sistema classificatorio delle scienze indipendentemente dalla riscoperta del testo aristotelico ad essa dedicato. A ciò si aggiunga che la definizione elaborata dall’Anonimo («Poeta vero non solum per idonea verba, sed etiam per gestus et similitudines rerum quas humanis sensibus representat, efficaciter movet, trahit et informat affectum.»), di cui l’editrice non trova precedenti, credo derivi direttamente dai vv. 99-100 dell’Ars, con un procedimento – quello di commentare Orazio con Orazio stesso – frequente nella tradizione esegetica precedente:

Non satis pulchra esse

poemata = non solum per idonea uerba

(cfr. Ps.Acro, ad loc., vol. II, p. 326: «‘Pulchra’ idest diserta, probata»).

Dulcia sunto =

sed etiam per gestus et similitudines

(Cfr. Rhet. Ad Her. I 2: «Pronuntiatio est vocis, vultus, gestus moderatio cum venustate»; Schol. Vindobon., p. 11: […] nisi etiam sint dulcia per colores operum »).

Et quocumque uolent

animum auditoris agunto = […] efficaciter movet, trahit et informat affectum.

(Cfr. Communiter, p. 232: «NON SATIS EST PULCHRA (99), quia debet esse PULCHRA et apta ad persuadendum».

260La versione integrale dell’accessus, reperita sul ms. Città Del Vaticano, BAV, Vat. Lat. 1431, sec. XII-XIII,

cc. 36r-36v, è stata trascritta da Fredborg. Una versione parziale è tra l’altro presente nel testimone V del Communiter (cc. 56v-57r, sec. XIII-XIV); cfr. FREDBORG, The introductions, cit., p. 58 e pp. 75-76 n. 58.

Infine, l’unico caso in cui l’Anonimo sembra alludere al testo aristotelico (Poet. 14, 1453 b: «Est quidem igitur quod terribile et miserabile ex visu fieri, est autem ex ispa consistentia rerum, quod quidem est prius et poete melioris») è nella glossa ai vv. 180-182261:

Primum est quod per ipsum captatur maior cognitio quam per alios sensus cum dicit: FIDELIBUS OCULIS. Secundum est quod visus fit extra mittendo, non solum intus suspiciendo: IPSE SIBI SPECTATOR, quamvis hoc sit falsum secundum philosophum.

Tuttavia, è doveroso ricordare che non è questo l’unico caso in cui la “dottrina” oraziana diverge da quella aristotelica; più eclatante, infatti, è la questione della nascita della tragedia, che secondo Aristotele costituirebbe uno sviluppo del dramma satiresco, mentre in ars 220-230 si afferma esattamente il contrario, essendo quest’ultimo genere esplicitamente definito come la controparte scherzosa della tragedia262.

Unitamente alla banale considerazione che di fronte all’auctoritas aristotelica non comprendo perché un magister avrebbe preferito attribuire a se stesso («sed ut mihi videtur») un’affermazione giudicata tanto rivoluzionaria, mi paiono sufficienti queste poche riflessioni per attribuire all’Anonimo una conoscenza solo vaga della Poetica, mediata magari da escerti nei florilegi263 o da citazioni presenti in altri commenti aristotelici.

Del resto, nella Firenze dei primissimi anni del Trecento, già il frate domenicano Bartolomeo di San Concordio volgarizzava due citazioni dalla Poetica nei suoi Ammaestramenti degli Antichi (1297- 1304)264:

Aristotile in Poetria. Conviene che si guardi il poeta ch’e’ non usi soperchio parole dissusate; perocchè elle spesso molestamente sono sostenute. […] Aristotile in Poetria. Lo lungo dire è cosa di più malagevole intendimento. (BARTOLOMEO DI SANCONCORDIO, Ammaestramenti degli antichi II XI iv.6-8)

Inoltre, se davvero si vuole assumere come termine post quem la traduzione del testo aristotelico, non si può dimenticare che essa era nota, tra gli altri, a Tommaso d’Aquino già negli ultimi decenni del 1200265 e poiché allo stato attuale nulla è noto circa la biografia dell’anonimo commentatore, non ci sono motivi sufficienti per escludere che il «nucleo originario» del commento sia ascrivibile agli ultimi anni del XIII secolo o ai primissimi del XIV (anzi, l’assenza di riferimenti alle tragedie

261«Segnius inritant animos demissa per aurem / quam quae sunt oculis subiecta fidelibus et quae / ipse sibi tradit

spectator». Il riferimento al Filosofo è tuttavia assente nel testimone V: Communiter, p. 240 (apparato).

262«Carmine qui tragico uilem certauit ob hircum, / mox etiam agrestis Satyros nudauit et asper / incolumi

grauitate iocum temptauit eo quod / inlecebris erat et grata nouitate morandus / spectator functusque sacris et potus et exlex. / Verum ita risores, ita commendare dicacis / conueniet Satyros, ita uertere seria ludo, /ne quicumque deus, quicumque adhibebitur heros, /regali conspectus in auro nuper et ostro, / migret in obscuras humili sermone tabernas, /aut, dum uitat humum, nubes et inania captet.». Sulle difficoltà riscontrate dagli esegeti medievali nell’identificare questo genere sconosciuto sin dalla tardoantichità si tornerà più diffusamente nei capp. 2.4.3 e 2.5.9.

263Per alcuni esempi si veda W.F. BOGGESS, Aristotle’s “Poetics” in the Fourteenth Century, «Studies in Philology», 67/3 (luglio 1970), pp. 278-294, pp. 284ss.

264 La Poetica aristotelica è citata, come puro nome, anche nell’accessus alla sua Expositio super Poetriam

novam: «ʻNovaʼ autem dicitur propter poetrias prius compositas, ut ab Aristotile, Horatio et aliis.». Parte del commento

è edita in D. LOSAPPIO, Il commento di Bartolomeo da San Concordio alla Poetria nova, in Le poetriae del medioevo

latino, cit., pp. 129-164: 144.

265Le prime “reazioni” al commento averroistico si collocano infatti già negli anni ’90 del 1200: a questo periodo risalgono alcune glosse sulla traduzione di Ermanno e le anonime Quaestio in Poetriam e Partes poetrie et ordo earum; cfr. O.J. SCHRIER, The “Poetics” of Aristotle and the “Tractatus Coislinianus”: A Bibliography from about 900 till 1996, Leiden, Brill, 1998, p. 17. Per le citazioni presenti nella Summa theologiae si veda BOGGESS, Aristotle’s “Poetics”, cit., p. 284 (Appendix A).

senecane, citate invece da Buti e diffuse addirittura più delle opere di Orazio nei codici scolastici censiti da Black, credo conforti quest’ultima ipotesi)266.

Premesse queste osservazioni preliminari, il cui unico scopo è mostrare che nulla osta a considerare il commento contemporaneo ai grandi trattati danteschi e ai primi canti della Commedia, si può entrare nel merito delle differenze tra i tre commenti.

Presento quindi una tabella comparativa delle tre “griglie” di vitia: Materia 6 vitia Communiter 11 vitia Lectura Horatii 12 vitia (unica categoria) 2 Categorie

I. Errori dei cattivi poeti (vv. 1-23) =

5 contra unitatem aut simplicitatem poematis:

6 contra simplicitatem materie (a) aut unitatem forme (b):

1. partium incongrua positio (vv.1-14 e 152); -multitudo (vv. 1-13); -contrarietas (14-15); -diversitas (16-18); a. multiplicitas (1-15); b. multiformitas (6-9); a. contrarietas (10-13); a. diversitas (14-19); 2. incongrua orationis digressio (15-

21);

b. nimia ampliatio (19-20); b. nimia restrictio (21-22).

II. 6 errori anche dei bravi poeti (vv. 24-32) =

3. brevitas obscura (25); 1. obscura brevitas (25);

2. vaga/levis et dissolutas prolixitas (26); 4. incongrua stili mutatio (26-

28);

5. incongrua materie variatio (29); 6. incongrua operis imperfectio (31). 3. inflata sublimitas/turgiditas (27); 4. exanguis humilitas (28); 5. monstruosa/prodigiosa variatio (29); 6. imperfecta conclusio (32).

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