Per oltre un ventennio, gli Stati Uniti rinunciarono ad avere una disciplina in materia fallimentare, anche in ragione della particolare
151 Bankruptcy Act del 1841, ch. 9, sezz. 4, 5 U.S. Statutes at large 443-44 (1841). 152 Ivi, sez. 12.
153 Ivi, sez. 1.
154 I dati statistici riportano che dei 33.739 debitori che fecero istanza di discharge, solo a 765 fu negata. Cfr. F.R.NOEL, A history of the bankruptcy law, C. H. Potter & Company, 1919, p. 124 ss., alla p. 143; C.WARREN, Bankruptcy in United States
history, Harward University Press, 1935, p. 81; P.COLEMAN, Debtors and creditors
in America: insolvency, imprisonment for debt and banruptcy 1607-1900, Madison:
State Historical Society of Wisconsis, 1974, p. 23.
155 Ciò avvenne con una legge intitolata “An Act to repeal the Bankruptcy Act,” ch. 82, 5 U.S. Statutes at large (1843).
prosperità economica del tempo e della maggiore capacità delle realtà locali di gestire le singole situazioni di crisi presenti nel rispettivo ambito territoriale.156 Nel frattempo, l’Inghilterra era pervenuta, nel 1825, al riconoscimento di una forma quasi-volontaria di bankruptcy, la c.d. concerted bankruptcy: la pubblicazione da parte del debitore di una dichiarazione circa la propria insolvenza veniva ad essere ex lege equiparata ad un act of bankruptcy, che come tale avrebbe potuto essere posto a fondamento di un’istanza dei creditori per l’attivazione della relativa procedura.157 Inoltre, nello scenario normativo britannico erano stati soppressi, nel 1861, la limitazione soggettiva ai soli merchants158 e, nel 1844, il requisito del consenso dei creditori ai fini della discharge.159
Negli Stati Uniti, il Panic del 1837 e la guerra civile evidenziarono l’improrogabilità di un intervento legislativo, che culminò con l’emanazione del Bankruptcy Act del 1867.160 Esso rappresentò una
soluzione compromissoria tra gli interessi dei creditori e dei debitori, motivata secondo alcuni dall’intento di “relieve the plight of
debtors”161 -in quanto prefigurava un “powerful debtor relief
system”162-, nonché dalla volontà di creditori del Nord di riscuotere i
propri crediti dai debitori del Sud -poiché costituiva, comunque, un efficace “creditors’ collection remedy”163-.
Di particolare crucialità divenne la questione relativa alla costituzionalità delle divergenti leggi nazionali in tema di
156 In merito, F.R.NOEL, op. cit., p. 145 e C.WARREN, op. cit., pp. 87-91. 157 6 Geo. 4, ch. 16, sez. 6 (1825).
158 24 & 25 Vict., ch. 134, sezz. 69, 86 (1861).
159 5 & 6 Vict., ch. 122, sez. 39 (1842). Tuttavia, come evidenziato supra, al capitolo I, par. 2.3., la necessità dell’assenso dei creditori fu ripristinata nel 1869, qualora il dividendo realizzato si fosse rilevato insufficiente, sino ad essere definitivamente soppressa nel 1883. 32 & 33 Vict., ch. 71, sez 48 (1869) e 46 & 47 Vict., ch. 52, sez. 28 (1883).
160 Bankruptcy Act del 1867, ch. 176, 14 U.S. Statutes at large 517. 161 C.WARREN, op. cit., p. 105.
162 C.J.TABB, op. cit., p. 353. 163 Ibidem.
exemptions,164 giacché numerosi stati meridionali e occidentali della federazione avevano adottato, in merito, un regime -di rango costituzionale o legislativo- estremamente favorevole al debitore.165 Con riferimento al requisito del consenso dei creditori ai fini della discharge, fu previsto che il debitore, per beneficiarne, avrebbe dovuto corrispondere almeno il 50% del dividendo alla sua controparte, a meno che la maggioranza dei creditori, nonostante il mancato raggiungimento di tale percentuale, non acconsentisse comunque alla liberazione.166 Il pagamento del dividendo minimo, dunque, faceva di fatto venir meno la necessità dell’assenso della classe creditrice, assecondando una prospettiva spiccatamente pro-debtor.167
Nel 1874 il presupposto del consenso fu eliminato per i casi di bankruptcy involontaria e ridimensionato nell’ambito di quella volontaria.168 Una simile differenziazione, di fatto, disincentivava i
164 In favore della costituzionalità si pronunciò definitivamente la Corte Suprema nel 1902.
165 La compatibilità del Bankruptcy Act 1867 con queste disomogenee previsioni di matrice nazionale fu risolta con un emendamento del 1872, che impose, come termine per l’incorporazione della legge federale nella trama normativa dei singoli stati, l’anno 1871, stabilendo altresì che le exemptions previste a livello nazionale potevano trovare applicazione solo rispetto a debiti anteriori a quella data. In particolare, questa chiarificazione fu operata con una legge lato sensu di interpretazione autentica del 1873, denominata “An Act to declare the true intent and
meaning of the Act [of 1872]”, secondo alcuni di dubbia costituzionalità. Ch. 235, 17 U.S. Statutes at large 577 (1873). In merito, C.WARREN, op. cit., pp. 111-12. 166 Bankruptcy Act del 1867, ch. 176, sez. 33, 14 U.S. Statutes at large 533 (1867). Questo requisito fu introdotto per consentire ai creditori del Nord di riscuotere almeno la metà dei propri crediti dai debitori del Sud.
167 Un simile favor debitoris si evince anche dal differimento di un anno e, in seguito, di altri sei mesi, per l’entrata in vigore della normativa, differimento che consentì a coloro che incorrevano in bancarotta in quel lasso temporale di beneficiare della
discharge in assenza delle condizioni minime previste dalla nuova legge. Cfr. Bankruptcy Act del 1867, sezz. 50 e 33. L’orientamento pro-debtor della legge
sembra essere contraddetto peraltro dall’incremento delle ragioni di diniego della
discharge sancito dalla legge de qua, inclusive di ogni comportamento del debitore
potenzialmente pregiudizievole per il soddisfacimento dei creditori. Sul complessivo sbilanciamento del Bankruptcy Act 1867 sugli interessi del debitore piuttosto che su quelli della sua controparte, si veda A. CASTAGNOLA, La liberazione del debitore
(discharge) nel diritto fallimentare statunitense, ed. Giuffrè, Milano, 1993, p.21.
168 Nel contesto della voluntary bankruptcy, si prevedeva infatti che il debitore potesse beneficiare della discharge qualora avesse corrisposto il 30% del dividendo alla controparte; tale condizione era surrogabile, in mancanza di questa percentuale,
debitori ad avanzare istanza di bancarotta e li induceva, piuttosto, a pratiche collusive con la controparte nell’ambito della procedura involontaria. Lo spettro della corruzione cominciò pericolosamente ad affacciarsi anche nel contesto della voluntary bankruptcy, dove “discharges were often bought, a practice constituting one of the
weaknesses of the law”,169 conducendo, nel 1898, all’abolizione
definitiva della precondizione dell’assenso del ceto creditorio ai fini dell’esdebitazione.
Con riguardo ai profili procedurali di quest’ultima, il bankrupt doveva presentare la relativa richiesta entro un anno dalla dichiarazione di fallimento (la c.d. adjudication) ma non prima di sei mesi dalla stessa, in modo che i creditori avessero il tempo necessario per insinuarsi al passivo e per opporsi alla domanda di discharge. L’onere di provare i fatti su cui si fondava l’opposizione -che dava luogo, su ordine del tribunale, all’istaurazione di un trial by jury- incombeva sul creditore opponente, ma spettava al debitore eccepire l’intervenuta esdebitazione nel caso di tentativi di recupero dei crediti esperiti dopo la procedura,170 con l’esclusione dei debiti derivanti da frode e delle
fiduciary obligations, da cui il debitore non poteva essere sollevato.
4. Un inedito approccio all’insolvenza: il Bankruptcy Act 1898