Il D. L. 14 marzo 2005, n. 35 (c.d. ‘Decreto Competitività’),307 convertito con L. 14 maggio 2005, n. 80, rinnovò profondamente il sistema concorsuale italiano nel suo complesso, recependo le direttive giurisprudenziali provenienti dal diritto vivente e dalla Corte Costituzionale: esso rivisitò il concetto stesso di insolvenza, con le finalità di favorire la tempestività nella sua risoluzione, di stimolare gli accordi tra creditori e debitore e di restituire a quest’ultimo le sue potenzialità economico-produttive.
In precedenza, un possibile esito esdebitativo era contemplato soltanto al termine di una procedura negoziale: attraverso la piena esecuzione degli obblighi assunti con il concordato preventivo e fallimentare, il debitore poteva beneficiare della liberazione dalla parte residua dei debiti, alla quale i creditori avevano ex ante rinunciato con l’approvazione della proposta concordataria.308
306 Cfr. art. 174 del disegno di legge Trevisanato.
307 Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, contenente “Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale.”
308 Si apprezza, in questo aspetto, la differenza con l’esdebitazione fallimentare: nella procedura di liquidazione, essa ha luogo una volta constatata l’oggettiva impossibilità di soddisfare integralmente i creditori concorsuali, mentre in quella concordataria esiste a monte un’intesa tra il debitore e il ceto creditorio circa le modalità di realizzazione delle pretese di quest’ultimo, modalità che possono tradursi anche in una decurtazione quantitativa dei crediti. Data la vincolatività della proposta di concordato, conseguente alla sua approvazione, i creditori sono rigidamente preclusi
La delega al governo, contenuta nella L. n. 80 del 2005 per la riforma organica delle procedure concorsuali, fu attuata con il D. Lgs. n. 5 del 2006, il quale all’art 128 abrogò l’istituto della riabilitazione e innovò le disposizioni degli artt 142, 143 e 144, parzialmente modificati in seguito dall’art 10 del D. Lgs. 12 settembre 2007, n. 169. Infatti, il capo IX della legge fallimentare,309 originariamente intitolato ‘Della riabilitazione civile’ ed esordiente con l’articolo 142, rubricato ‘Effetti della riabilitazione’,310 attualmente reca il titolo ‘Dell’esdebitazione’.
Le novità sul piano normativo danno emblematicamente conto del superamento della precedente concezione del fallimento come epilogo inesorabile di una lenta e logorante ‘malattia’ -una sorta di ‘sindrome dell’insolvenza’-, che giustificava un atteggiamento punitivo e sanzionatorio nei confronti del fallito, nella convinzione che egli ne fosse il solo ed unico responsabile. Infatti, l’avvento dell’esdebitazione costituisce l’approdo, in quel microcosmo che è la materia fallimentare -che si caratterizza per principi e regole autonome, di carattere speciale, rispetto a quelle genericamente civili-, di un graduale percorso evolutivo, che ha condotto all’affermazione della logica di rescue propria degli ordinamenti anglosassoni, apparentemente in contrasto con il rigore assiologico della nozione di responsabilità patrimoniale universale di cui all’art. 2740 c.c.
Il ripristino della produttività economica del fallito trovava il proprio fondamento legittimante nella stessa carta costituzionale, all’art 41, che favorisce la libertà d’iniziativa economica, nonché nella più ampia
dalla possibilità di pretendere dal debitore, ormai ritornato in bonis, la parte residua del loro originario credito.
309 Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante “Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa.”
310 In particolare, l’art. 142 disponeva, al suo incipit: “La riabilitazione civile fa cessare le incapacità personali che colpiscono il fallito per effetto della sentenza dichiarativa di fallimento.”
prospettiva comunitaria della tutela della concorrenza311 e di quella del consumatore.312 Inoltre, l’adesione ai principi della fresh start policy si
giustificava nell’ottica di disincentivare i fenomeni degenerativi conseguenti all’opzione contraria, potenzialmente pregiudizievoli per la certezza delle contrattazioni sul mercato, come il rinnovato esercizio dell’attività di impresa per mezzo di prestanomi o fiduciari ed il cronico ricorso ad interposizioni fittizie.
La portata innovativa dell’istituto esdebitativo rispetto all’imprenditore individuale si coglie anche nella modifica che il D. Lgs. n. 5 del 2006 ha apportato al terzo comma dell’art. 120, il quale rappresenta l’applicazione in sede fallimentare del principio di cui all’art. 2740 c.c.: il suo originario disposto, in base al quale “[i] creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi”, è stato integrato dalla riforma con l’annessione dell’inciso finale “salvo quanto previsto dagli articoli 142 e seguenti”, il quale sottolinea la valenza derogatoria e residuale di ogni possibile soluzione alternativa all’integrale responsabilità per le obbligazioni assunte.
Il legislatore italiano è approdato a questo traguardo normativo soltanto nel 2006, recependo le rimostranze di un’accorta parte della dottrina che aveva sottolineato l’ingiustificata disparità di trattamento tra l’impresa individuale, a cui era precluso ogni tentativo di limitazione della propria responsabilità, e quella collettiva, la quale invece poteva agevolmente beneficiare di un regime di autonomia patrimoniale perfetta, optando per la costituzione nella forma di società di capitali. Peraltro, anche dopo l’ingresso della discharge anglosassone nella legislazione fallimentare italiana, si riscontra come il temperamento della responsabilità personale conseguente
311 Cfr. artt. 32, 101 e 102 del Trattato di Roma del 25 marzo 1957 sul funzionamento dell’Unione Europea.
all’esdebitazione non risulti pienamente assimilabile a quello che discende dalla creazione di una società di capitali, nella misura in cui la liberazione del debitore persona fisica costituisce un meccanismo che interviene ex post, dopo che l’insolvenza si è manifestata, mentre la limitazione della responsabilità dei soci opera pur sempre in una dimensione di fisiologia e rappresenta una scelta circa le modalità di esercizio dell’impresa effettuata ex ante, in sede di costituzione (salvo eventuali cambiamenti in itinere della struttura giuridica societaria ai sensi degli artt. 2498 e ss. c.c.). Inoltre, mentre l’ente societario è tendenzialmente vincolato nelle proprie spese al perseguimento delle finalità per cui è stato creato ed incorre in una situazione di impotenza finanziaria a causa di un numero relativamente ristretto di eventi pregiudizievoli, nel caso della persona fisica le possibilità di impiego del denaro sono più libere, non subordinate a scopi di natura istituzionale, e altrettanto numerose e imprevedibili sono le possibili ragioni di crisi idonee a pregiudicare l’attività d’impresa (si pensi alla sopravvenienza di malattie).313
4. I profili sostanziali e procedurali dell’istituto