• Non ci sono risultati.

IL BIODETERIORAMENTO IN RELAZIONE ALLA TIPOLOGIA DI SUBSTRATO

5.2.4 Metabolizzazione selettiva e accumulo di element

5.7. IL BIODETERIORAMENTO IN RELAZIONE ALLA TIPOLOGIA DI SUBSTRATO

Il biodeterioramento delle pellicole pittoriche, tematica approfondita in questo lavoro di tesi, è funzione sia del tipo di pigmento che di legante impiegato per il loro ottenimento: molti studi indicano, tuttavia, che in linea di massima, pigmenti a base di ossidi e Sali di metalli pesanti come zinco, rame e piombo possono inibire l’attacco biologico mentre altri, come le terre, sembrano non condizionare o addirittura favorire l’attacco se ricchi di micronutrienti (IONITA, 1971). In pitture murali eseguite con legante acrilico si assiste spesso ad un notevole e precoce sviluppo di funghi neri meristematici (PINNA E SALVADORI, 1999).

Nell’utilizzare polimeri di sintesi come leganti per la pittura si è erroneamente ritenuto che il

problema dei rischi di biodeterioramento potesse essere trascurato ma, tali materiali, risultano essere potenziali substrati nutrizionali per microrganismi eterotrofi che possono utilizzarli come fonte di carbonio o degradarli solo parzialmente, in particolare producendo enzimi in grado di idrolizzare i legami tra le diverse molecole di monomero (EL-SAIED ET AL., 1996). La biodegradabilità di un polimero dipende dal suo peso molecolare e dalla cristallinità e,

generalmente maggiore è il grado di polimerizzazione e di cristallizzazione, minore è la sua bioricettività; si noti che spesso è la presenza di additivi e plastificanti che favorisce la colonizzazione microbica. Il biodeterioramento di polimeri sintetici dipende dunque da:

1. natura chimica del prodotto e dei suoi coformulati (aditivi, catalizzatori, stabilizzanti,…); 2. grado di polimerizzazione e cristallinità;

3. affinità per l’acqua;

4. caratteristiche chimico-fisiche del supporto sul quale sono applicati; 5. condizioni ambientali (temperatura e umidità relativa);

6. tempo di permanenza in condizione umide;

7. livello di contaminazione ambientale da parte di sostanze organiche ( polvere, inquinanti …) e biologiche (spore e propaguli vegetativi);

8. tempo di esposizione ai contaminanti.

I substrati vengono utilizzati non solo come fonte di energia, ma anche come supporto per la crescita e la riproduzione. Nella maggior parte dei casi si sono comunque osservati tempi di biodegradazione molto maggiori per i polimeri di sintesi piuttosto che per polimeri naturali, quali la cellulosa, e questo fenomeno sembrerebbe legato ad una proprietà fondamentale dei polimeri, infatti, tanto maggiore è il peso molecolare, tanto più lento sarà il processo di biodeterioramento (non è una regola sempre verificata).

Anche la levigatezza dello strato che essi vanno a rivestire o a costituire influenza la possibilità di attacco biologico in quanto su superfici ruvide o con microfratture si depositano con maggiore facilità particolato atmosferico, spore e altre sostanze di varia natura che possono rappresentare la prima fonte nutrizionale per i microrganismi che attecchiscono alla superficie. Le pitture ottenute con resine acriliche possono quindi:

 supportare la crescita microbica in quanto costituiscono fonte nutrizionale;

 indurre colonizzazione microbica in quanto lo strato non asciugando completamente in tempi brevi, favorisce la cattura di particellato e quindi la contaminazione del manufatto (FLORIAN, 1993);

 prevenire e ridurre fenomeni di biodeterioramento: gli strati pittorici riducendo la porosità dello strato su cui sono applicati, incrementano l’idrorepellenza e dunque abbassano la probabilità di biodeterioramento.

Tra i microrganismi che attaccano i materiali polimerici di sintesi utilizzati per il restauro troviamo soprattutto i funghi che grazie alla loro capacità di adattamento metabolico, possono colonizzare e utilizzare come substrato nutrizionale anche polimeri di sintesi attraverso la produzione di

enzimi adattativi che necessitano di tempi lunghi e piccole frazioni organiche facilmente metabolizzabili per attivare il metabolismo e accumulare l’energia necessaria al processo. Il biodeterioramento del polimero, infatti, prevede con meccanismi diversi a seconda del microrganismo che opera degrado, la rottura dei legami che tengono unite le diverse molecole di monomero, ottenendo così sostanze a basso peso molecolare, a partire da macromolecole complesse ad elevato peso molecolare non utilizzabili come fonte nutrizionale (CHANG-SIK HA, WON JEI CHO, 2001). I monomeri possono quindi venire completamente degradati in uno o più stadi ma comunque, alla fine, si ha molto spesso la loro trasformazione in composti inorganici quali anidride carbonica, acqua e ammoniaca (A.L. ANDRAY, 1995). Il processo di biodegradazione di un polimero e di qualunque materiale organico, può essere descritto dalla semplice equazione

( )

Si noti che è necessaria la presenza di ossigeno a fin che la reazione avvenga per cui è un processo di degradazione aerobico. La reazione tuttavia può avvenire anche in ambiente anossigenico, ma è da tener presente che la degradazione anaerobica comporta la produzione di composti quali il metano.

In considerazione agli ambienti in cui i manufatti vengono normalmente conservati (musei, ville e palazzi, case private e luoghi di esposizione) i fenomeni di biodeterioramento più ricorrenti sono quelli legati ad attacco di micro funghi, infatti i valori di umidità generalmente non sono sufficienti a consentire la colonizzazione da parte di batteri (CANEVA, 2007). La localizzazione dell’attacco fungino varia soprattutto in relazione alla collocazione dell’opera, al materiale di supporto e alla tecnica pittorica. Situazioni microclimatiche favorevoli vengono ad instaurarsi, nel caso di pitture murali, non solo a livello superficiale ma anche tra pellicola pittorica e supporto, dove l’insinuarsi di ife fungine può comportare dapprima il sollevamento e quindi la fatturazione e il distacco della pellicola pittorica. Si provocano in questi attacchi danni molto gravi in quanto non è possibile individuare l’estensione del danno fino a quando, in seguito a forte pressioni di crescita delle ife, non abbiamo la caduta di porzioni, a volte anche molto importanti, di pellicola pittorica. I più frequenti biodeteriogeni dei polimeri sono i Funghi diffusi nell’ambiente di conservazione del manufatto e veicolati dall’aria; tra questi ricordiamo i generi Penicillum, Aspergillus, Alternaria, Cladosporium, Acremonium, Trichoderma (LUGAUSKAS ET AL., 2003). Tali organismi sono potenti biodeteriogeni in quanto, in seguito all’attacco iniziale, che si esplica attraverso la polverizzazione e la micro fratturazione del substrato polimerico, sono in grado di metabolizzare alcune componenti che lo costituiscono favorendo inoltre l’attacco per altri tipi di biodeteriogeni, il più delle volte Funghi allergenici, che risultano particolarmente dannosi soprattutto per l’uomo quando il manufatto è conservato in ambiente antropico. Si noti che le fonti nutrizionali sono

ricavate non solo dal substrato ma anche da residui organici presenti nel particellato e che si depositano sullla superficie del manufatto. I danni riscontrati più frequentemente sulle pellicole pittoriche sono sbiancamenti o formazione di macchie di diverse colorazione e conformazione in relazione alla specie fungina presente. La formazione di tali macchie è spesso dovuta alla produzione di esopigmenti o all’emissione sulla pellicola pittorica di metaboliti acidi (acido ossalico, acetico, fumarico, citrico e malico) che possono reagire con i pigmenti dello strato pittorico modificandoli chimicamente, trasformandoli in sali, e quindi modificando le loro proprietà ottiche (BEROVIC, 2003).

Lo sviluppo dei funghi assume morfologie diverse con il protrarsi dell’attacco e con il mutare dello stadio vitale del ceppo; di conseguenza miceli inizialmente bianchi e fioccosi possono assumere aspetto polveroso e grigiastro. Spesso si assiste ad una sporificazione della specie colonizzatrice (NUGARI, 2007).

Si possono attuare differenti approcci per verificare la presenza di biodeteriogeni e l’avanzare del biodegrado:

 verificare la produzione di acidi organici (acetico, ossalico, malico…) e la loro variazione quantitativa nel tempo;

 monitorare la crescita della biomassa;

 monitorare il peso molecolare del polimero; si possono contemporaneamente osservare le variazioni di proprietà chimico-fisiche e meccaniche quali idrorepellenza, resistenza ad abrasione, ecc;

 verificare la percentuale di conversione del carbonio costituente il polimero in anidride carbonica (nel caso di processo anerobico si misurerà lo sviluppo di metano o altri gas). Non è strettamente necessario che i microrganismi attacchino direttamente il film polimerico per degradarlo, infatti questi lo possono utilizzare anche solo come superficie di crescita: distinguiamo quindi i casi in cui la crescita del microrganismo è interna allo strato pittorico ottenuto con legante polimerico da casi in cui si ha sviluppo superficiale (G. PRITCHARD, 2007). L’attacco si esplica il più delle volte attraverso la formazione di un Biofilm, che è in grado di modificare le caratteristiche chimico-fisiche del substrato su cui si forma (L. H. G. MORTON & S.B. SURMAN, 2005). Il biodeterioramento è possibile grazie alla scomposizione delle macromolecole polimeriche in unità più piccole, grazie all’idrolisi dei legami esterei. Il monitoraggio del peso molecolare e la variazione delle proprietà chimico e fisiche di un polimero è, ad oggi, il metodo più diffuso e certo per verificare se è in corso o è avvenuto degrado biologico del polimero. È stato accertato che la degradazione di esteri polimerici è dovuta ad enzimi esterasi (WILLIAMS & DALE, 1983).

Riassumendo, la fenomenologia del biodeterioramento nei materiali polimerici si distingue in:  sbiancamenti;

 macchie con colorazione dal bianco al rosa;  macchie nere (pitting);

 microfratture della pellicola pittorica che possono evolvere in distacchi e quindi perdita della superficie decorata;

 aumento della porosità dello strato pittorico;  opacizzazione diffusa della pellicola pittorica.

In genere la colonizzazione dei polimeri aumenta con l’aumentare del tempo di esposizione poiché questi subiscono degrado chimico-fisico che ne altera le caratteristiche prestazionali (per esempio l’idrorepellenza o la biorecettività) in genere diminuendole.

CAPITOLO 6

Documenti correlati