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Il calore e la temperatura: breve introduzione storica

Gran parte di ciò che sappiamo del calore affonda le sue radici nel diciannovesimo secolo, ma le riflessioni su che cosa sia realmente il calore risalgono a molto tempo prima [1, 2, 3]. Le popolazioni primitive sapevano bene che, sfregando insieme due bastoncini di legno, si produceva calore e successivamente fuoco, ma collegare l’idea degli atomi a questo “calore” era al di là perfino dell’ingegno straordinario degli antichi greci: il filosofo greco Anassimandro (610-546 a.C.) immaginò una “massa informe che era al

contempo fonte e destinazione di tutte le cose materiali”. Il nome che egli diede

a questa impercettibile sostanza fu “apeiron” che, tradotto, significa infinito. Nelle applicazioni comuni si parla spesso di “flusso di calore”: flusso di calore dal fornello alla macchina del caffè, dal Sole alla Terra, dal corpo di una persona al termometro per misurare la temperatura corporea, e i fenomeni termici sono da sempre noti e utilizzati nella metallurgia, per esempio per la costruzione di armi e di utensili; per questo, nel corso dei secoli, l’umanità ha accumulato moltissime conoscenze empiriche.

Naturalmente l’uomo sa distinguere le sensazioni di caldo e di freddo; inoltre ogni operazione chimica implica uno sviluppo o un assorbimento di calore: per esempio il fuoco, chimicamente, è prodotto nei processi di ossidazione. Per dare conto delle sensazioni di caldo e di freddo si erano già costruiti i primi termometri, a cura dell’Accademia del Cimento; ma c’era parecchia confusione su quale grandezza fisica fosse, in realtà, misurata dal termometro.

Nel XVII secolo si iniziò a studiare scientificamente i fenomeni termici, ma fu difficile capire quali grandezze fisiche dovevano prendersi in considerazione. Per esempio, Galileo Galilei supponeva che il calore fosse la conseguenza di una moltitudine di “corpicelli minimi o ignei” che si muovevano ad alta velocità. Nel XVII secolo, le idee teoriche sul calore erano dominate dalla cosiddetta “Teoria del flogisto”, dal greco “combustibile. Fu proposta da J.J. Becher (1635-1682), un medico tedesco che lavorava tra alchimia e chimica, e perfezionata da un altro medico tedesco, G.E. Stahl (1660-1734): in che cosa consisteva? Si postulava l’esistenza di una “sostanza”, il flogisto, che si liberava sia quando veniva bruciato materiale organico, sia trattando materiali con il calore in aria libera; questa operazione trasformava i metalli in materiali deflogisticati, che noi oggi chiamiamo ossidi. Si sapeva che gli ossidi avevano un peso superiore rispetto ai metalli di origine; questo era un problema: se gli ossidi si formavano per la

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fuoriuscita del flogisto, come era possibile che il prodotto avesse un peso superiore? Si doveva ammettere che il flogisto avesse un “peso negativo”. La teoria del flogisto dovette soccombere a causa dell’opera di A.L. Lavoisier (1743- 1794): attraverso l’uso sistematico della bilancia analitica nello studio delle reazioni chimiche, egli dimostrò che i processi di combustione e ossidazione coinvolgono l’ossigeno dell’aria e non una fuoriuscita del flogisto.

Ma che cosa era il calore? A questa domanda non si era data ancora risposta. Secondo alcuni il calore era una sostanza, il “calorico”, dotata o no di peso, secondo altri il calore era una specie di moto, probabilmente una vibrazione. La prima ipotesi è dovuta a Lavoisier: per spiegare i fenomeni termici si doveva pur ammettere l’esistenza di una sostanza, il calorico appunto, straordinariamente elastico, indistruttibile ed estremamente sottile, per poter penetrare nei corpi quando venivano scaldati o fuoriuscirne quando venivano raffreddati; inoltre doveva anche essere privo di peso, al fine di dare conto dei dati sperimentali nei fenomeni di riscaldamento o di raffreddamento.

La seconda ipotesi era già diffusa da molto tempo; per esempio R. Boyle (1627- 1691) affermava che: “Se un chiodo abbastanza grande viene infisso con un

martello entro una tavola di legno, lo si dovrà colpire molte volte prima che esso divenga caldo: ma una volta che sarà entrato del tutto nell’asse lasciando fuori solo la testa, così da non poter penetrare ancora più a fondo, pochi colpi saranno sufficienti a dargli un notevole calore.”.

Possiamo citare, ancora, il filosofo J. Locke: “Il calore è la rapidissima

agitazione di parti invisibili dell’oggetto che produce in noi quella sensazione per cui diciamo che l’oggetto è caldo. Per cui ciò che alle nostre sensazioni è calore, per l’oggetto non è altro che moto”.

La teoria del calorico non riusciva a spiegare alcuni fenomeni: per fondere il ghiaccio lo si deve scaldare e si osserva che durante il passaggio dalla fase solida a quella liquida la temperatura resta costante. Ci si chiedeva dove andasse a finire il calore fornito durante il passaggio di fase. Era anche noto che un corpo si scalda per attrito. Ci si chiedeva da dove provenisse quel calore.

B. Thomson (1753-1814), osservando il calore sviluppato durante il processo di alesatura dei cannoni con la produzione di trucioli roventi, concluse che: “La

sorgente del calore generato per attrito appariva manifestamente inesauribile ... ... Una cosa che un corpo isolato, o un sistema di corpi, può continuare a fornire senza limitazione non può essere una sostanza materiale”. In fin dei conti,

quindi l’unica causa possibile per dare conto del calore osservato nell’attrito era il movimento. Bisogna specificare che il pensiero di Thomson si rifaceva ad una idea presente nelle riflessioni sui fenomeni gassosi.

Bernoulli (1700-1782) introdusse un modello cinetico molecolare per spiegare il moto dei fluidi gassosi: i gas sono un insieme di particelle microscopiche perfettamente elastiche, in moto caotico e quindi sottoposte alle azioni meccaniche di urti.

Thomson riteneva che il calore fosse causato dal moto di quelle particelle materiali, la variazione di temperatura dipendesse dalla velocità delle particelle e la trasmissione del calore dall’azione meccanica degli urti reciproci. Dobbiamo dire che il lavoro di Thomson non servì ad accantonare la teoria del calorico, che invece continuò a coesistere con la teoria cinetica fino alla metà del XIX secolo. Infatti la teoria del calorico spiegava, attraverso il concetto di calore latente, i fenomeni fisici in cui il calore sembrava scomparire. Ma che cosa sarebbe l’ipotesi del calore latente? Il fluido calorico immagazzinato nei corpi si troverebbe nascosto (appunto latente) e si renderebbe “visibile” in determinate condizioni (per esempio con l’attrito).

H. Davy (1778-1829), con un semplicissimo esperimento (è possibile fondere due pezzi di ghiaccio attraverso l’azione di sfregamento reciproco), fece accantonare definitivamente la teoria del calorico. Infatti era già noto che il calore specifico dell’acqua è maggiore dei quello del ghiaccio, quindi il calorico si sarebbe generato dal nulla; questa affermazione era in contraddizione con il concetto di calorico stesso.

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