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IL CANTO DI NEMOROSO

IL LOCUS AMOENUS NELLE TRE EGLOGHE DI GARCILASO DE LA VEGA

2.2 SIGNIFICATO DI EGLOGA

2.3.2 IL CANTO DI NEMOROSO

L'intervento del pastore Nemoroso avviene subito dopo la fine del lamento di Salicio, e inizia subito con dei versi i cui toni emanano un sentimento di pace. Egli, come sostiene M.Rosso Gallo60, esordisce invocando come confidenti gli elementi del locus amoenus tipici di un piacevole scenario naturale:

Corrientes aguas puras, cristalinas; árboles que os estáis mirando en ellas, verde prado de fresca sombra lleno, aves que aquí sembráis vuestras querellas, hiedra que por los árboles caminas, torciendo el paso por su verde seno: Yo me ví tan ajeno

del grave mal que siento, que de puto contento

con vuestra soledad me recreaba, donde con dulce sueño reposaba, o con el pensamiento discurría por donde no hallaba

sino memorias llenas d'alegría (vv. 245-252)61.

59 Ibidem, pag. 73.

60 M. Rosso Gallo, elementi cosmici e paesaggio nella poesia di Garcilaso, cit., pag. 54. 61 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., pag. 76.

37 Come osserviamo con la già citata studiosa62, questa strofa è testimone del profondo legame che Nemoroso ancora sente con il paesaggio. Infatti, anche in questo caso sono presenti elementi descritti da Curtius63: acque pure, verde prato, animali e alberi. Il primo elemento che viene invocato da Nemoroso è appunto l'acqua del fiume, la quale scandisce l'armonia della natura e accompagna il dolce sonno del pastore. Cosa diversa invece per Salicio dove il ritornello “Salid sin duelo, lágrimas, corriendo” mette a confronto il proprio pianto e lo scorrere del corso d'acqua, che, inoltre, funge anche da specchio in cui il pastore contempla sé stesso costituendo, di conseguenza, un implicito richiamo al mito di Narciso:

No soy pues bien mirado tan disforme ni feo,

que aun agora me veo

en esta agua que corre clara y pura (vv. 175-178)64.

Ritornando al canto di Nemoroso, mi trovo d'accordo con Gargano65 quando afferma che vi è una connessione fra gli elementi della natura: gli alberi si rispecchiano nelle acque limpide e gli uccelli diffondono il loro canto su un verde prato. Tuttavia, benché si tratti di un locus amoenus, ovvero di un ambiente piacevole, c'è, a mio parere, un elemento che sembra presagire ciò che avverrà in seguito: si tratta dell'edera che si avvinghia agli alberi.

Quindi, se fino ad ora il presente evoca un ambiente piacevole, in seguito vi sarà una contrapposizione tra il passato di Nemoroso, evocato tramite ricordi piacevoli, e il presente, caratterizzato invece dal dolore, il quale si riflette nel suo rapporto con l'ambiente stesso:

62 M.Rosso Gallo, elementi cosmici e paesaggio nella poesia di Garcilaso, cit., pag. 55. 63

E.R. Curtius, Literatura europea y edad media latina, cit., pagg. 262-289. 64 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., pag. 74.

65 A. Gargano, «Questo nostro caduco et fragil bene»: forme e significati del locus amoenus nella

38 Y en este mismo valle, donde agora

me entristezco y me canso en el reposo,

estuve ya contento y descansado. (vv. 253-55)66.

Gargano67, a questo punto, sottolinea un'altra differenza tra i due pastori. Nel caso di Salicio, il passato è fonte esso stesso di dolore. Infatti, come si può osservare, Salicio non parla dei momenti felici passati con Galatea, quanto del dolore causato dal suo tradimento. In Nemoroso avviene il contrario, ovvero il passato è indicato come qualcosa di positivo e il presente è causa di dolore. Successivamente, tutto viene delineato con maggior precisione e chiarezza: Elisa ormai è morta, per cui a Nemoroso non resta che ricordare la bellezza dell'amata:

¿ Dó están agora aquellos claros ojos que llevaban tras sí, como colgada, mi alma doquier que ellos se volvían? ¿ Dó está la blanca mano delicada, llena de vencimientos y despojos, que de mí mis sentidos le ofrecían? Los cabellos que vían

con gran desprecio el oro, como a menor tesoro,

¿adónde están? ¿Adónde el blanco pecho? ¿Dó la columna que el dorado techo

con proporción graciosa sostenía? (vv. 266-279)68.

Già da queste domande capiamo quanto dolore provi Nemoroso, come dimostrano anche questi versi:

Aquesto todo agora ya se encierra, por desventura mía

en la fría, desierta y dura tierra (vv. 279-281)69.

66 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., pag. 77. 67

A. Gargano, «Questo nostro caduco et fragil bene»: forme e significati del locus amoenus nella

égloga I, cit., pag. 295.

68 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., pag. 77. 69 Ibidem, pag. 77.

39 In questi ultimi tre versi, si comincia a notare la presenza del locus horridus (v. 281). Sembra quindi che il paesaggio stia in qualche modo “ascoltando” Nemoroso e che in esso si riflettano i suoi sentimenti. Inoltre, emerge un'analogia con i versi in cui Salicio paragona Galatea al marmo, con una differenza: nel primo caso è Galatea ad essere fredda come il marmo, mentre qui ora è la terra ad essere crudele.

Lapesa70 osserva che, ora che l'immagine di Elisa è presente, Nemoroso non si rivolge più agli elementi naturali, bensì ad Elisa stessa, ricordando con desolazione i tempi felici trascorsi insieme: una desolazione, questa, che si accentua nei versi 282-284, ovvero nel momento in cui entra in gioco l'immagine dei due amanti che raccolgono i fiori:

¿Quién me dijera, Elisa, vida mía, cuando en aqueste valle al fresco viento andábamos cogiendo tiernas flores,

que había de ver algo con largo apartamiento venir el triste y solitario día

que diese amargo fin a mis amores? El cielo en mis dolores

cargó la mano tanto, que a sempiterno llanto

y a triste soledad me ha condenado; y lo que siento más es verme atado a la pesada vida y enojosa,

solo, desamparado,

ciego sin lumbre en cárcel tenebrosa (vv. 281-295)71.

Successivamente, appare chiaro che il pastore attribuisca la colpa del decesso di Elisa al destino. Infine, negli ultimi quattro versi della strofa: “y lo que siento es verme atado a la pesada y enojosa, solo, desamparado, ciego sin lumbre en cárcel tenebrosa”, emerge un chiaro richiamo all'immagine dell'edera

presente nel verso 238: come essa sta attaccata agli alberi, cosí Nemoroso è costretto a vivere una vita legata alla tristezza e in piena solitudine. Quindi, è come se lui stesso fosse un albero su cui cresce l'edera.

70R. Lapesa, La trayectoria poética de Garcilaso, cit., pag. 136. 71 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., pagg. 77-78.

40 Ma già nell'ultimo verso, come sostiene Lapesa72, si inizia a parlare del tema dell'oscurità, la quale si estenderà successivamente per altre quattro strofe. Nei vv. 296-309 abbiamo infatti due similitudini: la prima è appunto quella dell'oscurità paragonata alla solitudine della notte:

… tal es la tenebrosa

noche de tu partir, en que he quedado de sombra y de temor atormentado, hasta que muerte el tiempo determine que a ver el deseado

sol de tu clara vista me encamine (vv. 310-317)73.

In questi versi Nemoroso ricorda il momento del decesso di Elisa, paragonando il giorno della sua morte all'oscurità della notte la quale, come sostiene Parker74, è presagio di morte. Anche qui sembra presente un elemento tipico del locus horridus: il pastore è talmente addolorato dalla sua morte che tutto ciò che di bello (il paesaggio, in particolare) lo circonda si è trasformato in qualcosa di terribile, di nefasto. Lo stesso critico inoltre afferma che tale sentimento di tristezza è rappresentato tramite immagini naturali, grazie alle quali viene appunto resa esplicita la totale rottura dell'armonia precedentemente menzionata:

Después que nos dejaste, nunca pace en hartura el ganado ya, ni acude

el campo al labrador con mano llena (vv. 296-298)75.

Tuttavia, altri elementi del locus horridus si ritrovano nei seguenti versi:

No hay bien que en mal no se convierta y mude; la mala hierba al trigo ahoga, y nace

en lugar suyo la infelice avena; la tierra, que de buena

gana nos producía flores con que solía

72

R. Lapesa, La trayectoria poética de Garcilaso, pag. 137. 73 Garcilaso de la Vega, obras completas, cit., pag. 78. 74 A. Parker, Tema e imagen en la égloga I, cit., pag. 206. 75 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., pag. 78.

41 quitar en sólo vellas mis enojos,

produce agora en cambio estos abrojos,

ya de rigor de espinas intratable (vv. 299-307)76.

Anche per Nemoroso la perdita della donna amata costituisce una sorta di sovvertimento dell'ordine naturale rendendo, agli occhi del pastore, il locus

amoenus un luogo inospitale: ora il “verde prado” è infestato da erbacce (“la

mala yerba al grano infeconda”) e al posto dei fiori ci sono dei rovi (“estos abrojos”), cresciuti a causa delle lacrime di Nemoroso, le quali sono diventate una sorta di pioggia malefica (“yo hago con mis ojos / crecer lloviendo el frutomiserable”). La natura quindi tende anche a distruggere la felicità umana che lei stessa ha procreato, provocando un dolore da cui è impossibile uscire:

No me podrán quitar el dolorido sentir, si ya del todo

primero no me quitan el sentido (vv. 349-351)77.

Il secondo paragone è quello con un usignolo, il cui nido è stato saccheggiato:

Cual suele el ruiseñor con triste canto quejarse, entre las hojas escondido, del duro labrador, que cautamente le despojó su cara y dulce nido de los tiernos hijuelos, entre tanto que del amado ramo estaba ausente, y aquel dolor que siente

con diferencia tanta por la dulce garganta

despide, y a su canto el aire suena y la callada noche no refrena

su lamentable oficio y sus querellas, trayendo de su pena

al ciego por testigo y las estrellas(vv. 324-337)78.

76 Ivi.

77 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., pag. 79. 78 Ivi.

42 È qui possibile notare un'altra connessione tra un elemento naturale (l'usignolo il cui nido è stato distrutto) e la desolazione di Nemoroso: è come se Nemoroso stesso fosse una specie di usignolo privato della propria amata.

Il canto di Nemoroso termina nella strofa 29 dove, come osserviamo con Rosso Gallo79, a causa della presenza del verbo ver appare evidente che il suo sguardo contempla solo desolazione e morte. Per questo motivo, Nemoroso trova conforto solo immaginando un locus amoenus situato nell'aldilà:

Divina Elissa, pues agora el cielo con inmortales pies pisas y mides, y su mudança ves, estando queda, ¿por qué de mí te olvidas y no pides que se apresure el tiempo en que este velo rompa del cuerpo y verme libre pueda, y en la tercera rueda

contigo mano a mano busquemos otro llano,

busquemos otros montes y otros ríos, otros valles floridos y sombríos donde descanse y siempre pueda verte ante los ojos míos,

sin miedo y sobresalto de perderte? (vv. 394-407)80.

La strofa in questione mostra prima di tutto la ripetizione dei seguenti termini: busquemos, otros e ver. Per quanto riguarda busquemos e otros, il fatto che il verbo buscar sia messo al congiuntivo presente sembra stare ad indicare una sorta di promessa: infatti è come se, una volta riuniti, lui le chiedesse di rivivere quei momenti felici in luoghi altrettanto piacevoli:

… busquemos otro llano,

busquemos otros montes y otros ríos

otros valles floridos y sombríos… (vv. 402-404)81.

79 M. Rosso Gallo, Elementi cosmici e paesaggio nella poesia di Garcilaso, cit., pag. 55. 80 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., pag. 81.

43 Per quanto riguarda invece la ripetizione del verbo ver, osserviamo con Gargano82 che tale voce verbale si presenta nelle seguenti maniere:

1. Nella forma attiva e seconda persona (ves) nel primo piede della fronte, dove Elisa contempla il mondo umano di Nemoroso soggetto alle leggi del mutevole tempo

2. Con uso riflessivo della prima persona, nel secondo piede (verme libre

pueda), dove anche Elisa vuole velocizzare il decorso del tempo e

rinnovare la presenza dell'oggetto amato.

3. Nella prima (pueda verte), dove Nemoroso è riportato alla presenza di Elisa in un locus diverso da quello del passato, trattandosi di un ambiente in cui regna la felicità assoluta.

Nella strofa finale, che pone fine all'Egloga, si ha una bellissima descrizione del crepuscolo con effetti di chiaroscuro poetico:

Nunca pusieran fin al triste lloro los pastores, ni fueran acabadas las canciones que solo el monte oýa, si mirando las nuves coloradas, al tramontar del sol bordadas d'oro, no vieran que era ya passado el día; la sombra se veýa

venir corriendo apriessa ya por la falda espessa

del altíssimo monte, y recordando ambos como de sueño, y acabando el fugitivo sol, de luz escaso, su ganado llevando

se fueron recogiendo passo a passo (vv. 408-421)83.

Come osserva Rosso Gallo84, in questa strofa non si fa nessun accenno al “verde prado” (nominato nei vv. 48, 216 e 241) e all' “agua clara” (vv. 47, 178 e 218), il cui suono si spegne insieme ai canti di Salicio e Nemoroso. Quello che rimane ora è solo il profilo “del altísimo monte” il quale assume il ruolo di spettatore che ascolta il loro canto. Inoltre, in questa strofa assistiamo

82

A. Gargano,«Questo nostro caduco et fragil bene»: forme e significati del locus amoenusnella

égloga I di Garcilaso, cit., pag. 295.

83 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., pagg. 81-82.

44 al tramonto del sole il quale,non solo sembra indicare il momento in cui i pastori si ritirano dai campi con il loro raccolto, ma pare anche preannunciare la morte di Nemoroso.

Se l'argomento principale dell'egloga deriva dal bucolismo virgiliano e ricrea un ambiente in cui la natura assume il ruolo di confidente, Garcilaso ripropone gli elementi tipici del genere, ma li dirotta verso una direzione metaforica o simbolica. Un esempio si ritrova nel pianto di Nemoroso dove, come ho precisato poco fa, il sole che tramonta simboleggia non solo la morte di Nemoroso, ma anche quella di Elisa. Un altro esempio è il lessema “sombra”, il quale non solo indica la frescura del locus amoenus, bensì anche l'oscurità della notte e il momento del lutto. Per quanto riguarda il primo significato, l'ombra è vincolata alla presenza degli alberi, dai quali parte un'altra serie di rimandi simbolici: nell'introduzione dedicatoria, come esamina la già citata studiosa Rosso Gallo, l'“árbol de la victoria” allude al lauro che cigne la fronte del viceré di Napoli per le sue imprese militari, alla cui “sombra”39

si erge l'edera a simboleggiare non solo fedeltà e amicizia, ma è anche la corona del poeta che narra le virtù eroiche del personaggio. Per cui, se nel monologo di Salicio, le immagini dell'edera che si avvinghia all'olmo indica lo stato di lacerazione interiore provocato dal tradimento di Galatea (“viendo mi amada yedra / de mí arrancada, en otro muro asida, / y mi parra en otro olmo entretejida”135 – 137), per Nemoroso essa è una dei confidenti da lui

invocati (“yedra, que por los árboles caminas, / torciendo el paso por su verde seno”, vv. 243-244).

Inoltre, l'immagine della natura come confidente rimanda al mito di Orfeo, il quale affiora nelle parole di Salicio quando nota che anche il paesaggio partecipa emotivamente al suo pianto:

[…] Con mi llorar las piedras enternecen su natural dureza y la quebrantan;

los árboles parece que se inclinan;

las aves que me escuchan, cuando cantan, con differente boz se condolecen

y mi morir cantando me adevinan; las fieras, que reclinan

45 dexan el sossegado sueño,

por escuchar mi llanto triste […](vv.197- 206)85.

Mentre la presenza di pietre, alberi e animali confermano la crudeltà di Galatea, Nemoroso attribuisce il potere orfico alla voce dell'amata (“y aquella boz diuina, / con cuyo son y acentos / a los ayrados vientos / pudieron amansar”, vv.372-375) e accusa la dea Lucina giacché non ha ascoltato le preghiere di Elisa morente.

Per concludere: L'égloga I, come riscontriamo con Parker86, sviluppa l'argomento del locus amoenus utilizzando immagini che ben riflettono il sentimento d'amore. Per questa ragione, nel poema prevale l'idea di un ambiente che “ascolta” e allo stesso tempo “danneggia” chi vi sta intorno. Riferendosi al concetto di amore nel poemetto pastorale in questione, Castiglione osserva:

Tú pones paz y concordia en los elementos, mueves la naturaleza a producir, y convidas a la sucesión de la vida lo que nace. Tú las cosas apartadas vuelves en uno: a las imperfectas das la perfección, a las diferentes la semejanza, a las enemigas la amistad, a la tierra los frutos, al mar la bonanza y al cielo la luz que da la vida87.

Successivamente, dal confronto diretto con il testo è emerso che Salicio vede il grave mal, di cui soffre al presente, estendersi a tutta la sua esistenza, dal momento che non ha rinunciato alla possibilità che il fantasma d'amore si incarni in un oggetto. Cosa diversa invece per Nemoroso, per il quale il grave

mal del presente è una condizione a cui restano estranei sia il passato, che si

conferma nella sua positività, sia il futuro, con le promesse di un'illimitata felicità. Di conseguenza, come afferma Gargano88 l'égloga I indica le due strade che la modernità è costretta a percorrere fino in fondo: l'uomo può decidere di corrompere il rapporto positivo con le cose, e quindi scegliere di guardare alla realtà immanente, oppure di puntare a un'altra realtà intrisa di

85 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., pag. 75. 86

A. Parker, Tema e imagen en la égloga I de Garcilaso, cit., pag. 207. 87 Ibidem, pag. 207.

88 A. Gargano, «Questo nostro caduco et fragil bene»: forme e significati del locus amoenus

46 ricordi e di promesse.

Infine, possiamo affermare che l'égloga I rappresenta l'apice della poesia garcilasiana. In questo componimento, l'autore sperimenta nuovi linguaggi e nuovi mondi poetici: il silenzio delle selve, il colore delle rose, l'edera che si avvinghia agli alberi, gli occhi chiari “que llevaban assí como colgada / mi alma, do quier qu‟ellos se volvían”, la melodia che l'usignolo “con diferencia tanta / por la dulce garganta / despide”. Alla fine dell'egloga, sembra di rientrare da un sogno in cui la bellezza e il dolore si sono resi eterni: “Al terminar la égloga, creemos volver, como los pastores, de un sueño en que la belleza y el dolor se hubiera eternizado”89.

2.4 ÉGLOGA II

2.4.1 STRUTTURA90

L'égloga II, scritta durante il soggiorno a Napoli, presenta una struttura che oscilla fra un discorso panegirico e una pastorale in forma di dialogo, ed allude alla vita sentimentale del duca d'Alba, grande amico del poeta toledano. Essa è suddivisa in tre parti facilmente distinguibili: un'azione drammatica e due narrazioni. Il tema principale è l‟amore come sofferenza che vede il protagonista Albanio perdere la ragione, manifestando l‟intenzione di suicidarsi, a seguito del rifiuto di Camila, sua compagna di giochi nell‟adolescenza. Solo l'arrivo degli amici Salicio e Nemoroso impedisce ad Albanio di togliersi la vita.

L'azione drammatica viene interrotta dalla prima narrazione, attraverso la quale Albanio parla della sua adolescenza trascorsa con Camila e di come l'amicizia si sia trasformata in passione. La seconda narrazione, invece, vede di nuovo Nemoroso come protagonista,il quale elogia e celebra le gesta del duca d'Alba, riferendosi in particolar modo alla caduta in disgrazia dell‟imperatore Carlo V d‟Austria per mano dello stesso duca. Infine, Lapesa paragona la

89 R. Lapesa, la trayectoria poética de Garcilaso, cit., pag. 140. 90 Ibidem, pag. 96-98.

47 struttura dell'egloga II a quella di un quadro rinascimentale, nel quale la figura principale assume la posizione di nucleo centrale. Allo stesso modo, Garcilaso colloca al centro del componimento le scene più drammatiche: il dialogo tra Camila e Albanio vicino alla fonte, la fuga di Camila e la pazzia del pastore.

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