• Non ci sono risultati.

Il locus amoenus nelle egloghe di Garcilaso de la Vega

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il locus amoenus nelle egloghe di Garcilaso de la Vega"

Copied!
88
0
0

Testo completo

(1)

1

INDICE

Introduzione P.3

Capitolo 1 P.5

1.1 Le origini P.5

1.2 Il Locus amoenus in Spagna P.10 1.2.1 Il Locus amoenus nell‟Arcadia di Lope de Vega P.12

1.2.2 Il Locus amoenus nel Don Quijote de la Mancha P. 15

Capitolo 2 P.24

2.1 Brevi cenni biografici sul poeta P. 24 2.2 Significato di Égloga P. 25 2.3 Égloga I: struttura P. 26 2.3.1 Elementi del Locus amoenus nel canto di Salicio P. 27 2.3.2 Il canto di Nemoroso P. 36

2.4 Égloga II P. 46

2.4.1 Struttura P. 46

2.4.2 Il Locus amoenus nell‟Égloga II P. 47

2.5 Égloga III P. 65

Conclusioni P.83

Bibliografia P.85

(2)

2

Ai miei genitori, per l’affetto e l’appoggio che ogni

giorno mi danno.

(3)

3

INTRODUZIONE

In questo mio lavoro di tesi magistrale mi accingo a trattare una tematica che ho trovato molto interessante e allo stesso tempo molto difficile da affrontare a causa della difficoltà dei concetti implicati. Si tratta del topos del locus amoenus presente nelle tre egloghe del maggiore poeta del Cinquecento spagnolo: Garcilaso de la Vega.

Ho scelto di trattare questa tematica con l‟intenzione di cercare di capire come, attraverso le vicende amorose che riguardano i protagonisti dei tre componimenti pastorali presi in esame, l‟individuo possa in qualche modo tentare di stabilire un rapporto positivo-negativo con tutto ciò che lo circonda. Ho scelto di organizzare il mio lavoro nella seguente maniera: attraverso una prima ricerca bibliografica sia presso la biblioteca del mio dipartimento, sia su consiglio della mia relatrice e sia in internet, sono riuscito a dar forma al lavoro che mi ero proposto di realizzare.

La mia tesi consta di due capitoli:

1. Nel I capitolo, intitolato Alle origini del locus amoenus, come il titolo stesso suggerisce, ho cercato di tracciare una sorta di excursus sulle origini del tema qui trattato. Sono partito in primis con il delineare le origini di questo motivo tradizionale rifacendomi soprattutto a Platone, Virgilio e poi all‟arte del Cinquecento. Successivamente ho cercato di individuare, anche tramite un inquadramento storico di riferimento della Spagna dei secoli d‟oro, come il

locus amoenus sia entrato a far parte della cultura letteraria spagnola del

periodo; in particolar modo, mi sono soffermato sul ruolo che esso ricopre nell‟Arcadia di Lope de Vega e nel Don Quijote de la Mancha di Miguel de Cervantes.

(4)

4 Nel secondo e ultimo capitolo ho preso in esame le tre egloghe garcilasiano per studiarvi il ruolo del locus amoenus. Nel paragrafo dedicato all‟analisi della I égloga, ho cercato di analizzare come, attraverso il dolore dei pastori Salicio e Nemoroso (il primo a causa del tradimento di Galatea e il secondo a causa della morte di Elisa), la natura possa in qualche modo cambiare il rapporto che i due protagonisti hanno stabilito con la realtà circostante. Nel paragrafo dedicato alla seconda égloga, ho cercato di presentare un locus amoenus metaforico e filtrato in primis dallo sguardo alienato del pastore Albanio e successivamente dallo sguardo sereno di Salicio e Nemoroso; a tal proposito, ho passato in rassegna alcuni simboli tipici di quell‟epoca (acqua, fonte, vento e caccia), facendo, laddove possibile, dei confronti con alcune strofe della precedente égloga. Infine, nell‟ultimo paragrafo, ho cercato di presentare una natura idealizzata e sublimata dalla costante ricorrenza del binomio che esiste fra Arte e Natura. Anche in questo caso, dove mi era possibile, ho fatto dei paragoni con alcune strofe delle precedenti egloghe.

3. Infine, nella conclusione, ho cercato di tirare le fila di quello che è statO detto fino ad ora

(5)

5

CAPITOLO I

ALLE ORIGINI DEL LOCUS AMOENUS

1.1 LE ORIGINI

Si comincia a parlare di locus amoenus nel periodo che va dal V al IV secolo a.C. con Platone. Originariamente, il termine stava ad indicare un luogo idealizzato e piacevole; poteva essere rappresentato da una fonte, una grotta, un corso d'acqua. Con Platone prende l‟avvio un modello di grande vitalità per tutta la letteratura europea, nel quale il locus amoenus rappresenta il sito ideale per la meditazione filosofica o per la creazione artistica. Platone,come sostiene E.R. Giangioia1, prende spunto dalla valle di Tempe in Grecia, ma forse quello che ancora oggi si può ammirare come locus amoenus rimasto immutato dalla classicità sono le fonti di Clitumno. Successivamente, con Aristotele, si comincia a descrivere il topico anche in letteratura.

Per quanto riguarda la creazione artistica, come sostengono Berti, D'Urso, Giannetti, Pierattini e Solimando2, importanti influenze si ritrovano anche nell'architettura, in particolare nella paesaggistica rinascimentale e successiva. I giardini rinascimentali italiani ed europei prendono spunto dalla mitologia greca e latina: vi ritroviamo gli archetipi proposti da Omero, dai lirici greci, Virgilio, Lucrezio e Ovidio. Abbiamo quindi statue di semidei contornati da grotte, boschi di pioppi, fonti segrete e ricche di acqua.

1

E. R.Giangioia, www.psichenatura.it/fileadmin/img/Scrivere_la_Natura_R.E.Giangoia..pdf, pag. 2: ultima consultazione il 01/02/2017.

2D‟Urso, Giannettini, Pierattini, Solimando, www.bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it, pag.40: ultima consultazione il 01/02/2017.

(6)

6 Di conseguenza, il locus amoenus non è più rappresentato solo dal riparo dalla calura, causa di benessere fisico e felicità sensoriale, ma diventa il segno di un privilegio: uno spazio ideale in cui è possibile praticare le nobili occupazioni del canto, della saggezza, dell‟otium, più in generale, ovvero di occupazioni regolate non da valori concreti, bensì dal puro godimento estetico. I rappresentanti di tutto ciò sono, come sostiene E.R. Curtius3, i pastori; il loro protettore è il dio Pan, il genio dei greggi e inventore del flauto a sette canne.

Il locus amoenus va, però, di pari passo con il locus horridus, dove possono avvenire violenti scontri (vedi Le Metamorfosi di Ovidio o l'anonimo poema epico anglosassone Beowulf) e che rappresenta uno luogo opposto, perché connotato negativamente: si tratta sempre di uno spazio naturale, i cui alberi, invece di offrire una frescura piacevole, producono una tenebra tetra, e le acque delle cui fonti appaiono cupe e torbide, mentre le grotte si descrivono come spelonche buie e paurose; il tutto, dunque, risulta portatore di un forte senso di cupezza e d‟inquietudine. A questo tema si conformerà la descrizione della “selva oscura” dantesca.

La rappresentazione del locus amoenus compare, in primis, nella poesia greca e in quella latina. Per quanto riguarda la prima, l'opera per eccellenza che rappresenta il concetto originario di locus amoenus è l'Odissea.

In Omero, come emblema del locus amoenus in genere, sono rappresentati un gruppo di alberi, un boschetto o una grotta con fonti o fiumi o sorgenti, prati fioriti e terre straordinariamente fertili, abitato da divinità, per lo più ninfe: una natura in certo modo fantastica collocata in luoghi come l'Isola delle Sirene, l'antro del Ciclope Polifemo, il paese dei Lotofagi, il giardino di Alcinoo, ma soprattutto la grotta di Calipso nell‟isola di Ogigia, la cui natura piacevole, tranquilla, priva di tragicità, costituisce un'oasi di fecondità che emerge dal mare. Un esempio più concreto è il podere di Laerte nel giardino di Alcinoo:

3E. R. Curtius, Literatura europea y edad media latina, traducción de M. F. Alatorre y A. Alatorre, Fondo de cultura económica, México – Buenos Aires, 1955, pag. 269.

(7)

7 Oltre il cortile, vicino alle porte, v'è un grande giardino, di quattro misure: ai due lati corre un recinto. Grandi alberi rigogliosi vi crescono, peri e granati e meli con splendidi frutti, fichi dolcissimi e piante rigogliose d'ulivo. Mai il loro frutto marcisce o finisce, né inverno né estate: è perenne. Sempre lo Zefiro gli uni fan crescere, gli altri matura, soffiando. Invecchia la pera sulla pera, sulla mela la mela, sul grappolo il grappolo, il fico sul fico. È piantata li una vigna ricca di frutti: una parte, esposta ai raggi su un aperto terreno, è seccata al sole; le altre uve invece le colgono, altre ancora le pigiano. Davanti sono grappoli acerbi, che gettano il fiore e altri che imbrunano. Lungo l'estremo filare crescono verdure diverse in bell'ordine, che brillano per tutto l'anno. Vi sono due fonti. Una si spande per tutto il giardino, l'altra sotto la soglia dell'atrio scorre verso l'alto palazzo: i cittadini attingono ad essa. Questi, gli splendidi doni degli dei nella casa d'Alcinoo4.

Inoltre, in Omero troviamo già anche il concetto di locus horridus, rappresentato, nella fattispecie, dalla furia del mare, del vento e da foreste oscure per cui la forza d'animo e il coraggio dell'eroe vengono messi a dura prova dalla furia della natura ed è evidente lo smarrimento dei naviganti.

Per quanto riguarda la poesia latina, la fonte principale è costituita dalle

Bucoliche del poeta Virgilio, la cui ambientazione ricorda molto quella

dell‟Arcadia, una regione che il mito greco situava nel Peloponneso e che vedeva come un luogo idilliaco una sorta di paradiso terrestre abitato solo da entità soprannaturali, come ninfe, spiriti della natura, driadi, ecc. I suoi paesaggi risaltano, come sostengono Berti, D'Urso, Giannetti, Pierattini e Solimando5, non solo per la sua grande maestria, ma anche per la sua capacità di selezionare i dettagli più significativi e molto evocativi che delineano lo scenario e ne ricreano l'atmosfera:

4Ibidem, pag. 42. 5 Ibidem, pag. 43.

(8)

8 V'è un grande bosco sul gelido fiume di Cere, ampiamente venerato dalla devozione dei padri; da tutte le parti lo racchiudono colli declivi e una selva di neri abiti. Si tramanda che gli antichi Pelasgi consacrarono a Silvano, dio dei campi e dei greggi, il bosco e un giorno festivo, essi che un tempo abitarono per primi le terre latine. […]; già dalla cime del colle si poteva vedere tutta la regione attendarsi nella vasta campagna. […]. Ma la dea Venere, splendente tra gli eterei nembi, veniva recando doni; come vide lontano in una valle appartata il figlio solitario sul tiepido fiume.6

L'altra opera importante per le descrizioni del paesaggio è Le Georgiche di Virgilio, la quale è suddivisa in quattro libri, accomunati da tematiche molto semplici: il lavoro nei campi, l'alboricoltura, l'allevamento del bestiame e l'apicoltura. Infatti:

- Nel I libro vengono spiegati i vari aspetti della coltivazione dei campi, come la qualità dei terreni, i metodi dell'aratura e della semina e i segni che i pastori devono saper interpretare per evitare catastrofi naturali. Il libro termina con la descrizione della devastazione dei campi a seguito delle guerre civili.

- Nel II libro si ha l'invocazione a Bacco e si parla anche della coltivazione degli alberi, in particolare della vite e dell'olivo.

- Il III libro è dedicato all'invocazione agli dei, lode ad Augusto e preludio dell'Eneide; si parla dei metodi di allevamento del bestiame: buoi, cavalli, pecore e capre, cani. Infine si ha una digressione sulla pestilenza che uccise il bestiame di Norico.

- Il IV libro è dedicato all'invocazione di Apollo.

- Nell'epilogo, Virgilio ricorda il suo soggiorno a Napoli e la stesura delle

Bucoliche. L'autore, come sostengono sia E.R. Giangioia in Scrivere la natura: il rapporto tra natura e cultura nel corso dei secoli sia Berti, D'Urso,

Solimando, Giannetti e Pierattini in Per una definizione del paesaggio in epoca

classica: i testi, evoca immagini che descrivono il suo paesaggio natale;

infatti, lui vuole in primis omaggiare Mantova (la sua città natale) tramite l'introduzione di palme idumee e, allo stesso tempo, omaggiare Cesare con la costruzione di un tempio nella pianura dove scorre il fiume Mincio.

(9)

9 Infine, invoca varie foreste.

L‟influenza di Virgilio è forte nella letteratura medievale, ad esempio lo è nella Divina Commedia, dove l‟Arcadia diventa il simbolo della semplicità dello stile di vita dei pastori e del loro legame idilliaco con la natura. Il concetto di locus amoenus si ritrova anche nella canzone di Petrarca Chiare,

fresche et dolci acque, dove il poeta intraprende una sorta di dialogo con la

natura, ricordando i bei momenti con Laura e riflettendo sul suo destino; nel

Decameron boccacciano, infine, si identifica con il rifugio in cui i dieci

narratori si riparano dalla peste.

A tal proposito, prendiamo brevemente ad esempio la terza giornata dell'opera di Boccaccio: siamo ad alba inoltrata; il colore del cielo ci indica che ci apprestiamo ad „entrare‟ in un momento piacevole; la compagnia dei dieci narratori si mette in marcia ed entra in un locus amoenus che, grazie al canto degli usignoli, di altre varietà di uccelli e della composizione del giardino a cui più tardi giungeranno, è la perfetta rappresentazione del Paradiso Terrestre.

Il locus amoenus riemerse poi nell'arte pastorale del XVIII secolo, dove la vita dei pastori era vissuta come una sorta di beatitudine e i pastori stessi erano considerati parte integrante del paesaggio naturale in cui erano immersi.

(10)

10 1.2 IL LOCUS AMOENUS IN SPAGNA

Prima di approfondire la diffusione del locus amoenusin Spagna, vorrei delineare brevemente un quadro storico del periodo di riferimento, ovvero i cosiddetti secoli d’oro. Tale periodo inizia nei primi del Cinquecento e impernia tutto il Seicento e corrisponde al periodo di maggior gloria politica e militare della nazione da poco giunta all'unità. Indicativamente, è chiamata Rinascimento la prima parte, mentre per Barocco si intende il periodo seicentesco.

Nel Rinascimento, per quanto riguarda la letteratura, si afferma il genere pastorale, in cui compaiono personaggi appartenenti al mondo contadino. Il primo esempio di questo genere è la Diana dello scrittore portoghese Jorge de Montemayor. In quest'opera primeggia una delle tematiche fondamentali che ci interessano, ovvero la Natura. Essa ci fornisce lo scenario in cui si muovono i pastori con gli elementi tipici di tutte le pastorali spagnole, e non solo, tanto in verso come in prosa: un prato, un fiume, una fonte e alcuni alberi. Ma tale sfondo cambia nel momento in cui i pastori si allontanano dal luogo natio. Ciò avviene all'inizio del libro IV, il quale marca il passaggio dal mondo naturale dei pastori a quello fantastico della saggia Felicia. Tale separazione avviene con il palazzo di Felicia, tipico modello di architettura rinascimentale.

In poche parole, il Rinascimento è l'epoca in cui si cantano con fervore le glorie del potere della Natura, dal momento che essa è diventata una sorta di divinità, di semi-dio. Infatti, tutti i personaggi della Diana vivono in base al concetto di Natura naturans: natura come forza creativa.

Il cosiddetto Barocco è considerato un periodo di grande progresso scientifico-tecnico per l‟Europa in genere, ma non per la Spagna, la quale, soprattutto nella seconda metà del 600, visse un periodo di forte flessione economica. La nazione, da sempre cattolicissima e baluardo della cristianità, risentì molto dell‟influenza che la Controriforma esercitò sulla chiesa. Ciò nonostante, l‟arte non venne comunque meno nel periodo.

(11)

11 Infatti, anche nel Barocco è la letteratura a prevalere, ma cresce anche l‟importanza della pittura, la quale si ispira ai motivi della difficile vita quotidiana pervasa da visioni di sogno e caos. Di conseguenza, il nucleo artistico presta grande attenzione ai sensi, per cui ogni arte, pittura, scultura o letteratura che si rispetti cerca di esprimersi attraverso varie forme espressive; nel caso della letteratura, si ha un sovraccarico di immagini brillanti, di idee ingegnose che vanno in ogni caso a colpire l‟immaginazione del lettore. Per questo motivo la letteratura si converte in azione, in movimento proprio a causa dell‟abbondanza di immagini inaspettate, di idee, di termini contrari come brutto e bello, tragico e comico; il tutto con il solo scopo di arricchire appunto l‟immaginazione sensoriale dei lettori.

Successivamente, si assiste alla nascita di due concetti fondamentali: 1. Concettismo: tale termine presta molta attenzione ai concetti, crea giochi di

parole, ricerca la simmetria nelle frasi che, in alcune occasioni, sono cariche di simbologia, mentre in altre esse vengono riassunte in maniera concisa. Molto importante è anche l‟utilizzo dell‟umore, il quale serve a deformare la realtà. Per quanto riguarda invece l‟aspetto formale, il Concettismo gioca con l‟antitesi delle parole, immagini, figura e utilizza spesso parole con doppio senso;

2. Culteranismo: per quanto riguarda questo concetto, esso si differenzia totalmente dal Concettismo; se nel primo caso si presta molta attenzione all‟immaginazione ed ai sensi, in questo caso si tende a trascendere e a mettere in disparte la realtà con l‟unico obiettivo di creare la bellezza. Per questo motivo il Culteranismo presta molta attenzione al linguaggio in tutti i suoi aspetti; dal vocabolario alla sintassi, dalle inversioni grammaticali fino ai motivi mitologici. Dunque il lessico si rinnova anche grazie all‟introduzione di termini colti provenienti dal latino.

(12)

12 A livello letterario, si afferma il sonetto come schema poetico più frequente ed apprezzato. I temi seguiti rimasero in parte i classici petrarchiani, ma risentirono anche della condizione della Spagna a quei tempi: vi si riflettono perciò pessimismo e spregiudicatezza. Tra i sonettisti più importanti ricordiamo Lope de Vega, Francisco de Quevedo e Luis de Góngora. A livello teatrale assistiamo alla nascita del teatro estudiantil, cortesano, popular ed a una vera e propria rivoluzione operata da Lope de Vega.

Infine, un altro genere affermatosi in questo periodo fu l‟auto sacramental, opera di stampo allegorico-religioso diretta anche al popolo e non solo alle élite acculturate. Grandi autori del periodo, oltre a quelli finora citati, sono Miguel de Cervantes e Pedro Calderón de la Barca.

1.2.1 IL LOCUS AMOENUS NELL'ARCADIA DI LOPE DE VEGA

Spostandoci più avanti, ovvero nel 1600, un altro esempio significativo lo ritroviamo in Lope de Vega, uno dei più importanti autori dei secoli d‟oro spagnoli. Per quanto concerne la tematica del locus amoenus, la sua opera più importante è il romanzo pastorale Arcadia, pubblicata nel 1598. Scritta a imitazione dell'omonima opera di Iacopo Sannazaro, racconta gli amori di Anfrisio e Belisarda e fu composta da Lope quando si trovava in esilio ad Alba de Tormes ed era al servizio di don Antonio Álvarez de Toledo, quinto duca d'Alba, celato appunto dietro le sembianze di Anfrisio.

L'opera alterna prosa e verso ed è formata da cinque libri con una tematica molto semplice: il pastore Anfriso è convinto che la sua amata Belisarda preferisca a lui un altro pastore, Olimpio. Accecato dalla gelosia, percorrerà vari luoghi e paesaggi fino allo scioglimento finale. Come possiamo capire da questo breve riassunto, Lope De Vega evoca un paesaggio greco idilliaco, il quale rappresenta la patria mitica degli dei e delle ninfe. Si tratta dell'Arcadia, simbolo della felicità.

(13)

13 Christian Andrés, nel suo saggio El locus amoenus en la Arcadia de

Lope de Vega: intertextualidad y sensibilidad artística ci fa notare che all'inizio

dell'opera l‟autore offre una descrizione sintetica e artistica del paesaggio, allontanandosi da un genere convenzionale; man mano che la leggiamo, il paesaggio evocato si avvicina sempre di più ai nostri occhi, ai pastori che fino a quel momento erano assenti, ed assumerà la forma di un bosco di pioppi bianchi:

Entre otras apacibles partes que alegraban y enoblecían el ameno sitio, era un espeso bosque de blancos álamos, floridos espinos e intricadas zarzas, a quien mil amorosas vides enamoraban y con estrechas lazadas entretejían7.

Come possiamo notare dalla precedente citazione, il locus amoenus comincia a prendere forma. Agli elementi già elencati, agli altos robles, azules

lirios, espadas frágiles y siempre verdes mirtos, si aggiungono ora i seguenti

elementi: álamos blancos, zarzamora e vid báquica. Successivamente, alla descrizione del paesaggio si aggiungono ulteriori elementi:

En los prados que por algunas distancias se descubrían, parece que la maestra naturaleza quiso que la tierra compitiese con la hermosura de las estrellas del cielo en la variedad de las flores, y que allí descogió la primavera de las fábulas sus pintadas alhombras por los hurtos de Júpiter; […] allí estaba el blanco narciso listado de oro, oloroso testigo de la filautía y amor proprio de aquel mancebo que engañó la fuente; y la rosa

encarnada que restituyó a Apuleyo en su primera forma, nacida de la

sangre de los pies de Venu cuando corriendo por las espinas fue a socorrer a Adonis; y la flor en que por ella transformado, no menos olorosa que su madre Mirra; y el lino en que se convirtió su esposo de Hipermestra[…]8.

Tale descrizione ubbidisce ai canoni descritti da E. R. Curtius:

7

C. Andrés, El locus amoenus en la Arcadia de Lope de Vega: intertextualidad y sensibilidad artística, http://cvc.cervantes.es/literatura/aiso/pdf/04/aiso_4_1_012.pdf, pag. 155: ultima consultazione il 30/01/2017.

(14)

14 Los poetas posteriores toman del paisaje homérico varios motivos que después se convierten en patrimonio estable de una larga cadena de tradiciones: el lugar encantado de eterna primavera, escenario de la vida bienaventurada de más allá de la tumba; el paraje placentero, con su árbol, su fuente, su prado; el bosque poblado de diversas especies de árboles; la alfombra florida.9

Inoltre, ci fa notare che in questo frammento Lope de Vega cita elementi floreali come il narciso, la rosa e il giglio. Questi sono il primo abbozzo di un paesaggio destinato successivamente ad accogliere i personaggi e le loro storie d'amore:

Esta eterna habitación de faunos y hamadríades era tan celebrada de enamorados pensamientos que apenas en toda la espesura se hallara tronco sin mote escrito en el liso papel de su corteza tierna; porque ni el río corrió jamás sin amorosas lágrimas, ni respondió la parlera Eco menos que a tristes quejas; porque hasta los dulces cantos de las libres aves repetían enternecidos sentimientos, y las indomables fieras con mal formados bramidos enamoradas lástimas. Parece que aquí se abrazaban los árboles naturalmente, y que los mudos peces gemían por las corrientes aguas, y que ayudaba el cielo con apacibles vientos y temblados días […]10.

A questo punto entra in scena il personaggio di Belisarda. La sua apparizione avviene in un quadro temporale e bucolico armonioso: il paesaggio e la contadina si fondono fino a formare un tutt'uno melodioso. Successivamente appare anche Anfriso. Tutto questo costituisce, da parte di Lope de Vega, un tentativo di far interagire l'uomo con il paesaggio che lo circonda.

Per dimostrarlo, Andrés cita questo passaggio del Libro II dell'Arcadia dove Anfriso immagina che, lontano dalla sua amata, tutto ciò che lo circonda sia diventato inquietante ed ostile:

9 E. R. Curtius, Literatura latina y edad medio europea, cit., pag. 268. 10 Ibidem, pag. 156.

(15)

15 Y mira qué desconfiado estoy de consuelo, pues son árboles y fuentes, cuyas hojas piensas contar y en cuyas aguas piensas ver mi rostro, se los he de pedir a mi fantasía fingidos, o buscar de necesidad otros que se les parezcan; y como los engaños atormentan tanto cuando se acaban, cualquier fingimiento de éstos aumentará mi dolor. Yo viviré, finalmente, como si muriese, y moriré como quien sin ti no puede vivir; ni cantaré cosa alegre, ni gustaré de la que no fuere triste. Los árboles verdes y hojosos me ofenderán, y los más estériles y sin fruto me darán gusto; entre peñascos solos será mi habitación, y las aldeas mi desierto; no consentiré que algún ave anide ne se junte donde yo lo vea, ni cosa que parezca compañía alegrará mi soledad11.

Anche Belisarda, lontana da Anfriso, prova gli stessi sentimenti di tristezza e solitudine. Da questo momento in poi, dice Andrés, il paesaggio diventerà portavoce di sentimenti dolorosi.

Per concludere, possiamo affermare che Lope ricostruisce a modo suo il tema della natura rispettando, però, le convenzioni retoriche e stilistiche del genere pastorale: paesaggio ombreggiato, una fonte o un fiume, un posto dove sedersi, una grotta, fiori, alberi, arbusti e altri elementi naturali.

(16)

16 1.2.2 LOCUS AMOENUS IN DON QUIJOTE DE LA MANCHA

Il concetto di locus amoenus si ritrova anche nel capolavoro di Miguel de Cervantes, Don Quijote de la mancha, la cui prima parte venne pubblicata nel 1605 A partire dal capitolo XI della prima parte, dove don Chisciotte pronuncia il discorso sull'Età dell'Oro, fino al momento in cui il protagonista stesso decide di diventare pastore, nell'opera ritroviamo una serie di episodi a sfondo bucolico o pastorali, che possiamo riassumere nei seguenti:

- La novella intercalata di Marcela e Grisóstomo: con la storia di Marcela e Grisóstomo, il genere bucolico fa la sua prima apparizione all'interno del

Chisciotte. La storia inizia con l'annuncio della morte del pastore Grisóstomo, e

a raccontarla è un capraio. Miguel Márquez, nel suo saggio Loci amoeni en el

Quijote: el arte de la transición en los episodios pastoriles ci dice che l'inserto

narrativo preso in questione può essere definito un'analessi mista, perché si riferisce a un momento anteriore al presente, anche se lo scioglimento (la morte di Grisóstomo e la sua successiva sepoltura) avviene all'interno della narrazione principale.

Don Chisciotte e Sancio arrivano in tardo pomeriggio in una stalla dove sono ben accolti da alcuni caprai. È proprio in quest'occasione che il protagonista pronuncia il suo discorso sull'Età dell'Oro, al termine del quale viene a conoscenza di uno studente-pastore innamorato. A tal proposito, María Victoria de la Quadra-Salcedo, nel suo saggio Algunos aspectos de lo

“pastoril” en el Quijote dice che Cervantes mette in contrapposizione due

piani paralleli:

1) Uno è il piano della Poesia, rappresentato dal discorso sull'Età d'Oro che si reincarna nella figura del pastore-studente innamorato che canta storie amorose.

2) L'altro rappresenta la Storia (i caprai), ovvero la trama principale dell‟episodio in questione.

(17)

17 Dal capitolo XII al XIV ci si addentra nel mondo poetico di Grisóstomo e nel conflitto fra i due piani appena menzionati. La già citata studiosa De la Quadra Salcedo, a questo proposito, sostiene che lo scopo dell'autore è quello di mostrarci tutte le sfaccettature di queste due realtà per ricercare, attraverso di esse, una verità unica. Infatti ci sono momenti in cui sembra che Cervantes ritenga che il mondo poetico esista solo nella mente dell'uomo, perché è grazie alla poesia che c'è la possibilità di un ritorno al passato.

In ogni caso, esistono anche momenti in cui questi due piani (realtà e finzione) convergono fra di loro. Per prima cosa, pare che Cervantes abbia interposto la storia di Marcela fra l'episodio del Biscaglino e quello degli abitanti di Yanguas. Dice Miguel Márquez, nel già citato Loci amoeni en el

Quijote, che la versione originale sarebbe dovuta terminare con la descrizione

del locus amoenus che fa da sfondo all'episodio degli abitanti, così da permettere una leggera transizione fra il finale della storia di Marcela e l'avventura appena esposta, la quale è una parodia di uno degli elementi pastorali più influenti:

Cuenta el sabio Cide Hamete Benengeli que, así como don Quijote se despidió de sus huéspedes y de todos lo que se hallaron al entierro del pastor Grisóstomo, él y su escudero se entraron por el mesmo bosque donde vieron que se había entrado la pastora Marcela, y, habiendo andado más de dos horas por él, buscándola por todas partes, sin poder hallarla, vinieron a parar a un prado lleno de fresca yerba, junto del cual corría un arroyo apacible y fresco: tanto, que convidó y forzó a pasar allí las horas de la siesta, que rigurosamente comenzaba ya a entrar12.

Per quanto riguarda invece l'unione fra la storia di Marcela e quella del Biscaglino, secondo Márquez, Cervantes utilizza il personaggio di Antonio il quale possiede le sufficienti conoscenze letterario-musicali per cantare le sue storie, rendendolo quindi più vicino al mondo bucolico. A differenza di Lope de Vega, Miguel Márquez dice che Cervantes non descrive dettagliatamente il

locus amoenus, ma se ne serve per facilitare l'immissione di episodi pastorali

nel don Quijote.

(18)

18 - La seconda storia a sfondo bucolico è la breve novella intercalata di Leandra: inizia nel capitolo LI, dove vediamo che Cervantes descrive molte persone che piangono le loro sventure amorose, e in particolare l'abbandono da parte di Leandra, “famosa por su virtud y elogiada por todos por su belleza”. La ricchezza del padre e le virtù della figlia fecero sì che ella avesse molti pretendenti; ma ve ne erano due, in particolare, che avevano più possibilità degli altri: Anselmo ed Eugenio (il capraio che racconta la storia). Il padre non si pronunciava per nessuno dei due per rispettare la volontà di Leandra e lasciarla scegliere liberamente. Ma Leandra, in un primo momento, si innamora di un soldato fanfarone, Vicente de la Rosa, da poco rientrato dall'Italia, che più tardi, però, l'abbandona; il padre decide allora di rinchiuderla in un convento e, di conseguenza, tutti i suoi pretendenti (Eugenio, il suo amico Anselmo ma anche altri) si ritirano in campagna addolorati dall'assenza della loro amata. Tutti insieme, formano una nuova Arcadia:

A imitación nuestra, otros muchos de los pretendientes de Leandra se han venid estos ásperos montes usando el mismo ejercicio nuestro, y son tantos, que parece que este sitio se ha convertido en la pastoral Arcadia, según está colmo de pastores y de apriscos, y no hay parte en él donde no se oiga el nombre de la hermosa Leandra. Éste la maldice la llama antojadiza, varia y deshonesta; aquél la condena por fácil y legera; tal la absuelve y perdona, y tal la justicia y vitupera; uno celebra su hermosura, otro reniega de su condición, y, en fin, todos las deshonran y todos la adoran, y de todos se estiende a tanto la locura, que hay quien se queje de desdén sin haberla jamás hablado13.

Con l'irruzione di questo episodio pastorale, si presenta, come dice Quadra-Salcedo, non solo il problema del libero arbitrio della donna (Leandra), ma anche la fuga dell'uomo dalla realtà per rifugiarsi appunto in un mondo poetico e idealizzato. In questo caso, però, la studiosa sostiene che c'è una differenza rispetto all'episodio di Marcela: se nell'episodio precedente si assisteva alla distruzione personale di Grisóstomo a causa dell'amore per Marcela, qui assistiamo a quella personale di Leandra.

(19)

19 Vediamo ora il ruolo del locus amoenus in questo episodio. Finora Márquez aveva molto insistito sul fatto che nel Quijote il locus amoenus ci trasporta da un qualcosa di concreto (il mondo reale) a un qualcosa di immaginario. Infatti, spazialmente, troviamo nel cammino reale una deviazione che ci porta ad un luogo isolato. Nel caso della storia di Leandra, il mondo reale è quello costituito dall'incontro del canonico e i suoi servi con il gruppo formato da don Chisciotte, Sancio, il gruppo della Santa Fratellanza, il parroco e il barbiere travestiti. Dopodiché, come Márquez riporta, si entra in un mondo fittizio (la storia di Leandra), e sarà solo grazie all'incontro con gli studenti che ritorneremo al mondo „reale‟. Inoltre, il citato studioso aveva precisato che uno dei tratti più distintivi di Cervantes consiste nell'evitare ogni tipo di descrizione del locus amoenus negli episodi bucolici, dal momento che li collega al mondo cosiddetto reale. È, infatti, proprio in un locus amoenus dove ha luogo il pranzo e dove i commensali ascoltano il racconto del capraio:

Ya en esto volvían los criados del canónigo que a la venta habían ido por la acémila del repuesto, y haciendo mesa de una alhombra y de la verde yerba del prado, a la sombra de unos árboles se sentaron, y comieron allí, porque el boyero no perdiese la comodidad de aquel sitio, como queda dicho14.

Qui Márquez ci fa notare che, sebbene la descrizione sia molto schematizzata, porta con sé due elementi fondamentali nella connotazione del

locus amoenus: l'erba e l'ombra degli alberi.

Y, así, con aquel espacio caminaron hasta dos leguas, que llegaron a un valle, donde le pareció al boyel barbero ser lugar acomodado para reposar y dar pasto a los bueyes; y comunicándolo con el cura, fue de parecer que caminasen un poco más,porque él sabía detrás de un

recuesto que cerca de allí se mostraba había un valle de masyerba y

mucho mejor que aquel donde parar querían. Tomóse el parecer del barbero y, así,tornaron a proseguir su camino15.

Qui Cervantes utilizza il termine “recuesto” (“sitio o lugar en declive”, secondo il Diccionario della Real Academia Española de la Lengua) come

14 Quijote I, L. 15 Quijote I, XLIX.

(20)

20 motivo spaziale di separazione fra la valle ed il sentiero. Curiosamente, alla fine dell'episodio, un altro „recuesto‟ ci porterà dal locus amoenus della storia di Leandra fino al sentiero in cui si incontreranno poi i disciplinati:

Era el caso que aquel año habían las nubes negado su rocío a la tierra y por todos los lugares de aquella comarca se hacían procesiones, rogativas y disciplinas, pidiendo a Dios abriese las manos de su misericordia y les lloviese; y para este efecto la gente de una aldea que allí junto estabavenía en procesión a una devota ermita que en un recuesto de aquel valle había16.

Successivamente, Márquez individua un altro punto di unione: esso si ha nel dibattito che don Quijote e il canonico hanno sui libri di cavalleria. Nell'avventura del cavaliere del lago, don Quijote fa una descrizione di un

locus amoenus:

¿ … se arroja en mitad del bullente lago, y cuando no se cata ni sabe dónde ha de parar, se halla entre unos floridos campos, con quien los Elíseos no tienen que ver en ninguna cosa? Allí le parece que el cielo es más transparente y que el sol luce con claridad más nueva. Ofréceselo a los ojos una apacible floresta de tan verdes y frondosos árboles compuesta, que alegra a la vista su verdura, y entretiene los oídos el dulce y no aprendido canto de los pequeños, infinitos y pintados pajarillos que por los intricados ramos van cruzando. Aquí descubre un arroyuelo, cuyas frescas aguas, que líquidos cristales parecen, corren sobre menudas arenas y blanca pedrezuelas, que oro cernido y puras perlas semejan…17

.

Si assiste dunque ad una lenta transizione, poiché si passa da un locus

amoenus “reale” ad uno ideale rappresentato da don Quijote nell'avventura del

Cavaliere del Lago e che corrisponde esattamente a quello dell'Arcadia rinnovata da Eugenio e Anselmo.

Per quanto riguarda le coordinate temporali del locus amoenus, Márquez nota che vi è un chiaro riferimento da parte del barbiere a inizio capitolo, il quale si ripete anche nel paragrafo successivo (“porque él determinaba de

sestear en aquellugaraquella tarde):

16 QuijoteI, LII. 17 QuijoteI, L.

(21)

21 - Aquí, señor licenciado, es el lugar que yo dije que era bueno para que,

sesteando nosotros, tuviesen los bueyes fresco y abundoso pasto.18

Poco più avanti, quando i servi del canonico ritornano con le provviste, si ha un'altra indicazione temporale:

Ya en esto volvían los criados del canónigo que a la venta habían ido por la acémila del repuesto, y haciendo mesa de una alhombra y de la verde yerba del prado, a la sombra de unos árboles se sentaron, y comieron allí, porque el boyero no perdiese la comodidad de aquel sitio, como queda dicho.19

A fine racconto, c'è un ulteriore riferimento temporale:

Ésta es la historia que prometí contaros. Si he sido en el contarla prolijo no seré en serviros corto: cerca de aquí tengo mi majada y en ella tengo fresca leche y muy sabrosísimo queso, con otras varias y sazonadas frutas no menos a la vista que al gusto agradables...20.

Sebbene non sia ben esplicito, ci sono degli elementi che ci indicano che siamo all'inizio della sera:

1) In primo luogo, abbiamo il capraio che dice di essersi dilungato troppo nel raccontare la storia (“Si he sido en el contarla prolijo);

2) In secondo luogo, l'offerta di cibo che il capraio fa (“tengo fresca leche y muy sabrosísimo queso con otras varias y sazonadas frutas) ci indica che siamo vicini all'ora della cena;

3) Infine, il capraio invita a trascorrere la notte nella sua stalla, come era già accaduto nel capitolo della storia di Marcela.

In conclusione, nella prima storia analizzata il locus amoenus ci introduce nel mondo pastorale di Marcela, mentre nella storia di Leandra vi entriamo tramite motivi spaziali e temporali.

18 Quijote I, XLVIII. 19 QuijoteI, L. 20 Quijote I, LI.

(22)

22 - La terza storia è quella dell'Arcadia simulata: tale episodio inizia nel capitolo LVIII già inoltrato, quando don Quijote e Sancho, di ritorno da Barcellona, inciampano in una rete di filo verde e vi rimangono aggrovigliati. Tutto questo, come afferma Quadra-Salcedo, segna l'inizio di una nuova serie di avventure, in cui Quijote rinuncia alla sua vita di cavaliere errante per voler diventare pastore:

Yo compraré algunas ovejas, y todas las demás cosas que al pastoral ejercicio son necesarias, y llamándome yo el pastor Quijótiz, y tú el pastor Pancino, nos andaremos por los montes, por las selvas y por los prados, cantando aquí, endechando allí, bebiendo de los líquidos cristales de las fuentes, o ya de los limpios arroyuelos o de los caudalosos ríos. Daránnos con abundantísima mano de su dulcísimo fruto las encinas, asiento los troncos de los durísimos alcornoques, sombra los sauces, olor las rosas, alfombras de mil colores matizados los estendidos prados, aliento el aire claro y puro, luz la luna y las estrellas, a pesar de la escuridad de la noche; gusto el canto, alegría el lloro; Apolo versos, el amor conceptos, con que podremos hacernos eternos y famosos, no sólo en los presentes sino en los venideros siglos”21

.

Nel momento in cui Don Quijote minaccia di distruggere le reti, appaiono, come riporta Márquez: “dos hermosísimas pastoras: a lo menos vestidas como pastoras”22. Entrambe le parti (Don Quijote e Sancho e le due contadinelle) rimangono meravigliate: i primi perché vedono due rappresentanti del mondo bucolico e le seconde perché assistono alla rinascita del mondo cavalleresco:

En una aldea que está hasta dos leguas de aquí, donde hay mucha gente principal y muchos hidalgos y ricos, entre muchos amigos y parientes se concertó que con sus hijos, mujeres y hijas, vecinos, amigos y parientes nos viniésemos a holgar a este sitio, que es uno de los más agradables de todos estos contornos, formando entre todos una nueva y pastoril Arcadia, vistiéndonos las doncellas de zagalas y los mancebos de pastores. Traemos estudiadas dos églogas, una del famoso poeta Garcilaso, y otra del excelentísimo Camoes en su misma lengua portuguesa, las cuales ahora no hemos representado...23.

21 Quijote II, LVIII. 22 Ibidem.

(23)

23 Anche in questo caso Márquez ci comunica che siamo di fronte alla stessa tecnica Cervantina esposta nei due episodi precedenti: nessuna descrizione del topico all'interno degli episodi pastorali.

Successivamente riprendono il loro cammino e sono investiti da una mandria di tori. Dopo tale incidente, si ritirano in un locus amoenus:

Al polvo y al cansancio que don Quijote y Sancho sacaron del descomedimiento de los toros socorrió una fuente clara y limpia que entre una fresca arboleda hallaron, en el margen de la cual, dejando libres y freno al rucio y a Rocinante, los dos asendereados amo y mozo se sentaron24.

Talmente tanta è la vergogna per questo incidente che don Quijote si rifiuta di mangiare e di dormire. Sancho allora lo consola:

- […] y sepa, señor, que no hay mayor locura que la que toca en querer desesperarse como vuestra merced, y creáme y después échese a dormir un poco sobre los colchones verdes destas yerbas, y verá como cuando despierte se halla algo más aliviado.

- […]. Agradeciéndoselo don Quijote, comió algo, y Sancho mucho, echáronse a dormir entrambos, dejando a su albedrío y sin orden alguna, pacer del abundosa yerba de que aquel prado estaba lleno a los dos continuos compañeros y amigos Rocinante y el rucio. Despertaron algo tarde, volvieron a subir y a seguir su camino, dándose priesa para llegar a una venta que al parecer una legua de allí se descubría25.

Qui notiamo che don Quijote si mette a fare un pisolino. Márquez dice che tale avvenimento è molto sorprendente perché prima di ora era Sancho a cedere spesso al sonno, mentre don Quijote era solito mantenersi sveglio. Quindi c'è un' antitesi fra vigilia/sonno. Il sonno inoltre simboleggia l'immagine della morte, cosa di cui Cervantes era ben consapevole. Infatti, al ritorno da Barcellona, don Quijote ricorda l'episodio dell'Arcadia simulata e si immagina di convertirsi alla vita pastorale, anticipando quindi il finale del romanzo.

24 Quijote II, LIX. 25 Ivi.

(24)

24

CAPITOLO 2

IL LOCUS AMOENUS NELLE TRE EGLOGHE DI GARCILASO DE LA VEGA

2.1 BREVI CENNI BIOGRAFICI SUL POETA26

Garcilaso de la Vega (1501 0 1503- 1536) è stato uno dei maggiori poeti della letteratura spagnola dei secoli d‟oro. Il suo merito è quello di avere contribuito alla diffusione, in territorio spagnolo, della nuova metrica italiana come il sonetto, le ottave e il verso libero. Avvincente figura di poeta-soldato, morì a seguito delle ferite riportate in Francia in occasione della campagna militare contro Francesco I.

Nato in una nobile famiglia di Toledo entrò a servizio presso la corte di Carlo V, che seguì nelle sue spedizioni militari. Già da sposato, si innamorò di Isabel Freyre, damigella della moglie del re Isabella di Portogallo, ma il suo amore non fu corrisposto. Nel 1529 seguì il re in Italia, dove venne a conoscenza della cultura rinascimentale, in particolare di Francesco Petrarca e Ludovico Ariosto.

Successivamente fu confinato su un'isola del Danubio per essersi presentato ad un matrimonio contro la volontà del re. Partecipò poi a varie spedizioni e nel 1536 diresse l'assalto alla fortezza di Muy, in Provenza.

Nella sua personalità occorre distinguere due tratti fondamentali: da un lato, il fatto che nelle sue poesie non si parla di guerra, sebbene lui sia stato un soldato; dall'altro un carattere essenzialmente laico. Il poeta possedeva tutte le caratteristiche del buon cortigiano: valente nelle armi, cortese nelle relazioni sociali, profondo conoscitore della cultura classica, poeta colto e ispirato.

26 Á.Valbuena Prat, Storia della letteratura spagnola, versione italiana, note e bibliografia a cura di G. M. Bertini, Loescher Editore Torino, 1961, pagg. 439-440.

(25)

25 I suoi versi armoniosi e musicali, in stile petrarchesco e in cui domina il tema amoroso, furono raccolti, dopo la sua morte, nel Canzoniere (1543), dalla moglie dell'amico poeta Juan Boscán. Il suo repertorio vanta anche delle odi in latino.

2.2 SIGNIFICATO DI EGLOGA27

Prima di procedere all'analisi delle Egloghe di Garcilaso, vorrei brevemente spiegare il genere dell'Égloga.

L'Égloga, o ecloga, è un componimento bucolico in forma dialogica, con significato allegorico e celebrazione della vita agreste e il cui elemento tipico e costante nei secoli fu la finzione dell'esistenza semplice e pura, scappatoia per le anime tormentate da passioni. Fu in questo senso che il genere in questione entrò nel dramma pastorale italiano e nel romanzo pastorale inglese, francese e spagnolo.

In ambito spagnolo, le più famose sono appunto le Egloghe di Garcilaso de la Vega. A differenza dei sonetti, esse sono la rappresentazione di un concetto espresso tramite immagini: si tratta dell'amore negato, il quale viene qui raccontato da tre angolazioni diverse, in ciascuna delle quali il poeta si identifica nella vittima, acquistando il nome e la voce del personaggio.

Egli quindi è:

- Salicio che parla dell'amore negato a causa del tradimento dell'amata; - Nemoroso che invece racconta il dolore causato dalla morte dell'amata; - Albanio che perde la ragione a causa della frigidità dell'amica, oppure perchè quest'ultima ha fatto voto di castità alla dea Diana.

In poche parole, in ogni Égloga ritorna una certa idea di desiderio, di amore.

27 M. Di Pinto, Introduzione a Garcilaso de la Vega, Le egloghe, a cura di Mario Di Pinto, Giulio Einaudi editore, Torino, 1992, p. XI.

(26)

26 2.3 EGLOGA I: STRUTTURA28

Come nel caso dell'egloga II, sono state formulate varie teorie a proposito della struttura e anche delle fonti autobiografiche di questo componimento. Secondo Entwistle29, il lamento di Salicio è stato inserito nell'inverno fra il 1531 e il 1532, periodo in cui Garcilaso si allontanò da Toledo, dove invece vi era rimasta Isabel Freyre, la donna che lui amava. Invece, il lamento di Nemoroso è stato aggiunto nel 1533 o 1534, nel periodo in cui, dopo la morte di Isabel, Garcilaso ritornò a Toledo. Infine l'invocazione a Diana e la dedica al viceré di Napoli sonostate redatte nel 1536.

L'opera segue il seguente schema: una breve introduzione, una dedica e due lunghi interventi effettuati rispettivamente da Salicio e Nemoroso e che Garcilaso ha preparato con molta cura. Infatti, in quest'égloga sembra che il tempo si sia fermato, creando quindi una sospensione della vita ordinaria. Natura e sentimento vanno all'unisono e, di conseguenza, si viene a formare un'armonia fra l'emozione umana e i fenomeni naturali e che impernia tutta l'égloga.

28

R. Lapesa, La trayectoría poética de Garcilaso, edición corregida y aumentada, Ediciones Bella Bellatrix Istmo, Madrid, 1985, pag. 125.

29W. J. Entwistle, Los amores de Garcilaso, in La poesía de Garcilaso: ensayos críticos, ed. Elías L. Rivers, editorial Ariel, Barcelona – Caracas – México, 1981, pagg. 71-82.

(27)

27 2.3.1 ELEMENTI DEL LOCUS AMOENUS NEL CANTO DI SALICIO

Nel suo libro Introduzione a Garcilaso de la Vega, le egloghe, Mario di Pinto, a proposito dell'Egloga in questione, dichiara quanto segue:

Il codice che significa la presenza dell'amore, o di una sua mutazione, è un luogo gradevole e primaverile, dove è un verde prato, un'ombra fresca e una fonte di acque cristalline e mormoranti, stranamente simile al giardino incantato della medievale Razón de la Rose, progenie tutti del capostipite paradiso biblico. E tuttavia il locus di Garcilaso non è un topos pedissequamente riprodotto e nemmeno un paesaggio naturale e reale, di estrema bellezza. Assunto dal poeta con piena consapevolezza filologica, diventa per lui metafora e segno evocatore dell'amore, e dell'amore registra le assenze e le presenze, muta con il mutare delle condizioni e degli stati del sentimento. E il simbolo è tanto pregnante da diventar vicario dell'oggetto designato, sì da sostituirlo interamente, come avviene quando viene ceduto intatto al nuovo amante di Galatea. Perciò nella prima egloga ricorre ben quattro volte: due come evocazione elegiaca del tempo felice, in cui Galatea amava Salicioe Elisa era viva per Nemoroso; e altre due per indicare la soluzione e la continuità dell'amore, nel primo caso come restitutio di un bene del quale la donna è padrone e portatrice, e nel secondo come struggente finale di un locus

amoenus di là dalla vita, in un empireo dantesco, vale a dire nello spazio

fittizio della creazione poetica30.

Con questa citazione, Mario di Pinto evidenzia che lo sfondo della tematica amorosa presente nell'egloga è un luogo idilliaco che assomiglia molto al giardino incantato della Razón de amor e, lontanamente, al locus

amoenus del Roman de la rose.

Sostiene inoltre che questo sfondo viene evocato solamente in quattro occasioni: due per ricordare i tempi felici che Salicio e Nemoroso avevano trascorso con Galatea e Elisa; le altre due per parlare dell'amore che continua anche dopo la morte. Come sostiene invece M. Rosso Gallo31 a proposito della descrizione del paesaggio, essa si colloca nella quarta strofa quando il poeta,

30 M. Di Pinto, Introduzione a Garcilaso de la Vega, Le egloghe, cit. pag. VX.

31 M. Rosso Gallo, Elementi cosmici e paesaggio nella poesia di Garcilaso, in Con gracia y agudeza;

(28)

28 dopo aver introdotto il personaggio di Salicio, assume una funzione narrativa, reincarnandosi di conseguenza nei due personaggi presenti nel componimento (Salicio e Nemoroso). Garcilaso evoca il paesaggio attraverso i ricordi, delineandolo nei suoi tratti visivi e acustici essenziali, come la luce dell'alba, il verde del prato e il suono dell'acqua, a cui si accorda il canto dei pastori. Tutti questi elementi sono stati precedentemente e accuratamente descritti da E.R. Curtius32:

Saliendo de las ondas encendido, rayaba de los montes el altura el sol, cuando Salicio, recostado al pie d'unaalta haya, en la verdura por donde una agua clara con sonido atravesaba el fresco y verde prado, él, con canto acordado

al rumor que sonaba del agua que pasaba,

se quejaba tan dulcemente y blandamente como si no estuviera de allí ausente la que de su dolor culpa tenía, y así como presente

razonando con ella, le decía…(vv. 45-58)33.

È questo il luogo in cui Salicio, seduto ai piedi di un faggio, si lamenta del tradimento di Galatea e, immaginando che lei sia presente, le spiega tutto il suo dolore. Infatti, il suo canto è pieno di rimproveri verso Galatea, la quale è paragonata a un qualcosa di più freddo della neve:

¡Oh más dura que mármol a mis quejas y al encendido fuego en que me quemo más helada que nieve, Galatea! (vv. 57-59)34.

32

E. R. Curtius, Literatura europea y edad media latina, cit., pagg. 262-289.

33 Garcilaso de la Vega, Obras completas, ed. de E. L. Rivers, Editorial Castalia, Madrid, 1968, pag. 70.

(29)

29 Come osserviamo con Luis Quintana Tejera in La égloga I de Garcilaso

de la Vega y la mortificación de los amores contrariados35, il fatto che Galatea venga paragonata al marmo può voler dire che, mentre Salicio prova un immenso dolore per essere stato tradito dall'amata, lei ne è totalmente indifferente.

Nei versi successivi, Salicio dà libero sfogo ai suoi sentimenti feriti: Estoy muriendo, y aun la vida temo;

témola con razón, pues tú me dejas, que no hay sin ti el vivir para qué sea. Vergüenza he que me vea

ninguno en tal estado, de ti desamparado,

y de mí mismo yo me corro agora. ¿ D'un alma te desdeñas ser señora donde siempre moraste, no pudiendo della salir un hora?

Salid sin duelo, lágrimas, corriendo(vv. 60-70)36.

Nella strofa 6, abbiamo toni più soavi:

El sol tiende los rayos de su lumbre por montes y por valles, despertando las aves y animales y la gente:

cuál por el aire claro va volando, cuál por el verde valle o alta cumbre paciendo va segura y libremente, cuál con el sol presente

va de nuevo al oficio y al usado ejercicio

do su natura o menester l'inclina;

siempre está en llanto esta ánima mezquina cuando la sombra el mundo va cubriendo, o la luz se avecina.

Salid sin duelo, lágrimas, corriendo.37

35

L. Quintana Tejera, n* 25, 2003: https://pendientedemigracion.ucm.es: ultima consultazione il 02/02/2017.

36 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., p. 71. 37 Ibidem, pag. 71.

(30)

30 In questo frammento, come osserviamo con M. Rosso Gallo38, predomina l'immagine del sole che, da una parte, irradia tutto con la sua luce, mentre dall'altra, la sua brillantezza è in contrasto con l'anima di Salicio, il quale, pervaso da una profonda malinconia, non riesce a godere la bellezza della natura. Inoltre, tale figura ha anche la funzione di indicare lo scorrere del tempo (il sole nascente dei versi introduttivi ora “tiende los rayos de su lumbre por montes y por valles”). Tuttavia, già negli ultimi quattro versi sembra che ci sia una leggera transizione: da un momento di serenità si ritorna al dolore provato da Salicio, il quale, come osserva anche Alexander Parker39, sente che ormai la sua vita non ha più un senso e il suo dolore “rompe”, di conseguenza, l'armonia creatasi fra la natura e l'uomo. Ciò risulta ancora più esplicito nella strofa successiva, dove Salicio si chiede come mai il tradimento di Galatea rimanga impunito:

Y tú, desta mi vida ya olvidada, sin mostrar un pequeño sentimiento de que por ti Salicio triste muera, dexas llevar, desconocida, al viento el amor y la fe que ser guardada eternamente solo a mí deviera. ¡O Dios!, ¿por qué siquiera, pues ves desde tu altura esta falsa perjura

causar la muerte d'un estrecho amigo, no recibe del cielo algún castigo? Si en pago del amor yo estoy muriendo ¿qué hará el enemigo?

Salid, sin duelo, lágrimas, corriendo (vv. 85-98)40.

38

M. Rosso Gallo, Elementi cosmici e paesaggio nella poesia di Garcilaso, cit., pag. 54.

39 A. Parker, Tema e imagen en la égloga I, in La poesía de Garcilaso, ed. E. L. Rivers, Editorial Ariel Barcelona – Caracas – México , 1981, pag. 199-208.

(31)

31 Un'altra strofa fondamentale è la numero 8:

Por ti el silencio de la selva umbrosa, por ti la esquividad y apartamiento del solitario monte m'agradaba; por ti la verde hierba, el fresco viento, el blanco lirio y colorada rosa

y dulce primavera deseaba. ¡Ay, cuánto m'engañaba! ¡Ay, cuán diferente era y cuán d'otra manera

lo que en tu falso pecho s'escondía! Bien claro con su voz me lo decía la siniestra corneja, repitiendo la desventura mía.

Salid sin duelo, lágrimas, corriendo (vv. 99-112)41

Per quanto riguarda questo passo, concordo con Lapesa il quale, nel libro precedentemente menzionato, sostiene che ci troviamo di fronte ad una situazione di tranquillità che si rispecchia nell'ambiente piacevole, dove i raggi del sole si fanno strada fra i rami della selva, il vento è fresco e l'erba è verde.

La strofa inizia con l'anafora Por ti. Secondo Gargano42, la figura retorica indica il modo in cui la realtà che circonda Salicio è veicolata dalla presenza dell'oggetto d'amore, con una conseguente trasposizione della carica positiva da Galatea alla realtà stessa. Qui entra in gioco l'erotismo, per cui la natura diventa desiderabile esattamente come Galatea.

Da questo quindi è evidente che l'armonia di cui il già citato studioso Alexander Parker43 parla si basa sull'amore fra l'uomo e la donna: infatti, sarà grazie a tale corrispondenza che l'essere umano potrà amare la natura. A parer

41Ibidem, pag. 72. 42

A. Gargano, «Questo nostro caduco et fragil bene»: forme e significati del locus amoenus

nell'Egloga I di Garcilaso, in Signoria di parole; studi offerti a Mario di Pinto, a cura di Giovanna

Calabrò, Liguori editore, Napoli, 1998, pag. 290. 43A. Parker, Tema e imagen en la égloga I, cit., pag. 201 .

(32)

32 mio, questa anafora rimanda a una delle tematiche principali che accomunano le tre egloghe, ovvero il desiderio di tornare in quei luoghi tanto amati con la presenza fisica di Galatea. Ma il pastore sa che ciò è impossibile: infatti abbiamo l'immagine di una cornacchia che riporta alla mente di Salicio tutta la sua sventura amorosa. Ed è proprio per questo motivo che, come afferma lo stesso Parker44,a metà strofa è presente la frase “¡Ay cuánto me engañaba”, testimone del fatto che Galatea non solo ha respinto l'amore di Salicio, ma ha anche sovvertito l'ordine dei valori naturali, come è già stato espresso nei versi 96 – 97 della strofa precedente:

… Si en pago del amor yo estoy muriendo, ¿qué hará el enemigo?45.

Quindi tutto è stato messo in disordine. Simbolicamente, oltre che nell'immagine della cornacchia, questo cambiamento lo avvertiamo anche nei versi 116-125, dove Salicio fa un sogno:

Soñava que en el tiempo del estío llevava, por passar allí la siesta, a abrevar en el Tajo mi ganado; y después de llegado,

sin saber de quál arte, por desusada parte

y por nuevo camino el agua s'iva; ardiendo ya con la calor estiva, el curso enagenadoyva siguiendo del agua fugitiva

Salid sin duelo, lágrimas, corriendo (vv. 116-125)46.

Il fiume, in questo caso, non svolge più la sua funzione di provvedere acqua per placare la sete. Secondo M. Rosso Gallo47, l'acqua fuggitiva non solo rappresenta l'irraggiungibilità dell'oggetto del desiderio, ma anche la fugacità del tempo, come la stessa studiosa nota nei vv. 419-421 dell'ultima strofa.

44

Ibidem, pag. 202.

45 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., pag. 72. 46 Ibidem, pag. 72.

(33)

33

[…] El fugitivo sol, de luz escaso, su ganado llevando,

se fueron recogiendo passo a passo […]48.

Concordo solo parzialmente con il discorso dell'irraggiungibilità, dal momento che, il fatto che Salicio nel sogno veda il fiume che sfugge dalle sue labbra può anche significare che lui, avendo preso coscienza dell'impossibilità di raggiungere Galatea, desidera velocizzare il decorso del tempo affinché sopraggiunga la morte in modo da non soffrirne più. Più precisamente, è come se il fiume, nel sogno, ascoltasse il dolore di Salicio e gli comunicasse che presto le sue sofferenze avranno fine.

Sempre secondo Lapesa49, l'immagine di questo infausto uccello e il sogno di Salicio aprono il passo ad una strofa molto intensa dove, attraverso una serie di domande retoriche, viene introdotta l'ingratitudine di Galatea, rappresentata anche dall'edera, il muro, l'olmo e la vite. Tutti questi elementi segnano il passaggio da un luogo idilliaco, che riflette i sentimenti del pastore, alla dura realtà, ovvero il tradimento della donna amata:

Tu dulce habla ¿en cúya oreja suena? Tus claros ojos ¿a quién los volviste? ¿Por quién tan sin rispeto me trocaste? Tu quebrantada fe ¿dó la pusiste? ¿Cuál es el cuello que, como en cadena, de tus hermosos brazos anudaste? No hay corazón que baste, aunque fuese de piedra, viendo mi amada hiedra,

de mí arrancada, en otro muro asida, y mi parra en otro olmo entretejida, que no se esté con llanto deshaciendo hasta acabar la vida (vv. 109-122)50.

48 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., pag. 82 (corsivo mio). 49 R. Lapesa, La trayectoría poética de Garcilaso, cit., pag. 129. 50 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., pag. 72.

(34)

34 Come afferma Parker51, il tradimento di Galatea rischia di compromettere la stabilità della natura. Di conseguenza, nei versi 141-143, Salicio esprime incertezza sul futuro che lo attende:

¿Qué no se esperará de aquí adelante, por difícil que sea y por incierto?

O ¿qué discordia no será juntada?(vv. 141-143)52.

In questa strofa appare il sostantivo discordia, il quale non solo ha una connotazione negativa, ma indica anche la possibilità di accettare il ribaltamento degli elementi naturali e a stabilire, di conseguenza, una sorta di unione antinaturale. Ciò si vede nei vv. 161-167, dove ho potuto constatare che la cordera paciente e bravas sierpes sono l'incarnazione animalesca di Galatea, la quale diventa la preda sia del lobo hambriento sia delle simples aves:

La cordera paciente con el lobo hambriento hará su ayuntamiento,

y con las simples aves sin ruido harán las bravas sierpes su nido; que mayor diferencia comprehendo de ti al que has escogido53.

Il concetto di Locus amoenus compare anche nella seguente strofa: Mas ya que a socorrerme aquí no vienes,

no dejes el lugar que tanto amaste, que bien podrás venir de mí segura. Yo dejaré el lugar do me dejaste; ven si por solo aquesto te detienes. Ves aquí un prado lleno de verdura, ves aquí un'espesura

ves aquí un agua clara en otro tiempo cara,

a quien de ti con lágrimas me quejo; quizá aquí hallarás, pues yo m'alejo, al que todo mi bien quitar me puede,

51 A. Parker, Tema e imagen en la égloga I, cit., pag. 203. 52 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., pag. 73. 53 Ibidem, pag. 74.

(35)

35 que pues el bien le dejo,

no es mucho que 'l lugar también le quede (vv. 211-224)54. Questa strofa è interamente dedicata al termine lugar, il quale compare per ben tre volte, e dove le parti evocate (prado, espesura, agora) vengono introdotte dall'espressione Ves aquí, in cui sia il verbo che il deittico indicano, come sostiene Gargano55, un'illusoria vicinanza nello spazio dei due pastori.

Tuttavia, al v. 221 Salicio esprime la volontà di allontanarsi da quei luoghi affinché Galatea vi possa fare ritorno con il suo nuovo amante. C'è una dicotomia tra idea di allontanamento (rappresentato dai verbi dejar, alejar,

quitar) e di vicinanza (rappresentata dai verbi hallar, venir, quedarle con i quali

si indica il congiungimento della nuova coppia).

All'abbandono da parte di Galatea, Salicio risponde con la rinuncia al luogo, come vediamo dalla frase “Yo dejaré el lugar do me dejaste”, in cui sono presenti due modi verbali: futuro e passato. Il futuro di Salicio, come osserviamo con Gargano56, non sarà tanto diverso dal suo passato, dal momento che anche in futuro sarà il suo rivale a godere della presenza di Galatea e a stabilire, di conseguenza, un rapporto positivo con la realtá delle cose come a suo tempo aveva fatto anche Salicio.

Come sostiene Lapesa57, possiamo qui cogliere una nota autobiografica. La rinuncia di Salicio, infatti, ricorda molto quella fatta tempo addietro da Garcilaso quando dovette lasciare Toledo per andare in Germania.

Quizá aquí hallarás, pues yo me alejo al que todo mi bien quitarme puede; que pues el bien le dejo,

no es mucho que el lugar que el lugar también le quede (vv. 231-235)58.

54 Ibidem, pagg. 75-76.

55 A. Gargano, «Questo nostro caduco et fragil bene»: forme e significati nell'égloga I di Garcilaso, cit., pag. 292.

56 Ibidem, pag. 292.

57 R. Lapesa, La trayectoría poética de Garcilaso, cit., pag. 132. 58 Garcilaso de la Vega, obras completas, cit., pag. 76.

(36)

36 Riassumendo: nelle prime quattro strofe dell'Egloga in esame si ha un andamento ascendente. In primis, sono presenti toni molto aspri, accentuati dalla presenza di elementi che, oltre a precedere il lamento di Salicio, sembrano anche rimandare a una sorta di locus horridus:

[…] mi amada yedra

de mí arrancada, en otro muro asida […] (vv. 135-136)59. Infine, passiamo a tonalità più soavi presenti nel canto di Nemoroso, il quale occuperà tutta la seconda parte dell'egloga.

2.3.2 IL CANTO DI NEMOROSO

L'intervento del pastore Nemoroso avviene subito dopo la fine del lamento di Salicio, e inizia subito con dei versi i cui toni emanano un sentimento di pace. Egli, come sostiene M.Rosso Gallo60, esordisce invocando come confidenti gli elementi del locus amoenus tipici di un piacevole scenario naturale:

Corrientes aguas puras, cristalinas; árboles que os estáis mirando en ellas, verde prado de fresca sombra lleno, aves que aquí sembráis vuestras querellas, hiedra que por los árboles caminas, torciendo el paso por su verde seno: Yo me ví tan ajeno

del grave mal que siento, que de puto contento

con vuestra soledad me recreaba, donde con dulce sueño reposaba, o con el pensamiento discurría por donde no hallaba

sino memorias llenas d'alegría (vv. 245-252)61.

59 Ibidem, pag. 73.

60 M. Rosso Gallo, elementi cosmici e paesaggio nella poesia di Garcilaso, cit., pag. 54. 61 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., pag. 76.

(37)

37 Come osserviamo con la già citata studiosa62, questa strofa è testimone del profondo legame che Nemoroso ancora sente con il paesaggio. Infatti, anche in questo caso sono presenti elementi descritti da Curtius63: acque pure, verde prato, animali e alberi. Il primo elemento che viene invocato da Nemoroso è appunto l'acqua del fiume, la quale scandisce l'armonia della natura e accompagna il dolce sonno del pastore. Cosa diversa invece per Salicio dove il ritornello “Salid sin duelo, lágrimas, corriendo” mette a confronto il proprio pianto e lo scorrere del corso d'acqua, che, inoltre, funge anche da specchio in cui il pastore contempla sé stesso costituendo, di conseguenza, un implicito richiamo al mito di Narciso:

No soy pues bien mirado tan disforme ni feo,

que aun agora me veo

en esta agua que corre clara y pura (vv. 175-178)64.

Ritornando al canto di Nemoroso, mi trovo d'accordo con Gargano65 quando afferma che vi è una connessione fra gli elementi della natura: gli alberi si rispecchiano nelle acque limpide e gli uccelli diffondono il loro canto su un verde prato. Tuttavia, benché si tratti di un locus amoenus, ovvero di un ambiente piacevole, c'è, a mio parere, un elemento che sembra presagire ciò che avverrà in seguito: si tratta dell'edera che si avvinghia agli alberi.

Quindi, se fino ad ora il presente evoca un ambiente piacevole, in seguito vi sarà una contrapposizione tra il passato di Nemoroso, evocato tramite ricordi piacevoli, e il presente, caratterizzato invece dal dolore, il quale si riflette nel suo rapporto con l'ambiente stesso:

62 M.Rosso Gallo, elementi cosmici e paesaggio nella poesia di Garcilaso, cit., pag. 55. 63

E.R. Curtius, Literatura europea y edad media latina, cit., pagg. 262-289. 64 Garcilaso de la Vega, Obras completas, cit., pag. 74.

65 A. Gargano, «Questo nostro caduco et fragil bene»: forme e significati del locus amoenus nella

Riferimenti

Documenti correlati

The development of the silk industry in Renaissance Florence – as in other large Italian cities such as Venice, Genoa, Bologna and Milan – was a response to the profound

Il testo programmatico che abbiamo appena esaminato offre, senza alcun dubbio, il miglior esempio relativo al discorso che qui si è inteso affrontare, quello della poesia di

Sostenere fino in fondo questo sforzo senza cedere mai, capire che i tuoi problemi, le tue angosce sono quelle di molti altri. Vivere con equilibrio, ma con una certa

Le ridotte dimensioni medie delle proprietà forestali fanno sì che l’incidenza dei costi delle utilizzazioni sia tale da vanificare l’interesse economico della vendita

Il problema più grave però non sono i rifugiati che scappano dai luoghi devastati dalla guerra come la Siria e la Somalia, o da crudeli dittature come l’Eritrea o dalla povertà

La mia cameretta è piccola e stretta , ha le pareti colorate di rosa e bianco , alle finestre ci sono delle tende con tanti fiori e anche sul copriletto. I fiori sono bianchi e rosa

[r]

Son muy intere- santes los periodos de los siglos V y VII en su esquema, porque se plantean como momentos de transición entre un poblamiento ampliamente disperso por el llano (en