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La storia del panorama artistico che caratterizza i mitici anni Ottanta non è esente dal considerare anche una breve esperienza nel sud Italia, in particolare nella Campania pompeiana. L'Officina di Scafati riunisce il lavoro pittorico e scultoreo di Angelo Casciello (1957), Franco Cipriano (1952), Luigi Pagano (1963), Gerardo Vangone e Luigi Vollaro (1949). Nel catalogo della mostra Opera omnia – Nuove presenze del panorama artistico

meridionale, tenuta a Montesano sulla Marcellana nel 1984 (catalogo Comune di

Montesano, 1984), il critico d'arte Enrico Crispolti è il primo ad appellare come «nuovissima scuola di Scafati» il gruppo dei cinque.

Tuttavia, come puntualizza Massimo Bignardi, «più che di “scuola” credo sia opportuno parlare di “officina”, attribuendo ad essa il significato d'incontro di energie tra loro in contrapposizione dialettica ma che, sul piano dell'effettivo impegno culturale, trovano una convergenza di intenti»151. La proposta di identificare in un'etichetta questa collaborazione

artistica non è sinonimo di gerarchie da rispettare o da opere artistiche in comune accordo da progettare. I cinque artisti hanno tutt'al più un denominatore concettuale comune, vale a dire la necessità di trovare un legame con la Storia, il filo che lega l'uomo al significato del mondo, imbrigliato nelle pratiche atrofizzate del mercato che vuole tutti nuovi e pubblicizzati152. La loro è una comunione d'intenti più che una presentazione in gruppo dei

risultati artistici in fieri.

L'Officina di Scafati, oltre a presentarsi con questa nomenclatura in alcune esposizioni, ha, tuttavia, vita breve: i suoi componenti, infatti, espongono poi individualmente e anche in contesti non soltanto locali, come nella XI Quadriennale a Milano o in Aperto '86 alla Biennale di Venezia.

L'attività espositiva dei meno giovani del gruppo si manifesta già sul finire degli anni Settanta, quando a Scafati e nei dintorni erano attivi molti artisti, riuniti attorno al Centro Sud Arte, aperto nel 1971, propulsore di numerose attività culturali e mostre artistiche a cui prendevano parte i maggiori gruppi di operatori visivi della Campania153.

151 BIGNARDI M., L'Officina di Scafati in Idem (a cura di), L'Officina di Scafati, catalogo della mostra, (Arezzo, Sala di Sant'Ignazio, 12 aprile-3maggio 1987), Mazzotta, Milano, 1986, p. 11

152 Ibidem 153 Ivi, p. 10

Partendo da una carriera pittorica, Casciello se ne distacca negli anni, approdando, infine, ad una “scultu-pittura”154 che privilegia la bidimensionalità. Il tema delle sue opere è legato

a tutto ciò che rientra nel contesto della materia, ma quella più primitiva, la più segnica. Il glossario degli elementi geometrici riproduce allora il mondo vegetale e il mondo animale in una chiave quasi sacrale, piante e animali diventano il mezzo di avvicinamento dell'uomo verso una tensione più alta rivolta al divino:

Vorrei fare delle sculture alte quanto le piramidi, per innalzare il mio cuore sempre più in alto, fino a fargli toccare il cielo. Devo squartare le materie e accarezzarle nello stesso istante, per capire il calore del loro corpo – devo scoprire la loro vita interna. Griderò fino alla perdita della voce, all'aria aperta per ascoltare il mio suono prolungato all'infinito. Non amo stare con la testa avvolta nelle bende della certezza.155

Le opere di Casciello possono ricordare Picasso o Mirò o le sculture ai primordi della storia dell'arte. Sanno essere complesse soprattutto nella struttura, che si compone per sovrapposizioni e incontro di piani e livelli spaziali. Se le opere non ambiscono evidentemente alla tridimensionalità, occupano, tuttavia, uno spazio che rendono immediatamente contemplativo. L' “arcaicità” dei lavori di Casciello è poi messa in evidenza dai colori che l'artista utilizza: il grigio, il bianco, il nero penetrano fino all'essenzialità materica delle cose156. La qualità principale delle opere di quest'artista

campano risiede nella capacità di tradurre le forme del passato nella dimensione estetica del presente157.

Il materiale con cui Luigi Vollaro lavora è la creta: vi approda solo dopo una lunga ricerca di un materiale sempre più ricettivo e plasmabile, passando dal marmo, al tufo, al gesso e alla carta158. E a quest'ultima Vollaro intende rifarsi quando dispone le terracotte tirate

sottilissime come se fossero appunto fogli di carta. I soggetti delle sue sculture si riferiscono, come per Casciello, al mondo naturale con una sfumatura archeologica, mentre

154 MESSINA TRABUCCO A., Mnemosine in Ivi, p. 15 155 CASCIELLO A., Pensieri sparsi in Ivi, p. 22

156 PIQUÉ F., Angelo Casciello in «Flash Art», n. 119, marzo-aprile 1984, p. 34

157 CORBI V.,Quale Avanguardia? L'arte a Napoli nella seconda metà del Novecento, Paparo, Napoli, 2002, p. 325

158 «Poi la terracotta mi affascina per il suo alone di antico, un mistero che percepisco attorno ad essa, ed anche per la sua stessa natura grezza, arcaica, terrestre, che io cerco di modellare in un'immagine quanto più leggera, quanto più aerea possibile» in CECCARELLI L., Intervista a Luigi Vollaro in BIGNARDI M. (a cura di), L'Officina di Scafati, Op. cit., p. 46

vengono modellati, gonfiati, incrinati come sculture159.

Alla stregua di uno studioso di reperti antichi, Vollaro dispone gli antenati della natura in forma di scultura. Vollaro è altresì noto per la serie Alberi della vita, una serie di alti falli che si elevano nello spazio e danno un senso di leggerezza rispetto all'entità del loro peso reale. Sono sculture simboliche che indagano, attraverso la terza dimensione, la precarietà e la fragilità connesse alla verticalità e alla sensazione di potenza che un'entità stante può fornire. Oltre ad un evidente riferimento al sesso maschile, i tronchi delle sculture sono segnati, feriti e alludono alle aperture femminili. Insomma, la storia della fusione dell'uomo e della donna in un corpo estraneo all'unione che ne descrive l'armonioso amplesso160.

Pagano è quello dell'Officina che si occupa di pittura161 e, nonostante la differenza d'età

rispetto ai suoi colleghi, sin da subito riesce a farsi conoscere e ad esporre in personali e numerose collettive. Parola chiave: natura. Pagano si immerge completamente in essa e ne subisce la fascinazione. I suoi quadri sono la narrazione di un viaggio che il pittore sperimenta come parte integrante dell'universo. Le tele restituiscono l'esperienza panica di Pagano, poiché sono costruite secondo una prospettiva interna che rispecchia il suo modo di sentire e di essere nella natura. Per questo motivo, i tagli prospettici dei suoi paesaggi sono inusuali, irregolari, mentre seguono un ritmo che è quello ordinatissimo della natura. I Maestri: Afro, Morlotti e Brunori162. La soggettività dell'artista si identifica con la natura,

intesa come materia vivente e con la pittura, che è il mezzo attraverso cui il processo di identificazione acquista coscienza.

Natura e città sono le entità da cui parte Gerardo Vangone nella sua personale osservazione della realtà: entrambe sono accomunate da molti elementi, quali per esempio, la luce e l'energia pura. Attraverso lo studio del Futurismo, Vangone esamina il tema della forza propulsiva non attraverso l'esaltazione della macchina, bensì attraverso la scoperta dell'energia pura. I suoi lavori, a metà tra scultura e pittura, sono attraversati da una scarica cromatica di colori puri «affinché il loro accostamento produca, assieme al massimo attrito,

159 ROBERTO M. T., Luigi Vollaro in «Flash Art», n. 127, giugno 1985, p. 92 160 MESSINA TRABUCCO A., Op. cit., p. 18

161 «Io sento naturalmente la materia anche, forse soprattutto, come materia pittorica, densa e grumosa o fluida e trasparente, nei suoi giochi simultanei di toni caldi e freddi, nel perfetto scandirsi dei piani bui e luminosi della tela» in PAGANO L., Luigi Pagano in BIGNARDI M. (a cura di), L'Officina di Scafati,

Op. cit., p. 34

anche il massimo contrasto di luce facendo scaturire l'accensione»163.

Franco Cipriano non è nuovo nel campo artistico, quando espone sotto l'etichetta di

Officina di Scafati. La sua è una carriera che ha inizio negli anni Sessanta e assume un

carattere prettamente pittorico dagli anni Ottanta. Le tele di Cipriano, in larga parte, ritraggono sagome o corpi non del tutto formati poiché in procinto di compiere un movimento, sono figure in potenza che ciclicamente ripetono le loro azioni, mentre si immergono in un denso e scuro magma alle loro spalle. Hanno tutta l'aria di essere rivelazioni, destinate a rimanere incomprese. Spesso le ambientazioni di Cipriano rappresentano luoghi senza tempo, in cui le apparizioni dell'uomo paiono soffrire come la pittura stessa.