• Non ci sono risultati.

Todesco F. 2016, Appunti delle lezioni di Principi e tecniche della relazione assistenziale AA 2016/2017

Un colloquio non può essere inteso come un’interrogazione, ma come un incontro che offre la possibilità di estrarre informazioni nuove anche al soggetto su cui non ha mai riflettuto o non in modo così approfondito. Soltanto una competenza allargata il conduttore può essere in grado di svolgere questa delicata funzione “maieutica” senza cadere nell’errore di influenzare il soggetto.

Il colloquio nelle sue varie accezioni e sfumature, è il metodo utilizzato da tutte le scienze sociali per favorire la conoscenza di sé, la comprensione degli interventi necessari. In un colloquio di natura psicologica vi è un soggetto che propone di sé un immagine, fornisce informazioni, esprime opinioni, comunica un disagio o implicitamente una richiesta d’aiuto e più in generale c’è un altro, il conduttore, che osserva, raccoglie, analizza e interpreta le informazioni e le azioni, attribuendo ad esse dei precisi significati. Il colloquio è una forma specializzata di comunicazione le cui modalità di esecuzione sono vincolate alla teoria di riferimento del conduttore. Si è soliti distinguere il colloquio dall’intervista. Quest’ultima infatti è caratterizzata da un minor livello di profondità. Nell’intervista strutturata le domande vengono poste in modi più o meno strutturato, e solitamente vengono poste con un ordine prefissato. Nell’intervista semi strutturata l’ordine e il tipo di domande è meno rigido. Infine nell’intervista non strutturata l’intervistatore utilizzerà solo una lista di argomenti da trattare per andare a sondare le varie aree d’interesse. Nel caso del colloquio invece il conduttore non ha una lista di argomenti da approfondire ne un elenco di domande, egli asseconderà l’intervistato nei tempi e nei contenuti e nelle tappe di avvicinamento e di approfondimento dei contenuti che sono più rilevanti, mantenendo un ruolo da facilitatore.

Di seguito vengono riportate una serie di caratteristiche di personalità e abilità che dovrebbe possedere un buon conduttore di colloqui. (Castelli)

Individuo con personalità integrata armonica con buona conoscenza di sé e del proprio modo di essere.

Motivazione ed esecuzione del colloquio non come routine da svolgere in modo burocratico.

Disponibilità al rapporto sociale, con curiosità e interesse per le persone.

Autentica educazione alla libertà per un genuino rispetto della personalità e della persona

Forte capacità comunicativa e viceversa flessibile capacità di ascolto

Capacità di decentramento, di porsi dal punto di vista dell’altro sia in termini cognitivi che affettivi

Comprensione empatica ma con corretta distanza emotiva dall’altro

Rispetto dell’autodeterminazione

Capacità di assumere una benevola neutralità

Capacità di parlare con "tatto” e di essere in “contatto” con l’altro

Calore e disponibilità affettiva per “far sentire al soggetto che lo si considera con un genuino interesse e che lo si accetta come persona”

Assenza di atteggiamenti moralistici e legalistici per facilitare l’espressione di tutti i sentimenti

Astensione da qualsiasi tipo di pressione o coercizione

Atteggiamento collaborativo e non inquisitivo

Disponibilità e capacità a fornire supporto psicologico nei momenti di ansia

Capacità a riconoscere e tener conto dei possibili meccanismi di difesa.

Una reale competenza nella conduzione dei colloqui si può acquisire soltanto attraverso training adeguati.

I requisiti necessari per realizzare un buon colloquio sono: essere in grado di percepire correttamente le persone con le quali si entra in contatto. Compito questo riconosciuto come uno dei più complessi e importanti da svolgere quotidianamente. Il successo di un’interazione sociale è legato alla capacità di “leggere” correttamente il comportamento degli altri. Letture distorte o errate avranno delle ricadranno sul processo di comunicazione andando a creare aspettative sbagliate.

Dal momento che la percezione dell’altro svolge un ruolo fondamentale nel dare inizio e mantenere una relazione è fondamentale conoscere controllare il processo di percezione dell’altro quando si intende realizzare delle interazioni professionalmente qualificate. Questa tematica viene spesso poco affrontata rispetto a temi più tecnici o principi teorici più generali. E’ molto importante ricordare che nel corso di una interazione vi è la tendenza ad assumere che le valutazioni che noi facciamo nei confronti degli altri, siano corrette. Ma qual è il livello di accuratezza delle nostre percezioni? Quanto sono affidabili? La risposta è che non esiste un metodo affidabile per descrivere le persone (una unità di misura affidabile per descriverle). Ne consegue che per valutare l’accuratezza della percezione delle persone occorre partire dalla consapevolezza che siamo spesso costretti a utilizzare unità di misura cha sappiamo essere non precise. Alcuni autori sostengono che la conoscenza delle persone sia strutturata in funzione delle aspettative su come i diversi tratti di personalità vanno insieme. Queste aspettative costituiscono una sorta di teoria ingenua di cui non siamo sempre consapevoli, che utilizziamo quando abbiamo informazioni su qualcuno e tendiamo di immaginare o spiegare altri aspetti della sua personalità. Il professionista che svolge il ruolo di conduttore non è immune da questi rischi. Il problema dell’accuratezza del giudizio diagnostico ha origine lontane. Gli studi che hanno trattato questo argomento hanno individuato quattro tipi di errore nella valutazione delle personalità:

effetto alone: consiste nell’estendere rilievi o aspetti effettivamente riscontrati su un solo tratto della personalità anche ad altri tratti (ad es. se una persona risulta simpatica sarà considerata anche buona, altruista e disinteressata)

errore logico: tendenza a correlare sempre tra loro tratti diversi della personalità, a immaginare un cluster di tratti congruenti tra loro (ad es, timido, chiuso, introverso, riservato, freddo, privo di sentimento, scontroso, impopolare, severo)

pregiudizio contagioso: giudizio senza fondamento di realtà, convincimento connotato in termini pregiudiziali e stereotipati che può essere esteso da un’area tematica all’altra del colloquio

effetto indulgenza: atteggiamento assunto nei confronti dell’interlocutore caratterizzato dalla tendenza ad essere buoni nella formulazione della diagnosi o del giudizio. Leggere gli altri può essere inoltre condizionato dalla presenza si alcuni schemi sociali come quello di persona, di eventi, schemi di sé e schemi di ruolo. Questi ultimi sono interessanti in quanto possono portarci a attribuire dei comportamenti ad una persona in riferimento alla posizione che occupa (comportamenti attesi).

In sintesi essere più attenti possibile all’analisi dei vari processi ed errori di giudizio che operano nella formazione delle impressioni e nel trarre inferenze ed elaborare attribuzioni è il primo passo necessario verso il miglioramento delle nostre capacità di una lettura corretta dell’altro , indispensabile per la conduzione del colloquio.

Modalità di conduzione di un colloquio.

L’efficacia e il mantenimento della relazione tra i due interagenti dipende molto dal livello in cui ambedue riescono a mettersi nei panni dell’ altro cercando di cogliere quanto viene comunicato con denotazioni tipiche della persona che si sta ascoltando, per identificare l’esatto significato e la portata della sua comunicazione. La comprensione dell’altro permette di là reciproca soddisfazione.

Il conduttore dovrà decentrarsi ovvero: come ricevente di messaggi deve assumere un atteggiamento di ascolto vero con lo sforzo di cogliere quanto viene espresso secondo la dimensione comunicativa dell’altro: come emittente di messaggi deve operate una scelta attenta delle proprie modalità comunicative per costruire e trasmettere il messaggio nel modo che ritiene più direttamente comprensibile e vicino all’ambito di significati e vissuti del destinatario facendo attenzione soprattutto alle sue risorse comunicative. Durante il colloquio c’è il rischio di ridurre l’ascolto per la fretta di rielaborare o interpretare il contenuto delle verbalizzazioni sia con il filtro dei propri pensieri sia con quello delle ipotesi teoriche cui si fa riferimento. Un altro rischio è quello di non aver tenuto conto del livello socio-culturale ed aver formulato in modo scorretto le domande. Un corretto atteggiamento di decentramento è possibile solo con un continuo monitoraggio di quanto sta avvenendo nel colloquio soprattutto nel senso di una continua attenzione a come ci si è espressi e a come si valuta che l’altro abbia compreso la comunicazione. In sostanza ogni passo del colloquio deve essere considerato come un feed-back anche sull’andamento delle comunicazione in sé.

Un altro aspetto molto importante è l’atteggiamento di non direttività del conduttore del colloquio. Tale atteggiamento si attua quando il conduttore non si pone di fronte all’altro in modo valutativo e giudicante, senza preconcetti e riserve, sapendo semplicemente ascoltarle. La non direttività si nota in un colloquio là dove viene lasciato più spazio all’intervistato, e per l’uso di domande da parte del conduttore, legate a quanto dice il soggetto in termini di rilanci, di riprese di sue parole e concetti per innescare successivi approfondimenti e semplificazioni. L’idea che sta alla base in questa modalità di conduzione di un colloquio è quella di facilitare la comunicazione dell’intervistato privilegiando i suoi tempi, i suoi ritmi, e di conseguenza eliminando o riducendo il più possibile i vissuti di intrusione o di interrogatorio.

Nel corso di un colloquio è molto importante che il conduttore

1) tenga in considerazione e sia consapevole dello stile che sta adottando e delle sue intenzioni

2) rifletta sulla scelta degli strumenti da utilizzare nell’interazione e sull’uso qualitativo del tempo

3) attui dei comportamenti flessibili e non rigidamente legati al ruolo professionale Leggere dentro i messaggi che provengono dall’altro e essere consapevoli della valenza pragmatica della propria comunicazione è molto importante.

La capacità empatica è connessa alla capacità di percepire i messaggi non verbali dell’altro.

Nella relazione è molto importante tenere presenti quali sono gli elementi che influenzano il giudizio nell’altro, in modo da creare un rapporto con il soggetto che consenta di comunicare in modo fiducioso ed eventualmente e stabilire una relazione di alleanza e collaborazione.

Si può valutare se due persone hanno instaurato una buona relazione in base alla sincronia dei movimenti, della postura e delle posizioni che assumono, ma anche in base al timbro ed al tono della loro voce che tenderanno ad essere simili.

Nell’interazione tra due persone uno degli aspetti analogici che si può cogliere è la distanza emotiva la quale si manifesta nella distanza spaziale e nell’uso di forme verbali lontane (parlare in terza persona).

Nel comportamento, nel modo di porsi e di parlare le persone esprimono la propria autodeterminazione: quanto sentiamo di determinare e partecipare responsabilmente agli avvenimenti della nostra vita, e quanto invece sentiamo di subire ciò che ci appare determinato da qualcun altro. Comprendere la dimensione analogica della persona che abbiamo di fronte ci consente di individuare la prospettiva e il suo mondo personale, di potere vedere le cose dal suo punto di vista e in questo modo scoprire anche le sue limitazioni ed eventualmente le trappole contenute nella sua mappa cognitiva per portavi maggior consapevolezza.

Nell’ambito della psicologia sì è sviluppato negli anni 70, un movimento psicologico che ha portato allo sviluppo di un approccio relazionale centrato sull’altro, definito non più come paziente, bensì come cliente.

In medicina tali principi hanno sviluppato a loro volta quella che viene definita medicine patient centred che ha di fatto, implementato l’atteggiamento da parte degli operatori sanitari di dare potere al paziente rispetto al suo processo di cura.

In ambito psicologico questo si è declinato con un approccio relazionale completamente nuovo ( Rosergs) , e degli stili di comunicazione specifici.

Come è già stato detto in precedenza il colloquio rappresenta un incontro che offre la possibilità di estrarre informazioni nuove, su cui il soggetto a volte non ha mai riflettuto.

Durante il colloquio il conduttore ha una funzione “maieutica”, e non dovrà cadere nell’errore di influenzare il soggetto.

Secondo C. Rogers3 (1970), le condizioni indispensabili per instaurare un colloquio centrato sul paziente sono:

- Autenticità nella relazione - congruenza - Considerazione positiva dell’altro - Accettazione incondizionata - Empatia

Uno degli strumenti che si possono utilizzare ai fine di svolgere un colloquio centrato sul paziente è quello dell’ Agenda del paziente che non è altro che un Modello di raccolta delle informazioni da applicare durante il colloquio centrato sul paziente4.

Emozioni Sentimenti

Contesto Aspettativ

e Desideri Idee Interpreta

zioni

L’agenda è ciò che il malato porta con sé, nel momento in cui richiede l’intervento del medico, dell’infermiere o dell’operatore.

Rifarsi alle aree dell’agenda consente di raccogliere dei dati evitando l’improvvisazione oppure un eccesso di tecnicismo.

Durante lo svolgimento di un colloquio cetrato sul paziente dovrebbero realizzarsi queste tre fasi Egan (1990).

1^Fase: esplorazione e chiarificazione del problema presente (auto diagnosi) 2^ Fase: sviluppo di una nuova comprensione dei problemi (insight)

3^ Fase: concepire ed attuare piani di azione (strategie) quindi muoversi verso finalità desiderate

La conduzione di un colloquio dovrebbe essere sempre preceduta dall’allestimento di un Setting fisico e mentale, la valutazione del tempo a disposizione per il colloquio. Durante lo svolgimento del colloquio sarà necessario approcciarsi facendo riferimento al modello SURETY5

S “Sit at an angle to the client” : seduto all’angolo del paziente U “Uncross legs and arms” : disincrociare gambe e braccia R “Relax” : rilassamento

E “Eye contact” : contatto visivo T “Touch” : tatto

Y “Your intuition” : la tua intuizione

Presentarsi e dichiarare le finalità del colloquio, chiedere al paziente di raccontarsi ad esempio esplorando le aree delll’Agenda del paziente con domande specifiche ed infine prima di concludere il colloquio è bene dare e chiedere Feedback al paziente su quanto è stato detto.

5 Gerard Egan (Emerito Professore di Psicologia e Studi Organizzativi a Loyola, Università di Chicago), ha introdotto nel 1975 il modello SOLER, nell’ insegnamento della comunicazione non verbale. Il modello SOLER è stato criticato per essere troppo meccanico, mentre il modello SURETY, (tatto e l’intuizione dell’ infermiere) si avvale anche delle capacità empatiche dell’operatore sanitario con i pazienti. Il SURETY si è rivelato un modello di insegnamento della comunicazione non verbale più rilevante per la pratica infermieristica, meno rigido nella pratica e più legato alle naturali capacità umane, è un modello che ha riconosciuto l’ intuizione personale e l’ uso

appropriato del tatto, nei rapporti tra infermiere e paziente. Egan, il fautore del metodo SOLER, raccomandava, pertanto, che la migliore postura e posizione preferita dell’ operatore sanitario era “seduto a squadra”, ovvero, di fronte al paziente, anche se egli riconosce che spesso questa posizione può far sentire minacciato il paziente. Per questo raccomanda anche una postura aperta (braccia e gambe aperte), quasi a non volersi chiudere, ma ad offrire un’ apertura verso il paziente, sempre nella comunicazione non verbale, in cui il linguaggio del corpo ha evidentemente un ruolo di primo piano.

Egan G. suggerisce di inchinarsi verso l’ altro, dimostrando così interesse quando l’ altro ci parla. Consiglia anche un buon contatto con gli occhi ed il rilassamento, inteso come non agitarsi o dimostrare nervosismo. Ma il suo stesso fondatore, ha considerato il SOLER come troppo meccanico, ad esempio Egan G. ha lottato con il concetto di “seduto a squadra”, poiché questa postura era recepita come falsa dal paziente, così come era necessario ricorrere all’ uso del tatto e all’ intuizione personale dell’ infermiere; per questo ha apportato delle modifiche al metodo SOLER introducendo quello SURETY.

8. EMPATIA

Todesco F. 2016, Appunti delle lezioni di Principi e tecniche della relazione assistenziale AA 2016/2017

La parola empatia deriva dal greco "εμπαθεια” empateia, che a sua volta derivata da

en-, "dentro", e pathos, "sofferenza o sentimento”: tale termine viene quindi utilizzato per indicare la capacità di “Sentire dentro la sofferenza” altrui. https://youtu.be/-LFGpBeH7Y0 L'empatia viene spesso confusa con; la parola simpatia = (dal greco syn- "insieme" e pathos

"sofferenza o sentimento") sentimento doloroso condiviso, di sofferenza insieme che rappresenta la capacità di sentire una motivazione orientata al benessere dell’altro.

L’empatia ancora più spesso viene confusa con la compassione (dal latino cum patior - soffro con) sentimento per il quale un individuo percepisce emozionalmente la sofferenza altrui provandone pena e desiderando alleviarla. https://youtu.be/3oaobKn_MkE

L’empatia sembra conoscere oggi un nuovo periodo di fortuna. Si annunciano studi molto promettenti sulle basi biologiche e neurofisiologiche di essa. Ciò nonostante oltre alla confusione sul significato di tale termine, attualmente c’è anche il rischio che l'empatia sia costretta in una teoria della mente che concernere soltanto le operazioni cognitive mediante le quali riusciamo a capire le intenzioni dell’altro.

Nell'uso comune, empatia è l'attitudine a offrire la propria attenzione per un'altra persona, mettendo da parte le proprie preoccupazioni. Nelle scienze umane invece, il termine empatia è passato a designare un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione dell'altro, escludendo ogni attitudine istintiva affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Infine in medicina l'empatia è considerata un elemento fondamentale della relazione di cura che permette al curante di comprendere i sentimenti e le sofferenze del paziente, incorporandoli nella costruzione del rapporto di cura, ma senza esserne sopraffatto.

Una volta che sono stati definiti i vari significati che tale termine può assumere a seconda dell’ambito a cui ci si riferisce non bisogna dimenticare che l’empatia prima di tutto “attesta la possibilità della circolazione o comunicazione dell’esperienza, essa attesta quindi che è possibile avere accesso alla realtà vissuta di un altro essere umano”. Boella nel suo libro (Sentire l’altro 2006) infatti afferma “il miracolo e il paradosso dell’empatia è che facciamo esperienza interiore di un’esperienza che non è la nostra, viviamo un sentimento che non è il nostro. Ed ancora: “l’empatia ha tutta l’intensità del sentire, non è una forma di conoscenza intellettuale, benché possieda un valore cognitivo, molto speciale che consiste nel rendersi conto dell’esistenza dell'altro. Non mi avvicino al dolore fuori di me mediante un atto intellettuale, attraverso la rappresentazione (capisco...) o la riproduzione di un dolore da me precedentemente vissuto (anch’io ho provato lo stesso dolore…). Tale sapere è falso è immaginario. Io incontro il dolore là dove è posto presso l’altro che magari lo esprime con un espressione del volto.

L’empatia è acquisizione emotiva della realtà del sentire altrui. Senza l’ascolto dentro di se dell’altro, senza la risonanza interiore dell’esperienza estranea, è difficile che avvenga un vero contatto tra gli esseri viventi. (L. Boella -Sentire l’altro 2006)

Studi recenti sui neuroni specchio6 (scoperti da un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma guidato da Giacomo Rizzolatti) hanno confermano che l'empatia non nasce da uno sforzo intellettuale, ma si sviluppa a partire da è un meccanismo neurobiologico.

L’importantissima scoperta dei neuroni a specchio (di cui è stata confermata la presenza nell’uomo, in più aree del cervello, solo nel 2010) ha permesso di dimostrare i meccanismi neurobiologici che consentono all’uomo di «mettersi nei panni degli altri». Quindi, ha creato le basi scientifiche dell’empatia. I neuroni a specchio hanno la particolarità di attivarsi sia quando vediamo qualcuno realizzare un’azione sia quando la realizziamo noi stessi. Ed i medesimi circuiti neuronali si attivano sia quando proviamo un'emozione sia quando osserviamo altre persone nel medesimo stato emozionale

Attivandosi contribuiscono alla percezione ed alla comprensione del comportamento altrui per rispecchiamento, da qui il loro nome di neuroni a specchio. Numerosi studi indicano che quando percepiamo o immaginiamo altre persone in situazioni dolorose i circuiti neuronali coinvolti nel dolore fisico si attivano. Alcuni studiosi sostengono che questo meccanismo neuronale (detto anche somatosensoriale) di rispecchiamento è attivo fin dalla nascita.

L’empatia non deve essere confusa con il contagio emotivo, a causa del quale ci sentiamo sopraffatti dallo stesso stato emotivo della persona osservata, ma senza comprenderla.

6 I neuroni specchio sono dei neuroni situati in più aree della corteccia cerebrale (presenza valutata attraverso diagnostica per immagini fRMN PET etc, misurazione diretta intracranica nell’uomo 2010).

Eccessivo

distacco Empatia Eccessivo

coinvolgimento

Vignemont e Singer (2006) nell’articolo Uniti nel dolore (2012) hanno indicato le quattro facce dell’empatia che vengono anche chiamate le condizioni necessarie affinché vi sia empatia: la prima condizione necessaria è quella dell’affettività, seguita dalla condizione di somiglianza interpersonale, dalla trasmissione causale ed infine quella di attribuzione.

L’empatia può essere intesa anche come la capacità di mantenere una giusta distanza, distanza che non è di per se calcolabile né definibile a priori. Il suo raggiungimento è il frutto di un percorso di apprendimento dall’esperienza, di riflessione, di ascolto di sé, dove per

L’empatia può essere intesa anche come la capacità di mantenere una giusta distanza, distanza che non è di per se calcolabile né definibile a priori. Il suo raggiungimento è il frutto di un percorso di apprendimento dall’esperienza, di riflessione, di ascolto di sé, dove per

Documenti correlati