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Il contributo del clero nella diffusione della lingua

3. Politiche ecclesiastiche e consolidamento dell’assolutismo

3.1. Il sistema educativo del regno: le scuole e le due università

3.1.2. Il contributo del clero nella diffusione della lingua

L’uso esclusivo della lingua italiana sia nell’insegnamento sia anche «nello scrivere e nel dire» era stato sancito per la prima volta, come accennato, nel luglio 176064. Ma il processo di espansione dell’uso dell’italiano era stato lento e difficol- toso, e lo stesso governo, almeno nei primi tempi, era stato costretto a utilizzare anche nei documenti ufficiali l’idioma spagnolo, in prevalenza il castigliano, accanto a quello italiano. La promulgazione del regolamento per le scuole del 1764 sancì nuovamente l’obbligo dell’insegnamento in italiano, subordinando l’accesso alle classi inferiori al superamento di un apposito esame di buona conoscenza della lin- gua. Se quindi a poco a poco gli studenti e gli abitanti delle città iniziarono a prende- re dimestichezza con l’italiano, pur opponendo ancora forti resistenze all’uso «in pubblico» della lingua dei nuovi dominatori65, la mancanza di una efficace rete di scuole parrocchiali tenne ancora lontani dall’apprendimento e dall’uso della «nuova» lingua gli abitanti dei villaggi. Sulla base di questo genere di considerazioni il gover- no sabaudo si risolse a escogitare altri sistemi per promuovere tra le popolazioni

63 Sull’operato di Corongiu per la scolarizzazione del Campidano e delle Barbagia cfr. C. SOLE, La

Sardegna sabauda cit., pp. 106-107.

64 Su questo punto cfr. anche G.MANNO, Storia di Sardegna, IV cit., p. 331, da cui è anche tratta la

citazione.

65 La corte di Torino fu informata della cosa dal prefetto delle scuole gesuitiche Angelo Berlendis,

riferì comunque che i giovani studenti delle scuole accoglievano con entusiasmo la nuova lingua, e compivano importanti progressi nel suo uso sin dalle scuole «basse». Su questo punto cfr. la lettera di Berlendis del 14 aprile 1766 citata da Antonello Mattone e Piero Sanna, che registrano un certo successo, almeno tra gli scolari, di quella che definiscono la prima «rivoluzione delle idee» nell’isola: A.MATTONE, P. SANNA, La “rivoluzione delle idee” cit., pp. 840-841. Sulla figura di padre Berlendis e le sue attività a Sassari cfr. anche E.VERZELLA,L’Università di Sassari cit., pp. 91-92.

l’uso dell’italiano, ricercando ancora una volta la collaborazione del clero. La cate- chesi delle missioni e la predicazione compiuta dai pulpiti delle parrocchie, da dove i sacerdoti e i regolari istruivano le comunità dei fedeli sulle verità della religione, parvero infatti al governo sabaudo i mezzi più efficaci di diffusione della lingua ufficiale66. Ma in questo ambito i vescovi dell’isola non furono in grado di garantire la loro totale collaborazione, anche perché in alcuni casi non vollero accondiscendere alle pretese del governo.

Con una circolare del 13 febbraio 1765 il ministro Bogino richiese ai vescovi un contributo attivo nella propagazione dell’uso dell’italiano, invitandoli a far svol- gere in quella lingua gli insegnamenti di dottrina cristiana e di catechismo, e a obbli- gare i sacerdoti e i regolari a utilizzarla nella predicazione67. Il ministro era ben conscio che tale pretesa sarebbe stata disattesa nella diocesi di Ales, poiché già da tempo il vescovo Pilo aveva mostrato al ministro quanto fosse diffusa l’«ignoranza» dell’italiano tra i sacerdoti e, soprattutto, tra le popolazioni di quella diocesi68. Lo stesso valeva nell’arcidiocesi di Oristano69 – per la quale già nel sinodo del 1765 Del

66 Sulla «qualità pedagogica» dello «strumento» del catechismo cfr. X. TOSCANI, Catechesi e catechi-

smi come fattore di alfabetizzazione in età moderna, «Annali di storia dell’educazione e delle istitu-

zioni scolastiche», n. 1, 1994, pp. 17-36. Sulla «ideologizzazione» della catechesi nel Settecento e sulla sua funzione pedagogica cfr. P. VISMARA CHIAPPA, Educazione religiosa e educazione «politi-

ca». La funzione del catechismo nella Lombardia settecentesca, e J. R. ARMOGATHE, Théologie et

didactique: la catéchèse catholique en France à l’époque moderne, Ivi, pp. 37-58 e pp. 7-16.

67 Nel registro della corrispondenza la circolare è indicata come P.S. alla lettera precedente (ovvero

Bogino a Satta, 13 febbraio 1765), come pure a quelle scritte ai prelati di Cagliari, Sassari, Oristano ed Algueri, AST, Sardegna, Atti dalla capitale, Particolari, vol. 7, f. 50v. L’impresa di introdurre l’uso

della lingua italiana nelle predicazioni appariva piuttosto ardua, anche perché gli stessi vescovi di Ampurias e Ales continuavano a usare lo spagnolo anche nelle loro lettere al ministro Bogino. Dopo l’imposizione dell’uso dell’italiano negli atti ufficiali, il ministro comunicò quasi seccato ai due prelati che non avrebbe più risposto a lettere scritte in lingua castigliana: Bogino a Carta, 23 settembre 1767 e Bogino a Pilo, 7 ottobre 1767, entrambe in AST, Sardegna, Atti dalla capitale, Particolari, vol. 11, ff. 86v-87r e 97r-97v.

68 Cfr. Relazione dello stato de’ seminari, 22 maggio 1765 cit. nella parte compilata da Pilo e dedicata

alle difficoltà del seminario di Ales.

69 Nella Relatio del 1749 l’arcivescovo Del Carretto aveva assicurato che si sarebbe impegnato a

imparare il «barbaro» idioma sardo, l’unico compreso dal popolo (ASV, Congr. Concilio, Limina,

Arborensis, 1749), cosa che del resto aveva tentato inutilmente di fare anche il suo predecessore

Giulio Cesare Fontana (ASV, Congr. Concilio, Limina, Arborensis, 1745). Ma negli anni successivi egli preferì soprassedere e affidare le predicazioni a chi potesse esprimersi nella lingua popolare (ASV, Congr. Concilio, Limina, Arborensis, 1766). Lo stesso metodo fu utilizzato da altri presuli,

Carretto aveva indicato ai parroci la necessità di dotarsi di manuali di «offici» in «volgare»70 – e nella diocesi di Alghero71. Ma anche i presuli di solito più “pronti”, e in altre occasioni sempre entusiasti di fare proprie le direttive del governo, sollevaro- no non poche obiezioni a questa richiesta.

L’arcivescovo di Cagliari Delbecchi, che nel marzo del 1765 aveva già incari- cato due padri gesuiti di predicare in castigliano, assicurò al ministro che dal succes- sivo mese di ottobre avrebbe avviato le predicazioni in lingua italiana, ma solo in città e nelle tre parrocchie suburbane. In tutte le altre parrocchie le predicazioni avrebbero continuato a svolgersi in sardo campidanese, l’unica lingua compresa appieno da quelle popolazioni, che avevano grosse difficoltà persino con lo spagno- lo72. Negli stessi giorni l’arcivescovo di Sassari Viancini espresse a sua volta alcune perplessità, soprattutto sulla volontà del sovrano di inviare dal Piemonte dei catechi- smi scritti in italiano. Il presule ne contestava l’utilità, poiché non molti anni prima il suo predecessore De Bertolini aveva fatto curare una ristampa del catechismo del cardinale Bellarmino, in idioma sassarese per le parrocchie della città e in sardo logudorese per gli altri villaggi della diocesi, le uniche lingue che il popolo era in grado di capire e di utilizzare73. Ma l’opposizione del prelato non era causata solo da

soprattutto, ovviamente, da quelli piemontesi, ma anche da sardi provenienti da zone lontane dell’isola. Su questo punto cfr. le riflessioni di R.TURTAS, Pastorale vescovile e suo strumento lingui-

stico cit., pp. 20-23.

70 Prima Diœcesana Synodus Arborensis cit., p. 99.

71 Le predicazioni e l’insegnamento della dottrina cristiana in lingua «vernacola» erano state prescritte

per tutti i giorni di festa in tutte le parrocchie della diocesi di Alghero dal vescovo Lomellini nel 1728:

Constitutiones synodales diœcesis Algaren et unionum cit., pp. 11-12.

72 Delbecchi a Bogino, I marzo 1765, AST, Sardegna, Corrispondenza dall’isola, Arcivescovo di

Cagliari, m. 2. Sulle difficoltà di diffusione della lingua castigliana durante la dominazione spagnola cfr. R.TURTAS, Pastorale vescovile e suo strumento linguistico cit., pp. 1-19.

73 Cfr. Viancini a Bogino, 4 marzo 1765, AST, Sardegna, Corrispondenza dall’isola, Arcivescovi di

Sassari. Qualche anno dopo l’arcivescovo curò personalmente una nuova edizione in lingua sarda del catechismo di De Bertolini, nel quale sia lui che lo stesso Bogino, cui era stato richiesto di corregger- ne le prime bozze, avevano riscontrato non pochi errori, di cui «alcuni sostanziali»: cfr. Bogino a

Viancini, 31 maggio 1769, AST, Sardegna, Atti dalla capitale, Particolari, vol. 13, f. 18v e Viancini a Bogino, 18 giugno 1769, AST, Sardegna, Corrispondenza dall’isola, Arcivescovi di Sassari. Sulla

diffusione della traduzione del catechismo bellarminiano nella diocesi di Sassari e, in generale, in tutto il nord Sardegna cfr. A.VIRDIS, Excursus su catechesi e catechismi in Sardegna tra i secoli XVI e XX,

problemi di natura pratica: per Viancini il vero scopo della catechesi, come ricordò anche al ministro, doveva essere l’apprendimento della dottrina cristiana e non lo studio della lingua ufficiale, il cui insegnamento era invece compito del potere civi- le74. Anche un presule «fedele» come Viancini, che pure raramente si tirava indietro davanti alle richieste del governo sabaudo, non si fece scrupolo di dire eloquente- mente di no al ministro e alla sua pretesa di interferire con prerogative spirituali e pastorali che non gli competevano affatto.

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