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3. Politiche ecclesiastiche e consolidamento dell’assolutismo

3.1. Il sistema educativo del regno: le scuole e le due università

3.1.1. Gli ordinamenti delle «pubbliche scuole»

Nella seconda metà del XVIII secolo si ebbe in Sardegna un modesto ma signi- ficativo sviluppo degli «studi» inferiori e superiori. Il merito di questi progressi si dovette in primo luogo all’azione di alcuni vescovi, in particolare di quelli piemonte- si, formatisi a quella ideologia di servizio che avevano respirato durante i loro studi nella “nuova” Università di Torino. Questi prelati, particolarmente sensibili ai pro- blemi del diffuso analfabetismo – ma anche dell’indecenza dei «costumi» delle popolazioni sarde, su cui inviavano a Torino allarmanti notizie – intrapresero la

4 Stato di varie diocesi di questo regno, 17 ottobre 1758 cit. p. 1.

5 Per uno sguardo generale al problema e ad alcune realtà locali italiane cfr. M.ROGGERO,Insegnar

lettere cit, pp. 113-135. Sulle spinte verso l’«uniformità didattica» in area tedesca, in particolare sui

provvedimenti attuati in Slesia e in Austria, cfr. S. POLENGHI, La pedagogia di Felbiger e il metodo

normale, «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», n. 8, 2001, pp. 245-268.

6 Sulle riforme scolastiche attuate in Piemonte tra gli anni venti e gli anni settanta del Settecento cfr.

M.ROGGERO,Scuola e riforme cit.; EAD., Il sapere e la virtù cit., e P.DELPIANO,Il trono e la cattedra

cit. Per una descrizione dei programmi di insegnamento che ebbero maggior fortuna in Piemonte nella seconda metà del Settecento cfr. A.BIANCHI, Istruzione e modernizzazione dei «curricula» scolastici cit.

fondazione di scuole parrocchiali in alcuni villaggi delle loro diocesi, ispirandosi alle esperienze dei vescovi del Piemonte7.

Con lo scopo dichiarato di «procurare alla tenera età di questi paesi una educa- zione cristiana e letteraria», e di «liberare» le popolazioni «da quella rozzezza nella quale viv[eva]no», nel 1758 il vescovo di Alghero Giuseppe Agostino Delbecchi riorganizzò le scuole della città e delle «ville», inviando un maestro, scelto tra i sacerdoti della diocesi, in ciascuno dei villaggi più popolosi8. Le nuove scuole furo- no poste da Delbecchi sotto la supervisione dei parroci, che avevano l’obbligo di informare mensilmente il prelato del loro andamento9. La necessità di stabilire scuole «basse» nei villaggi della diocesi era stata già segnalata nel 1728 dal vescovo Gio- vanni Battista Lomellini, che però aveva attribuito l’onere finanziario della loro istituzione ai sindaci e alle comunità, pur impegnandosi a garantire il supporto e la vigilanza delle autorità diocesane10. Delbecchi, constatata la povertà della maggior parte dei villaggi della diocesi, aveva invece attribuito alla mitra l’obbligo di sovven- zionare i maestri, e aveva anche stabilito delle precise regole sui programmi e sulle

7 Sulle scuole «basse» piemontesi cfr. M.ROGGERO,Insegnar lettere cit, pp. 138-161. L’urgenza di

stabilire scuole «basse» nei villaggi sardi fu segnalata nel 1758 dal padre Vassallo. «Nelle Ville – scrisse il gesuita – ove si vive con tanta rusticità sarebbe pure di molto proffitto il porre almeno nelle più grandi qualche Maestro di scuola per instruzione de figliuoli, ed alcuna Maestra per instruzione delle figlie»: Stato di varie diocesi di questo regno, 17 ottobre 1758 cit., p. 3.

8 Cfr. Lettera del viceré al vescovo d’Algheri in seguito all’erezione fatta da detto prelato d’un semi-

nario in quella città e lo stabilimento delle pubbliche scuole in alcune terre della sua diocesi; con risposta del medesimo vescovo sopra la materia, 25 ottobre 1758, AST, Sardegna, Ecclesiastico,

Seminari, m. 2, Seminario di Alghero, n. 1. L’intero testo della lettera del viceré è conservato presso l’Archivio di Stato di Cagliari: cfr. Lettera a monsignor Delbecchi vescovo di Alghero, 25 ottobre

1758, ASC, Regia Segreteria, Serie I, Carteggio con gli ecclesiastici, vol. 724, ff. 6v-7r. Su questo

punto cfr. anche D. FILIA, La Sardegna cristiana cit., p. 75.

9 Il regolamento delle scuole dei villaggi, al quale Delbecchi si impegnò ad apportare modifiche

qualora durante le future visite pastorali vi avesse riscontrato qualche carenza, fu inviato dal presule al viceré Tana di Santena il 10 ottobre 1758: Regolamento interinario dato da monsignore di Algheri

alle scuole che ha stabilito nel corrente anno 1758 in alcune ville della sua diocesi per la educazione nella pietà e lettere de’ fanciulli, essendosi riservato l’approvarlo o mutarlo dopo qualche pratica, quando si porterà all’esame di esse scuole in tempo della visita e Copia d’articolo di risposta che ha fatta S. E. il signor conte Tana viceré detto li 5 novembre 1758 alla lettera di monsignore di Algheri in data de’ 30 del precedente ottobre, entrambe in Lettera del viceré al vescovo d’Algheri 25 ottobre 1758 cit.

10 Il vescovo Lomellini aveva stabilito nel Sinodo del 1728 la massima secondo cui «in oppidum sint

puerorom præceptores», sovvenzionati dai sindaci e dalle comunità: Constitutiones synodales diœce- sis Algaren et unionum cit., p. 14-15.

materie di studio. Un primo regolamento delle «scuole superiori e inferiori» della diocesi di Alghero, che prescriveva norme generali per regolare la condotta degli alunni laici ed ecclesiastici e per stabilire un insegnamento scrupoloso della dottrina cristiana, fu stilato dal presule nell’ottobre del 1758, mentre una bozza più circostan- ziata era già pronta nel marzo dell’anno successivo11. In essa si prevedevano precisi programmi e testi di riferimento per le lezioni, secondo un metodo di studi partico- larmente attento all’insegnamento delle discipline scientifiche e ispirato a quello in uso nei collegi dei padri delle Scuole Pie12, ordine religioso di cui il vescovo faceva parte e all’interno del quale egli si era formato al compito di educatore13.

Anche il vescovo di Bosa Giuseppe Stanislao Concas fu piuttosto attivo nel cercare di incrementare nella sua diocesi l’educazione primaria dei fanciulli impartita dai parroci, dei quali, come Delbecchi, riconosceva il ruolo primario di educatori14. All’inizio degli anni sessanta, non essendo ancora riuscito a ristabilire il seminario diocesano, il presule assunse su di sé l’onere dell’educazione dei chierici, preparando i più «dotati» al futuro compito di maestri nelle parrocchie15.

Affidare ai parroci dei villaggi l’istruzione primaria dei fanciulli, affiancandola – secondo il volere del governo – alla catechesi e alla cura animarum, significava riconoscere ai sacerdoti quel ruolo di «mediatori» primari della cultura delineato dai

11 Copia di regolamento ideato da monsignore Delbecchi vescovo d’Algheri per il seminario tridenti-

no, e per le scuole, 10 marzo 1758, AST, Sardegna, Ecclesiastico, Seminari, m. 2, Seminario di Alghero, n. 7.

12 Sui metodi di studio degli scolopi e sull’attenzione da questi riservata all’insegnamento scientifico

cfr. M. ROSA, Spiritualità mistica e insegnamento popolare. L’oratorio e le Scuole Pie, in Storia

dell’Italia religiosa, 2 cit., pp. 271-302, in particolare pp. 287 ss.

13 Erroneamente Damiano Filia attribuisce a Delbecchi la paternità della fondazione del Collegio

Nazareno di Roma (cfr. D. FILIA, La Sardegna cristiana cit., p. 75), fondato in realtà nel 1640, dove il

presule aveva invece solamente insegnato. Filia si confonde forse con l’altro istituto scolopio nella cui fondazione il presule aveva avuto un ruolo di primo piano: il Collegio Nuovo, o Calasanzio. Su questo punto, e sulla figura di Delbecchi come «educatore» nella diocesi di Alghero, cfr. R. MARZEDDU,

Riforme scolastiche e formazione del clero nella Sardegna sabauda. Il Seminario diocesano di Alghe- ro dal 1753 al 1793, tesi di laurea in Storia Moderna, rel. prof. Piero Sanna, Università degli studi di

Sassari, Facoltà di Scienze Politiche, a.a. 2004-2005, in particolare le pp. 46-48.

14 Giuseppe Stanislao Concas, che per alcuni anni aveva accompagnato il padre Vassallo nelle sue

missioni, era stato segnalato per una cattedra vescovile proprio dal gesuita: Stato di varie diocesi di

questo regno, 17 ottobre 1758 cit., p. 4.

canoni del Concilio di Trento16. Questo importante compito affidato al clero secola- re, che nel periodo post-tridentino aveva iniziato ad affermarsi nell’Europa cattolica, successivamente era stato ridimensionato dalla “concorrenza” culturale esercitata dai membri degli ordini religiosi. In una società come quella sarda, dove il monopolio dell’insegnamento era ancora totalmente nelle mani dei regolari – che pure erano presenti con i loro conventi e le loro scuole solo in alcuni villaggi e nelle città del regno – affidare ai curati l’educazione «di base» era quasi una “rivoluzione”: signifi- cava cioè creare scuole dove esse non erano presenti, ovvero su gran parte del territo- rio, e affidarle a ecclesiastici immediatamente dipendenti dai vescovi, diretti interlo- cutori del governo civile.

Per raggiungere questi scopi i rettori delle parrocchie, luoghi di incontro dell’uomo con la spiritualità ma anche con la Chiesa come “istituzione”, dovevano ricevere una formazione adeguata al loro ruolo di educatori – insegnanti di «lettere», ma anche di «moralità». Ma sino a che il governo, con il concorso dei prelati, non riuscì a trovare soluzioni adeguate e durature per rilanciare l’istruzione nei seminari diocesani, e sino a che questi istituti non furono in grado di forgiare nuove leve di sacerdoti secolari, l’istituzione delle scuole parrocchiali dovette fare i conti ancora per molto tempo con il grave problema della carenza di validi insegnanti. In un primo momento il monopolio dell’insegnamento rimase quindi nelle mani degli ordini religiosi, ma nel corso degli anni il governo sabaudo tentò in vari di modi di limitare l’autonomia didattica dei collegi dei regolari e di imprimere un indirizzo unitario ai programmi e ai metodi di insegnamento. Con l’ascesa del conte Bogino alla direzio- ne degli «affari di Sardegna» si accrebbe la capacità del governo di negoziare e di siglare accordi con i due principali ordini che insieme monopolizzavano l’insegna- mento nell’isola: i gesuiti, che come altrove rivolgevano i loro insegnamenti princi- palmente ai ceti più elevati, e gli scolopi, i cui programmi di studio più semplici e «il

16 Su questo punto si rimanda alle riflessioni di A. PROSPERI,Educare gli educatori. Il prete come

professione intellettuale nell’Italia tridentina, in Problèmes d’histoire de l’éducation cit., pp. 123-

tono di vita amichevole» dei loro collegi riscuotevano i maggiori successi soprattutto tra i ceti popolari17.

Un biglietto regio del luglio 1760, diretto ai provinciali dei due principali ordi- ni insegnanti, richiese loro di adoperarsi per migliorare gli «studi» nelle scuole infe- riori, e in particolare nelle prime classi di lingua latina e di «umane lettere». A tale scopo il sovrano ordinò che fossero stampati a Torino e inviati nell’isola alcuni manuali ed Excerpta di grammatica, di «umanità» e di retorica latina redatti apposi- tamente ad usum scholarum Regnum Sardiniae, la cui spedizione fu approntata nel marzo del 176118. Al regolamento contenuto nella lettera regia seguì qualche mese dopo un Piano da osservarsi per le scuole, alla cui stesura avevano contribuito, con consigli e suggerimenti, gli stessi padri provinciali degli ordini scolopi e gesuiti19. In base ad esso fu sancito l’obbligo per i maestri di avere un'abilitazione «certa», atte- stata dai superiori degli ordini, e fu stabilito l’uso esclusivo della lingua italiana in tutte le classi in cui non era tradizionalmente utilizzato il latino. Il sovrano prescrisse inoltre che da allora in avanti l’insegnamento dell’italiano avrebbe tenuto come base solo la lingua sarda, sancendo il definitivo abbandono dello spagnolo20.

La decisione del governo sabaudo di avviare la riforma degli studi con l’introduzione forzosa dell’uso della lingua italiana pare dimostrare la fiducia che i funzionari torinesi, e in particolare il ministro Bogino, avevano nelle capacità della

17 D. FILIA, La Sardegna cristiana cit., p. 140. A Cagliari, per esempio, le scuole degli scolopi conta-

vano, nel 1764, 695 alunni, a fronte dei 688 dei collegi gesuitici: Ibidem.

18 Un elenco dei libri da inviare in Sardegna si ritrova annotato in AST, Sardegna, Atti dalla capitale,

Particolari, vol. 1, ff. 134v-135r. Sui libri adottati nelle scuole piemontesi cfr. M.ROGGERO,Scuola e

riforme cit., pp. 201-257.

19 Sui nuovi programmi scolastici previsti dal Piano da osservarsi per le scuole di Grammatica,

Umanità e Retorica nel Regno di Sardegna del 18 febbraio 1761 cfr. E.VERZELLA,L’Università di Sassari cit, pp. 29-33.

20 Su questo punto cfr. C. SOLE, La Sardegna sabauda cit., pp. 106-107 e D. FILIA, La Sardegna

cristiana cit., pp. 83-84. Il regio biglietto stabilì inoltre il divieto per gli insegnanti di utilizzare pene

corporali e premi eccessivi agli studenti, e ordinò l’abolizione delle gare di emulazione caratteristiche dell’insegnamento gesuitico. Sulle cattive fortune del metodo gesuitico nel Piemonte di quegli anni cfr. M. ROGGERO,La crisi di un modello culturale. I Gesuiti nello Stato sabaudo tra Sei e Settecento,

in G. P. BRIZZI,La «Ratio Studiorum». Modelli culturali e pratiche educative in Italia tra Cinque e

Seicento, Bulzoni, Roma, 1981, pp. 217-248, ora ripubblicato in M.ROGGERO,Insegnar lettere cit, pp.

lingua della madrepatria di veicolare idee e sensibilità scientifiche nuove. Ma, con- trariamente ai piani della corte di Torino, l’affermazione della lingua italiana nell’isola si rivelò più ardua del previsto, anche perché gli stessi insegnanti non la padroneggiavano, quando addirittura non la conoscevano affatto o si rifiutavano categoricamente di utilizzarla. E inoltre, non molto tempo dopo la promulgazione del

Piano, il ministro torinese venne a sapere che la maggior parte dei testi inviati appo-

sitamente dalla penisola era rimasta in gran parte invenduta e inutilizzata21.

Secondo alcuni studiosi del Settecento sardo quella del 1760 fu una riforma «puramente teorica» poiché, come ha osservato Carlino Sole, i due ordini insegnanti non prestarono ascolto alle «insinuazioni» del governo e continuarono a utilizzare per tutto il corso del secolo i loro metodi tradizionali22. Il giudizio pare troppo lapi- dario, perché si nota a partire dalla seconda metà degli anni sessanta un incremento della collaborazione da parte degli ordini insegnanti. Tuttavia bisogna riconoscere che la riforma fu favorita principalmente dai padri generali residenti a Roma, con i quali il governo torinese trattava direttamente, e che essa, soprattutto nei primi anni, fu aspramente osteggiata dai regolari sardi, «spagnoli» per cultura e per formazione e timorosi di perdere la loro posizione di preponderanza in favore di una cultura «ita- liana» che non conoscevano e in cui non si riconoscevano.

Di fronte a tutte queste difficoltà ancora quattro anni dopo la promulgazione del biglietto regio lo stesso ministro Bogino era costretto ad ammettere che le dispo- sizioni del 1760, pur «dirette ad ottimi fini», erano rimaste in gran parte inapplica- te23. Per questo motivo nel 1764, contestualmente alla promulgazione delle Costitu-

21 Su questo punto cfr. E.VERZELLA,L’Università di Sassari cit., pp. 31-32

22 Sul metodo di insegnamento dei gesuiti, la Ratio studiorum, esiste un’imponente bibliografia. Su

tutti si rimanda a P. CAIAZZA, I gesuiti: pedagogia ed etica, in Storia dell’Italia religiosa, 2 cit., pp.

211-230. Un’utile e recente sintesi, che contiene un’ampia mole di richiami archivistici e bibliografici, è quella di M. ZANARDI, La «Ratio atque institutio studiorum Societatis Iesu»: tappe e vicende della

sua progressiva formazione (1541-1616), «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolasti-

che», n. 5, 1998, pp. 135-164. Per i metodi in uso presso gli scolopi si rimanda invece a M. ROSA,

Spiritualità mistica e insegnamento popolare. L’oratorio e le Scuole Pie cit. pp. 287 ss.

23 Bogino a Viancini, 20 giugno 1764, AST, Sardegna, Atti dalla capitale, Particolari, vol. 6, ff. 6v-

10r. Il ministro chiese pertanto all’arcivescovo una dettagliata relazione su quanto si fosse veramente eseguito a Sassari di quei regolamenti.

zioni per l’Università di Cagliari, il sovrano decretò la parificazione delle scuole

della capitale sarda a quelle di Torino24, e diede loro un nuovo Regolamento con il proposito di estenderlo nel più breve tempo possibile a tutta l’isola25. Le Costituzioni dell’ateneo cagliaritano, modellate sulle norme emanate per quello torinese, sanciro- no la creazione di un Magistrato sopra gli studi, organo collegiale dotato di potere di controllo sull’intero sistema scolastico26. In base alle nuove norme l’insegnamento inferiore, anche quello impartito agli alunni dei seminari, che per la maggior parte non possedevano proprie scuole al loro interno, rimase affidato agli ordini regolari, poiché il regno sardo non aveva ancora sufficienti risorse finanziare per fondare ex

novo delle scuole «pubbliche»27. Il sovrano stabilì direttive unitarie sui programmi e sui libri di testo da adottare, ordinando la redazione di nuovi manuali di grammatica latina. Per questa materia furono predisposti un Nuovo metodo […] ad uso delle

scuole di Sardegna, scritto in italiano e modellato sulla famosa «grammatica di Port

Royal»28, e una ristampa degli Excerpta29. Diversamente a quanto prescritto dalle

24 La parificazione fu sancita con carta reale del 18 giugno 1764: D. FILIA, La Sardegna cristiana cit.,

p. 83.

25 Anche il regolamento per le scuole fu modellato su quello emanato a Torino, su cui cfr. D.BALANI,

M.ROGGERO,La scuola in Italia cit., pp. 96-99

26 Il regolamento per le scuole fu trasmesso dal viceré Francesco Ludovico (o Luigi) Costa balio della

Trinità a tutti i prelati dell’isola insieme con le Costituzioni per l’Università di Cagliari: Lettera a

monsignor Delbecchi arcivescovo di Cagliari, 23 agosto 1764, Circolare ai prelati di Oristano, Ales e Iglesias, 23 agosto 1764, Circolare ai prelati di Sassari e Bosa, 25 agosto 1764 e Lettera a monsignor Carta vescovo di Ampurias, 16 settembre 1764, tutte in ASC, Regia Segreteria, Serie I, Carteggio con

gli ecclesiastici, vol. 725, ff. 112v-113r, 113r-113v, 114v e 119r. In quel momento il nuovo vescovo di Alghero non era ancora giunto nella sua sede.

27 Un caso analogo si verificò, ad esempio, nella città abruzzese di Lanciano, dove tra il 1734 e il 1736

fu creata, dietro sollecitazione dell’arcivescovo Antonio Paternò e delle autorità cittadine, una scuola «pubblica» la cui gestione fu affidata totalmente ai padri scolopi: A. TANTURRI,La pubblica istruzio-

ne a Lanciano in età moderna, «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», vol.

7, 2000, pp. 309-336, in particolare pp. 317-330.

28 Il Nuovo metodo introdotto in Sardegna si rifaceva alla grammatica scritta da Claude Lancelot

(Nouvelle Méthode pour apprendre facilement et en peu de temps la langue latine contenant les

rudiments et les régles mises en français avec un ordre très clair et très abrégé, I ed. Parigi 1644) per

il collegio del convento francese di Port-Royal, culla del giansenismo francese. Sulla diffusione dell’opera nelle scuole piemontesi cfr. M.ROGGERO,Scuola e riforme cit., p. 205 ss. Sull’adozione di

questo testo nelle scuole sarde e sul suo ruolo nel definitivo abbandono della lingua spagnola nell’insegnamento cfr. E. VERZELLA, L’Università di Sassari cit., p. 30.

disposizioni del 1760 nel «corredo» obbligatorio degli studenti sardi furono inclusi anche un vocabolario, un «compendio del suddetto», il Catechismo bellarminiano30 e la grammatica latina di Elio Donato31. La presenza di questa antica grammatica, totalmente scritta il latino, tra i libri adottati in Sardegna colpisce l’osservatore. Infatti essa non era più stata utilizzata in Piemonte dall’entrata in vigore della prima riforma delle scuole inferiori, operata nel 1729 in base alle indicazioni dell’erudito Bernardo Andrea Lama32. Ma forse in Sardegna, dove la diffusione della lingua italiana era ancora limitata, essa sarebbe potuta servire da supporto al Nuovo metodo italiano per l’insegnamento del latino e, soprattutto, avrebbe sostituito più che de- gnamente i testi in spagnolo ancora utilizzati dai gesuiti33.

Uno dei presuli più entusiasti della riforma scolastica e universitaria fu il ve- scovo di Ales Giuseppe Maria Pilo, fiducioso del fatto che la nuova università di Cagliari avrebbe in breve tempo forgiato una nuova leva di insegnanti anche per la del nuovo anno scolastico: Bogino a Viancini, 27 marzo 1765, AST, Sardegna, Atti dalla capitale, Particolari, vol. 7, ff. 93r-95r. Il titolo completo dell’opera era Excerpta e veteribus scriptoribus ad

usum Scholarum Regni Sardiniae quintae, quartae et tertiae grammaticorum classi: E.VERZELLA,

L’Università di Sassari cit., p. 30.

30 Un elenco di questi testi si ritrova in Nota dei libri ad uso delle scuole di Sardegna, coi prezzi, cui si

sono venduti dalla Reale Stamperia di Torino (allegato alla lettera di Bogino all’arcivescovo Viancini

del I agosto 1764), AST, Sardegna, Atti dalla capitale, Particolari, vol. 6, ff. 38v-39r. Sulla fortuna del Catechismo bellariminiano e per una bibliografia indicativa sull’argomento si rimanda a G.BIANCAR- DI, Per una storia del catechismo in epoca moderna. Temi e indicazioni bibliografiche, in Chiesa

romana e cultura europea in Antico regime, a cura di C. Mozzarelli, «Cheiron», 1998, pp. 163-234, in

particolare pp. 169-170.

31 Si tratta della Ars minor di grammatica latina compilata secondo il metodo del grammatico romano

Elio Donato, vissuto nel IV secolo d.C., che ebbe grande fortuna soprattutto nel XVI secolo. Anche

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