2.1 IL CONTROLLO E LA DIREZIONE UNITARIA
Il rapporto sussistente tra controllo e realtà di gruppo costituisce un tema ampiamente discusso in dottrina, e questo continuo disquisire in materia ha generato grande confusione in ordine alla stessa. Si ritiene opportuno, quindi, muovere dalla definizione di «società controllata» che, secondo la dottrina prevalente è ricavabile
dall’art. 2359 c.c.35 e da un nutrito numero di disposizioni contenute in leggi
speciali36: controllata è la società che si trova – direttamente o indirettamente – sotto
l’influenza dominante di un’altra società, la quale è in grado, perciò, di indirizzarne stabilmente l’attività (anche della controllata). La definizione contenuta nell’art. 2359 c.c., tuttavia, non nasce come norma di carattere generale; piuttosto è reduce di una storia piuttosto sofferta. Infatti, nella sua versione originaria, la norma in analisi disponeva che dovessero considerarsi controllate quelle società in cui un’altra società disponesse di un numero di azioni tale da assicurarle la maggioranza dei voti nelle assemblee ordinarie, o che, in virtù di particolari vincoli contrattuali, fossero sotto l’influenza dominante di un’altra società37. La formula appena indicata risulta del
35 Articolo modificato dalla legge n. 216/1974, recante «Disposizioni relative al mercato mobiliare ed al trattamento fiscale dei titoli azionari» e, successivamente, dal D.lgs n. 127/1991 «Attuazione delle Direttive n. 78/660/CEE e n. 83/349/ CEE in materia societaria, relative ai conti annuali e consolidati, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge 26 marzo 1990, n. 69».
36 Leggi speciali che, tuttavia, forniscono spesso definizioni giuridiche parzialmente diverse o, integrano le definizione del codice con elementi ulteriori. Si vedano, ad esempio, gli artt. 23 D.lgs 1 settembre 1993, n. 385, riguardante i soggetti che operano nel settore bancario e creditizio; l’art. 10, comma 2, legge 18 febbraio 1992, n. 149, in materia di offerte pubbliche d’acquisto; l’art. 10, comma 2, legge 9 gennaio 1991, n. 20, riguardante le società di assicurazione; l’art. 4, comma 3, legge 2 gennaio 1991, n. 1, sulle società di intermediazione mobiliare, richiamato anche dall’art. 5, comma 9, D.lgs. 25 gennaio 1992, n. 84, a proposito delle società di investimento a capitale variabile; l’art. 70, legge 10 ottobre 1990, n. 287, sulla disciplina della concorrenza e del mercato, l’art. 37, legge 6 agosto 1990, n. 223, sulla regolamentazione del mercato televisivo e infine quelle dell’art. 93, D.lgs., 24 febbraio 1998, n. 58, recante disposizioni in materia di intermediazione finanziaria.
37 Precisamente, l’art. 2359 c.c. (R.D. 16 marzo 1942, n. 262 nella sua versione precedente all’emanazione della legge 7 giugno 1974, n. 216), disponeva che «sono considerate società controllate: 1. Le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2. Le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3. Le società che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Ai fini dell’applicazione dei nn. 1 e 2 del 1° comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta, non si computano i voti spettanti per conto di terzi. Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società
tutto imprecisa, introdotta con il solo e precipuo fine di evitare alle società controllate di investire, anche solo parzialmente, il proprio capitale in azioni della controllante(38).
Ed invero, sebbene l’art. 2359 c.c. abbia avuto il merito di dare ingresso alla definizione di controllo nell’ordinamento giuridico italiano, lo stesso, nella
formulazione anzidetta, lasciava irrisolti una serie di dubbi interpretativi39. Di
conseguenza, venne sentito il bisogno di innovare tale disciplina. A ciò fece, pertanto,
seguito l’emanazione della legge 7 giugno 1974, n. 216, art. 640, attraverso la quale la
norma civilistica fu novellata facendo tesoro dell’esperienza maturata sotto la vigenza della norma previgente. La norma dettata dall’art. 2359 c.c., così come modificato dalla legge n. 216/1974, conteneva, nonostante non fosse avulsa da qualche
contraddizione41, una descrizione più specifica ed analitica della fattispecie in esame.
Inoltre, sembrava inserirsi nel contesto di un più ambizioso disegno di controllo
pubblico dei gruppi di società42. Difatti, apportava una disciplina più dettagliata per
ciò che concerne le partecipazioni reciproche (art. 2359 bis c.c.); tuttavia, cominciava a farsi carico di esigenze di trasparenza, imponendo di indicare in bilancio le società controllate e collegate (art. 2424 c.c.).
esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa».
38 In questo senso, G. Fanelli, Le partecipazioni sociali reciproche, Milano, 1957, pp. 129 ss..
39 In questo senso, A. Graziani, Diritto delle società, Napoli, 1963, pp. 302 ss.; F. D’Alessandro, La nuova disciplina dei
gruppi di società (note esegetiche), in A. Amatucci – F. D’Alessandro – G. Fanelli, Milano, 1978, p. 183.
40 Il suddetto articolo dispone che «l’art. 2359 del codice civile è sostituito dai seguenti: art. 2359 – Società controllate e società collegate. Sono considerate società controllate: 1. Le società in cui un’altra società, in virtù delle azioni o quote possedute, dispone della maggioranza richiesta per le deliberazioni dell’assemblea ordinaria; 2. Le società che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù delle azioni o quote da questa possedute o di particolari vincoli contrattuali con essa; 3. Le società controllate da un’altra società mediante le azioni o quote possedute da società controllate da questa. Sono considerate collegate le società nelle quali si partecipa in misura superiore al decimo del loro capitale, ovvero in misura superiore al ventesimo se si tratta di società con azioni quotate in borsa». Collegata funzionalmente a questa norma, è la disciplina introdotto con l’art. 2359 bis c.c. diretta a porre fine all’esclusione del divieto di investimento originariamente previsto dall’art. 2359, comma 1.
41 La norma in esame fu, infatti, criticata, non solo perché non mutava in nulla malgrado quanto era stato proposto nei vari progetti di riforma, la formula precedente quanto al controllo esterno (non contemplando il controllo derivante da rapporti extracontrattuale). Fu oggetto di critiche, inoltre, a causa della sua scarsa efficacia, sotto il profilo del controllo indiretto. Tra i vari aspetti discussi, era in particolare dubbio se la formula legislativa comprendesse anche, nell’ipotesi di controllo indiretto, quello esercitato al secondo livello nella forma di controllo esterno. In questo senso, per tutti, F. D’Alessandro, La nuova disciplina dei gruppi di società (note esegetiche), in A. Amatucci – F. D’Alessandro – G. Fanelli, Milano, 1978. In senso contrario invece, C. Angelici, La partecipazione azionaria nelle società per azioni, in
Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, Torino, 1985, pp. 335 ss..
42 In questo senso, A. Pavone la Rosa, Tipologia dei vincoli di “controllo e dei “gruppi societari”, in Trattato delle società
In sostanza, la nuova formulazione dell’art. 2359 c.c. accoglie espressamente le figure del controllo interno, di fatto, e del controllo indiretto. Per contro, il concetto di controllo esterno, non è stato esteso oltre i limiti dei «particolari limiti contrattuali», già presenti nel vecchio testo della norma e mantenuti inalterati nella versione successiva.
Tale novella, inoltre, ha introdotto la non trascurabile nozione di collegamento, ritenuta sussistente ogni qualvolta una società partecipasse ad un’altra in misura superiore al decimo del suo capitale, ovvero al ventesimo, nel caso di società quotata in borsa.
In occasione, poi, del recepimento nel nostro ordinamento della IV e V direttiva CE in materia societaria43, attraverso l’introduzione dell’art. 26, comma 1, del D.lgs. 9
aprile 1991, n. 12744 (nel tentativo di ottenere una formulazione più precisa e
completa della norma), anche la seconda formulazione dell’art. 2359 c.c. è stata superata con la terza novella dell’art. 2359 c.c.
Sicché, vengono oggi considerate controllate, a norma dell’art. 2359 c.c., «1. Le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria», ossia dispone, di più della metà delle azioni con diritto di voto nelle assemblee ordinarie. In questa ipotesi, la possibilità di esercitare un’influenza dominante è certa e si esplica nel diritto, in capo alla società controllante, di nominare gli amministratori della controllata; « 2. Le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria». In questo caso, la partecipazione è di per sé minoritaria, tuttavia consente di orientare le determinazioni assembleari grazie alla dispersione dei voti; «3. Le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa».
43 Si tratta, rispettivamente, della Direttiva 78/660/CEE e della Direttiva 83/349/CEE, relative ai conti annuali e consolidati di taluni tipi di società.
44 Precisamente, l’art. 26, comma 1, D.lgs. 9 aprile 1991, n. 127, dispone che «agli effetti dell’art. 25 sono considerate imprese controllate quelle indicate nei numeri 1 e 2 del comma 1 dell’art. 2359 c.c. agli stessi effetti sono in ogni caso considerate controllate: a. le imprese su cui un’altra ha diritto, in virtù di un contratto o di una clausola statutaria, di esercitare un’influenza dominante, la legge applicabile consenta tali contratti o clausole; b. le imprese in cui un’altra, in base ad accordi con altri soci, controlla da sola la maggioranza dei diritti di voto»
L’art. 2359 c.c., secondo comma, precisa inoltre, che ai fini del controllo azionario, devono essere computati anche i voti spettanti a società controllate, fiduciarie e a persona interposta, con esclusione dei voti spettanti per conto di terzi. Viene a sottolinearsi, quindi, la possibilità che il controllo azionario possa essere, non solo diretto, ma anche indiretto.
In dottrina, appare diffusa la convinzione che la fattispecie del controllo, «non solo non è fattispecie coincidente con quella di gruppo», ma tra di esse non sussiste
neppure «un rapporto di strumentalità necessaria»45. Permangono, tuttavia,
divergenze in merito all’identificazione della linea di confine tra la fattispecie del controllo e quella del gruppo. In particolare, secondo un primo filone, sarebbe opportuno muovere dalla constatazione che l’ipotesi di una società con partecipazione di controllo nei confronti di un’altra società non identifica, per ciò stesso, una fattispecie giuridica di gruppo, nonostante determina, in virtù dell’ingerenza di un’impresa verso un’altra, un percorso non del tutto in linea con i
principi del diritto societario46. Secondo il medesimo orientamento interpretativo, la
realtà del gruppo indicherebbe esclusivamente il fenomeno avente ad oggetto la riunione contrattuale di più imprese, al fine di realizzare un progetto economico unico
e diverso rispetto a quello realizzabile dalle singole società individualmente47.
Allorché, invece, non fosse possibile l’integrazione azionaria di diverse società, potrà essere costituito un unico centro finanziario, la holding, alla quale sono collegate diverse imprese, la gestione economico–finanziaria delle quali, potrà subire influenze
dalla stessa48. Ad avviso della medesima dottrina, non avremmo, in quest’ultimo
caso, un fenomeno di gruppo, poiché, in tal caso, sarebbe necessaria la sussistenza della direzione unitaria, al fine di realizzare un risultato comune ed ulteriore rispetto a
45 Così, espressamente, I «gruppi» tra diritto interno e prospettive comunitarie, in Giur. comm., 1980, I, p. 922; C. Pasteris, Il «controllo nelle società collegate e le partecipazioni reciproche», Milano, 1957, p. 125. La dottrina appena citata, ritiene che il nostro ordinamento positivo, conosca la nozione di controllo, applicandola in diversi campi, tuttavia, non da una definizione alla realtà di gruppo, soprattutto in riferimento alla redazione di bilanci consolidati, oltreché a problemi ulteriori del diritto societario.
46 In questo senso, G. Ferri, Le società, Torino, 1987; G. Ferri, Concetto di controllo e di gruppo, in Atti del Convegno di
Studi svoltosi a Bellagio 19 – 20 giugno 1981, Milano 1982; G. Scognamiglio, Autonomia e coordinamento nella disciplina dei gruppi di società, Torino, 1997, pp. 78 ss..
47 In questo senso, G. Ferri, Le società, Torino, 1987, p. 1023.
quello perseguito dalle società individualmente. La tesi appena esposta è stata, successivamente, rielaborata e riproposta dalla dottrina prevalente, affermando che, l’aspetto decisivo del gruppo è rinvenibile nell’esistenza di una «struttura organizzativa che, sovrapponendosi alle singole società e creando un proprio centro
decisionale, determina tutte le condizioni facendone strumento unitario di gruppo»49.
Tale definizione, corrisponde ad un decisivo passo in avanti, poiché fa riferimento ad un’organizzazione giuridica distinta da quella delle singole società che ne fanno parte. Inoltre, al fine di integrare un fenomeno di gruppo, si ritiene necessaria la direzione unitaria delle società che partecipano allo stesso. Tale direzione unitaria viene rappresentata «dall’accentramento presso gli organi gestori della controllante o di società intermedie investite di compiti direttivi, di funzioni amministrative inerenti
alle diverse unità aggregate»50. Infine, si può affermare come la dottrina rilevi la linea
di confine tra controllo e gruppo nel fatto che quest’ultimo presuppone «un tipo di collegamento qualitativamente diverso dal controllo, potendo di gruppo parlarsi solo quando l’ingerenza assume forme diverse e più incisive di quella esplicabile in una ordinaria situazione di controllo»51 .
Va ribadito che, l’esistenza di un rapporto di controllo societario non è sufficiente per affermare che si è in presenza di un gruppo di società. Infatti, prevale l’opinione che individua nella «direzione unitaria» il tratto distintivo del gruppo. Il gruppo con direzione unitaria sarebbe, secondo un modo di vedere alquanto diffuso, il gruppo «accentrato», caratterizzato cioè dall’accertamento nella controllante o capogruppo di tutte le decisioni (o quantomeno le decisioni strategicamente più importanti) che
ineriscono alla gestione delle società controllate52. Altri preferiscono affermare,
invece, che la direzione unitaria consiste nell’imposizione agli organi direttivi delle
49 Così, espressamente, F. Chiomenti, Osservazioni critiche per una costruzione giuridica del rapporto di gruppo fra
imprese, in Riv. dir. comm., 1983, I, pp. 257 ss..
50 In tal senso, espressamente, A. Pavone La Rosa, La responsabilità “da controllo” nei gruppi di società, in Riv. soc., 1984, pp. 401 ss.
51 Così, espressamente, A. Pavone La Rosa, “Controllo” e “gruppo” nella fenomenologia dei collegamenti societari, in
Dir. fall., 1985, pp. 10 ss; A. Pavone La Rosa, La responsabilità del controllo nei gruppi di società, in Riv. soc., 1984, pp.
407 ss..
52 In questo senso, G. Lo Cascio, La responsabilità nei gruppi di società, in Il fallimento delle società di capitali e regime
di responsabilità, Milano, 1997, p. 16; G. Ferri, Concetto di controllo e di gruppo, in Atti del Convegno di Studi svoltosi a Bellagio 19 – 20 giugno 1981, Milano 1982, pp. 67 ss..
società controllate, di decisioni provenienti dalla società «dominante», di modo che il gruppo di società controllate, venga ad essere gestito «come un’entità unitaria, quasi si trattasse di una sola impresa»53. Da altri ancora, poi, si preferisce definire la direzione unitaria (seppure in una prospettiva comunque analoga), in termini di assoggettamento delle varie unità imprenditoriali che compongono il gruppo, ad una comune politica di perseguimento di un unico fine, da parte di tutte le società legate dal rapporto di controllo, di sostituzione o sovrapposizione dell’interesse del gruppo, a quello delle singole società, con prevalenza del primo sul secondo, nell’ipotesi di conflitto54.
Al riguardo, conviene osservare che il fenomeno dei «gruppi» differisce profondamente da quello dell’impresa «multidivisionale», precisamente, dell’impresa imputata ad un unico soggetto ed articolata in una pluralità di «divisioni» o settori, ciascuno dei quali corrisponde ad un segmento della sua attività ed è dotato eventualmente, di autonomia contabile e amministrativa, ma non di autonomia giuridica. Al «gruppo», che si articola, invece, in una pluralità di soggetti giuridicamente distinti (le società controllate), ciascuno dotato di organi propri, formalmente autonomi, e di un proprio patrimonio, distinto e separato da quello degli altri, non si addice la gestione unitaria. Salvo, invece, un siffatto modello di gestione che, riservando alla holding il ruolo di effettivo centro decisionale, viene ad incidere su aspetti centrali dell’organizzazione delle società figlie, in particolare, sulla disciplina relativa al patrimonio e sulla regolamentazione dei poteri e doveri degli organi, sia espressamente «autorizzato» dall’ordinamento.
Nulla, comunque, impedisce di definire la direzione unitaria in termini di concentrazione dei poteri decisionali in capo agli organi della holding, di strumentalizzazione delle società figlie ai fini della politica di gruppo (ma non solo), anche in ambienti normativi come il nostro, al quale sembra estraneo il modello del gruppo «accentrato».
53 In questo senso, P. G. Jaeger, P.G. Jaeger, Direzione unitaria di gruppo e responsabilità degli amministratori, in Riv.
soc., 1985, pp. 817 ss..
54 In questo senso F. Chiomenti, Osservazioni critiche per una costruzione giuridica del rapporto di gruppo fra imprese, in Riv. dir. comm., 1983, p. 258.
Secondo un’altra prospettazione, che differisce almeno sul piano terminologico da quella esposta, la locuzione «direzione unitaria» equivale al concetto di accentramento nella capogruppo o avocazione da parte della capogruppo, di funzioni
gestorie fondamentali inerenti alle società controllate55. Le espressioni di
accentramento/avocazione e di funzioni gestorie risultano, tuttavia, dal punto di vista giuridico, alquanto generiche. Precisamente, allo scopo di precisarne la portata, occorre domandarsi quali, tra le funzioni gestorie, debbono essere accentrate nella holding perché sia configurabile una direzione unitaria e quali conseguenze comporti l’accentramento di funzioni gestorie.
Per quanto concerne il primo punto, per affermare che vi è direzione unitaria, non è sufficiente che la holding accentri in sé funzioni gestorie essenziali e fondamentali: il problema consiste nell’identificazione delle funzioni, ossia quelle fasi o momenti dell’attività di gestione dell’impresa, che, per loro importanza, meritano di essere qualificati come essenziali.
L’impostazione di tale problema, da parte della dottrina nostrana, appare, allo stato, scarsa, per cui, conviene richiamare i risultati a cui è pervenuta, sul punto, la dottrina tedesca. Secondo l’opinione che si è venuta consolidando nel panorama tedesco è necessario, ai fini della sussistenza di una direzione unitaria, l’accentramento nella holding della sola funzione finanziaria, la quale, in quanto concernente e comprendente la pianificazione degli investimenti, l’allocazione delle risorse nonché le diverse aree di attività, costituisce strumento e presupposto indispensabile di tutte le altre funzioni imprenditoriale e condiziona, quindi, lo svolgimento di queste ultime, si esso accentrato nella holding, ovvero decentrato nelle singole società operative. Per quanto riguarda il secondo quesito, invece, allorché «l’accentramento» venga inteso nel senso che la holding, in quanto svolge una o più funzioni gestorie fondamentali inerenti alle imprese delle società figlie, adotta altresì le decisioni e le scelte relative alle funzioni accentrate, sostituendosi, in quelle decisioni e in quelle scelte, agli organi delle società controllate, e riducendo, quindi, la sfera delle loro
55 In questo senso, A. Pavone La Rosa, La responsabilità “da controllo” nei gruppi di società, in Riv. soc., 1984, pp. 409 – 410.
competenze, deve riconoscersi ancora una volta che il modello di gruppo, in tal modo evocato, è eterodosso rispetto ai principi del diritto societario: se intesa in questo modo, la direzione unitaria, corrisponde alla patologia del fenomeno dei gruppi.
2.2 L’ATTIVITÀ DI DIREZIONE E COORDINAMENTO: CONFLITTO DI INTERESSI E TEORIA DEI VANTAGGI COMPENSATIVI
Tra i diversi compiti assegnati dalla Legge Delega n. 366/2001 al Legislatore delegato vi era, com’è noto, anche quello «di disciplinare i gruppi di società secondo
i principi di trasparenza e di contemperamento degli interessi coinvolti»56. Tale
compito è stato assolto dal Legislatore Delegato, prescindendo, non solo dal fornire qualsiasi definizione di «gruppo», ma anche dall’utilizzo del termine stesso. Si tratta di scelte consapevoli e, almeno per quanto concerne la prima, esplicitamente motivata, facendo riferimento, da un lato, all’inadeguatezza delle definizioni di gruppo già presenti nel diritto positivo e, dall’altro, ed in senso più generale, alla non certa opportunità di coniare una nuova nozione che avrebbe potuto dimostrarsi
«inadeguata all’incessante evoluzione della realtà sociale, economia e giuridica»57.
Abbandonato qualsiasi riferimento esplicito al «gruppo», «i principi e i criteri
direttivi» di cui all’art. 10 della Legge Delega n. 366/200158, hanno trovato attuazione
in una disciplina che, in primo luogo, non è testualmente ancorata al «gruppo», bensì ad una «attività di direzione e coordinamento di società» e, in secondo luogo, che non
56 Così espressamente, l’art. 2, lett. h, della legge Delega 3 ottobre 2001, n. 366, «Delega al Governo per la riforma del diritto societario», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 234 dell’8 ottobre 2001.
57 Così espressamente, l’intervento nell’ambito del Congegno «Dall’attività di direzione e coordinamento ai gruppi di
società», svoltosi presso l’Università di Cassino, in data 1 giugno 2004.
58 Precisamente, l’art. 10 della Legge Delega n.366/2001 dispone che «la riforma in materia di gruppi è ispirata ai seguenti principi e criteri direttivi: a. prevedere una disciplina del gruppo secondo principi di trasparenza e tale da assicurare che l’attività di direzione e di coordinamento contemperi adeguatamente l’interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di queste ultime; b. prevedere che le decisioni conseguenti ad una valutazione dell’interesse del gruppo siano motivate; c. prevedere forme di pubblicità dell’appartenenza al gruppo; d.