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LA RESPONSABILITÀ DELLA CAPOGRUPPO NELL'ATTIVITÀ DI DIREZIONE E COORDINAMENTO E LE IMPRESE DI TRASPORTO

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE

Corso di dottorato di ricerca in Diritto ed economia dei sistemi produttivi, dei

trasporti e della logistica

XXV CICLO

LA RESPONSABILITÀ DELLA CAPOGRUPPO

NELL'ATTIVITÀ DI DIREZIONE E COORDINAMENTO

E LE IMPRESE DI TRASPORTO

Dottorando

Giordano Bacile di Castiglione

Relatore

Chiar.mo Prof. Massimo Deiana

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INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO I

IL FENOMENO DEL GRUPPO DI SOCIETÀ: ELABORAZIONE DOGMATICA E DISCIPLINA CODICISTICA

1.1 IL GRUPPO NEL DIRITTO SOCIETARIO: DEFINIZIONE E ASPETTI PROBLEMATICI

CAPITOLO II

IL CONTROLLO NEL GRUPPO: NOZIONE E CARATTERISTICHE 2.1 IL CONTROLLO E LA DIREZIONE UNITARIA

2.2 L’ATTIVITÀ DI DIREZIONE E COORDINAMENTO: CONFLITTO DI INTERESSI E TEORIA DEI VANTAGGI COMPENSATIVI

2.3 LA RESPONSABILITA’ DELLA HOLDING

CAPITOLO III

LA RESPONSABILITÀ DELLA HOLDING NEL PANORAMA DELLE IMPRESE MARITTIME DI TRASPORTO

3.1 IL FENOMENO DEL GRUPPO NELLE IMPRESE DI TRASPORTO

3.2 LA RESPONSABILITA’ DEL VETTORE NEL TRASPORTO MARITTIMO E AEREO DEI

PASSEGGERI E LA EVENTUALE RESPONSABILITA’ DELLA CAPOGRUPPO

3.3 LA RESPONSABILITÀ DELLA CAPOGRUPPO PER VIOLAZIONI DELLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI CONCORRENZA

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INTRODUZIONE

I gruppi di società, costituiscono la forma giuridica propria della grande o medio -grande impresa del nostro tempo. Si tratta di una forma giuridica che le rilevazioni statistiche hanno messo in evidenza come la più frequente in tutto il mondo. Difatti, quando l’impresa supera una certa soglia gestionale, ovvero quando l’impresa occupa un mercato molto vasto, il quale risulta andare al di la dei confini nazionali, viene assunta la conformazione dell’impresa di gruppo.

L’impresa, per effetto della forma giuridica del gruppo, si fraziona in una pluralità di società, operanti tutte sotto l’elemento unificante della direzione e coordinamento esercitata dalla capogruppo (holding)1, la quale si pone a capo di questa entità complessiva. Quest’ultima, è il risultato del rapporto di controllo. Precisamente, la holding controlla le società che appartengono al gruppo, che sono a questa subordinate (per utilizzare un’espressione derivante dal panorama anglosassone, le sue sussidiarie). Il controllo può essere azionario o contrattuale. Nel primo caso, si distingue tra controllo diretto e controllo diretto, e tra controllo di fatto e di diritto. In particolare, può sussistere una catena di controllo che non incontra limitazioni, ovvero, con il fine di controllare una società, in virtù dell’assenteismo dei soci, è sufficiente avere una quota di capitale sociale inferiore al 50% più 1. Il rapporto di controllo, come più sopra accennato, può essere anche contrattuale, caratterizzato dall’esistenza di un negozio giuridico, in virtù del quale vengono attribuiti diritti di comando alla controllante sulla controllata, pur senza una partecipazione azionaria di controllo dell’una sull’altra società.

Il concetto – chiave, espresso dalla Riforma del 2003 del Diritto societario, la quale ha introdotto una disciplina organica dei gruppi di società, ruota attorno a una presunzione di direzione e coordinamento derivante dal controllo. Precisamente, qualora sussista una situazione di controllo, derivante da una società su una o più

                                                                                                                         

1  Sulla  scorta  di  dati  statistici  relativi  al  fenomeno  in  esame,  si  può  constatare  come,  in  Italia,  le  società  con  un  numero  

di  addetti  superiore  a  50,  sono  costituite  maggiormente  da  società  di  gruppo  e,  quasi  tutte  le  società  con  almeno  1000   addetti,  appartengono  ad  un  gruppo.  Nel  panorama  mondiale  poi,  si  constata  che,  appartengono  ad  un  gruppo,  il  90%   delle  società  giapponesi,  il  70%  di  quelle  tedesche,  il  65%  delle  società  statunitensi,  il  60%  delle  società  francesi,  il  55%   delle   società   britanniche   e,   infine,   il   50%   delle   società   svizzere   (F.   Galgano,   Trattato   di   diritto   civile:   Le   società   di  

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società, la direzione ed il coordinamento vengono presunte, fino a prova contraria. Dalla stessa situazione di direzione e coordinamento poi, derivano delle conseguenze giuridiche importanti: responsabilità e obblighi di pubblicità.

Un tipico esempio nostrano di organizzazione di gruppo, poteva essere rappresentato dal Gruppo Fiat. Nello schema di gruppo si poteve evidenziare, infatti, come la Fiat S.p.a. (holding), controllasse varie attività, quali la Fiat Auto, la Iveco e la International Holding Fiat, quest’ultima, la sub- holding che dirigeva tutte le società Fiat operanti all’estero (Fiav, Fiat Concord, Fiat France, Fiat do Brasil, Fiat Deutsche) le quali, possono essere società di produzione ovvero di distribuzione. Questo schema, si complicava ulteriormente, poiché la Fiat Auto e la Iveco, a loro volta controllavano, rispettivamente, la Ferrari e la Unie.

Le conseguenze derivanti dal rapporto di controllo sono molteplici ed hanno diverse sfaccettature. La società capogruppo ha l’obbligo legale di procedere alla propria iscrizione, in qualità di holding, in un’apposita sezione del Registro delle Imprese e all’iscrizione deve essere allegato l’elenco di tutte le società controllate. Specularmente, la stessa controllata, deve rendere nota la propria qualità. Il mercato del capitale di rischio (azionisti futuri e potenziali), industriale, del lavoro e via discorrendo, hanno il diritto di sapere che una data società, non risulta essere una monade leibniziana, piuttosto un’entità facente parte di un gruppo, lo strumento di un fenomeno più vasto, quello del gruppo di società. La società controllata deve, di conseguenza, fare menzione del suo status, già negli atti e nella corrispondenza, indicando il nome del gruppo (ad esempio, nel panorama italiano, “Società Fiat auto, Gruppo Fiat S.p.a.”).

Ulteriore conseguenza, riguarda le deliberazioni delle società controllate. In via di principio, esse corrispondono a deliberazioni dell’assemblea, ispirate ad esigenze economiche di quella specifica società. Tuttavia, come già accennato, la società risulta essere una strumento di un fenomeno ben più vasto, di conseguenza, molto spesso, le decisioni prese sono influenzate dalle direttive della società controllante, direttamente o indirettamente. In questo caso, la società subordinata, avrà l’obbligo di

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indicare le ragioni strategiche che inducono a prendere quella determinata deliberazione.

I possibili inconvenienti, ai quali può dare luogo l’organizzazione di gruppo, sono rappresentati invece, dalla possibilità che operazioni “influenzate” infra – gruppo, siano nella sostanza economica, partorite da un unico soggetto, individuato nella holding. Ne è un esempio, la vendita, da parte della società B (controllata da A), della società C (controllata da B). Ipoteticamente, il prezzo di vendita, potrebbe essere fissato dalla capogruppo, e non dalla società B venditrice, rappresentando una scelta non in linea con i valori di mercato, ma guidata da esigenze ed interessi diversi, quali quelli di travaso di attività o di passività da una società all’altra del gruppo, con danno per i soci di minoranza o i creditori della società che subisce il travaso.

I rimedi, predisposti dalla Riforma del 2003, ai suddetti inconvenienti, sono rappresentanti dalla responsabilità della holding per lo scorretto esercizio della attività di direzione e coordinamento. Allorché la scomposizione dell’impresa in più soggetti di diritto, ciascuno di essi autonomo rispetto agli altri, comporti la sussistenza di inconvenienti del calibro sopra descritto, la holding ne sarà responsabile. Il tipo di responsabilità concepita, volge però, nei confronti dei soci di minoranza e creditori delle controllate, e non nei confronti delle società controllate. Pare sin d’ora opportuno interrogarsi su quali possono essere i danni arrecati e quali i diritti che possono essere fatti valere a titolo di danno, nei confronti della controllante. Invero, essi possono essere individuati in primo luogo, nel diritto alla rimunerazione del proprio investimento, qualora la controllante adotti una politica gestionale – economica che abbia come risultato la depauperazione di utile di bilancio del patrimonio della controllata, al fine di privilegiare un’altra società. Potrebbe essere fatto valere inoltre, il diritto al mantenimento del valore di scambio della propria partecipazione, allorché la politica aziendale sia stata tale da aver diminuito il valore delle azioni di quella determinata controllata.

La responsabilità della holding può essere legalmente esclusa, qualora il danno risulti assente, in virtù di operazioni che a ciò hanno condotto. È ciò che rappresenta la

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teoria dei cosiddetti vantaggi compensativi. Con il termine «vantaggi compensativi» viene descritto l’insieme dei benefici, goduti da una società controllata in virtù del suo status, e che è in grado di annullare il danno alla stessa arrecato dalla controllante, per mezzo di un’operazione effettuata a vantaggio dell’intero gruppo. Si ha, in conclusione, un complesso di regole, che riconduce ad unità il funzionamento di una pluralità di società, l’impresa di gruppo.

Le ragioni prevalenti, per le quali un’impresa tende ad articolarsi nel modo appena descritto, sono: la diversificazione dei rischi nei vari mercati e nei vari settori, poiché un’attività economica articolata in una molteplicità di frazioni di attività fa sorgere l’interesse di evitare che un’eventuale crisi di un mercato non si ripercuota sugli altri mercati per la medesima impresa e far sì che il gruppo non risenta delle conseguenze negative; il frazionamento della burocrazia imprenditoriale. Difatti, se si pensa ad un’impresa monolitica, concepita come un’unica società, operante in tutto il mondo ed in molteplici settori, si andrà incontro ad una scala gerarchica vastissima, alle dipendenze del consiglio di amministrazione con pedissequo processo di deresponsabilizzazione, poiché ciascuno dei dirigenti preposti ai vari rami e mercati, sarà intento ad adeguarsi alle direttive predisposte dal superiore gerarchico, e non sarà responsabilizzato al fine di migliorare la gestione dell’impresa alla quale si trova ad essere preposto. Se, al contrario, viene ad essere adottato lo schema della impresa frazionata in una pluralità di società, facenti parte di un gruppo, avremo dei livelli intermedi rappresentati da amministratori di società, responsabili personalmente dal punto di vista civile e penale, per il proprio operato. Questi livelli intermedi, saranno tenuti a garantire il successo dell’impresa che a loro è stata affidata, senza essere tenuti a rispettare degli ordini, ma solo delle direttive, poiché non più inseriti in uno schema gerarchico.

Le società holding, infine, svolgono una funzione che viene definita di “assistenza finanziaria al gruppo”. Precisamente, le holding fanno fronte alle esigenze proprie dell’intero gruppo, erogando finanziamenti ovvero assistendo con garanzie il ricorso da parte delle controllate al mercato dei capitali, ed in particolare al prestito bancario.

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A questo punto, la riforma del 2003, esige che la funzione di assistenza finanziaria venga svolta con il criterio della ragionevolezza. In particolare, se risulta essere più ragionevole aumentare il capitale, piuttosto che concedere prestiti alla società controllata, oppure garantire debiti nei confronti del sistema bancario, quella società che abbia abusato della propria posizione di potere, predisponendo un’operazione irragionevole di prestito o assistenza finanziaria indiretta, mediante garanzie, anziché aumentare il capitale, sarà esposta al rischio della postergazione, ossia quella prestazione di garanzia o di prestito nei confronti della controllata, sarà postergata rispetto a tutti gli altri creditori; e precisamente, sarà soddisfatta soltanto se ed in quanto, tutti gli altri creditori della società controllata siano stati soddisfatti.

L’analisi che seguirà, ha come obiettivo quello di delineare in primo luogo il fenomeno del gruppo di imprese nell’ambito del diritto societario, individuando la normativa in merito alla responsabilità della capo – gruppo, analizzando gli aspetti conseguenti alla stessa, con particolare riferimento alla applicazione delle predetta disciplina alle imprese di trasporto. Si tenterà, poi, di porre l’accento sulla responsabilità della holding in ipotesi di limitazione della risarcibilità del danno in occasione del trasporto passeggeri.

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CAPITOLO I

IL FENOMENO DEL GRUPPO DI SOCIETÀ: ELABORAZIONE DOGMATICA E DISCIPLINA CODICISTICA

1 IL GRUPPO NEL DIRITTO SOCIETARIO: DEFINIZIONE E ASPETTI PROBLEMATICI

Il «gruppo di società» rappresenta uno dei più importanti e complessi fenomeni dell’intero diritto societario. Si tratta di una fattispecie giuridica giovane, apparsa sullo scenario economico assieme all’esigenza concreta di adeguare l’organizzazione societaria ad un mercato sempre più complesso e vasto e, successivamente, su quello giuridico. Di conseguenza, mentre dal punto di vista economico, il fenomeno in esame, ha conseguito pieno riconoscimento ed autonomia, dal punto di vista squisitamente giuridico rappresenta ancora una fattispecie in “rodaggio”.

Nonostante l’ampia diffusione della forma organizzativa del gruppo di società e i numerosi e delicati problemi ad esso ricollegati, il Codice Civile del 1942 non ne conteneva una disciplina organica, limitandosi a disciplinare alcuni aspetti particolari2. L’interesse degli operatori del diritto si è quindi appuntato sull’analisi delle norme esistenti, al fine di predisporre uno statuto dei gruppi che fosse compatibile con i principî fondamentali del diritto societario italiano e, prima ancora, elaborare una nozione di gruppo di società. Precisamente, l’interesse degli interpreti si accese soprattutto in seguito all’introduzione, nel nostro ordinamento, della disposizione contenuta nell’art. 3, ultimo comma, della Legge n. 95 del 19793, in tema di responsabilità della società capogruppo per danni cagionati alla società subordinata. Del resto, il ritardo della nostra dottrina nello studio del fenomeno “gruppo” è stato sottolineato anche da uno dei più rinomati giuristi tedeschi, Marcus Lutter, il quale agli inizi degli anni ottanta affermava che «se l’Italia è un paese affascinante (..) affascinante è, spesso, anche ciò che gli italiani non fanno: per

                                                                                                                         

2  Un  forte  richiamo  all’esigenza  di  una  disciplina  organica,  in  A.  Cerrai,  I  Gruppi  di  società  nel  diritto  comunitario,  in  

AA.VV.,  I  gruppi  di  società,  Ricerche  per  uno  studio  critico,  a  cura  di  Pavone  la  Rosa,  Bologna,  1982,  451  ss.;  M.  Bin,  

Gruppi  di  società  e  diritto  commerciale,  in  Contr.  impr.,  1990,  507.  

3   Legge   3   aprile   1979,   n.   95   «Conversione   in   legge,   con   modificazioni,   del   decreto   –   legge   30   gennaio   1979,   n.   26,  

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esempio rompersi la testa sul diritto dei gruppi»4. Il carattere disorganico ed episodico degli interventi normativi, se da un lato ha stimolato la riflessione sul fenomeno del gruppo di società, dall’altro ha evidenziato il contrasto tra la riconosciuta rilevanza giuridica del gruppo ed i principi del Codice Civile in materia societaria, sollevando l’ulteriore interrogativo sull’ammissibilità ed opportunità di una rielaborazione di tali principi alla luce della normativa speciale.

In questo contesto, ci si è chiesti in che misura l’appartenenza ad un gruppo di società potesse legittimare il perseguimento di un unitario interesse di gruppo, compatibilmente con le norme che disciplinano il conflitto di interessi nelle deliberazioni assembleari e consiliari (artt. 2373 e 2391 c.c.)5. Collegato a questo profilo è l’interrogativo circa la legittimità e i limiti dell’esercizio del potere di direzione unitaria della capogruppo, alla luce delle norme che disciplinano la responsabilità degli amministratori verso la società, verso i soci e verso i terzi (artt. 2392 – 2395 c.c.). L’eventuale riconoscimento della legittimità di una direzione unitaria, infine, solleva l’ulteriore questione della responsabilità della capogruppo e dei suoi amministratori per danni derivanti alla controllata, e quindi ai suoi azionisti e ai creditori sociali, dall’esercizio della direzione unitaria. L’insieme degli interventi operati dalla giurisprudenza in risposta ai quesiti sopra descritti, ha contribuito ad

                                                                                                                         

4  M.  Lutter,  Lo  sviluppo  del  diritto  dei  gruppi  in  Europa,  in  Riv.  soc.,  1981,    672.  

5  Precisamente,    l’art.  2373  c.c.  dispone  che  «La  deliberazione  approvata  con  il  voto  determinante  di  soci  che  abbiano,  

per  conto  proprio  o  di  terzi,  un  interesse  in  conflitto  con  quello  della  società  è  impugnabile  a  norma  dell’art.  2377   qualora   possa   recarle   danno.   Gli   amministratori   non   possono   votare   nelle   deliberazioni   riguardanti   la   loro   responsabilità.  I  componenti  del  consiglio  di  gestione  non  possono  votare  nelle  deliberazioni  riguardanti  la  nomina,  la   revoca  o  la  responsabilità  dei  consiglieri  di  sorveglianza».  L’articolo  1,  comma  7,  del  D.lgs.  del  27  gennaio  2010  n.  27   «Attuazione  della  direttiva  2007/36/CE,  relativa  all’esercizio  di  alcuni  diritti  degli  azionisti  di  società  quotate»,  ha  poi   sostituito  «di  soci»  con  le  parole:  «di  coloro».  L’art.  2391  c.c.  dispone  che  «l’amministratore  deve  dare  notizia  agli  altri   amministratori   e   al   collegio   sindacale   di   ogni   interesse   che,   per   conto   proprio   o   di   terzi,   abbia   in   una   determinata   operazione   della   società,   precisandone   la   natura,   i   termini,   l’origine   e   la   portata;   se   si   tratta   di   amministratore   delegato,  deve  altresì  astenersi  dal  compiere  l’operazione,  investendo  della  stessa  l’organo  collegiale,  se  si  tratta  di   amministratore  unico,  deve  darne  notizia  anche  alla  prima  assemblea  utile.  Nei  casi  previsti  dal  precedente  comma  la   deliberazione  del  consiglio  di  amministrazione  deve  adeguatamente  motivare  le  ragioni  e  la  convenienza  per  la  società   dell’operazione.  Nei  casi  di  inosservanza  a  quanto  disposto  nei  due  precedenti  commi  del  presente  articolo  ovvero  nel   caso   di   deliberazioni   del   consiglio   o   del   comitato   esecutivo   adottate   con   il   voto   determinante   dell’amministratore   interessato,  le  deliberazioni  medesime,  qualora  possano  recare  danno  alla  società,  possono  essere  impugnate  dagli   amministratori  e  dal  collegio  sindacale  entro  novanta  giorni  dalla  loro  data;  l’impugnazione  non  può  essere  proposta   da  chi  ha  consentito  con  il  proprio  voto  alla  deliberazione  se  sono  stati  adempiuti  gli  obblighi  di  informazione  previsti   dal   primo   comma.   In   ogni   caso   sono   salvi   i   diritti   acquistati   in   buona   fede   dai   terzi   in   base   ad   atti   compiuti   in   esecuzione   della   deliberazione.   L’amministratore   risponde   dei   danni   derivati   alla   società   dalla   sua   azione   od   omissione.  L’amministratore  risponde  altresì  dei  danni  derivati  alla  società  dalla  utilizzazione  a  vantaggio  proprio  o  di   terzi  di  dati,  notizie  o  opportunità  di  affari  appresi  nell’esercizio  del  suo  incarico».  

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elaborare un corpus di principi e regole che, seppure in modo frammentario ed episodico, ha fornito una prima disciplina al fenomeno dei gruppi, evitando che l’assenza di una regolamentazione organica si traducesse in un’autentica lacuna del nostro ordinamento.

La consapevolezza dell’esistenza di un sia pur frammentario e disorganico “diritto dei gruppi”, ha indotto il Legislatore della riforma (D.lgs. 17 gennaio 2003, n.6 «Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366») a demandare al Governo il compito di «revisionare», piuttosto che regolare ex novo, la materia dei gruppi secondo principi e criteri direttivi che fornissero una risposta soddisfacente agli interrogativi sopra illustrati.

Il Legislatore delegato, ha dato attuazione al contenuto della delega, introducendo nel Codice Civile un capo autonomo (Capo IX, del Titolo V, del Libro V, artt. 2497 – 2497 septies), nel quale hanno trovato regolamentazione alcuni dei più dibattuti problemi dei gruppi, sebbene sia stato volutamente omesso ogni riferimento esplicito al «gruppo di società».

La suddetta scelta omissiva del Legislatore in merito alla definizione di «gruppo», risponde all’esigenza di individuare i presupposti per l’applicazione di una particolare disciplina con riferimento ad una situazione di fatto oggettivamente riscontrabile, piuttosto che ad un concetto di elaborazione dottrinale dai contorni incerti e difficilmente adattabili all’evolversi del contesto economico.

Se la riforma legislativa, ha l’obiettivo di adeguare il diritto societario nazionale, al fine di renderlo competitivo nel panorama mondiale, non si può non rilevare come le disposizioni oggetto di riforma abbiano un forte impatto, non solo sugli aspetti organizzativi e gestionali delle imprese medio – grandi italiane, ma anche su quelli delle imprese straniere. Di conseguenza, si può affermare con buona pace che l’Italia si è venuta ad uniformare a quei Paesi che ben conoscono una disciplina specifica del

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gruppo di società, quali, innanzitutto, la Germania, il Brasile, il Portogallo e l’Inghilterra6.

In Italia, come si è avuto modo di precisare, il problema della individuazione del concetto di gruppo, pur non essendo sconosciuto al Legislatore del 1942, è stato a lungo oggetto soltanto di una frammentaria e disorganica disciplina. Se si vuole fare una considerazione in via generale dei gruppi all’interno del nostro ordinamento, il punto di partenza è rappresentato dalla disciplina codicistica. Il Legislatore del 1942, ha rivolto la sua attenzione alle società singolarmente considerate, guardando con sospetto la potenziale realtà economica unitaria sottostante al frazionamento giuridico tra le varie società del gruppo e, quindi, anche la possibile esistenza di una impresa di gruppo, in quanto potenziali attentati all’autonomia delle singole società. In particolare, uno specifico limite è posto, dal Codice Civile, al comma 1, dell’art. 2361, il quale dispone che «l’assunzione di partecipazioni in altre imprese, anche se prevista genericamente nello statuto, non è consentita, se per la misura e per l’oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l’oggetto sociale determinato dallo statuto». Per ciò che concerne il limite previsto dal succitato

articolo, la dottrina si è divisa7: il punto sul quale si è raggiunto un accordo è dato dal

ruolo centrale che riveste l’oggetto sociale, il quale costituisce il criterio per stabilire

la liceità o meno dell’assunzione di partecipazioni 8.

Il divieto sancito dall’art. 2361 c.c. colpisce soltanto le società per azioni ed ha come obiettivo primario quello di impedire l’attuazione di una sostanziale modificazione del’oggetto sociale senza che questa venga approvata dai soci con l’osservanza delle formalità disposte dalla legge per una deliberazione di tale portata. Si ha, infatti, una sostanziale modifica, quando l’attività relativa alla partecipazione assunta, per la

                                                                                                                         

6  In  questo  senso,  U.  Tombari,  Il  gruppo  di  società,  Torino,  1997  ,  13,  nt.  35.  

7  Sul  punto,  E.  Gliozzi,  Gli  atti  estranei  all’oggetto  sociale  nelle  società  per  azioni,  Milano,  1970,  206;  G.  Caselli,  Oggetto  

sociale   e   ultra   vires,   Padova,   1970,   56;   S.   Seminaria,   Considerazioni   sul   delitto   di   assunzione   di   partecipazioni   modificatrici  dell’oggetto  sociale,  in  Giur.  comm.,  1980,  764.  

8  Per  quanto  riguarda  la  nozione  di  «modifica  sostanziale»,  la  giurisprudenza  di  merito,  ha  ritenuto  che  non  integri  una  

modifica   dell’oggetto   sociale   e,   di   conseguenza,   non   rappresenta   una   grave   irregolarità,   la   circostanza   fattuale   che   vede  gli  amministratori  di  una  società  per  azioni,  deliberare  di  trasferire  il  complesso  aziendale  a  società  controllata   interamente,  sottoscrivendone  il  consequenziale  aumento  di  capitale  (App.    Milano,  20  ottobre  2001,  Giur.  it.  2002,   320.)    

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misura della stessa, risulti prevalente rispetto all’attività indicata nell’oggetto sociale. Tale affermazione, trova riscontro nella normativa bancaria sulla composizione del gruppo; già il D.lgs. n. 356/1990 «Disposizioni per la ristrutturazione e per la disciplina del gruppo creditizio», prevedeva una rigida disciplina delle partecipazioni in relazione all’oggetto sociale, ripresa poi dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria a creditizia (D.lgs. n. 385/1993) e, precisamente, dall’art. 65 dello stesso, in cui sono determinati i soggetti sottoposti alla vigilanza consolidata9. Dal punto di vista strutturale il gruppo viene a configurarsi come un’aggregazione di imprese contraddistinte da comuni interessi, che consente di raggiungere risultati altrimenti preclusi ad una singola società. L’articolo succitato fissa, quindi, un limite di carattere generale. La disciplina della partecipazione di una società in un’altra fa capo a due concetti fissati dall’art. 2359 c.c., che individua nel «controllo» e nel «collegamento» due livelli distinti di esercizio dell’influenza di un soggetto sull’altro. Sulla scorta di quanto statuito dall’art. 2359 c.c., vengono considerate controllate: le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; le società in cui un’altra società dispone dei voti sufficienti per esercitare una influenza dominante nell’assemblea ordinaria; le società che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Da una prima lettura della norma testé menzionata emerge chiaramente il concetto di influenza dominante, utilizzato nella totalità delle ipotesi di

controllo10. Di particolare rilevanza, poi, il «controllo di fatto», anch’esso di carattere

interno, trattandosi, precisamente, di un controllo minoritario legato alla polverizzazione del capitale e all’assenteismo dei soci. Anche in ipotesi di società che

                                                                                                                         

9  Precisamente,  l’art.  65,  D.lgs.    385/1993  dispone  che  «la  banca  d’Italia  esercita  la  vigilanza  su  base  consolidata  nei  

confronti   dei   seguenti   soggetti:   a.   società   appartenenti   ad   un   gruppo   bancario;   b.   società   bancarie,   finanziarie   e   strumentali  partecipate  almeno  per  il  20%  dalle  società  appartenenti  a  un  gruppo  bancario  o  da  una  singola  banca;  c.   società  bancarie,  finanziarie  e  strumentali  non  comprese  in  un  gruppo  bancario,  ma  controllate  dalla  persona  fisica  o   giuridica  che  controlla  un  gruppo  bancario  ovvero  una  singola  banca;  h.  società  che  controllano  almeno  una  banca;  i.   società   diverse   da   quelle   bancarie,   finanziarie   e   strumentali   quando   siano   controllate   da   una   singola   banca   ovvero   quando   società   appartenenti   a   un   gruppo   bancario   ovvero   soggetti   indicati   nella   lettera   h)   detengano,   anche   congiuntamente,   una   partecipazione   di   controllo.   Nei   confronti   dei   soggetti   inclusi   nell’ambito   della   vigilanza   consolidata   resta   ferma   l’applicazione   di   norme   specifiche   in   tema   di   controlli   e   di   vigilanza,   secondo   la   disciplina   vigente».  

10  Sul  punto,  C.  Angelici,  La  partecipazione  azionaria  nelle  società  per  azioni,  in  Trattato  di  diritto  privato,  diretto    da  

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sono sotto l’influenza dominante di un’altra società, in virtù di particolare vincoli contrattuale, si ha un «controllo di fatto», anche se in tale circostanza la dipendenza è di natura economica e nasce da un vincolo contrattuale, in base al quale l’attività di una società dipende da un’altra11.

Il «collegamento» fa invece riferimento all’influenza notevole. Difatti, il comma 3, dell’art. 2359 c.c., dispone che «sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume notevole quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa». La disposizione per ultimo citata, è il prodotto della modifica avvenuta con D.lgs. n. 127/1991, il quale ha introdotto due rilevanti innovazione: la percentuale fa ora riferimento ai voti esercitabili nell’assemblea ordinaria e non più alla partecipazione al capitale; la suddetta percentuale viene considerata una presunzione (non si è in grado di comprendere se relativa o assoluta) di sussistenza del collegamento; nozione alla

quale fa da perno il concetto di «influenza notevole», assolutamente ambiguo12.

Tuttavia, in dottrina, si è rilevato, che l’influenza notevole – quand’anche in assenza della percentuale del quinto o del decimo – deve comunque connettersi alla disponibilità dei voti esercitabili e non possa quindi configurarsi quando una società sia sottoposta ad influenza di un’altra società esclusivamente in virtù di particolari

vincoli contrattuali13. Inoltre, il settore in cui più ampiamente si dispiega la rilevanza

giuridica del controllo e del collegamento è la disciplina del bilancio. L’obiettivo è,

                                                                                                                         

11   In   questo   caso   viene   a   configurarsi   il   c.d.   «controllo   esterno».   La   suddetta   configurabilità,   richieda   l’esistenza   di  

determinati  rapporti  contrattuali,  la  costituzione  e  la  sussistenza  dei  quali  rappresentino  l’elemento  essenziale  della   capacità   di   impresa   della   società   subordinata.   L’accertamento   della   sussistenza   dei   succitati   rapporti   contrattuali,   è   rimesso  all’apprezzamento  del  giudice  di  merito  e  sindacabile  in  sede  di  legittimità,  solo  per  aspetti  di  contraddizione   interna  al  percorso  di  adozione  della  decisone  ovvero  per  aver  omesso  l’esame  di  fattori  determinanti  per  la  stessa   decisione  (Cass.  27  settembre  2001,  n.  12094).  

12  In  questo  senso,  A.  Tullio,  La  postergazione,Roma,    2009,  77,  nt.  140.  

13   In   questo   senso,   A.   Tullio,   La   postergazione,   Roma,   2009,   77,   nt.   140,   il   quale   ritiene,   inoltre,   che   ipotesi   di  

collegamento   potrebbero   essere   rintracciate,   nelle   circostanze   in   cui   si   disponga   di   un   numero   di   voti   inferiore   al   quinto  ovvero  al  decimo,  tuttavia,  «si  partecipi  ad  un  sindacato  di  maggioranza  nel  quale  si  goda  di  un  potere  di  veto   (capace  di  impedire,  appunto,  il  formarsi  della  volontà  del  sindacato);  o  allorché  si  disponga  di  influenza  dominante  su   di   un   sindacato   di   minoranza   che   raccolga   complessivamente   un   numero   di   voti   superiore   al   quinto   o   al   decimo».   Inoltre,   l’A.   sottolinea   come   il   Codice   Civile,   non   preveda,   al   contrario   di   alcune   discipline   settoriali,   il   caso   di   «collegamento   indiretto»   e   come   questa   circostanza,   sia   tutt’altro   che   una   dimenticanza,   quanto   piuttosto   di   una   precisa  scelta  da  parte  del  Legislatore,  vista  la  limitata  rilevanza  giuridica  della  nozione  di  collegamento,  volta  a  finalità   di  natura  informativa  dal  punto  di  vista  contabile.  

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infatti, quello di rendere al massimo trasparenti i rapporti giuridici intercorrenti fra società collegate e controllate e, in taluni casi, fra società sottoposte ad un comune controllo (c.d. società sorelle); tanto si giustifica in considerazione del fatto che tali rapporti sono insidiosi ai fini di una rappresentazione veritiera e reale della situazione patrimoniale e finanziaria delle società e del risultato economico di esercizio.

Partendo dalla constatazione che «controllo societario» e «gruppo» sono fenomeni

non necessariamente coincidenti14, condizione fondamentale per l’esistenza del

gruppo è comunque l’esistenza del controllo, che secondo la dottrina prevalente deve sostanziarsi nella «direzione unitaria»: questa viene intesa, da parte di alcuni autori, come una condizione globale della politica economica del gruppo, proprio perché «unitaria e unitariamente concepita è l’azione economica, così come unitario e globale è l’interesse che per mezzo di essa si realizza»15; altra parte della dottrina, invece, definisce la direzione unitaria come la riconduzione esclusiva della politica gestionale della capogruppo, a discapito dell’autonomia delle controllate. Secondo tale ultima interpretazione «perché divenga strumentale ad una tipica aggregazione di gruppo è necessario che l’ingerenza non sia limitata alla scelta dei componenti degli organi gestori delle società controllate (..), ma investa fondamentali momenti dell’attività di tali ultime società (..); decisioni tutte che la controllante adotterà nel

contesto della politica economica e finanziaria del gruppo»16.

L’elemento costitutivo della natura di gruppo è, dunque, la «direzione unitaria» che deve essere individuata nella sua portata. Una volta accolta la nozione generica secondo cui per gruppo s’intende un’aggregazione d’imprese costituite in forma

                                                                                                                         

14  Sul  punto,  G.  Ferri,  Concetto  di  controllo  e  di  gruppo,  in  Atti  del  Convegno  di  Studi  svoltosi  a  Bellagio  19  –  20  giugno  

1981,  Milano  1982,  67  ss.,  e  da  ultimo  G.  F.  Campobasso,  Gruppi  e  gruppi  bancari:  un’analisi  comparata,   in  Banca,   Borsa  e  titoli  di  credito,  1995,  120  ss.;  M.  R.  Maugeri,  Breve  sintesi  del  dibattito  nella  recente  dottrina  e  giurisprudenza   italiana,  Roma,  1996,  25  ss.;  P.  Fasciani,  I  gruppi  di  società  nella  dottrina  e  nella  giurisprudenza  degli  anni  50’  ad  oggi,  

Roma,  1995,  65  ss..  

15  Così,  espressamente,  G.  Ferri,  Concetto  di  controllo  e  di  gruppo,  in  Atti  del  Convegno  di  Studi  svoltosi  a  Bellagio  19  –  

20   giugno   1981,   Milano   1982,   p.   842;   nello   stesso   senso,   inoltre,   F.   Barca   –   P.   Casavola   –   M.   Perassi,   Controllo   e   gruppo:  natura  economica  e  tutela  giuridica,  in  «Temi  di  discussione»,  Banca  d’Italia,  1993,  160  ss..  

16  Così,  espressamente,  A.  Pavone  La  Rosa,  “Controllo”  e  “gruppo”  nella  fenomenologia  dei  collegamenti  societari,  in  

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societaria legate fra loro da relazioni di controllo17, va tenuto presente che ben diversa sarà la situazione a seconda della tipologia di controllo o direzione unitaria che sarà esercitata in relazione alla natura del gruppo. Si pensi alla diversa autonomia giuridica di cui godono le controllate all’interno dei gruppi patrimoniali, finanziari, industriali o imprenditoriali: nei primi due l’ingerenza della holding sarà più limitata e, di conseguenza, all’autonomia giuridica si accompagnerà una sostanziale autonomia di politica economica; negli altri casi si tratterà di una mera autonomia formale.

La situazione normativa prospettata, è rimasta immutata fino agli anni settanta; nel frattempo la dottrina acquisiva maggiore consapevolezza, anche attraverso il confronto con il diritto di paesi come la germani, dell’esigenza di una disciplina più moderna del gruppo, in grado di regolare situazioni sino ad allora non previste.

Si ritiene non esista una nozione unitaria di gruppo, ma che sia necessario costruire tante nozioni di gruppo quante volte tale nozione ricorre in provvedimenti normativi. Non a caso si suole parlare del gruppo come figura a «geometria variabile»18, sia sotto il profilo della morfologia, sia sotto il profilo della regolamentazione. Le figure di gruppo prese a riferimento, sono tutte accomunate dal fatto che di esse manca un riconoscimento ed una disciplina del fenomeno nella sua valenza positiva e fisiologica. Inoltre, il legislatore, ha rivolto la sua attenzione al controllo esercitato dalle società raggruppate, per fini di tutela degli interessi particolari che in queste hanno il loro punto di riferimento; è mancata, quindi, una normativa che abbia preso in considerazione gli interessi di cui il gruppo è portatore. Infine, la normativa sul controllo, ha carattere prevalentemente sanzionatorio e limitativo della direzione unitaria. Va evidenziato poi, che nel corso degli anni il dibattito sui gruppi societari

non si è mai attenuato, al contrario, ha dato luogo ad una serie di interventi ottrinari19.

Invero, preme rilevare come a fronte di tanta attenzione da parte degli studiosi, il

                                                                                                                         

17   In   questo   senso,   F.   Barca   –   P.   Casavola   –   M.   Perassi,   Controllo   e   gruppo:   natura   economica   e   tutela   giuridica,   in  

«Temi  di  discussione»,  Banca  d’Italia,  1993,  20  ss..  

18  Così  definita  da  V.  Ferrari,  La  nozione  di  controllo  nel  diritto  delle  società,  in  Impresa,  1993,  1989  ss..  

19  A  testimonianza  della  grande  attenzione  dedicata  a  questo  tema,  si  vedano  gli  Atti  del  Convegno  «La  disciplina  dei  

gruppi  di  imprese:  il  problema  oggi»,  organizzato  dal  Centro  Nazionale  di  prevenzione  e  difesa  sociale,  pubblicati  in  

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legislatore abbia, comunque, mantenuto l’impostazione originaria, intervenendo al solo fine di disciplinare i rapporti di controllo.

In linea con la descritta impostazione di fondo, il Testo Unico della Finanza (D.lgs. n. 58/1998) non ha avuto ad oggetto la regolamentazione del fenomeno, a differenza

della normativa adottata con il D.lgs. 8 luglio 1999, n. 27020, per mezzo del quale è

stata riformata la disciplina relativa all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d’insolvenza, riproponendo l’intervento concernente la crisi del gruppo di imprese, già contenuta nell’art. 3 del D.L. 30 gennaio 1979 n. 26 («Provvedimenti urgenti per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi»)21.

Procedendo in maniera ordinata, risulta indispensabile effettuare un breve richiamo ai principî ed alle linee guida ispiratrici dell’unica disciplina attualmente esistente in materia di gruppi anche se relativa ad uno specifico settore sottoposto a vigilanza: la normativa sul gruppo bancario dettata dal Testo Unico in materia bancaria a creditizia (D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385).

La disciplina del gruppo bancario è imperniata su due cardini fondamentali: la realizzazione di un modello di gruppo «integrato» o «strategico» avente un unico

                                                                                                                         

20  Si  tratta  di  una  regolamentazione  relativa,  però,  al  c.d.  momento  patologico  del  fenomeno  dei  gruppi.  

21  L’art.  3,  D.L.  26/1979,  convertito  con  modificazioni  dalla  Legge  3  aprile  1979,  n.  95,  disponeva  che  «dalla  data  della  

pubblicazione  della  Gazzetta  Ufficiale  del  decreto  con  il  quale  è  stata  disposta  l’amministrazione  straordinaria  di  una   società   di   cui   al   primo   comma   dell’art.   1,   sono   soggette   alla   medesimo   procedura   a   norma   del   presente   decreto  –   legge,  ancorché  non  si  trovino  nelle  condizioni  previste  nel  detto  comma:  a.  la  società  che  controlla  direttamente  o   indirettamente   la   società   in   amministrazione   straordinaria;   b.   le   società   direttamente   o   indirettamente   controllate   dalla   società   in   amministrazione   straordinaria   o   dalla   società   che   la   controlla;   c.   le   società   che   in   base   alla   composizione   dei   rispettivi   organi   amministrativi   risultano   sottoposte   alla   stessa   direzione   della   società   in   amministrazione   straordinaria;   d.   le   società   che   hanno   concesso   crediti   o   garanzie   alla   società   in   amministrazione   straordinaria  e  alle  società  di  cui  alle  precedenti  lettere  per  un  importo  superiore,  secondo  le  risultanze  dell’ultimo   bilancio,  ad  un  terzo  del  valore  complessivo  delle  proprie  attività».  L’accertamento  giudiziario  dello  stato  d’insolvenza   delle  società  suindicate  può  essere  richiesto  anche  dal  commissario  o  dai  commissari  nominati  con  il  decreto  di  cui  al   primo  comma  e  dal  pubblico  ministero.  Alla  procedura  di  amministrazione  straordinaria,  da  disporre  con  separato  per   ciascuna  società,devono  essere  preposti  gli  stessi  organi  nominati  con  decreto  di  cui  al  primo  comma,  salvo  eventuale   integrazione   del   comitato   di   sorveglianza   anche   in   eccedenza   al   numero   massimo   previsto   nell’art.   198   del   regio   decreto  16  marzo  1942,  n.  267.  Il  ministero  dell’industria,  del  commercio  e  dell’artigianato  e  i  commissari,allo  scopo  di   accertare   l’esistenza   di   società   nelle   condizioni   di   cui   al   primo   comma,   possono   richiedere   informazioni   alla   Commissione  nazionale  per  le  società  e  la  borsa  e  ad  ogni  altro  pubblico  ufficio,  che  sono  tenuti  a  fornirle  entro  15   giorni.   Al   medesimo   fine   possono   richiedere   alle   società   fiducia   riedi   cui   alla   legge   23   novembre   1939,   n.   1966,   le   generalità  degli  effettivi  proprietari  dei  titoli  azionari  intestati  al  proprio  nome.  Tali  società  sono  parimenti  tenute  a   rispondere  entro  quindici  giorni».  

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disegno imprenditoriale e una forte coesione interna22, e l’individuazione della capogruppo, il cui ruolo è di primaria importanza, soprattutto sotto il profilo della vigilanza consolidata. La diretta conseguenza di tale impostazione, è l’attribuzione alla società bancaria o finanziaria capogruppo, di un ruolo di vertice strategico del gruppo, dovendo svolgere un’attività di direzione e coordinamento sulle imprese controllate ed avendo il potere – dovere di impartire ad esse le disposizioni necessarie per far rispettare, a livello di gruppo bancario, i vari profili di vigilanza consolidata. Ciò significa che la holding di un gruppo bancario, al fine di assumere tale status, deve dotarsi di una struttura organizzativa e di sistemi di gestione e controllo tali da permetterle di svolgere adeguatamente i diversi compiti che la normativa sui gruppi bancari le affida. Ciò detto, le società controllate hanno il dovere di sottostare alle indicazioni impartite dalla capogruppo, mettendo in atto tutti quei cambiamenti necessari a soddisfare i diversi adempimenti imposti dalla normativa. Questo, in breve, è ciò che il T.U.B. dispone in materia di gruppo; tuttavia, tale normativa regola unicamente il gruppo bancario non producendo, di conseguenza, alcun effetto in capo alla disciplina dei gruppi di società e imprese.

È pur vero che, in tema di possibili conflitti fra le diverse componenti del gruppo, occorre considerare se la normativa dettata dal T.U.B. in materia di gruppi bancari, possa assumere una valenza sistematica per i gruppi di diritto societario comune in chiave di riforma legislativa. Si può anche valutare se, il modello dettato in materia creditizia possa «essere utilizzato o trapiantato al di fuori dell’area dei gruppi bancari; tuttavia mentre i gruppi bancari sono per legge tenuti ad uniformarvisi, per i gruppi non creditizi, occorre che sia effettuata una scelta, ossia che quel modello venga

volontariamente adottato dai soggetti interessati»23.

                                                                                                                         

22  Sul  punto,  G.  La  Rocca,  Impresa  e  società  nel  gruppo  bancario,  Milano,  1995;  M.  A.  Stefanelli,  Alcune  riflessioni  sul  

modello  di  «gruppo  bancario»  nel  Testo  Unico  1-­‐9-­‐93  n.  385,  Il  diritto  dell’economia,  n.  3,  1996,  pp.  614  –  617;  R.  Pena  

–  C.  Pisanti  –  Zamboni  –  P.  Garavelli,  La  nuova  legge  bancaria,  Milano,  1997,  pp.  616  –  617.  

23   Così,   espressamente,   G.   Scognamiglio,     G.   Scognamiglio,   Gruppi   bancari   e   non.   Legge   e   autonomia   privata   nella  

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È opportuno notare, sin da subito, come la disciplina del T.U.B. abbia esercitato una certa influenza sui redattori del Progetto24 Mirone25, sfociato poi nella Legge n. 366/2001, tanto che la dizione «attività di direzione e coordinamento» (art. 61, comma 4 del T.U.B.), si ritrova puntuale nell’art. 9, comma 1, lettera a) del succitato Progetto. Ed è proprio dalla bozza Mirone che si può rinvenire una certa attitudine del Legislatore a regolare il fenomeno dei gruppi societari. Infatti, la precedente riforma, introdotta con D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, presenta un approccio più moderato circa la disciplina dei gruppi, limitandosi a regolamentare la sola fattispecie relativa al controllo.

Particolarmente interessante risulta, ai fini dell’esame del fenomeno del gruppo, la disciplina dettata dall’art. 93 del Testo Unico della Finanza26 (D.lgs. n. 58/1998), relativa alle società quotate nei mercati regolamentati. Tale articolo, sebbene la norma abbia in realtà ad oggetto le imprese controllate, è rubricato «Definizione di controllo», e la sua rilevanza emerge dal fatto che con tale norma il legislatore è intervenuto, pur senza farne espressa menzione, nella materia dei gruppi di società. La scelta operata dal Legislatore, nel T.U.F., di dettare una definizione unitaria di controllo, applicabile all’intera disciplina degli emittenti, sembra orientata verso una semplificazione e razionalizzazione del sistema precedente, caratterizzato da una proliferazione di definizioni di «controllo. La nozione di controllo fissata dall’art 93 del T.U.F. comunque, muove da quella generale contenuta nell’art. 2359. Dunque, anche in base all’articolo in esame, sono considerate imprese controllate, quelle

                                                                                                                         

24  Testo  e  relazione  di  accompagnamento  al  progetto,  pubblicati  in  Riv.  soc.  2000,  pp.  14  ss.  

25  Precisamente,  La  c.d.  bozza  Mirone  (dal  nome  del  sottosegretario  all’economia,  presidente  della  Commissione)  fu  

approvata,  da  parte  del  Consiglio  dei  ministri,  il  26  maggio  2000.  Il  Progetto  conteneva  un  modello  di  legge  –  delega  da   proporre  al  Parlamento  per  l’avvio  dei  lavori  di  riforma  dell’intero  diritto  societario.  La  conclusione  della  XIII  legislatura   però,   finì   per   determinare   anche   la   fine   del   progetto.   Tuttavia,   il   focus   di   modificare   la   legislazione   in   materia   societaria,  non  venne  perso  di  vista  nella  XIV  legislatura,  divenendo  uno  dei  punti  più  urgenti  da  toccare.  Nella  riforma,   la  bozza  Mirone  fu  completamente  rielaborata,  fino  ad  assumere  contenuto  e  forma  della  Legge  3  ottobre  2001,  n.   366  («Delega  al  Governo  per  la  riforma  del  diritto  societario»).  

26   Precisamente,   l’art.   93,   T.U.F.,   dispone   che   «nella   presente   parte   sono   considerate   imprese   controllate,   oltre   a  

quelle  indicate  nell’art.  2359  ,  primo  comma,  numeri  1  e  2,  del  codice  civile,  anche.  A.  le  imprese,  italiane  o  estere,  su   cui  un  soggetto  ha  il  diritto,  in  virtù  di  un  contratto  o  di  una  clausola  statutaria,  di  esercitare  un’influenza  dominante,   quando  la  legge  applicabile  consenta  tali  contratti  o  clausole;  b.  le  imprese,  italiane  o  estere,  su  cui  un  socio,  in  base   ad   accordi   con   altri   soci,   dispone   da   solo   di   voti   sufficienti   a   esercitare   un’influenza   dominante   nell’assemblea   ordinaria.  Ai  fini  del  comma  1  si  considerano  anche  i  diritti  spettanti  a  società  controllate  o  esercitati  per  il  tramite  di   fiduciari  o  di  interposte  persone;  non  si  considerano  quelli  spettanti  per  conto  di  terzi».  

(20)

indicate nel comma 1, ai numeri 1 e 2, della disciplina civilistica. Già da una prima lettura si può notare come la norma civilistica (art. 2359, comma 1, c.c.) consideri le «società controllate», mentre l’art. 93 del T.U.F., prende in considerazione (come già l’art. 26 del d.lgs. 9 aprile 1991, n. 127) le «imprese controllate». Tale differenza,

assume di sicuro una certa importanza(27), infatti, come è stato fatto notare da alcuni

autorevoli autori(28), la differenza ha un suo rilievo , in quanto un conto è parlare di

società (con connessi profili di governance), un altro è discorrere di impresa (con connessi profili di direzione). Inoltre, lo stesso art. 93 T.U.F, nel riformulare il concetto ulteriore di «influenza dominante», contenuto nel comma 1, punto 3, dell’art. 2359 c.c., anche in tal caso sostituisce, alla considerazione delle società (che si trovano sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolare vincoli contrattuali con essa), la considerazione delle imprese italiane o estere. Il legislatore, sembra fare un passo avanti, rispetto al testo dell’art. 2359 c.c., quanto alla natura della controllante che può essere un «soggetto» (lett. a) ovvero un «socio» (lett. b). Tale differente impostazione, va incontro all’esigenza di ampliare la lista dei soggetti attivi e passivi, i quali possono essere implicati nel rapporto di gruppo. Alla medesima esigenza si collega poi, la rubrica dell’art. 93 T.U.F., la quale è destinata ad applicarsi all’intera parte del Testo Unico, relativa agli emittenti di strumenti finanziari negoziati nei mercati regolamentati o abitualmente diffusi tra il pubblico, e non soltanto alle società con azioni quotate, in cui, almeno in rispetto ad uno dei due versanti del rapporto, è implicita la delimitazione dei soggetti ricompresi.

Il legislatore del 1998 non ha, quindi, colmato la lacuna presente nel nostro ordinamento, causata dall’inesistenza di un’organica disciplina dei gruppi. Nonostante quanto appena affermato però, le norme del Testo Unico della Finanza, che riguardano il fenomeno dei gruppi, toccano in modo incisivo campi fondamentali come la trasparenza, il collegio sindacale e la revisione contabile.

                                                                                                                         

27  Sul  punto,  P.  Marchetti  –  L.  A.  Bianchi,  La  disciplina  delle  società  quotate:  nel  Testo  Unico  della  Finanza  d.lgs.  24  

febbraio  1998,  n.  58,  Milano,  1999,  p.  871.  

28   Per   tutti,   vedi   Alpa   –   Capriglione,   Commentario   al   Testo   Unico   delle   disposizioni   in   materia   di   intermediazione  

(21)

Il legislatore del T.U.F. ha, quindi, ritenuto opportuno basare la disciplina del gruppo sulla nozione di «società controllata» dell’art. 2359 c.c., poiché quest’ultima consente una più facile individuazione dei contorni del fenomeno, rispetto a quanto invece consenta la disciplina della direzione unitaria29. Si è preferito, pertanto, definire il gruppo come l’insieme di una società controllante e delle società da essa controllate, dove per controllo dovrebbe intendersi la situazione di un soggetto che è in grado di esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante nell’assemblea della controllata. Non può quindi affermarsi che, la riforma del 1998 abbia dimenticato il fenomeno del gruppo. Essa, infatti, rafforzando la trasparenza di gruppo e il potere di direzione della capogruppo, consolida in maniera indiretta il gruppo stesso. A ciò si aggiunga la precisazione che, la formulazione della norma della Legge Delega, si riferiva ai «rapporti di gruppo», e non alla disciplina dei gruppi tout court. Di conseguenza, sarebbe stata opportuna una lettura in un’ottica mirante alla disciplina delle operazioni di gruppo, piuttosto che alla regolamentazione dei rapporti di gruppo. Inoltre, deve tenersi in considerazione il fatto che, la riforma attuatasi nel nostro ordinamento in seguito all’emanazione del T.U.F., è indirizzata alle sole società con titoli quotati. Ciò detto, una lettura di tale disciplina in chiave di regolamentazione di gruppi, potrebbe condurre ad una disarmonia nell’ordinamento, sotto il profilo razionale e delle opportunità di scelta politica: l’interesse di una società ad emettere titoli sui mercati regolamentati, verrebbe così meno a causa di una discriminazione fra società con titoli quotati e società con titoli non quotati. Di conseguenza, l’appetibilità della quotazione, nonché, indirettamente, la tutela del mercato, verrebbero certamente ridotti.

Il T.U.F., detto anche comunemente Riforma Draghi30, merita di essere ricordato

anche e soprattutto per aver cercato di dare una risposta ad un’esigenza comunemente

                                                                                                                         

29  In  questo  senso,  G.  F.  Campobasso,  Commento  all’art.  93  T.U.F.,  in  Testo  Unico  della  Finanza.  Commentario,  Torino,  

2002,  768  ss..  

30  In  particolare,  la  Riforma  Draghi  ha  elaborato  un  insieme  di  norme,  al  fine  di  temprare  gli  strumenti  di  controllo  

degli  investitori.  Nell’ambito  del  suddetto  insieme,  è  stata  riconosciuta  alla  società,  la  facoltà  di  autoregolamentarsi  in   merito   al   governo   di   impresa.   L’intento   del   Legislatore,   fu   quello   di   consolidare   il   sistema   dei   controlli   relativi   alla   gestione   delle   società   quotate   attraverso   una   maggiore   specializzazione   dei   ruoli   e   delle   mansioni   dei   soggetti  

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avvertita: perfezionare la disciplina dei mercati finanziari, introducendo strumenti di tutela delle minoranze azionarie, qualificate nelle società quotate, allo scopo di favorire l’afflusso di risparmio alle imprese, attraverso l’intervento degli investitori istituzionali, in particolare di quelli stranieri. In altri termini, si è tentato di allineare l’ordinamento italiano dei mercati finanziari e delle società quotate, agli standard internazionali, al fine di prevenire il rischio di marginalizzazione del sistema italiano dal processo di globalizzazione.

In seguito a tale riforma, rivolta alle sole società quotate, si è avvertita l’esigenza di apportare delle modifiche anche nell’ambito delle società non quotate, proseguendo così il processo di riforma cominciato nel 1998.

Al fine di perseguire l’obiettivo appena descritto, nel 1998, fu istituita una Commissione di studio, presieduta da Antonio Mirone, con il compito di predisporre uno schema di disegno di legge delega per la riforma organica del diritto societario. Il progetto fu ultimato e presentato, nella forma del disegno di legge, al Parlamento, il 26 maggio 2000, definitivamente approvato il 28 settembre 200131. Gli obiettivi di tale riforma in materia di gruppi societari, sono stati fondamentalmente tre, contenuti già nello schema di disegno di legge, all’art. 9: assicurare un’adeguata trasparenza dei rapporti di gruppo; sottoporre l’attività di direzione e coordinamento ad una disciplina che contemperi adeguatamente l’interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di quest’ultime; riconoscere adeguate forme di tutela al socio, al momento dell’ingresso e dell’uscita dal gruppo. Non si è ritenuto necessario tuttavia, definire un nuovo concetto di gruppo, poiché la premessa dalla quale ha preso spunto tale riforma, è che il fenomeno del gruppo esiste, con una valenza positiva e con i rischi che inevitabilmente comporta. Legittima è, comunque, l’esigenza di «trasparenza» che il Progetto Mirone ha inteso soddisfare. Il suddetto

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

predisposti  alla  vigilanza.  In  questo  senso  P.  Giansante,  Internal  auditing.  Contenuto,  struttura  e  processo,  Roma,  2009,   p.  85.  

31  In  merito  al  Progetto  Mirone  si  vedano,  V.  Afferini  –  L.  De  Angelis,  Progetto  Mirone  e  modelli  organizzativi  per  la  

piccola  e  media  impresa,  in  Quad.  giur.  comm.,  2001,  222;  G.  M.  Flick,  Gli  obiettivi  della  Commissione  per  la  riforma  del   diritto  societario,  in  Riv.  soc.,  2000,  1;  P.  Pisoni  –  L.  Puddu,  La  riforma  del  diritto  societario.  Novità  contabili,  in  Impresa,  

2001,  p.  1481;  V.  Salafia,  La  bozza  di  legge  –  delega  Mirone  di  riforma  del  diritto  societario  e  l’autonomia  statutaria,  in  

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