UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE
Corso di dottorato di ricerca in Diritto ed economia dei sistemi produttivi, dei
trasporti e della logistica
XXV CICLO
LA RESPONSABILITÀ DELLA CAPOGRUPPO
NELL'ATTIVITÀ DI DIREZIONE E COORDINAMENTO
E LE IMPRESE DI TRASPORTO
Dottorando
Giordano Bacile di Castiglione
Relatore
Chiar.mo Prof. Massimo Deiana
INDICE
INTRODUZIONE
CAPITOLO I
IL FENOMENO DEL GRUPPO DI SOCIETÀ: ELABORAZIONE DOGMATICA E DISCIPLINA CODICISTICA
1.1 IL GRUPPO NEL DIRITTO SOCIETARIO: DEFINIZIONE E ASPETTI PROBLEMATICI
CAPITOLO II
IL CONTROLLO NEL GRUPPO: NOZIONE E CARATTERISTICHE 2.1 IL CONTROLLO E LA DIREZIONE UNITARIA
2.2 L’ATTIVITÀ DI DIREZIONE E COORDINAMENTO: CONFLITTO DI INTERESSI E TEORIA DEI VANTAGGI COMPENSATIVI
2.3 LA RESPONSABILITA’ DELLA HOLDING
CAPITOLO III
LA RESPONSABILITÀ DELLA HOLDING NEL PANORAMA DELLE IMPRESE MARITTIME DI TRASPORTO
3.1 IL FENOMENO DEL GRUPPO NELLE IMPRESE DI TRASPORTO
3.2 LA RESPONSABILITA’ DEL VETTORE NEL TRASPORTO MARITTIMO E AEREO DEI
PASSEGGERI E LA EVENTUALE RESPONSABILITA’ DELLA CAPOGRUPPO
3.3 LA RESPONSABILITÀ DELLA CAPOGRUPPO PER VIOLAZIONI DELLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI CONCORRENZA
INTRODUZIONE
I gruppi di società, costituiscono la forma giuridica propria della grande o medio -grande impresa del nostro tempo. Si tratta di una forma giuridica che le rilevazioni statistiche hanno messo in evidenza come la più frequente in tutto il mondo. Difatti, quando l’impresa supera una certa soglia gestionale, ovvero quando l’impresa occupa un mercato molto vasto, il quale risulta andare al di la dei confini nazionali, viene assunta la conformazione dell’impresa di gruppo.
L’impresa, per effetto della forma giuridica del gruppo, si fraziona in una pluralità di società, operanti tutte sotto l’elemento unificante della direzione e coordinamento esercitata dalla capogruppo (holding)1, la quale si pone a capo di questa entità complessiva. Quest’ultima, è il risultato del rapporto di controllo. Precisamente, la holding controlla le società che appartengono al gruppo, che sono a questa subordinate (per utilizzare un’espressione derivante dal panorama anglosassone, le sue sussidiarie). Il controllo può essere azionario o contrattuale. Nel primo caso, si distingue tra controllo diretto e controllo diretto, e tra controllo di fatto e di diritto. In particolare, può sussistere una catena di controllo che non incontra limitazioni, ovvero, con il fine di controllare una società, in virtù dell’assenteismo dei soci, è sufficiente avere una quota di capitale sociale inferiore al 50% più 1. Il rapporto di controllo, come più sopra accennato, può essere anche contrattuale, caratterizzato dall’esistenza di un negozio giuridico, in virtù del quale vengono attribuiti diritti di comando alla controllante sulla controllata, pur senza una partecipazione azionaria di controllo dell’una sull’altra società.
Il concetto – chiave, espresso dalla Riforma del 2003 del Diritto societario, la quale ha introdotto una disciplina organica dei gruppi di società, ruota attorno a una presunzione di direzione e coordinamento derivante dal controllo. Precisamente, qualora sussista una situazione di controllo, derivante da una società su una o più
1 Sulla scorta di dati statistici relativi al fenomeno in esame, si può constatare come, in Italia, le società con un numero
di addetti superiore a 50, sono costituite maggiormente da società di gruppo e, quasi tutte le società con almeno 1000 addetti, appartengono ad un gruppo. Nel panorama mondiale poi, si constata che, appartengono ad un gruppo, il 90% delle società giapponesi, il 70% di quelle tedesche, il 65% delle società statunitensi, il 60% delle società francesi, il 55% delle società britanniche e, infine, il 50% delle società svizzere (F. Galgano, Trattato di diritto civile: Le società di
società, la direzione ed il coordinamento vengono presunte, fino a prova contraria. Dalla stessa situazione di direzione e coordinamento poi, derivano delle conseguenze giuridiche importanti: responsabilità e obblighi di pubblicità.
Un tipico esempio nostrano di organizzazione di gruppo, poteva essere rappresentato dal Gruppo Fiat. Nello schema di gruppo si poteve evidenziare, infatti, come la Fiat S.p.a. (holding), controllasse varie attività, quali la Fiat Auto, la Iveco e la International Holding Fiat, quest’ultima, la sub- holding che dirigeva tutte le società Fiat operanti all’estero (Fiav, Fiat Concord, Fiat France, Fiat do Brasil, Fiat Deutsche) le quali, possono essere società di produzione ovvero di distribuzione. Questo schema, si complicava ulteriormente, poiché la Fiat Auto e la Iveco, a loro volta controllavano, rispettivamente, la Ferrari e la Unie.
Le conseguenze derivanti dal rapporto di controllo sono molteplici ed hanno diverse sfaccettature. La società capogruppo ha l’obbligo legale di procedere alla propria iscrizione, in qualità di holding, in un’apposita sezione del Registro delle Imprese e all’iscrizione deve essere allegato l’elenco di tutte le società controllate. Specularmente, la stessa controllata, deve rendere nota la propria qualità. Il mercato del capitale di rischio (azionisti futuri e potenziali), industriale, del lavoro e via discorrendo, hanno il diritto di sapere che una data società, non risulta essere una monade leibniziana, piuttosto un’entità facente parte di un gruppo, lo strumento di un fenomeno più vasto, quello del gruppo di società. La società controllata deve, di conseguenza, fare menzione del suo status, già negli atti e nella corrispondenza, indicando il nome del gruppo (ad esempio, nel panorama italiano, “Società Fiat auto, Gruppo Fiat S.p.a.”).
Ulteriore conseguenza, riguarda le deliberazioni delle società controllate. In via di principio, esse corrispondono a deliberazioni dell’assemblea, ispirate ad esigenze economiche di quella specifica società. Tuttavia, come già accennato, la società risulta essere una strumento di un fenomeno ben più vasto, di conseguenza, molto spesso, le decisioni prese sono influenzate dalle direttive della società controllante, direttamente o indirettamente. In questo caso, la società subordinata, avrà l’obbligo di
indicare le ragioni strategiche che inducono a prendere quella determinata deliberazione.
I possibili inconvenienti, ai quali può dare luogo l’organizzazione di gruppo, sono rappresentati invece, dalla possibilità che operazioni “influenzate” infra – gruppo, siano nella sostanza economica, partorite da un unico soggetto, individuato nella holding. Ne è un esempio, la vendita, da parte della società B (controllata da A), della società C (controllata da B). Ipoteticamente, il prezzo di vendita, potrebbe essere fissato dalla capogruppo, e non dalla società B venditrice, rappresentando una scelta non in linea con i valori di mercato, ma guidata da esigenze ed interessi diversi, quali quelli di travaso di attività o di passività da una società all’altra del gruppo, con danno per i soci di minoranza o i creditori della società che subisce il travaso.
I rimedi, predisposti dalla Riforma del 2003, ai suddetti inconvenienti, sono rappresentanti dalla responsabilità della holding per lo scorretto esercizio della attività di direzione e coordinamento. Allorché la scomposizione dell’impresa in più soggetti di diritto, ciascuno di essi autonomo rispetto agli altri, comporti la sussistenza di inconvenienti del calibro sopra descritto, la holding ne sarà responsabile. Il tipo di responsabilità concepita, volge però, nei confronti dei soci di minoranza e creditori delle controllate, e non nei confronti delle società controllate. Pare sin d’ora opportuno interrogarsi su quali possono essere i danni arrecati e quali i diritti che possono essere fatti valere a titolo di danno, nei confronti della controllante. Invero, essi possono essere individuati in primo luogo, nel diritto alla rimunerazione del proprio investimento, qualora la controllante adotti una politica gestionale – economica che abbia come risultato la depauperazione di utile di bilancio del patrimonio della controllata, al fine di privilegiare un’altra società. Potrebbe essere fatto valere inoltre, il diritto al mantenimento del valore di scambio della propria partecipazione, allorché la politica aziendale sia stata tale da aver diminuito il valore delle azioni di quella determinata controllata.
La responsabilità della holding può essere legalmente esclusa, qualora il danno risulti assente, in virtù di operazioni che a ciò hanno condotto. È ciò che rappresenta la
teoria dei cosiddetti vantaggi compensativi. Con il termine «vantaggi compensativi» viene descritto l’insieme dei benefici, goduti da una società controllata in virtù del suo status, e che è in grado di annullare il danno alla stessa arrecato dalla controllante, per mezzo di un’operazione effettuata a vantaggio dell’intero gruppo. Si ha, in conclusione, un complesso di regole, che riconduce ad unità il funzionamento di una pluralità di società, l’impresa di gruppo.
Le ragioni prevalenti, per le quali un’impresa tende ad articolarsi nel modo appena descritto, sono: la diversificazione dei rischi nei vari mercati e nei vari settori, poiché un’attività economica articolata in una molteplicità di frazioni di attività fa sorgere l’interesse di evitare che un’eventuale crisi di un mercato non si ripercuota sugli altri mercati per la medesima impresa e far sì che il gruppo non risenta delle conseguenze negative; il frazionamento della burocrazia imprenditoriale. Difatti, se si pensa ad un’impresa monolitica, concepita come un’unica società, operante in tutto il mondo ed in molteplici settori, si andrà incontro ad una scala gerarchica vastissima, alle dipendenze del consiglio di amministrazione con pedissequo processo di deresponsabilizzazione, poiché ciascuno dei dirigenti preposti ai vari rami e mercati, sarà intento ad adeguarsi alle direttive predisposte dal superiore gerarchico, e non sarà responsabilizzato al fine di migliorare la gestione dell’impresa alla quale si trova ad essere preposto. Se, al contrario, viene ad essere adottato lo schema della impresa frazionata in una pluralità di società, facenti parte di un gruppo, avremo dei livelli intermedi rappresentati da amministratori di società, responsabili personalmente dal punto di vista civile e penale, per il proprio operato. Questi livelli intermedi, saranno tenuti a garantire il successo dell’impresa che a loro è stata affidata, senza essere tenuti a rispettare degli ordini, ma solo delle direttive, poiché non più inseriti in uno schema gerarchico.
Le società holding, infine, svolgono una funzione che viene definita di “assistenza finanziaria al gruppo”. Precisamente, le holding fanno fronte alle esigenze proprie dell’intero gruppo, erogando finanziamenti ovvero assistendo con garanzie il ricorso da parte delle controllate al mercato dei capitali, ed in particolare al prestito bancario.
A questo punto, la riforma del 2003, esige che la funzione di assistenza finanziaria venga svolta con il criterio della ragionevolezza. In particolare, se risulta essere più ragionevole aumentare il capitale, piuttosto che concedere prestiti alla società controllata, oppure garantire debiti nei confronti del sistema bancario, quella società che abbia abusato della propria posizione di potere, predisponendo un’operazione irragionevole di prestito o assistenza finanziaria indiretta, mediante garanzie, anziché aumentare il capitale, sarà esposta al rischio della postergazione, ossia quella prestazione di garanzia o di prestito nei confronti della controllata, sarà postergata rispetto a tutti gli altri creditori; e precisamente, sarà soddisfatta soltanto se ed in quanto, tutti gli altri creditori della società controllata siano stati soddisfatti.
L’analisi che seguirà, ha come obiettivo quello di delineare in primo luogo il fenomeno del gruppo di imprese nell’ambito del diritto societario, individuando la normativa in merito alla responsabilità della capo – gruppo, analizzando gli aspetti conseguenti alla stessa, con particolare riferimento alla applicazione delle predetta disciplina alle imprese di trasporto. Si tenterà, poi, di porre l’accento sulla responsabilità della holding in ipotesi di limitazione della risarcibilità del danno in occasione del trasporto passeggeri.
CAPITOLO I
IL FENOMENO DEL GRUPPO DI SOCIETÀ: ELABORAZIONE DOGMATICA E DISCIPLINA CODICISTICA
1 IL GRUPPO NEL DIRITTO SOCIETARIO: DEFINIZIONE E ASPETTI PROBLEMATICI
Il «gruppo di società» rappresenta uno dei più importanti e complessi fenomeni dell’intero diritto societario. Si tratta di una fattispecie giuridica giovane, apparsa sullo scenario economico assieme all’esigenza concreta di adeguare l’organizzazione societaria ad un mercato sempre più complesso e vasto e, successivamente, su quello giuridico. Di conseguenza, mentre dal punto di vista economico, il fenomeno in esame, ha conseguito pieno riconoscimento ed autonomia, dal punto di vista squisitamente giuridico rappresenta ancora una fattispecie in “rodaggio”.
Nonostante l’ampia diffusione della forma organizzativa del gruppo di società e i numerosi e delicati problemi ad esso ricollegati, il Codice Civile del 1942 non ne conteneva una disciplina organica, limitandosi a disciplinare alcuni aspetti particolari2. L’interesse degli operatori del diritto si è quindi appuntato sull’analisi delle norme esistenti, al fine di predisporre uno statuto dei gruppi che fosse compatibile con i principî fondamentali del diritto societario italiano e, prima ancora, elaborare una nozione di gruppo di società. Precisamente, l’interesse degli interpreti si accese soprattutto in seguito all’introduzione, nel nostro ordinamento, della disposizione contenuta nell’art. 3, ultimo comma, della Legge n. 95 del 19793, in tema di responsabilità della società capogruppo per danni cagionati alla società subordinata. Del resto, il ritardo della nostra dottrina nello studio del fenomeno “gruppo” è stato sottolineato anche da uno dei più rinomati giuristi tedeschi, Marcus Lutter, il quale agli inizi degli anni ottanta affermava che «se l’Italia è un paese affascinante (..) affascinante è, spesso, anche ciò che gli italiani non fanno: per
2 Un forte richiamo all’esigenza di una disciplina organica, in A. Cerrai, I Gruppi di società nel diritto comunitario, in
AA.VV., I gruppi di società, Ricerche per uno studio critico, a cura di Pavone la Rosa, Bologna, 1982, 451 ss.; M. Bin,
Gruppi di società e diritto commerciale, in Contr. impr., 1990, 507.
3 Legge 3 aprile 1979, n. 95 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto – legge 30 gennaio 1979, n. 26,
esempio rompersi la testa sul diritto dei gruppi»4. Il carattere disorganico ed episodico degli interventi normativi, se da un lato ha stimolato la riflessione sul fenomeno del gruppo di società, dall’altro ha evidenziato il contrasto tra la riconosciuta rilevanza giuridica del gruppo ed i principi del Codice Civile in materia societaria, sollevando l’ulteriore interrogativo sull’ammissibilità ed opportunità di una rielaborazione di tali principi alla luce della normativa speciale.
In questo contesto, ci si è chiesti in che misura l’appartenenza ad un gruppo di società potesse legittimare il perseguimento di un unitario interesse di gruppo, compatibilmente con le norme che disciplinano il conflitto di interessi nelle deliberazioni assembleari e consiliari (artt. 2373 e 2391 c.c.)5. Collegato a questo profilo è l’interrogativo circa la legittimità e i limiti dell’esercizio del potere di direzione unitaria della capogruppo, alla luce delle norme che disciplinano la responsabilità degli amministratori verso la società, verso i soci e verso i terzi (artt. 2392 – 2395 c.c.). L’eventuale riconoscimento della legittimità di una direzione unitaria, infine, solleva l’ulteriore questione della responsabilità della capogruppo e dei suoi amministratori per danni derivanti alla controllata, e quindi ai suoi azionisti e ai creditori sociali, dall’esercizio della direzione unitaria. L’insieme degli interventi operati dalla giurisprudenza in risposta ai quesiti sopra descritti, ha contribuito ad
4 M. Lutter, Lo sviluppo del diritto dei gruppi in Europa, in Riv. soc., 1981, 672.
5 Precisamente, l’art. 2373 c.c. dispone che «La deliberazione approvata con il voto determinante di soci che abbiano,
per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società è impugnabile a norma dell’art. 2377 qualora possa recarle danno. Gli amministratori non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità. I componenti del consiglio di gestione non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza». L’articolo 1, comma 7, del D.lgs. del 27 gennaio 2010 n. 27 «Attuazione della direttiva 2007/36/CE, relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate», ha poi sostituito «di soci» con le parole: «di coloro». L’art. 2391 c.c. dispone che «l’amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale, se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile. Nei casi previsti dal precedente comma la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione. Nei casi di inosservanza a quanto disposto nei due precedenti commi del presente articolo ovvero nel caso di deliberazioni del consiglio o del comitato esecutivo adottate con il voto determinante dell’amministratore interessato, le deliberazioni medesime, qualora possano recare danno alla società, possono essere impugnate dagli amministratori e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro data; l’impugnazione non può essere proposta da chi ha consentito con il proprio voto alla deliberazione se sono stati adempiuti gli obblighi di informazione previsti dal primo comma. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione. L’amministratore risponde dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione. L’amministratore risponde altresì dei danni derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell’esercizio del suo incarico».
elaborare un corpus di principi e regole che, seppure in modo frammentario ed episodico, ha fornito una prima disciplina al fenomeno dei gruppi, evitando che l’assenza di una regolamentazione organica si traducesse in un’autentica lacuna del nostro ordinamento.
La consapevolezza dell’esistenza di un sia pur frammentario e disorganico “diritto dei gruppi”, ha indotto il Legislatore della riforma (D.lgs. 17 gennaio 2003, n.6 «Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366») a demandare al Governo il compito di «revisionare», piuttosto che regolare ex novo, la materia dei gruppi secondo principi e criteri direttivi che fornissero una risposta soddisfacente agli interrogativi sopra illustrati.
Il Legislatore delegato, ha dato attuazione al contenuto della delega, introducendo nel Codice Civile un capo autonomo (Capo IX, del Titolo V, del Libro V, artt. 2497 – 2497 septies), nel quale hanno trovato regolamentazione alcuni dei più dibattuti problemi dei gruppi, sebbene sia stato volutamente omesso ogni riferimento esplicito al «gruppo di società».
La suddetta scelta omissiva del Legislatore in merito alla definizione di «gruppo», risponde all’esigenza di individuare i presupposti per l’applicazione di una particolare disciplina con riferimento ad una situazione di fatto oggettivamente riscontrabile, piuttosto che ad un concetto di elaborazione dottrinale dai contorni incerti e difficilmente adattabili all’evolversi del contesto economico.
Se la riforma legislativa, ha l’obiettivo di adeguare il diritto societario nazionale, al fine di renderlo competitivo nel panorama mondiale, non si può non rilevare come le disposizioni oggetto di riforma abbiano un forte impatto, non solo sugli aspetti organizzativi e gestionali delle imprese medio – grandi italiane, ma anche su quelli delle imprese straniere. Di conseguenza, si può affermare con buona pace che l’Italia si è venuta ad uniformare a quei Paesi che ben conoscono una disciplina specifica del
gruppo di società, quali, innanzitutto, la Germania, il Brasile, il Portogallo e l’Inghilterra6.
In Italia, come si è avuto modo di precisare, il problema della individuazione del concetto di gruppo, pur non essendo sconosciuto al Legislatore del 1942, è stato a lungo oggetto soltanto di una frammentaria e disorganica disciplina. Se si vuole fare una considerazione in via generale dei gruppi all’interno del nostro ordinamento, il punto di partenza è rappresentato dalla disciplina codicistica. Il Legislatore del 1942, ha rivolto la sua attenzione alle società singolarmente considerate, guardando con sospetto la potenziale realtà economica unitaria sottostante al frazionamento giuridico tra le varie società del gruppo e, quindi, anche la possibile esistenza di una impresa di gruppo, in quanto potenziali attentati all’autonomia delle singole società. In particolare, uno specifico limite è posto, dal Codice Civile, al comma 1, dell’art. 2361, il quale dispone che «l’assunzione di partecipazioni in altre imprese, anche se prevista genericamente nello statuto, non è consentita, se per la misura e per l’oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l’oggetto sociale determinato dallo statuto». Per ciò che concerne il limite previsto dal succitato
articolo, la dottrina si è divisa7: il punto sul quale si è raggiunto un accordo è dato dal
ruolo centrale che riveste l’oggetto sociale, il quale costituisce il criterio per stabilire
la liceità o meno dell’assunzione di partecipazioni 8.
Il divieto sancito dall’art. 2361 c.c. colpisce soltanto le società per azioni ed ha come obiettivo primario quello di impedire l’attuazione di una sostanziale modificazione del’oggetto sociale senza che questa venga approvata dai soci con l’osservanza delle formalità disposte dalla legge per una deliberazione di tale portata. Si ha, infatti, una sostanziale modifica, quando l’attività relativa alla partecipazione assunta, per la
6 In questo senso, U. Tombari, Il gruppo di società, Torino, 1997 , 13, nt. 35.
7 Sul punto, E. Gliozzi, Gli atti estranei all’oggetto sociale nelle società per azioni, Milano, 1970, 206; G. Caselli, Oggetto
sociale e ultra vires, Padova, 1970, 56; S. Seminaria, Considerazioni sul delitto di assunzione di partecipazioni modificatrici dell’oggetto sociale, in Giur. comm., 1980, 764.
8 Per quanto riguarda la nozione di «modifica sostanziale», la giurisprudenza di merito, ha ritenuto che non integri una
modifica dell’oggetto sociale e, di conseguenza, non rappresenta una grave irregolarità, la circostanza fattuale che vede gli amministratori di una società per azioni, deliberare di trasferire il complesso aziendale a società controllata interamente, sottoscrivendone il consequenziale aumento di capitale (App. Milano, 20 ottobre 2001, Giur. it. 2002, 320.)
misura della stessa, risulti prevalente rispetto all’attività indicata nell’oggetto sociale. Tale affermazione, trova riscontro nella normativa bancaria sulla composizione del gruppo; già il D.lgs. n. 356/1990 «Disposizioni per la ristrutturazione e per la disciplina del gruppo creditizio», prevedeva una rigida disciplina delle partecipazioni in relazione all’oggetto sociale, ripresa poi dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria a creditizia (D.lgs. n. 385/1993) e, precisamente, dall’art. 65 dello stesso, in cui sono determinati i soggetti sottoposti alla vigilanza consolidata9. Dal punto di vista strutturale il gruppo viene a configurarsi come un’aggregazione di imprese contraddistinte da comuni interessi, che consente di raggiungere risultati altrimenti preclusi ad una singola società. L’articolo succitato fissa, quindi, un limite di carattere generale. La disciplina della partecipazione di una società in un’altra fa capo a due concetti fissati dall’art. 2359 c.c., che individua nel «controllo» e nel «collegamento» due livelli distinti di esercizio dell’influenza di un soggetto sull’altro. Sulla scorta di quanto statuito dall’art. 2359 c.c., vengono considerate controllate: le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; le società in cui un’altra società dispone dei voti sufficienti per esercitare una influenza dominante nell’assemblea ordinaria; le società che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Da una prima lettura della norma testé menzionata emerge chiaramente il concetto di influenza dominante, utilizzato nella totalità delle ipotesi di
controllo10. Di particolare rilevanza, poi, il «controllo di fatto», anch’esso di carattere
interno, trattandosi, precisamente, di un controllo minoritario legato alla polverizzazione del capitale e all’assenteismo dei soci. Anche in ipotesi di società che
9 Precisamente, l’art. 65, D.lgs. 385/1993 dispone che «la banca d’Italia esercita la vigilanza su base consolidata nei
confronti dei seguenti soggetti: a. società appartenenti ad un gruppo bancario; b. società bancarie, finanziarie e strumentali partecipate almeno per il 20% dalle società appartenenti a un gruppo bancario o da una singola banca; c. società bancarie, finanziarie e strumentali non comprese in un gruppo bancario, ma controllate dalla persona fisica o giuridica che controlla un gruppo bancario ovvero una singola banca; h. società che controllano almeno una banca; i. società diverse da quelle bancarie, finanziarie e strumentali quando siano controllate da una singola banca ovvero quando società appartenenti a un gruppo bancario ovvero soggetti indicati nella lettera h) detengano, anche congiuntamente, una partecipazione di controllo. Nei confronti dei soggetti inclusi nell’ambito della vigilanza consolidata resta ferma l’applicazione di norme specifiche in tema di controlli e di vigilanza, secondo la disciplina vigente».
10 Sul punto, C. Angelici, La partecipazione azionaria nelle società per azioni, in Trattato di diritto privato, diretto da
sono sotto l’influenza dominante di un’altra società, in virtù di particolare vincoli contrattuale, si ha un «controllo di fatto», anche se in tale circostanza la dipendenza è di natura economica e nasce da un vincolo contrattuale, in base al quale l’attività di una società dipende da un’altra11.
Il «collegamento» fa invece riferimento all’influenza notevole. Difatti, il comma 3, dell’art. 2359 c.c., dispone che «sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume notevole quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa». La disposizione per ultimo citata, è il prodotto della modifica avvenuta con D.lgs. n. 127/1991, il quale ha introdotto due rilevanti innovazione: la percentuale fa ora riferimento ai voti esercitabili nell’assemblea ordinaria e non più alla partecipazione al capitale; la suddetta percentuale viene considerata una presunzione (non si è in grado di comprendere se relativa o assoluta) di sussistenza del collegamento; nozione alla
quale fa da perno il concetto di «influenza notevole», assolutamente ambiguo12.
Tuttavia, in dottrina, si è rilevato, che l’influenza notevole – quand’anche in assenza della percentuale del quinto o del decimo – deve comunque connettersi alla disponibilità dei voti esercitabili e non possa quindi configurarsi quando una società sia sottoposta ad influenza di un’altra società esclusivamente in virtù di particolari
vincoli contrattuali13. Inoltre, il settore in cui più ampiamente si dispiega la rilevanza
giuridica del controllo e del collegamento è la disciplina del bilancio. L’obiettivo è,
11 In questo caso viene a configurarsi il c.d. «controllo esterno». La suddetta configurabilità, richieda l’esistenza di
determinati rapporti contrattuali, la costituzione e la sussistenza dei quali rappresentino l’elemento essenziale della capacità di impresa della società subordinata. L’accertamento della sussistenza dei succitati rapporti contrattuali, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità, solo per aspetti di contraddizione interna al percorso di adozione della decisone ovvero per aver omesso l’esame di fattori determinanti per la stessa decisione (Cass. 27 settembre 2001, n. 12094).
12 In questo senso, A. Tullio, La postergazione,Roma, 2009, 77, nt. 140.
13 In questo senso, A. Tullio, La postergazione, Roma, 2009, 77, nt. 140, il quale ritiene, inoltre, che ipotesi di
collegamento potrebbero essere rintracciate, nelle circostanze in cui si disponga di un numero di voti inferiore al quinto ovvero al decimo, tuttavia, «si partecipi ad un sindacato di maggioranza nel quale si goda di un potere di veto (capace di impedire, appunto, il formarsi della volontà del sindacato); o allorché si disponga di influenza dominante su di un sindacato di minoranza che raccolga complessivamente un numero di voti superiore al quinto o al decimo». Inoltre, l’A. sottolinea come il Codice Civile, non preveda, al contrario di alcune discipline settoriali, il caso di «collegamento indiretto» e come questa circostanza, sia tutt’altro che una dimenticanza, quanto piuttosto di una precisa scelta da parte del Legislatore, vista la limitata rilevanza giuridica della nozione di collegamento, volta a finalità di natura informativa dal punto di vista contabile.
infatti, quello di rendere al massimo trasparenti i rapporti giuridici intercorrenti fra società collegate e controllate e, in taluni casi, fra società sottoposte ad un comune controllo (c.d. società sorelle); tanto si giustifica in considerazione del fatto che tali rapporti sono insidiosi ai fini di una rappresentazione veritiera e reale della situazione patrimoniale e finanziaria delle società e del risultato economico di esercizio.
Partendo dalla constatazione che «controllo societario» e «gruppo» sono fenomeni
non necessariamente coincidenti14, condizione fondamentale per l’esistenza del
gruppo è comunque l’esistenza del controllo, che secondo la dottrina prevalente deve sostanziarsi nella «direzione unitaria»: questa viene intesa, da parte di alcuni autori, come una condizione globale della politica economica del gruppo, proprio perché «unitaria e unitariamente concepita è l’azione economica, così come unitario e globale è l’interesse che per mezzo di essa si realizza»15; altra parte della dottrina, invece, definisce la direzione unitaria come la riconduzione esclusiva della politica gestionale della capogruppo, a discapito dell’autonomia delle controllate. Secondo tale ultima interpretazione «perché divenga strumentale ad una tipica aggregazione di gruppo è necessario che l’ingerenza non sia limitata alla scelta dei componenti degli organi gestori delle società controllate (..), ma investa fondamentali momenti dell’attività di tali ultime società (..); decisioni tutte che la controllante adotterà nel
contesto della politica economica e finanziaria del gruppo»16.
L’elemento costitutivo della natura di gruppo è, dunque, la «direzione unitaria» che deve essere individuata nella sua portata. Una volta accolta la nozione generica secondo cui per gruppo s’intende un’aggregazione d’imprese costituite in forma
14 Sul punto, G. Ferri, Concetto di controllo e di gruppo, in Atti del Convegno di Studi svoltosi a Bellagio 19 – 20 giugno
1981, Milano 1982, 67 ss., e da ultimo G. F. Campobasso, Gruppi e gruppi bancari: un’analisi comparata, in Banca, Borsa e titoli di credito, 1995, 120 ss.; M. R. Maugeri, Breve sintesi del dibattito nella recente dottrina e giurisprudenza italiana, Roma, 1996, 25 ss.; P. Fasciani, I gruppi di società nella dottrina e nella giurisprudenza degli anni 50’ ad oggi,
Roma, 1995, 65 ss..
15 Così, espressamente, G. Ferri, Concetto di controllo e di gruppo, in Atti del Convegno di Studi svoltosi a Bellagio 19 –
20 giugno 1981, Milano 1982, p. 842; nello stesso senso, inoltre, F. Barca – P. Casavola – M. Perassi, Controllo e gruppo: natura economica e tutela giuridica, in «Temi di discussione», Banca d’Italia, 1993, 160 ss..
16 Così, espressamente, A. Pavone La Rosa, “Controllo” e “gruppo” nella fenomenologia dei collegamenti societari, in
societaria legate fra loro da relazioni di controllo17, va tenuto presente che ben diversa sarà la situazione a seconda della tipologia di controllo o direzione unitaria che sarà esercitata in relazione alla natura del gruppo. Si pensi alla diversa autonomia giuridica di cui godono le controllate all’interno dei gruppi patrimoniali, finanziari, industriali o imprenditoriali: nei primi due l’ingerenza della holding sarà più limitata e, di conseguenza, all’autonomia giuridica si accompagnerà una sostanziale autonomia di politica economica; negli altri casi si tratterà di una mera autonomia formale.
La situazione normativa prospettata, è rimasta immutata fino agli anni settanta; nel frattempo la dottrina acquisiva maggiore consapevolezza, anche attraverso il confronto con il diritto di paesi come la germani, dell’esigenza di una disciplina più moderna del gruppo, in grado di regolare situazioni sino ad allora non previste.
Si ritiene non esista una nozione unitaria di gruppo, ma che sia necessario costruire tante nozioni di gruppo quante volte tale nozione ricorre in provvedimenti normativi. Non a caso si suole parlare del gruppo come figura a «geometria variabile»18, sia sotto il profilo della morfologia, sia sotto il profilo della regolamentazione. Le figure di gruppo prese a riferimento, sono tutte accomunate dal fatto che di esse manca un riconoscimento ed una disciplina del fenomeno nella sua valenza positiva e fisiologica. Inoltre, il legislatore, ha rivolto la sua attenzione al controllo esercitato dalle società raggruppate, per fini di tutela degli interessi particolari che in queste hanno il loro punto di riferimento; è mancata, quindi, una normativa che abbia preso in considerazione gli interessi di cui il gruppo è portatore. Infine, la normativa sul controllo, ha carattere prevalentemente sanzionatorio e limitativo della direzione unitaria. Va evidenziato poi, che nel corso degli anni il dibattito sui gruppi societari
non si è mai attenuato, al contrario, ha dato luogo ad una serie di interventi ottrinari19.
Invero, preme rilevare come a fronte di tanta attenzione da parte degli studiosi, il
17 In questo senso, F. Barca – P. Casavola – M. Perassi, Controllo e gruppo: natura economica e tutela giuridica, in
«Temi di discussione», Banca d’Italia, 1993, 20 ss..
18 Così definita da V. Ferrari, La nozione di controllo nel diritto delle società, in Impresa, 1993, 1989 ss..
19 A testimonianza della grande attenzione dedicata a questo tema, si vedano gli Atti del Convegno «La disciplina dei
gruppi di imprese: il problema oggi», organizzato dal Centro Nazionale di prevenzione e difesa sociale, pubblicati in
legislatore abbia, comunque, mantenuto l’impostazione originaria, intervenendo al solo fine di disciplinare i rapporti di controllo.
In linea con la descritta impostazione di fondo, il Testo Unico della Finanza (D.lgs. n. 58/1998) non ha avuto ad oggetto la regolamentazione del fenomeno, a differenza
della normativa adottata con il D.lgs. 8 luglio 1999, n. 27020, per mezzo del quale è
stata riformata la disciplina relativa all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d’insolvenza, riproponendo l’intervento concernente la crisi del gruppo di imprese, già contenuta nell’art. 3 del D.L. 30 gennaio 1979 n. 26 («Provvedimenti urgenti per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi»)21.
Procedendo in maniera ordinata, risulta indispensabile effettuare un breve richiamo ai principî ed alle linee guida ispiratrici dell’unica disciplina attualmente esistente in materia di gruppi anche se relativa ad uno specifico settore sottoposto a vigilanza: la normativa sul gruppo bancario dettata dal Testo Unico in materia bancaria a creditizia (D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385).
La disciplina del gruppo bancario è imperniata su due cardini fondamentali: la realizzazione di un modello di gruppo «integrato» o «strategico» avente un unico
20 Si tratta di una regolamentazione relativa, però, al c.d. momento patologico del fenomeno dei gruppi.
21 L’art. 3, D.L. 26/1979, convertito con modificazioni dalla Legge 3 aprile 1979, n. 95, disponeva che «dalla data della
pubblicazione della Gazzetta Ufficiale del decreto con il quale è stata disposta l’amministrazione straordinaria di una società di cui al primo comma dell’art. 1, sono soggette alla medesimo procedura a norma del presente decreto – legge, ancorché non si trovino nelle condizioni previste nel detto comma: a. la società che controlla direttamente o indirettamente la società in amministrazione straordinaria; b. le società direttamente o indirettamente controllate dalla società in amministrazione straordinaria o dalla società che la controlla; c. le società che in base alla composizione dei rispettivi organi amministrativi risultano sottoposte alla stessa direzione della società in amministrazione straordinaria; d. le società che hanno concesso crediti o garanzie alla società in amministrazione straordinaria e alle società di cui alle precedenti lettere per un importo superiore, secondo le risultanze dell’ultimo bilancio, ad un terzo del valore complessivo delle proprie attività». L’accertamento giudiziario dello stato d’insolvenza delle società suindicate può essere richiesto anche dal commissario o dai commissari nominati con il decreto di cui al primo comma e dal pubblico ministero. Alla procedura di amministrazione straordinaria, da disporre con separato per ciascuna società,devono essere preposti gli stessi organi nominati con decreto di cui al primo comma, salvo eventuale integrazione del comitato di sorveglianza anche in eccedenza al numero massimo previsto nell’art. 198 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Il ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato e i commissari,allo scopo di accertare l’esistenza di società nelle condizioni di cui al primo comma, possono richiedere informazioni alla Commissione nazionale per le società e la borsa e ad ogni altro pubblico ufficio, che sono tenuti a fornirle entro 15 giorni. Al medesimo fine possono richiedere alle società fiducia riedi cui alla legge 23 novembre 1939, n. 1966, le generalità degli effettivi proprietari dei titoli azionari intestati al proprio nome. Tali società sono parimenti tenute a rispondere entro quindici giorni».
disegno imprenditoriale e una forte coesione interna22, e l’individuazione della capogruppo, il cui ruolo è di primaria importanza, soprattutto sotto il profilo della vigilanza consolidata. La diretta conseguenza di tale impostazione, è l’attribuzione alla società bancaria o finanziaria capogruppo, di un ruolo di vertice strategico del gruppo, dovendo svolgere un’attività di direzione e coordinamento sulle imprese controllate ed avendo il potere – dovere di impartire ad esse le disposizioni necessarie per far rispettare, a livello di gruppo bancario, i vari profili di vigilanza consolidata. Ciò significa che la holding di un gruppo bancario, al fine di assumere tale status, deve dotarsi di una struttura organizzativa e di sistemi di gestione e controllo tali da permetterle di svolgere adeguatamente i diversi compiti che la normativa sui gruppi bancari le affida. Ciò detto, le società controllate hanno il dovere di sottostare alle indicazioni impartite dalla capogruppo, mettendo in atto tutti quei cambiamenti necessari a soddisfare i diversi adempimenti imposti dalla normativa. Questo, in breve, è ciò che il T.U.B. dispone in materia di gruppo; tuttavia, tale normativa regola unicamente il gruppo bancario non producendo, di conseguenza, alcun effetto in capo alla disciplina dei gruppi di società e imprese.
È pur vero che, in tema di possibili conflitti fra le diverse componenti del gruppo, occorre considerare se la normativa dettata dal T.U.B. in materia di gruppi bancari, possa assumere una valenza sistematica per i gruppi di diritto societario comune in chiave di riforma legislativa. Si può anche valutare se, il modello dettato in materia creditizia possa «essere utilizzato o trapiantato al di fuori dell’area dei gruppi bancari; tuttavia mentre i gruppi bancari sono per legge tenuti ad uniformarvisi, per i gruppi non creditizi, occorre che sia effettuata una scelta, ossia che quel modello venga
volontariamente adottato dai soggetti interessati»23.
22 Sul punto, G. La Rocca, Impresa e società nel gruppo bancario, Milano, 1995; M. A. Stefanelli, Alcune riflessioni sul
modello di «gruppo bancario» nel Testo Unico 1-‐9-‐93 n. 385, Il diritto dell’economia, n. 3, 1996, pp. 614 – 617; R. Pena
– C. Pisanti – Zamboni – P. Garavelli, La nuova legge bancaria, Milano, 1997, pp. 616 – 617.
23 Così, espressamente, G. Scognamiglio, G. Scognamiglio, Gruppi bancari e non. Legge e autonomia privata nella
È opportuno notare, sin da subito, come la disciplina del T.U.B. abbia esercitato una certa influenza sui redattori del Progetto24 Mirone25, sfociato poi nella Legge n. 366/2001, tanto che la dizione «attività di direzione e coordinamento» (art. 61, comma 4 del T.U.B.), si ritrova puntuale nell’art. 9, comma 1, lettera a) del succitato Progetto. Ed è proprio dalla bozza Mirone che si può rinvenire una certa attitudine del Legislatore a regolare il fenomeno dei gruppi societari. Infatti, la precedente riforma, introdotta con D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, presenta un approccio più moderato circa la disciplina dei gruppi, limitandosi a regolamentare la sola fattispecie relativa al controllo.
Particolarmente interessante risulta, ai fini dell’esame del fenomeno del gruppo, la disciplina dettata dall’art. 93 del Testo Unico della Finanza26 (D.lgs. n. 58/1998), relativa alle società quotate nei mercati regolamentati. Tale articolo, sebbene la norma abbia in realtà ad oggetto le imprese controllate, è rubricato «Definizione di controllo», e la sua rilevanza emerge dal fatto che con tale norma il legislatore è intervenuto, pur senza farne espressa menzione, nella materia dei gruppi di società. La scelta operata dal Legislatore, nel T.U.F., di dettare una definizione unitaria di controllo, applicabile all’intera disciplina degli emittenti, sembra orientata verso una semplificazione e razionalizzazione del sistema precedente, caratterizzato da una proliferazione di definizioni di «controllo. La nozione di controllo fissata dall’art 93 del T.U.F. comunque, muove da quella generale contenuta nell’art. 2359. Dunque, anche in base all’articolo in esame, sono considerate imprese controllate, quelle
24 Testo e relazione di accompagnamento al progetto, pubblicati in Riv. soc. 2000, pp. 14 ss.
25 Precisamente, La c.d. bozza Mirone (dal nome del sottosegretario all’economia, presidente della Commissione) fu
approvata, da parte del Consiglio dei ministri, il 26 maggio 2000. Il Progetto conteneva un modello di legge – delega da proporre al Parlamento per l’avvio dei lavori di riforma dell’intero diritto societario. La conclusione della XIII legislatura però, finì per determinare anche la fine del progetto. Tuttavia, il focus di modificare la legislazione in materia societaria, non venne perso di vista nella XIV legislatura, divenendo uno dei punti più urgenti da toccare. Nella riforma, la bozza Mirone fu completamente rielaborata, fino ad assumere contenuto e forma della Legge 3 ottobre 2001, n. 366 («Delega al Governo per la riforma del diritto societario»).
26 Precisamente, l’art. 93, T.U.F., dispone che «nella presente parte sono considerate imprese controllate, oltre a
quelle indicate nell’art. 2359 , primo comma, numeri 1 e 2, del codice civile, anche. A. le imprese, italiane o estere, su cui un soggetto ha il diritto, in virtù di un contratto o di una clausola statutaria, di esercitare un’influenza dominante, quando la legge applicabile consenta tali contratti o clausole; b. le imprese, italiane o estere, su cui un socio, in base ad accordi con altri soci, dispone da solo di voti sufficienti a esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria. Ai fini del comma 1 si considerano anche i diritti spettanti a società controllate o esercitati per il tramite di fiduciari o di interposte persone; non si considerano quelli spettanti per conto di terzi».
indicate nel comma 1, ai numeri 1 e 2, della disciplina civilistica. Già da una prima lettura si può notare come la norma civilistica (art. 2359, comma 1, c.c.) consideri le «società controllate», mentre l’art. 93 del T.U.F., prende in considerazione (come già l’art. 26 del d.lgs. 9 aprile 1991, n. 127) le «imprese controllate». Tale differenza,
assume di sicuro una certa importanza(27), infatti, come è stato fatto notare da alcuni
autorevoli autori(28), la differenza ha un suo rilievo , in quanto un conto è parlare di
società (con connessi profili di governance), un altro è discorrere di impresa (con connessi profili di direzione). Inoltre, lo stesso art. 93 T.U.F, nel riformulare il concetto ulteriore di «influenza dominante», contenuto nel comma 1, punto 3, dell’art. 2359 c.c., anche in tal caso sostituisce, alla considerazione delle società (che si trovano sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolare vincoli contrattuali con essa), la considerazione delle imprese italiane o estere. Il legislatore, sembra fare un passo avanti, rispetto al testo dell’art. 2359 c.c., quanto alla natura della controllante che può essere un «soggetto» (lett. a) ovvero un «socio» (lett. b). Tale differente impostazione, va incontro all’esigenza di ampliare la lista dei soggetti attivi e passivi, i quali possono essere implicati nel rapporto di gruppo. Alla medesima esigenza si collega poi, la rubrica dell’art. 93 T.U.F., la quale è destinata ad applicarsi all’intera parte del Testo Unico, relativa agli emittenti di strumenti finanziari negoziati nei mercati regolamentati o abitualmente diffusi tra il pubblico, e non soltanto alle società con azioni quotate, in cui, almeno in rispetto ad uno dei due versanti del rapporto, è implicita la delimitazione dei soggetti ricompresi.
Il legislatore del 1998 non ha, quindi, colmato la lacuna presente nel nostro ordinamento, causata dall’inesistenza di un’organica disciplina dei gruppi. Nonostante quanto appena affermato però, le norme del Testo Unico della Finanza, che riguardano il fenomeno dei gruppi, toccano in modo incisivo campi fondamentali come la trasparenza, il collegio sindacale e la revisione contabile.
27 Sul punto, P. Marchetti – L. A. Bianchi, La disciplina delle società quotate: nel Testo Unico della Finanza d.lgs. 24
febbraio 1998, n. 58, Milano, 1999, p. 871.
28 Per tutti, vedi Alpa – Capriglione, Commentario al Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione
Il legislatore del T.U.F. ha, quindi, ritenuto opportuno basare la disciplina del gruppo sulla nozione di «società controllata» dell’art. 2359 c.c., poiché quest’ultima consente una più facile individuazione dei contorni del fenomeno, rispetto a quanto invece consenta la disciplina della direzione unitaria29. Si è preferito, pertanto, definire il gruppo come l’insieme di una società controllante e delle società da essa controllate, dove per controllo dovrebbe intendersi la situazione di un soggetto che è in grado di esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante nell’assemblea della controllata. Non può quindi affermarsi che, la riforma del 1998 abbia dimenticato il fenomeno del gruppo. Essa, infatti, rafforzando la trasparenza di gruppo e il potere di direzione della capogruppo, consolida in maniera indiretta il gruppo stesso. A ciò si aggiunga la precisazione che, la formulazione della norma della Legge Delega, si riferiva ai «rapporti di gruppo», e non alla disciplina dei gruppi tout court. Di conseguenza, sarebbe stata opportuna una lettura in un’ottica mirante alla disciplina delle operazioni di gruppo, piuttosto che alla regolamentazione dei rapporti di gruppo. Inoltre, deve tenersi in considerazione il fatto che, la riforma attuatasi nel nostro ordinamento in seguito all’emanazione del T.U.F., è indirizzata alle sole società con titoli quotati. Ciò detto, una lettura di tale disciplina in chiave di regolamentazione di gruppi, potrebbe condurre ad una disarmonia nell’ordinamento, sotto il profilo razionale e delle opportunità di scelta politica: l’interesse di una società ad emettere titoli sui mercati regolamentati, verrebbe così meno a causa di una discriminazione fra società con titoli quotati e società con titoli non quotati. Di conseguenza, l’appetibilità della quotazione, nonché, indirettamente, la tutela del mercato, verrebbero certamente ridotti.
Il T.U.F., detto anche comunemente Riforma Draghi30, merita di essere ricordato
anche e soprattutto per aver cercato di dare una risposta ad un’esigenza comunemente
29 In questo senso, G. F. Campobasso, Commento all’art. 93 T.U.F., in Testo Unico della Finanza. Commentario, Torino,
2002, 768 ss..
30 In particolare, la Riforma Draghi ha elaborato un insieme di norme, al fine di temprare gli strumenti di controllo
degli investitori. Nell’ambito del suddetto insieme, è stata riconosciuta alla società, la facoltà di autoregolamentarsi in merito al governo di impresa. L’intento del Legislatore, fu quello di consolidare il sistema dei controlli relativi alla gestione delle società quotate attraverso una maggiore specializzazione dei ruoli e delle mansioni dei soggetti
avvertita: perfezionare la disciplina dei mercati finanziari, introducendo strumenti di tutela delle minoranze azionarie, qualificate nelle società quotate, allo scopo di favorire l’afflusso di risparmio alle imprese, attraverso l’intervento degli investitori istituzionali, in particolare di quelli stranieri. In altri termini, si è tentato di allineare l’ordinamento italiano dei mercati finanziari e delle società quotate, agli standard internazionali, al fine di prevenire il rischio di marginalizzazione del sistema italiano dal processo di globalizzazione.
In seguito a tale riforma, rivolta alle sole società quotate, si è avvertita l’esigenza di apportare delle modifiche anche nell’ambito delle società non quotate, proseguendo così il processo di riforma cominciato nel 1998.
Al fine di perseguire l’obiettivo appena descritto, nel 1998, fu istituita una Commissione di studio, presieduta da Antonio Mirone, con il compito di predisporre uno schema di disegno di legge delega per la riforma organica del diritto societario. Il progetto fu ultimato e presentato, nella forma del disegno di legge, al Parlamento, il 26 maggio 2000, definitivamente approvato il 28 settembre 200131. Gli obiettivi di tale riforma in materia di gruppi societari, sono stati fondamentalmente tre, contenuti già nello schema di disegno di legge, all’art. 9: assicurare un’adeguata trasparenza dei rapporti di gruppo; sottoporre l’attività di direzione e coordinamento ad una disciplina che contemperi adeguatamente l’interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di quest’ultime; riconoscere adeguate forme di tutela al socio, al momento dell’ingresso e dell’uscita dal gruppo. Non si è ritenuto necessario tuttavia, definire un nuovo concetto di gruppo, poiché la premessa dalla quale ha preso spunto tale riforma, è che il fenomeno del gruppo esiste, con una valenza positiva e con i rischi che inevitabilmente comporta. Legittima è, comunque, l’esigenza di «trasparenza» che il Progetto Mirone ha inteso soddisfare. Il suddetto
predisposti alla vigilanza. In questo senso P. Giansante, Internal auditing. Contenuto, struttura e processo, Roma, 2009, p. 85.
31 In merito al Progetto Mirone si vedano, V. Afferini – L. De Angelis, Progetto Mirone e modelli organizzativi per la
piccola e media impresa, in Quad. giur. comm., 2001, 222; G. M. Flick, Gli obiettivi della Commissione per la riforma del diritto societario, in Riv. soc., 2000, 1; P. Pisoni – L. Puddu, La riforma del diritto societario. Novità contabili, in Impresa,
2001, p. 1481; V. Salafia, La bozza di legge – delega Mirone di riforma del diritto societario e l’autonomia statutaria, in