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Il culto popolare dei santi: uno sguardo dall’esterno.

Dopo aver dato uno sguardo a quelli che potevano essere gli usi strumentali che la politica faceva delle devozioni religiose, passiamo adesso a vedere in che modo il popolo facesse ricorso all’aiuto degli intercessori celesti. Lungi dal voler descrivere quali fossero gli atteggiamenti interiori e i modi personali di approcciarsi al sacro, possiamo dire che in questo e nei capitoli seguenti la nostra attenzione sarà prevalentemente concentrata su un ambito meno strettamente condizionato da imposizioni istituzionali. Anche geograficamente il quadro cambia, dato che ci concentreremo prevalentemente sul territorio delle Vicarie. Prima di procedere nel dettaglio può essere utile un’introduzione alla questione da un particolare punto di vista.

Il culto dei santi era, e in parte ancora è, una delle manifestazioni della pietà popolare che più colpivano il viaggiatore straniero che si trovava ad attraversare le varie zone della nostra penisola. Svariate erano le ragioni per cui poteva capitare in Italia, vuoi per affari, vuoi per ragioni di salute e per la ricerca di un clima più mite, vuoi per completare la sua formazione culturale nell’ambito del cosiddetto “Grand Tour”, ma, al di là di ciò, non poteva non rimanere impressionato da tali aspetti devozionali e dalle loro manifestazioni esteriori.

Tutto l’insieme di liturgie ufficiali e manifestazioni della religiosità popolare del mondo cattolico incuriosiva sicuramente l’osservatore esterno, il quale poteva avere diverse reazioni di fronte a ciò, a seconda del suo retroterra culturale. Data l’eterogeneità di questi viaggiatori, è possibile osservare sia lo sdegno dell’intellettuale illuminista verso quelle che a torto o a ragione vedeva come delle pure e semplici superstizioni, sia la meraviglia del cristiano imbevuto dell’austerità liturgica protestante, luterana o calvinista che fosse, sia il fascino magnetico esercitato su taluni individui, specialmente a partire dal periodo “preromantico”, alla ricerca di nuovi modi di vivere la fede ed insoddisfatti dalla anzidetta sobrietà.

Nella lettera LXXXVII, proveniente dalla raccolta delle missive inviate dal reverendo inglese John Owen (1765 – 1822) 1, troviamo la descrizione delle celebrazioni che avevano luogo a Roma la vigilia di Natale:

On the Eve of Christmas, all the streets of Rome were in extreme confusion, and the images planted in different parts of the city were saluted with loud and frequent invocations. [...] For many nights previous to the Nativity, I was disturbed, at a most

                                                                                                               

1 Notizie biografiche sul reverendo John Owen si trovano in: AA.VV., The gentleman's magazine, and

unseasonable hour, by very noisy chauntings, intermingled with soft responses, from a number of children, who supported, as I learnt, in this religious burletta, the character of Angels2.

Nella lettera XCVIII, data 18 gennaio 1792, il reverendo osserva, con animo disgustato:

It is surprising to see by how many arts the Romish priesthood study to amuse and to profit by the credulity of their followers. The festival of St. Antonio, not the Paduan Antony, the patron of fishes, but Antony the protector of horses, mules, and asses, afforded me a strong proof of the artifices of catholic imposture. [...] The church of the Jesuits also offers a scene of barbarous and absurd superstition. Within this church, the scourge is nightly used; [...] The lights are estinguished, and the penitents of both sexes offer their bare shoulders to whatever number of stripes their sins may appear to deserve. [...] I frequently encounter in my evening walks, funeral processions, attended by mourners, having white masques and lighted candles, chaunting with hollow tones their Latin dirge. [...] and yet in the midst of all this, nothing is resisted more strongly by these ignorant enthusiasts, than the charge of idolatry.3

In poche parole, questi e altri passi delle sue opere dimostrano come egli si accingesse ogni volta ad emettere giudizi basandosi esclusivamente sulle sue “categorie mentali” di pastore, abituato a disprezzare ogni espressione devozionale cattolica.

Uno dei più illustri viaggiatori che nel ‘700 visitarono il nostro Paese fu Joseph Jérôme Lefrançois de Lalande (o “ De La Lande”, che dir si voglia). Figlio dell’illuminismo, figura estrosa, orgoglioso del suo ateismo4, pur dichiarando di partire da posizioni di assoluta apertura mentale e di essere scevro dai pregiudizi che potrebbe avere un italiano che si impegnava a descrivere la sua terra di origine5, mostra una evidente prevenzione, non scevra da una grande curiosità, verso le eclatanti manifestazioni della devozione popolare:

J’ai quelquefois parlé de traditions populaires, & de superstitions ridicules; elles rendent certains endroits plus remarquable, elles peuvent intéresser les voyageurs, ou du moin les divertir; pourquoi la fontaine sortie de terre à Milan par la puissance de S.

                                                                                                               

2 J. Owen, Travels into different parts of Europe, in the years 1791 and 1792. With familiar remarks on

places – men – and manners, Printed for T Cadell Jun., and W. Davies, London, 1796, Vol. II, p. 17.

3 J. Owen, ibidem, pp. 64 – 67.

4 S. Maréchal, J. de Lalande, Dictionnaire des athées anciens et moderns, 10 ed., Chez l’éditeur, Bruxelles,

1833, pp. 142 – 144.

Barnabé, auroit – elle moins de privilége que le lac de Curtius ouvert à Rome par un prodige, & dont on parle encore dans tous les livres?6

Dato il suo grande interesse per le opere d’arte italiane, la sua penna caustica non poteva tacere in merito a quello che lui considerava un vero e proprio scempio: il fenomeno delle “Madonne coronate”. Ecco le sue parole:

L’usage de couronner les têtes des saints dans les tableaux, a lieu dans plusieurs villes d’Italie. La superstition du peuple & l’intérêt des prêtres l’ont introduit; cet usage est pernicieux, surtout à cause des trous que l’on fait aux tableaux pour attacher les couronnes, & tend quelquefois à la destruction des plus beaux monumens de l’art, (...)7

Tale critica verso l’arte di ispirazione religiosa andava anche a colpire nel campo iconografico, dove attribuiva la colpa della monotonia dei soggetti alla devozione superstiziosa delle varie aggregazioni cattoliche (confraternite, ecc.) che, a suo dire, avrebbero schiacciato la creatività degli artisti8.

In generale appare ingiustificato il voler fissare entro precise coordinate il rapporto tra gli aspetti devozionali e quelli interiori della fede degli italiani del XVIII secolo, bollando tutto come pura apparenza, foriera di contraddizioni intrinseche tra queste manifestazioni di religiosità e il comportamento immorale delle persone9.

È pienamente comprensibile come in un mondo in cui si poteva fare ben poco contro le insidie di ogni genere, le persone sentissero il bisogno di avere protettori celesti contro i terremoti, le guerre, le inondazioni, le malattie e altre catastrofi. Tale bisogno di protezione è ben compreso da Goethe, che nel suo “Viaggio in Italia” osserva:

Tutto considerato, non c’è che da approvare che vi siano tanti santi, ogni credente può così scegliere il suo protettore e rivolgersi con piena fiducia a quello che gli è più congeniale(...)10

                                                                                                                6 J. de Lalande, ibidem, p. 11. 7 J. de Lalande, ibidem, p. 442.

8 J. de Lalande, Voyage d’un françois en Italie, fait dans les années 1765 & 1766 – Tome second, s.n.,

Yverdon, 1769, p.72.

9 J. de Lalande, Voyage d’un françois en Italie, fait dans les années 1765 & 1766 – Tome sixieme, s.n.,

Yverdon, 1769, pp. 216 – 217; J. de Lalande, Voyage d’un françois en Italie, fait dans les années 1765 &

1766 – Tome huitieme, chez Desaint, libraire, Paris, 1769, p.188.

La moltitudine di santi e beati, pure quelli il cui culto non era riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa cattolica, offriva assistenza in ogni aspetto della vita del fedele: si va da san Biagio, invocato per proteggere dalle malattie della gola, a sant’Antonio Abate, protettore degli animali e difensore contro gli agguati del demonio, passando per santa Lucia, guardiana della salute degli occhi, e per i santi Rocco e Sebastiano, probabilmente i più invocati per scongiurare la “peste”11. Taluni studiosi tendono a vedere un nesso molto stretto (se non esclusivo) tra queste figure e la moltitudine di dei, semidei ed eroi pagani, oppure con l’istituzione romana del clientelaggio12, ma, come affermano numerosi intellettuali (ad esempio Vauchez e Brown) 13, voler ricondurre in toto le figure dei santi a delle mere imitazioni di modelli dell’Antichità riduce la portata storica e le caratteristiche peculiari del santo cristiano. Esso non è assimilabile alle figure presenti nelle altre religioni, pur avendo con queste ultime degli elementi in comune; la sua caratteristica peculiare è appunto la sua funzione di intercessore scelto da Dio14.

                                                                                                               

11 Viene usato per indicare non solo il morbo scientificamente identificato col nome di “peste”, ma tutto

quell’insieme di malattie che in passato venivano riassunte sotto questo termine.

12 M. Niola, op. cit., pos. 170 – 213.

13 A. Vauchez, Il santo, in: J. Le Goff (a cura di), L’uomo medievale, Editori Laterza, Bari, 2010 (ventesima

edizione), pp. 354 – 355.

Per ogni malattia il suo santo: difendersi dai morbi con gli