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IL DECLINO DELLA DISTINZIONE E LA VISIONE DELL’ANTROPOLOGO

Rodolfo Sacco

SOMMARIO: Società senza diritto pubblico. – Com’è nato il diritto pubbli-

co. – La Cina. – L’antica Roma. – Il medio evo. – E ora, la società liberale.

Nessuno di noi si è mai imbattuto in una decisione giudiziaria che faccia dipendere la ragione e il torto dal fatto che quel dato rapporto giuridico appartiene al diritto privato, o non appartiene al diritto privato (perché appartiene al diritto pubblico, o al diritto penale).

Molte volte la decisione ricorre all’espressione «diritto privato». Ma dice così per significare che la volontà degli interessati può liberamente disporre del diritto che è in questione. A questi fini, servono meglio le espressioni «regola di ordine pubblico, regola che non tocca l’ordine pubblico». L’art. 6 del Code Nap. ha scolpito la formula «On ne peut déroger, par des conventions […], aux lois qui intéressent l’ordre pu- blic». È in gioco l’ordine pubblico, il public policy (figura linguistica che non ha il suo equivalente in lingua tedesca).

Ordine pubblico e diritto pubblico non sono confondibili. Le regole sulla forma degli atti privati sono di ordine pubblico. Taluni diritti sog- gettivi pubblici sono liberamente disponibili: il re può abdicare; l’impu- tato può rinunciare a un gravame. Diritto privato, diritto non privato sono invece categorie estranee ai problemi di applicazione del diritto.

Resta il dato di fatto che diritto privato, diritto non privato occupano un posto centralissimo nella conoscenza che noi abbiamo del diritto; o, meglio, interessano lo sfondo macrostorico in cui è stato elaborato il mosaico dei filtri concettuali del giurista.

Chi voglia, può enunciare la giustificazione logica della categoria in esame, e impegnarsi a indicarne il carattere costitutivo-concettuale. Esaminiamo dunque i tentativi che sono stati fatti in questa direzione.

Già gli antichi Romani si sono misurati con questo compito, senza domandare alla loro definizione di essere logicamente impeccabile. Per essi, il diritto privato concerne l’interesse dei privati («spectat ad singu- lorum utilitatem; sunt enim quaedam […] privatim utilia»); e la loro spiegazione è sempre piaciuta a coloro che hanno studiato il diritto sui testi romani. Però, poiché il concetto di interesse privato e di persona privata non è più chiaro del concetto di diritto privato, i teorici legati al formalismo giuridico e al controllo logico delle definizioni (caso limite: la reine Rechtslehre, «dottrina pura del diritto») non ne sono entusiasti (è facile capirli).

In ogni caso, nella definizione romana del diritto pubblico noi tro- viamo un elemento non privo di importanza: essa fa infatti allusione allo stato della cosa romana ([…] statum rei romanae […]); e questa cosa romana può indicare un collettivo (ciò che appartiene a tutti i Ro- mani), e può anche indicare, in modo significativo, ciò che appartiene al potere.

Ma questa distinzione fra pubblico e privato, inutile e indefinita, è veramente indispensabile? È generale? Conosciamo sistemi in cui tutto il diritto è pubblico? Sistemi giuridici intieramente privati? Sistemi in cui la contrapposizione non ha spazio?

Nei sistemi socialisti si proclamava, in base ad un detto di Lenin, che tutto il diritto (socialista) è pubblico. Nel manuale di R. David leg- giamo che la distinzione fra diritto pubblico e privato non ha un posto

in Inghilterra1.

Ma la contestazione della contrapposizione non può basarsi su que- sti due esempi. Lenin voleva solo spiegare che il cittadino non poteva opporre i suoi diritti al potere (pur essendo libero di invocarli nei con- fronti dei proprii concittadini). Quanto al diritto inglese, ne diremo in seguito.

I sistemi appartenenti alla tradizione occidentale conoscono tutti – esplicitandola, o sottintendendola – la distinzione. Utilizzarla, non sa- rebbe stato né impossibile né difficile ai giuristi socialisti, se si fossero emancipati dalla frase maldestra di un politico.

1 R. D

AVID, C. JAUFFRET-SPINOSI, Les grands systèmes de droit contemporains,

Società senza diritto pubblico

Per rimettere in dubbio il valore universale della distinzione in esa- me, conviene spingere la ricerca fuori dell’ambito della nostra tradizio- ne, e domandarci se gli abitanti del Kalahari, o del bacino dell’alto Ori- noco, pratichino un diritto privato e un diritto pubblico. La risposta è negativa.

Nei paesi ora evocati, le regole giuridiche costituiscono un tutto uni- co, in cui il diritto privato non si distingue né da un diritto pubblico, né da un diritto penale.

Vari quesiti possono allora affacciarsi.

Dove passa la linea di confine tra l’area in cui la distinzione esiste, e l’area in cui essa non è impiantata?

Il diritto di popoli quali gli yanomami o i san è diritto privato o dirit- to pubblico?

La risposta da dare è univoca. Le società richiamate da ultimo sono società a potere diffuso. Ivi manca un potere centralizzato. Non è pre- sente un sistema fiscale, non ci sono giudici, non si conosce la distin- zione fra l’armato professionale (soldato, poliziotto) e l’inerme. Nel suo seno, il potere del capo non è esteso. Ogni famiglia difende (con le ar- mi, se occorre) sia la vita e l’integrità fisica dei suoi membri, sia la pro- prietà del gruppo. Se l’apparato di prevenzione fallisce, l’ordine è rista- bilito dalla vendetta, perciò il diritto che regola il sistema delle pene è un capitolo del diritto privato. Il diritto che verte sul potere di partecipa- re alle decisioni di interesse collettivo è anch’esso un settore del diritto privato.

Com’è nato il diritto pubblico

Il diritto concernente il potere politico prende la fisionomia che ci è familiare via via che la divisione del lavoro si instaura nella società, e che, con essa, si radica un potere politico centralizzato. La soluzione si affaccia nelle prime culture urbane, e la troviamo operante là dove è in esercizio il re africano divinizzato. Ma più ancora noi la troviamo radi-

cata, nella sua integrità, nei grandi imperi che si sviluppano in Egitto, in Mesopotamia, in India, in Cina, in Messico, nel Perù.

Se il vecchio diritto (privato) si era formato in modo spontaneo, la formazione del nuovo diritto è opera di un’autorità.

Il nuovo diritto regola il rapporto fra i personaggi che si trovano al vertice della gerarchia del potere politico (imperatore e sacerdoti), e le persone che adempiono alle varie funzioni che il potere si è assunto. Nasce così il diritto amministrativo, che inizialmente non conosce dirit- ti soggettivi opponibili all’imperatore. Nasce il diritto costituzionale, che fissa le procedure occorrenti per selezionare e investire il nuovo imperatore in caso di vacanza, e prevede le prerogative della casta sa- cerdotale e degli armati. Poiché il potere politico deve mettere in fun- zione un sistema di sanzioni capace di garantirgli il rispetto e l’obbe- dienza dei funzionari e del popolo, nasce un diritto penale pubblico e vengono varate le regole processuali del caso.

Un diritto pubblico è nato come è nato lo Stato. La società a potere diffuso conosceva un diritto spontaneo, la società a potere centralizzato ha sovrapposto a questo diritto spontaneo un diritto di origine autorita- tiva. Questa situazione si è cristallizzata senza altri sviluppi?

Sono pensabili varie evoluzioni.

La Cina

Le due generazioni di giuristi che hanno appreso l’ABC del diritto comparato dal Manuale di René David vi hanno letto che nella Cina tradizionale il diritto – il fa – regola solo la sanzione penale e il funzio- namento dell’amministrazione, mentre i rapporti interindividuali privati si svolgono fuori da ogni sistema giuridico, bastando loro la regola del

li, radicata nella vita cinese dall’autorità della dottrina confuciana2.

La ricostruzione di R. David non deve prendersi alla lettera. Nessu- na società umana – nemmeno quella cinese – fa a meno di un’architet- tura sociale coercitiva e solida, che homo habilis ha ereditato, all’origi- ne, dai primati.

2 R. D

Bisogna peraltro ricordare che i Cinesi non percepivano l’unità del fa e degli altri rami del diritto. Né ciò deve stupirci. Il fa era redatto dagli organi del potere, era approvato dal potere, il potere ne curava diligentemente l’applicazione. Le regole applicabili ai rapporti privati si sviluppavano ed evolvevano senza che il potere se ne curasse, senza che i professionisti del potere o del sapere lo studiassero; esse si ridu- cevano a un diritto consuetudinario spontaneo, che funzionava grazie ai meccanismi sociali ignorati dal potere e ignorati dagli uomini del sape-

re3. Esso faceva capo alle grandi o piccole comunità (soprattutto: ai vil-

laggi), preesistenti all’impero.

Il diritto cinese tradizionale constava di due componenti che aveva- no poco in comune l’una con l’altra. Il diritto pubblico era fissato, scrit- to e applicato alla luce del sole dagli organi dello Stato, mentre il diritto privato non era statuale. Il diritto statuale legittimava la propria esisten- za in virtù di considerazioni filosofiche, cioè motivando con la fedeltà ad un ordine cosmico ben noto ai sapienti, la cui rilevanza era fuori di- scussione perché quei sapienti avevano il potere di dire la verità. Il di- ritto popolare, invece, non invocava nessuna giustificazione ufficiale, perché il diritto spontaneo non beneficia di nessuna legittimazione al- l’infuori del consenso generale degli interessati.

L’idea unificatrice del diritto soggettivo era estranea al diritto pub- blico, e mancava di una elaborazione dottrinale nell’area del diritto pri- vato consuetudinario.

L’antica Roma

Il discorso da fare è del tutto diverso per il diritto romano.

I Romani hanno fruito di un diritto pubblico semplice e rivolto al- l’essenziale; ma il potere imperiale ha rivolto la sua attenzione al diritto privato e ai meccanismi istituzionali e procedurali che ne assicuravano l’applicazione.

La struttura urbana, che aveva preceduto l’edificazione dell’impero, utilizzava organi giudiziari ben strutturati, capaci di assicurare l’appli-

3 R. S

cazione di un diritto le cui regole erano chiaramente fissate. Uomini di sapere laici conducevano l’analisi di questo diritto e hanno edificato la lingua tecnica necessaria per questo fine, ciò che ha permesso al diritto privato di diventare oggetto di una conoscenza critica.

L’impero, una volta stabilitosi, non ha né sconfessato, né ignorato il preesistente diritto privato. Dapprima l’ha sorvegliato, e vi ha introdotto questa o quella modificazione. In seguito, ha istituzionalizzato il pro- prio potere di intervento, includendo in esso il potere di ridefinire per scritto il contenuto delle vecchie norme consuetudinarie. Nel contempo, ha preso a controllare l’applicazione del diritto, assumendo il potere di nominare i giudici, di fissare le procedure, di riesaminare i processi già giudicati e rettificarne le conclusioni.

In questo scenario, il diritto privato ha preso a vivere sotto la tutela del diritto pubblico.

Nella Roma evoluta, diritto pubblico e privato si presentano come le due metà di un sistema unico indivisibile. Il diritto privato, nato consue- tudinario, è diventato con il tempo un diritto dotto, e al termine del ci- clo si presenta come un diritto verbalizzato, promulgato e garantito dai pubblici poteri. Roma antica lascia in legato al Sacro Romano Impero, alle università, ai Bizantini e al potere russo l’idea per cui il diritto pri- vato è correlato (o, almeno, può essere correlato) ad un qualche compi- to del legislatore, e cioè dello Stato e del potere. In questo senso, il di- ritto privato si lega al diritto pubblico, dipende da esso, ne è garantito. Ma in un altro senso se ne allontana, perché in quell’ambito il diritto è privato in quell’area in cui domina l’uguaglianza fra cittadini liberi e adulti, e il diritto è pubblico in quell’area in cui il potere, garantito dal soprannaturale, sfugge sistematicamente, per un motivo o per l’altro, al controllo da parte dei cittadini.

Il medio evo

La storia conosce il modello cinese e quello romano; e conosce an- che altre soluzioni.

L’idea del potere assoluto o quasi assoluto, esercitato da un sovrano laico legittimato dai personaggi del soprannaturale, ha messo radici più