• Non ci sono risultati.

Il decostruzionismo di Derrida e Irigaray

Irigaray e il suo tempo

3. Il decostruzionismo di Derrida e Irigaray

Nell’ampio panorama del dibattito filosofico contemporaneo una delle voci più significative è il filosofo decostruzionista Derrida, sulla cui opera Irigaray ritorna frequentemente52. Il primo esplicito riferimento di Irigaray a Derrida si trova in “ le v(i)ol de la lettre”, un commento alla De Grammatologia53, ma il confronto con il filosofo è presente in

molti passaggi del suo itinerario filosofico, anche quando non sono presenti esplicite citazioni.

La vicinanza tra Derrida e Irigaray è innanzitutto sulla comune metodologia filosofica, Irigaray fa propria la lezione derridiana del decostruzionismo54 filosofico. Possiamo, infatti affermare che

Speculum è il testo in cui la pratica testuale decostruzionista è messa

atto, ci riferiamo in particolare al saggio «l’ustera di Platone», qui è frequente la terminologia derridiana come ad esempio: margine, deiscenza e supplemento. Tuttavia qui il procedimento interpretativo è condotto da un punto di vista prospettico che deriva dalla consapevolezza di Irigaray del proprio essere sessuata al femminile. Sebbene quindi Irigaray non usi mai il termine decostruzionismo è impossibile negare la somiglianza del suo metodo filosofico con il metodo derridiano.

52 In Italia G. Stanchina nella sua monografia su Irigaray, La filosofia di Luce Irigaray. Pensare e

abitare un corpo di donna Mimesis, Milano 1996, sostiene che la tecnica discorsiva irigaryana sia

molto vicina alla «decostruzione» derridiana. È infatti alla sua monografia che facciamo riferimento nel analisi del metodo decostruzionista di Irigaray.

53 Cfr , J. Derrida, De la grammatologie, Minuit, Paris 1967, trad. it. Da R Balzarotti, F. Bonicalzi, , G. Contri, G. Dalmasso, Della grammatologia, Jaca Book, Milano 1998 .

54 Con la parola decostruzionismo si intende normalmente la filosofia di J. Derrida. Nelle prime occorrenze il termine designa principalmente una strategia di lettura di testi. Testi filosofici, ma anche un tipo di testualità generale, testo come tradizione consolidata o come istituzione. La decostruzione non è dunque in primo luogo né un metodo, ne un sistema, è piuttosto una strategia che tende a coincidere con un evento interpretativo che decostruisce per riconfigurare, ovvero per rilasciare sempre di nuovo senso il testo. Cfr., J. Derrida, Della grammatologia, cit. Il decostruzionismo derridiano fa riferimento sia alla Destruktion heideggerriana relativa ai concetti fondamentali della metafisica classica che alla demolizione degli idoli metafisici operata da Nietzsche. Ricordiamo a questo proposito che anche Irigaray si riferisce ad entrambi i filosofi.

Irigaray per designare la sua strategia filosofica utilizza il termine «mimesi», credo sia possibile rinvenire in questo rifiuto il desiderio di prendere la distanza dagli assunti derridiani, non per negarne il debito ma per sottolineare le differenze. La mimesi di Irigaray, a differenza della decostruzione derridiana, è innanzitutto una strategia di lettura sessuata. Si tratta qui di dare la parola alla donna, scrive: «In primo tempo non c’è forse che una “strada” quella storicamente assegnata al femminile: il mimetismo. Si tratta di assumere questo ruolo in maniera deliberata. Che già significa rovesciare in affermazione una subordinazione e, con ciò, cominciare ad eluderla[…] ricorrere alla mimesi significa dunque per una donna, tentare di ritrovare il luogo del suo sfruttamento attraverso il discorso […] Significa anche svelare, il fatto che, se le donne mimano così bene, vuol dire che non sono totalmente assorbite in tale funzione. Esse restano anche altrove: altra insistenza di “materia” ma anche di godimento»55.

Si tratta quindi di un mimetismo che ha la funzione di rovesciare i giochi dello specchio, le identificazioni proiettive, l’economia speculare che sostiene il logos maschile che pone i suoi limiti esteriori e le linee di divisione tra se e l’altro. Questa tecnica è uno svelamento radicale, mediante la ripetizione, della logica oppressiva di questa economia. Scrive ancora Irigaray: «Si tratta piuttosto di interrogare il “funzionamento della grammatica” di ogni figura del discorso, le sue leggi o necessità sintattiche, le configurazioni immaginarie, gli intrecci metaforici, e, beninteso, ciò che essa non articola nell’enunciato: i suoi silenzi»56.

55 L. Irigaray, Questo sesso che non è un sesso, cit., p. 62. 56 Ivi, p. 61.

Ad ogni modo anche se con altro nome e con specificità differenti, è innegabile che almeno agli inizi dell’elaborazione filosofica la tecnica utilizzata da Irigaray è di tipo decostruzionista. Chiariamo meglio, sia la mimesi che il decostruzionismo implicano una modalità di aderenza al testo. Si tratta di analizzare le fratture, le frammentazioni, gli scarti semantici, le iterazioni del discorso rifiutando in questo modo ogni angolatura sistematica e totalizzante che lo trascende assumendo così un unico punto di vista. Possiamo affermare che la decostruzione come metodologia è qui scelta in virtù del suo carattere di immanenza, carattere riferibile più alla sua essenza pratica e che non teoretica del decostruzionismo.

Ma la reale differenza a nostro avviso, tra il metodo derridiano e quello irigarayano è che l’uno sembra quasi cristallizzarsi in una elogio della scritto, impregnato sul suo carattere metaforico e frammentario, rimarca le fratture del discorso come le linee di forza in cui irrompe un’alterità mai pienamente domata, ma questa alterità in Derrida non ha nome alcuno, o forse meglio ne ha tanti. In verità l’alterità di cui parla Derrida non si incarna mai in una specifica soggettività.

Per Irigaray si tratta da una parte di ridefinire il discorso filosofico, afferma infatti: «È proprio il discorso filosofico che si deve interrogare e guastare in quanto esso detta la legge di ogni altro, costituisce il discorso dei discorsi […] interrogare ciò che fa la potenza della sua sistematicità, la forza della sua coesione, la risorsa dei suoi dispiegamenti, la generalità della sua legge e del suo valore»57, e dall’altra di aprire nel discorso spazi in cui il femminile possa costituirsi come soggettività fuori dall’orizzonte egemone del

Soggetto unico che Irigaray chiama “Soggetto Uomo”. Aprire il discorso all’uso non dialettico della differenza sessuale consente di ripensare la nozione di soggetto, quella che si è determinata attraverso l’esclusione dell’altro donna. Il metodo filosofico di Irigaray non si limita alla sola decostruzione dei testi filosofici ma nelle sue letture decostruzioniste della metafisica classica prefigura nuovi scenari in cui il femminile e la donna rientrano in scena da protagonisti.

Un significativo esempio della «mimesi» irigarayana è in Amante

marina, qui Irigaray decostruisce il linguaggio filosofico attraverso

una pratica di riscrittura dei testi di Nietzsche e Derrida. Se infatti analizziamo l’incipit di Amante marina e lo paragoniamo con alcuni dei Ditirambi di Dioniso di Nietzsche notiamo che la filosofa li riscrive assumendo la prospettiva della differenza sessuale.

Cosi mentre Nietzsche, fa pronunciare ad Arianna, le seguenti parole: «Ah! Ah!/E mi torturi folle che sei, /martirizzi il mio orgoglio?/da’

Amore a me – chi mi scalda ancora?/ Chi mi ama ancora?/da’ mani

ardenti,/da’ bracieri per il cuore,/da’ a me, la più solitaria, /cui ghiaccio, ah! sette stati di ghiaccio/a bramare nemici insegnano,/persino nemici, da’ a me – te,/nemico crudelissimo, /anzi arrenditi a me!.../É andato!/Ecco anche lui fuggì,/il mio unico compagno,/il mio grande nemico,/ il mio sconosciuto, /il mio dio carnefice!.../No!/torna indietro!/Con tutte le tue torture!/Tutte le lacrime mie/corrono a te/e l’ultima fiamma del mio cuore/s’accende per te. /Oh torna indietro,/mio dio sconosciuto! dolore mio!/felicità mia ultima!»58

Alle quali Dioniso risponde: «Sii saggia Arianna!.../Hai piccole orecchie, hai le mie orecchie:/metti là dentro una saggia parola! –/Non ci si deve prima odiare, se ci si vuole amare?»59.

Irigaray riscrive, questi versi donando ad Arianna le seguenti parole: «E bisognava che tutti voi mi aveste persa di vista perché, verso di voi, io tornassi con un altro sguardo. E, certo, il più pesante è stato di accostare, per amore, le labbra. Di chiudere questa bocca che sempre voleva scorrere. Ma, senza quel ritiro, non vi sareste mai ricordati che esiste pure qualcosa che ha una lingua diversa dalla vostra. Ero la vostra risonanza. Timpano ero per il vostro orecchio che si rimandava a se stesso la propria verità [...] Come vi amerei se, di parlavi, avessi la possibilità. E ancora troppo vi amo nel silenzio per ricordarmi del movimento del mio divenire. Costantemente scossa, agitata, irrigidita o sepolta dal rumore della vostra morte. Il richiamo della mia nascita restando soffocato dal fracasso del vostro odio. O dal sudario della vostra indifferenza. Poiché, in tondo, voi non cessate di girare. In voi stessi. Respingendo fuori dal vostro cerchio, ciò che, d’altrove, si ricorda. Ma io ritorno da molto lontano. E vi dico: il vostro orizzonte è limitato. Anzi forato. Mi avete sempre presa nella vostra tela e, se non sono più il vostro passaggio dal dritto al rovescio, dal rovescio al dritto, il tempo lascerà vedere un altro giorno. Il vostro mondo si sfilaccerà. Straripato per altri luoghi. Quel fuori di cui non vi siete curati»60.

Questo è il più significativo esempio di come funziona la «mimesi» irigarayana, finalmente a parlare è la donna con la sua differenza. Il linguaggio qui non è de-fisicizzato bensì marcato e creatore di

59

Ibidem

60 L. Irigaray, Amante Marine. De Friedrich Nietzsche, Minuit, Paris 1980; tr. it. di L. Muraro,

un’immagine corporea e di una narrazione sociale in cui il femminile e la donna possano costituirsi come soggettività. La mimesi è quindi qui intesa come strategia discorsiva di chi non si riconosce nel linguaggio egemone è lavora per costruirne uno nuovo. È, infatti, la costruzione di un nuovo linguaggio e parallelamente di un nuovo immaginario declinato dallo specifico femminile a rappresentare il carattere propositivo del discorso irigarayano.