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La «mimesi» di Antigone

Tra Nomos e Physis: Antigone

2. La «mimesi» di Antigone

Indubbiamente l’interpretazione irigaryana più conosciuta e forse più significativa è quella presente in Speculum nel saggio L’eterna ironia

della comunità257, qui Irigaray interpreta la lettura hegeliana dei passi

che il filosofo tedesco nella Fenomenologia dello spirito dedica all’Antigone di Sofocle. La filosofa procede alla analisi del testo hegeliano con il metodo che lei stessa chiama «mimesi» che, come già spiegato in altri luoghi del nostro lavoro, è una tecnica di scrittura e di lettura per la quale il confronto con un testo segue le modalità di un incontro-scontro, si tratta difatti di un corpo a corpo con il testo da interpretare in cui diviene difficile distinguere le rispettive tesi. In questo saggio assistiamo infatti ad un continuo intreccio tra il

256 L. Irigaray Etica, cit., p. 94.

257 L. Irigaray, L’eterna ironia della comunità, in Speculum, cit., pp.199-209, per una chiara interpretazione di questo saggio cfr. F. Brezzi, Antigone e la philia. Le passioni tra etica e politica, Franco Angeli, Milano 2004, pp.195-214.

commento hegeliano ed il testo sofocleo, intreccio che costituisce la trama della reinterpretazione di Irigaray.

Nelle prime battute del saggio Irigaray ripercorre l’interpretazione hegeliana, e non diversamente dal filosofo tedesco, affrontata la

questione della sepoltura come atto religioso e al tempo stesso politico dovuto ai morti. Anche qui ad Antigone, custode del legame con il sangue, spetta «il compito di raccogliere la virilità in figura conclusa, permettendo così che si elevi alla pace dell’universalità pura, fuori e sopra l’inquietudine della vita contingente e della successione di un esserci disperso. Essa deve essenzialmente occuparsi di inumare il cadavere che l’uomo diventa accedendo al puro essere, e fare questo nonostante le condizioni più avverse e a prezzo della sua stessa vita»258.

L’analisi di Irigaray inizia dalla considerazione della centralità per Hegel del culto del morto, che diviene a suo parere anche cultura

della morte259, e il ruolo che in questo contesto svolge la figura

femminile, qui custode di quel passaggio che accompagna verso la morte. Commenta Irigaray: «mentre la virilità deve lavorare a fare di questo negativo un’azione etica sacrificando la vita, ad esempio nella guerra, la femminilità deve essere mediazione effettiva ed esterna volta a riconciliare il morto con se stesso, prendendo su di se

l’operazione del distruggere, di cui lo spirito non può fare a meno nel suo divenire»260. Nello svolgere l’azione di sepoltura, compito di cui è tributaria la donna, il femminile assume su di se non se stesso bensì colui che è morto. Si sviluppa così un movimento dialettico nel quale l’azione della donna accompagna il maschile verso la sua elevazione e

258 L. Irigaray, Speculum, cit., p. 199. 259 Cfr. Ivi, p. 201.

conquista dell’universale. Azione che consente all’uomo di sfuggire al pericolo di cadere nel naturale e che riduce la donna a solo viatico sacrificale per la conquista dell’universale da parte del maschile. Così descritto il femminile di cui Antigone è espressione sembra farsi portavoce dei legami di sangue ed assumersi il dovere di dare

sepoltura al fratello non per una sua libera scelta ma piuttosto per una reazione dipendente da quella dimensione immediatamente naturale che è cifra del suo essere donna. In questa prospettiva Antigone è solo il mezzo attraverso il quale la legge etica si realizza. Per Hegel – ci spiega Irigaray – il superamento della pura dimensione naturale

coinvolge direttamente il rapporto tra l’uomo e la donna e consente ad esso di elevarsi alla dimensione etica. Si tratta qui però di uno

specifico rapporto uomo-donna261 che è quello fratello-sorella, ovvero: due individualità libere mantenute assieme dal reciproco

riconoscimento ad una comune identità di sangue. Hegel ritiene che nel rapporto fratello-sorella incarnato da Antigone e Polinice ci si trovi al cospetto di una situazione di equilibrio che armonizza la differenza di genere. Commenta Irigaray: «Dunque, per un momento, fratello e sorella si riconoscono nel singolo Sé, potendo ognuno affermare un diritto dovuto al potere di ciascuno equilibrato

dal/nell’altro. Quello del sangue rosso riassorbito, del suo recupero, in un processo di denominazione: la sembianza. Spartizione ideale in cui coesistono la sostanza etica del matriarcato e quella del patriarcato, fino a rendersi ciascuna la propria sostanza»262.

261 Altrove Irigaray spiega perché Hegel non crede che il rapporto tra uomo e donna, consente di elevarsi alla conquista del naturale: «l’amore tra l’uomo e la donna rimane immediatezza naturale e non è capace, in quanto tale, di assicurare il passaggio alla cultura», L. Irigaray, Essere due, cit., p. 95.

Ricordiamo che il riconoscimento tra fratello e sorella per Hegel è reciproco ma si basa su modalità differenti, per la sorella infatti il riconoscimento avviene nella possibilità di rispecchiarsi nel valore del fratello e ciò ha luogo attraverso l’amministrazione del rito funebre, diversamente il riconoscimento operato dal fratello funziona come riconoscimento di essere riconosciuto. Per Irigaray, al contrario, tra fratello e sorella non vi è alcuna reciprocità, qui Antigone e Polinice sono da sempre irrimediabilmente separati: «I sessi, mascolino e femminino, sono già sotto un destino che è diverso per l’uno e per l’altro. […] Il reciproco in effetti non ha luogo. È vero che Antigone, mostrando un coraggio, una generosità e una collera che la fanno muovere autonomamente verso/contro l’esterno rappresentato per lei dalla città, dà la prova d’aver digerito il maschile»263.

A questo punto emerge l’originale lettura della filosofa, che si distanzia significativamente dall’interpretazione hegeliana per

radicarsi maggiormente nel testo sofocleo ovvero lì dove il passaggio dal matriarcato al patriarcato stava realizzandosi ma non era ancora definitivamente compiuto. Afferma Irigaray: «Il privilegio del nome

proprio non è ancora tale: la potenza del nome del padre, se fosse già

stata istituita nel diritto che sarà suo, avrebbe salvaguardato Edipo dall’uccisione del padre e dall’incesto che né è seguito»264. In questa prospettiva l’atto di trasgressione messo in scena da Antigone, che ricordiamo disobbedisce all’editto emanato dal sovrano con il quale impediva che fosse resa sepoltura al reo Polinice, non è più letto secondo lo schema hegeliano del rapporto fraterno. Si tratta qui di arretrare lo sguardo dietro e prima di esso, cogliendo così

263 Ivi, p. 205. 264 Ivi, p. 202.

quell’originario legame di sangue riconosciuto nel rapporto con la madre. «Quali che siano i contrasti presenti che la oppongono alle leggi della città, c’è un’altra legge che da prima l’attirava là dove sta andando: l’identificazione con la/sua madre»265.

È, infatti, per amore verso la madre che Antigone seppellisce il fratello, perché è lei che le ha insegnato ad aver cura dei defunti e a rispettare le leggi degli dei. Antigone quindi non ama il fratello Polinice, per il quale morirà, più della sorella Ismene che con questo suo gesto è condannata a restare sola in terra, ma ama sua madre, le sue leggi e i suoi insegnamenti più di ogni altro. Alla domanda che Irigaray si poneva poche righe prime, ovvero: «il legame tra fratello e sorella consiste nell’avere essi in comune il medesimo sperma? […] L’accordo tra fratello e sorella va dunque ricercato nel medesimo

nome?»266, risponde che il legame tra i due va ricercato nella madre.

Sebbene quindi possiamo definire la tragedia sofoclea come esemplare rappresentazione del conflitto tra due ordini, tra l’ordine della legge di origine materna e quello della legge di origine paterna, ci sembra evidente che ciò che più interessa ad Irigaray non è il conflitto messo in scena dalla fanciulla quanto piuttosto che essa con il suo gesto renda visibile la sua scelta per la genealogia femminile e materna. Così mentre alla madre è toccato dare la vita ad Antigone, che decide di percorrere il commino da lei indicatole, spetta prendersi cura di quel rito funebre che accompagna il defunto verso il regno dei morti. Ed è ancora per amore di sua madre che lei stessa si darà la morte, ristabilendone così il legame. Fedele al genere femminile «la sorella si strangolerà, per salvare almeno il figlio di sua madre. Si toglierà il

265 Ivi, p. 203. 266 Ivi, p. 201.

respiro, – la parola, la voce, l’aria, il sangue, la vita – con il velo della cintura entrando nell’ombra (d’un) sepolcro, nella notte (del) morte, perché viva in eterno il fratello, il desiderio di sua madre»267.

L’identificazione di Antigone nella madre diviene chiara nel gesto di assunzione e ripetizione dell’atto finale materno, scrive Irigaray «ripete su se stessa il gesto di morte compiuto da sua madre»268.

Questa ultima azione è chiara testimonianza che il darsi la morte è atto mimetico che trova la sua giustificazione in una legge che le

appartiene per trasmissione femminile, ovvero la legge di sua madre.