• Non ci sono risultati.

DEL FRIULI VENEZIA GIULIA

8. Il divario salariale

Una sezione particolarmente importante del form ministeriale è la “Ta-bella 8”, in cui si chiede alle aziende di indicare il monte retributivo annuo per livello di inquadramento di quadri, impiegati e operai. In una parte sepa-rata della tabella si chiede inoltre di indicare la distribuzione dei dirigenti, per genere, all’interno di fasce retributive definite dal form stesso.

Dal punto di vista dell’analisi dei dati, tuttavia, questa sezione continua a costituire la parte più problematica del form di monitoraggio, per molteplici motivi: poco più di un terzo delle imprese ha compilato questa sezione e, per quanto riguarda i dati i inseriti, solo 55 possono essere considerati i casi

validi ai fini dell’analisi. Altresì, tra questi, è stato possibile analizzare solo i livelli di inquadramento di “quadri”, “impiegati” e “operai”7, mentre per i “dirigenti” le informazioni ricavate non sono trattabili.

Infine, la struttura del form, che non consente di estrapolare i valori rela-tivi al part time, e la qualità dei dati inseriti rendono problematico conside-rare le differenze tra settori economici e tra i diversi livelli retributivi previsti dai CCNL di riferimento

Tali problematiche “storiche” e “strutturali” del form richiederebbero una revisione sostanziale per evitare di continuare a perdere, biennio dopo bien-nio, preziose informazioni sul gender pay gap8. Conseguentemente, la foto-grafia che si può ricavare appara molto “sfuocata” e va considerata come indicatore “grossolano” (unadjusted form).

Pur con queste premesse, si è comunque ritenuto significativo considerare il dato che emerge, in quanto rappresenta una delle poche informazioni di-sponibili a livello regionale relativa ai divari retributivi nelle imprese con oltre 100 dipendenti.

Complessivamente i maschi guadagnano 28.767,83 euro all’anno, a fronte di 23.117,00 euro delle donne, con un gender gap pari al 19,6%. Tab. 27 – Retribuzioni medie annuali, per livello di inquadramento, con riferimento al biennio 2014/15 (N =55)

Quadri Impiegati Operai Totale euro euro euro Euro

Maschi 51.221,30 40.260,16 23.170,40 28.767,83 Femmine 49.524,63 31.430,10 19.661,90 23.117,00 Maschi e Femmine 50.912,53 36.770,17 21.814,60 26.607,92 Differenza M-F 1.696,66 8.830,05 3.508,50 5.650,83

Fonte: ns. elaborazione su dati Consigliera regionale di parità del Friuli Venezia Giulia

7 Per quanto riguarda i dirigenti, il form prevede una sezione separata in cui l’azienda deve inserire il numero di dirigenti per fasce di retribuzione, la cui ampiezza non consente di rica-vare informazioni utili ai fini dell’analisi.

8 Cfr. tra gli altri: Quaderno del gruppo di lavoro “l’art. 46 D.Lgs. n. 198/06 (Codice Pari Opportunità) già art. 9 L. n. 125/91 Rapporti biennali sulla situazione del personale maschile e femminile nelle aziende con oltre 100 dipendenti” Attività 2005-2006 in: http://www.

Graf. 7 – Gender pay gap per livello di inquadramento, al 31.12.2015 (N=55); (v.%)

Fonte: ns. elaborazione su dati Consigliera regionale di parità del Friuli Venezia Giulia Tra i quadri la differenza è decisamente più contenuta (3,3%): gli uomini presentano una retribuzione annua di 51.221,30 euro, mentre le donne di 49.524,63.

La componente maschile con inquadramento impiegatizio percepisce 40.260,16 euro annui, a fronte di 31.430,10 euro della componente femmi-nile. In realtà tale categoria appare molto eterogenea nella composizione, il divario infatti andrebbe analizzato disaggregando ulteriormente per settore economico e contratto collettivo di riferimento e potendo disaggregare tra part time/full time. La qualità dei dati disponibili, tuttavia, non consente tale livello di analisi. La differenza, in termini percentuali, è del 21,6%.

Con riferimento agli operai, il livello retributivo annuo dei maschi è di 23.170,40 euro, quello femminile di 19.661,90 euro. La differenza, in termini percentuali, è pari al 15,1%. Anche per tale inquadramento, così come evi-denziato per quanto riguarda gli impiegati, è necessario considerare l’etero-geneità di livelli, mansioni determinati afferenti sia ai rami economici, sia ai rispettivi CCNL di riferimento oltre che all’orario di lavoro.

9. Conclusioni

Il quadro d’insieme che ogni due anni viene fornito dall’analisi sui rap-porti biennali che le imprese devono inviare alla Consigliera di parità regio-nale rappresenta ancora un importante strumento di analisi, pur con i limiti

3,3 21,9 15,1 19,6 0,0 5,0 10,0 15,0 20,0 25,0

evidenziati in premessa e richiamati nelle precedenti edizioni del rapporto di monitoraggio [cfr. Cristini e Divona (a cura di), 2014].

Al di là di quelli che sono i punti deboli dello strumento, ben noti agli addetti ai lavori, va certamente posto in evidenza il punto di forza del moni-toraggio biennale, che rimane ancora uno dei pochi strumenti disponibili per ottenere informazioni riguardanti le imprese secondo una lente di ingrandi-mento particolare, che è quella di genere. Il report periodico, consentendo di rilevare la presenza di criticità (quali la segregazione orizzontale e verticale), ma anche i cambiamenti in atto, fornisce informazioni importanti per l’atti-vità delle Consigliere di parità in riferimento alle loro funzioni di contrasto e rimozione delle discriminazioni, ma soprattutto in un’ottica di promozione di interventi e progetti di azioni positive volte a rimuovere quegli ostacoli che ancora esistono nel cammino verso la parità.

Con riferimento al biennio 2014-15 si confermano alcuni fenomeni “strutturali” evidenziati anche dalle rilevazioni Istat, dalle banche dati Inps e dagli archivi regionali di Ergonet, ovvero una concentrazione marcata degli uomini nel manifatturiero (che assorbe oltre la metà dei dipendenti) e una minore “polarizzazione” della presenza femminile, di cui un terzo è dipen-dente di aziende manifatturiere, seguite dal settore sociosanitario (19,3%), noleggio e servizi di supporto, tra cui prevalgono le pulizie (17,2%), le atti-vità finanziarie e assicurative (16,0%) ed il commercio (10,1%).

Si confermano attività a “elevata sovrarappresentazione femminile” (e dunque con una marcata prevalenza di donne negli organici, superiore al 75% degli addetti totali) il comparto della sanità e servizi socio assistenziali (82,9%), tra cui prevalgono le strutture residenziali per anziani. Viceversa, l’edilizia rimane un settore economico a bassa presenza femminile (11,6% sul totale dei dipendenti).

Con riferimento alle tipologie contrattuali, il monitoraggio rimanda a un’occupazione complessivamente stabile, ma con differenze significative per maschi e femmine: risulta infatti a tempo determinato il 6,2% dell’orga-nico, ma l’incidenza è del 4,9% tra gli uomini e dell’8,5% tra le donne. Nulla si può ricavare, tuttavia, su altre forme contrattuali comunque diffuse quali: somministrazione, collaborazioni e voucher di lavoro accessorio.

Altresì, si conferma la differente distribuzione maschile e femminile per livello contrattuale, lasciando scorgere la presenza di soffitti di cristallo an-che in quei settori in cui l’organico è a prevalenza femminile (es. commer-cio). I dirigenti infatti sono ancora in maggioranza uomini, mentre sta au-mentando la quota femminile tra i “quadri”. Tale “addensamento” al di sotto del soffitto di cristallo potrebbe richiedere interventi formativi e di

empowerment nonché azioni positive che rendano possibile il passaggio

verso posizioni apicali delle donne con potenzialità dirigenziali.

Relativamente alla diffusione e utilizzo del part-time, complessivamente, la quota di addetti a tempo parziale nelle organizzazioni esaminate risulta pari al 21,9%, ma se fra i maschi l’incidenza è pari al 9,7%, per le femmine il dato è pari al 44,0%. Rispetto a tali quote, tuttavia, presentano valori decisamente superiori i servizi alle imprese (66,1% degli addetti a part time e il 71,6% per quanto riguarda le donne) e le organizzazioni socio assistenziali: hanno una forma di orario ridotta il 72,6% dei dipendenti, ma tra questi l’incidenza tra le femmine raggiunge il 78,3%, mentre tra i maschi la quota è del 46,5%. Consi-derando le tipologie di settori e di profili interessati dall’orario ridotto, si può ritenere che si tratti di part time involontario, e dunque non in risposta a esi-genze di work life balance, ma piuttosto di esiesi-genze organizzative.

Nell’arco del biennio di riferimento si sono verificate trasformazioni di orario, in prevalenza da tempo pieno a tempo parziale (pari al 51,2% delle trasformazioni), per quanto non sia possibile ricavare se si tratti di un part time volontario o involontario. In particolare, prevale tra le donne la trasfor-mazione dell’orario in part time (54,1% dei casi), mentre per i maschi è pre-valso un allungamento dell’orario di lavoro (la trasformazione in tempo pieno incide infatti per il 60,4%).

Interessanti sono inoltre i dati ricavabili dai movimenti in entrata e in uscita: per quanto riguarda le assunzioni e le cessazioni, il turn over appare determinato dalla vincita/conclusione di appalti (nelle costruzioni, nei servizi alle imprese, nel ramo sociosanitario), ma anche dal carattere di stagionalità (nel commercio).

Per quanto riguarda altri movimenti che il form considera come entrate e uscite, si osservano le progressioni di carriera, con passaggi di livello che interessano sia la componente maschile, sia quella femminile, per quanto il passaggio da quadri a dirigenti riguardi con maggiore intensità la compo-nente maschile (per quanto si tratti di pochi casi in valore assoluto).

Con riferimento alla stabilizzazione, ovvero alla trasformazione di un contratto a termine in uno a tempo indeterminato, ha riguardato complessi-vamente 1.320 persone, e la quota femminile sulle stabilizzazioni è pari al 31,2%.

Una sezione del form ministeriale è dedicata alla rilevazione delle aspet-tative concesse dalle imprese, da cui si può ricavare il dato totale e quello riferito ai congedi parentali. Complessivamente, le aspettative concesse sono state 1.144, di cui 370 per maternità, la cui incidenza sul totale delle motiva-zioni è pari al 32,3%: ma con una forte differenza tra maschi e femmine.

Considerando in particolare i dati relativi ai congedi parentali, tra gli uo-mini si osserva come sia solamente il 4,3% delle aspettative legato alla cura di figli piccoli, incidenza che invece è del 41,2% tra le donne.

Infine, su 100 genitori che hanno richiesto un’aspettativa, nel 96,8% dei casi si tratta di mamme.

Un elemento mancante nel form in uso e che andrebbe inserito (sull’esem-pio di quanto già sperimentato in Lombardia) è la possibilità di inserire una domanda riguardante le eventuali politiche di genere, azioni positive o ini-ziative di welfare aziendale attivate dalle aziende. Indicazione che risulte-rebbe molto utile sia alle Consigliere di parità, sia al legislatore regionale, sia ai soggetti che possono valorizzare eventuali buone prassi di conciliazione e parità e promuoverne la diffusione e la replicabilità. Ciò anche alla luce delle opportunità e novità introdotte con le Leggi di stabilità 2016 e 2017 in mate-ria di welfare aziendale e in attesa dei decreti attuativi dell’art. 25 del d.lgs. 80/2015 dedicato alla conciliazione dei tempi lavorativi e privati.

Un ultimo elemento analizzato riguarda la formazione: in base ai dati for-niti dalle imprese si osserva una differenza interessante in riferimento al monte ore/allievo: per le femmine si registrano 10,2 ore/annue di aggiorna-mento a fronte di 7,3 ore/annue rilevate per i maschi. Sul dato influiscono in particolare i dati relativi agli impiegati (10 ore/anno per le donne a fronte di 5,4 per gli uomini) e ai profili operai (11 ore/annue per le femminine a fronte di 9,3 degli uomini). Non vi sono informazioni circa la tipologia di percorso, che potrebbe rientrare nella formazione obbligatoria prevista per esempio per addetti all’assistenza sociosanitaria e delle pulizie nei casi e qualora vi siano nuovi ingressi (come nel caso di appalti): situazioni che interessano in pre-valenza la componente femminile.

Così come nelle rilevazioni degli anni precedenti, rimane incompleto e non trattabile il dato relativo alle retribuzioni: pochissime aziende hanno compilato la sezione dedicata ai dirigenti che in ogni caso – per come è strut-turata, con fasce retributive molto ampie – non fornirebbe comunque indica-zioni precise di eventuali gender gap.

Per quanto riguarda gli altri livelli, la qualità dei dati raccolti e l’apparte-nenza dei casi validi a CCNL differenti rende non comparabili i dati. È que-sto un problema ormai “que-storico” dei rapporti di monitoraggio, che rende per-tanto difficile conoscere nel dettaglio quanto sia diffuso il fenomeno del di-vario salariale.

Come indicato in premessa, tra le modifiche auspicabili vi è l’aggiorna-mento delle schede, che tenga conto di tutte le modifiche intervenute nel mercato del lavoro; inoltre andrebbe introdotta la possibilità di procedere con autocompilazione on line del form, modalità che consentirebbe non solo un

risparmio di tempo per chi compila, ma anche la possibilità di introdurre meccanismi di controllo e campi obbligatori. Altresì sarebbe molto impor-tante integrare le tabelle del form con una rilevazione dedicata alle (even-tuali) politiche di conciliazione adottate dalle imprese.

Infine, sarebbe auspicabile che il monitoraggio venisse esteso anche alle organizzazioni di classe dimensionale inferiore. Sono infatti le piccole e me-die imprese che costituiscono la maggior parte del tessuto produttivo, e sono anche quelle che richiederebbero un rinnovamento nelle pratiche di gestione delle risorse umane in ottica di genere.

Bibliografia

Belmusto M. (2016), “Pari opportunità. In azienda serve una rivoluzione”, in Inge-nere.it, 20/12/2016.

Cuomo A., Mapelli A. (2012), Un posto in CDA. Costruire valore attraverso la di-versità di genere, Egea, Milano.

Cuomo A., Mapelli A. (2013), “Il diversity management, cenerentola e la scarpina di cristallo”, in Economia e Management, n. 4.

Cuomo A., Mapelli A. (2014), “Diversity in azione”, in Economia & Management, n. 1.

Eurostat, Divario retributivo di genere in Italia, 2015, in http://ec.europa.eu/ justice/genderequality/files/gender_pay_gap/gpg_country_factsheet_it_2015_it. pdf.

Istat (2016), “Lavoro e conciliazione dei tempi di vita e lavoro”, in Rapporto sul benessere equo e sostenibile in Italia, Rapporto 2016.

Mascherini M., Bisello M., Rioboo Leston I. (2016), Gender gap sul lavoro, solu-zioni e sfide, Eurofound, Dublino.

Olivetti C., Petrongolo B. (2008), Unequal Pay or Unequal Employment? A Cross Country Analysis of Gender Gaps, in Journal of Labor Economics, 26(4). Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Servizio osservatorio mercato del lavoro,

Cri-stini C., Divona M.A. (2014), Il personale maschile e femminile delle aziende con oltre 100 dipendenti del Friuli Venezia Giulia. Rapporto 2014-15, in: http://www. regione.fvg.it/rafvg/export/sites/default/RAFVG/formazione-lavoro/lavoro/pari- opportunita-qualita lavoro/FOGLIA18/allegati/2014_Aziende_over_100dip.pdf. Rizzo A. (2014), La conciliazione dei tempi vita-lavoro e gli stereotipi di genere,

Isfol, Roma.

Rizzo A. (2014), La conciliazione dei tempi vita-lavoro e gli stereotipi di genere, Isfol, Roma.

Spitaleri F. (2013), L’eguaglianza alla prova delle azioni positive, Giappichelli, To-rino.

LE CARRIERE LAVORATIVE FEMMINILI

Documenti correlati