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Il divieto di discriminazione sulla base della razza

2.2 I singoli fattori di discriminazione

2.2.4 Il divieto di discriminazione sulla base della razza

La tutela contro le discriminazioni basate su razza ed etnia è stata una delle prime introdotte nel diritto europeo ed ha avuto sempre grande rilievo probabilmente dovuto alla moltitudine di conflitti armati che sono spesso stati caratterizzati dal tentativo di sterminio di determinati gruppi etnici, e il crescente processo migratorio che porta inevitabilmente alla commistione di popoli e culture diverse potrebbe portare indirettamente a problemi di convivenza. Per questo motivo si sono moltiplicati gli strumenti giuridici, sia a livello nazionale che internazionale, che tutelano la parità.

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La Convenzione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 1965 è probabilmente lo strumento più importante adottato per contrastare questo genere di discriminazioni ma nonostante l'ampia adesione non ha la forza necessaria per condizionare efficacemente gli ordinamenti degli Stati aderenti.

L'ordinamento europeo è invece dotato di maggiore efficacia in forza del principio della preminenza del diritto comunitario su quelli nazionali.

Nel diritto comunitario le disposizioni riguardanti le discriminazioni sulla base di razza ed etnia posso essere divise in due categorie: un primo gruppo che trova fondamento nell'art. 19 TFUE che prevede che Parlamento e Consiglio possano adottare misure volte a combattere varie forme di discriminazione, nel secondo gruppo invece troviamo quelle nome che , basandosi sull'art 67 TFUE prevedono una collaborazione in materia civile e penale tra gli Stati membri che permetta di prevenire criminalità, razzismo e xenofobia.

L'Unione Europea prevede uno strumento ad hoc per la tutela del divieto di discriminazione sulla base della razza, la Direttiva 2000/43 CE che si basa su quanto previsto dall'art. 19 TFUE.

La Direttiva 2000/43 così come la 2000/78 si apre fornendo una definizione di discriminazione individuandone tre diversi tipi: diretta quando a causa della sua razza od origine etnica una persona è trattata meno favorevolmente di quanto lo sia stata un'altra in una situazione analoga; indiretta quando una disposizione o una prassi apparentemente neutri mettono un soggetto di una determinata razza od etnia in una condizione di particolare svantaggio; molestie qualora ci si trovi di fronte ad

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un comportamento indesiderato adottato per motivi razziali o di origine etnica e avente lo scopo di ledere la dignità di una persona creando un clima intimidatorio mentre l'ordine di discriminare viene equiparato alle discriminazioni dirette e indirette.

Per quanto riguarda l'ambito di applicazione della direttiva vediamo che, a differenza di quanto avviene per la direttiva 2000/78, questa si applica anche ad altri ambito ricoperti dal diritto dell'Unione quali le prestazioni sociali,l'istruzione, l'accesso a beni e servizi. La direttiva non è limitata neppure rispetto all'ambito di applicazione personale infatti l'art.3 dispone che sia applicabile a “tutte le persone sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico” tutelando così il cittadino europeo da ogni possibile discriminazione razziale sia che venga perpetrata da privati o pubbliche autorità. Alcune eccezioni al divieto di discriminazione sulla base della razza sono comunque ammesse qualora le caratteristiche dell'appartenenza ad una determinata etnia costituisca un requisito essenziale e determinante per l'attività lavorativa purchè l'obbiettivo sia legittimo e proporzionato (art.4.1). Vengono inoltre ammesse le discriminazioni positive, ovvero quelle discriminazioni appositamente realizzate per evitare o compensare svantaggi connessi con una determinata razza (art.5), la Direttiva ammette infatti espressamente la possibilità di adottare azioni positive.

Gli Stati membri devono assicurare ai soggetti interessati un'effettiva tutela in giudizio. A questo proposito è di particolare rilevanza la possibilità di riconoscere da parte degli Stati membri il diritto a stare in giudizio per le vittime ad associazioni che le rappresentino. L'art. 8 della Direttiva prevede inoltre il dovere

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degli Stati membri di adottare misure che prevedano l'inversione dell'onere della prova, l'art 15 dispone invece l'obbligo di erogare sanzioni che siano effettive dissuasive e proporzionate tramite un corretto bilanciamento tra sanzioni penali,amministrative e la possibilità di risarcimento in sede giurisdizionale.

La direttiva prevede inoltre l'istituzione di organi istituzione ai preposti alla lotta alle discriminazioni razziali, è infatti adempiendo a questo obbligo che nel nostro Paese è nato l'Ufficio Nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, le cui competenze sono poi state estese anche ad altri motivi di discriminazione.

La prima sentenza della Corte di Giustizia riguardante il divieto di discriminazione in base alla razza è la sentenza Feryn56. La causa vedeva coinvolti un datore di lavoro ed un'associazione di tutela delle vittime di discriminazione che aveva intentato una causa contro il primo. Il datore di lavoro aveva infatti affermato pubblicamente che non avrebbe assunto lavoratori extracomunitari in quanto i suoi clienti non avrebbero accettato che a ricoprire determinate funzioni fossero persone di un'etnia diversa da quella bianca. Il datore di lavoro contestò che non ci fosse alcuna prova che della circostanza che in seguito alle sue parole la sua azienda avesse tenuto un comportamento discriminatorio ma la Corte decise che secondo quanto previsto dalla Direttiva 2000/43 che quanto da lui affermato fosse sufficiente a far presumere l'esistenza di una politica discriminatoria e che quindi incombesse sul datore di lavoro l'onere di provare che non vi fosse stata una

56 Corte di Giustizia, sentenza del 10-07-2008, causa 54/07, Centrum voor gelijkheid van kansen en voor

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violazione del principio della parità di trattamento dimostrando che la prassi effettiva di assunzioni non corrispondesse alle sue dichiarazioni.

2.2.5 Il divieto di discriminazione sulla base della religione e

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