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Il divieto di indagine sulle opinioni del lavoratore

Il massimo riconoscimento del diritto alla privacy del lavoratore è forse rappresentato dalla disposizione contenuta nell’articolo 8 della Legge n. 300 del 1970, riguardante il divieto di indagini sulle opinioni. Tale articolo vieta al datore di lavoro di effettuare indagini, anche mediante terzi soggetti, sulle opinioni personali del lavoratore, riguardanti la sfera politica o il credo religioso. Il Legislatore vuole in tal modo evitare e condannare la discriminazione sul luogo di lavoro, che si tratti di discriminazione all’ingresso (in sede di assunzione), in uscita (licenziamento), o nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro.41

L’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori, nello specifico, afferma:

40Corte Cost. 2 giugno 1994, n. 218.

41PERULLI,A., Discriminazione sul lavoro per motivi religiosi, in Diritti umani e libertà religiosa, a cura di V.

«È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso

dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore».

La disposizione contiene due divieti, il primo riguardante il divieto di indagine sulle “opinioni” dei dipendenti, il secondo riguardante il divieto di indagine su “fatti non rilevanti”. Entrambe le previsioni comunque, si riferiscono ad un concetto generale di indagine: non vengono elencate singole azioni, ma viene fatto riferimento ad un insieme di condotte commissive.

Vietando indagini riguardanti l’orientamento ideologico della persona, al momento dell’assunzione come anche nel corso dell’esecuzione della prestazione lavorativa, il Legislatore ha voluto affermare l’ininfluenza delle convinzioni politiche, religiose e sindacali del lavoratore rispetto allo svolgimento del proprio lavoro. In tal modo, queste vengono sempre ricondotte alla stregua di fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore.42

Con il divieto espresso nella seconda parte dell’articolo 8 dello Statuto viene esclusa ogni possibilità per il datore di lavoro di effettuare indagini su «fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore». La norma però, se letta in positivo, consente indagini sulla sfera privata del dipendente, nel solo caso in cui queste riguardino fatti o informazioni rilevanti per lo svolgimento della prestazione lavorativa. Sono pertanto ammesse qualora si possa riscontrare una stretta connessione con le mansioni previste dal contratto.43 Un esempio di forte connessione tra sfera

privata del lavoratore e mansioni a cui egli viene adibito può individuarsi nell’alcolismo per un pilota, o nella dipendenza al gioco d’azzardo per un cassiere di banca.44

42AIMO,M., Privacy, libertà di espressione e rapporto di lavoro, Napoli, 2003, pagina 48. 43AIMO,M., Privacy, libertà di espressione e rapporto di lavoro, Napoli, 2003, pagina 49.

44 SCALISI,A., Il diritto alla riservatezza. Il diritto all’immagine, il diritto al segreto, la tutela dei dati

La tutela della privacy che il Legislatore intende garantire ai lavoratori con tale articolo risulta peraltro limitata. In primo luogo essa non comprende i cosiddetti “fatti rilevanti”. In secondo luogo, non viene data una chiara definizione di «valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore». Se infatti nella prima parte dell’articolo 8 sono indicate in modo specifico le opinioni e le convinzioni personali del lavoratore, classificate come estranee ai fini dell’esecuzione degli obblighi contrattuali, nella seconda parte dell’articolo non viene individuato alcun criterio per stabilire la rilevanza della connessione con le mansioni a cui il lavoratore è adibito. 45 È vero che sono

considerate legittime soltanto le indagini direttamente e strettamente connesse alle mansioni lavorative, ma è altrettanto vero che non sempre è possibile effettuare valutazioni comuni a tutte le situazioni. È necessario verificare la sussistenza della connessione caso per caso, in relazione alle diverse mansioni considerate.46

Ne consegue che possano essere considerate legittime, e non soggette al divieto di cui sopra, le indagini svolte dall’imprenditore allo scopo di migliorare l’organizzazione del lavoro. Tali indagini, consistenti ad esempio in domande sul mezzo utilizzato dal dipendente per recarsi sul luogo di lavoro o su quale sia il periodo che essi prediligono per la vacanza, sono considerate legittime a condizione che non riguardino informazioni personali e attinenti alla sfera intima della persona. Allo stesso modo, sono considerati legittimi i sondaggi di opinione che, non contenendo domande aventi evidente fine discriminatorio e garantendo l’anonimato del personale, sono finalizzati al miglioramento dell’organizzazione del lavoro e del contesto lavorativo.47

Non possono considerarsi legittimi invece i test psicologici al quale può essere sottoposto un lavoratore al momento del colloquio di assunzione, nel corso del rapporto (ai fini della mobilità interna all’azienda, o in caso di progressione di carriera), o al termine dello stesso (in sede di selezione dei candidati da licenziare o prepensionare). Questi test, indagando in modo approfondito la personalità del soggetto e ottenendo

45AIMO,M., Privacy, libertà di espressione e rapporto di lavoro, Napoli, 2003, pagina 48, 49 e 50. 46ROCCELLA,M., Manuale di diritto del lavoro, Torino, 2015, pagina 141.

47 SCALISI,A., Il diritto alla riservatezza. Il diritto all’immagine, il diritto al segreto, la tutela dei dati

informazioni sulla sfera più intima della persona, sono vietati dall’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori.48 Test della personalità, test psicoattitudinali ed indagini motivazionali

non sono infatti finalizzati alla valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore, ma allo studio delle reazioni e del comportamento, nonché all’analisi delle variabili emotive, affettive e sociali della persona.49

Un primo esempio di test psicologici è dato dai test proiettivi, che mirano alla definizione del profilo psicologico complessivo di un individuo analizzando le sue risposte e i suoi riflessi a provocazioni intenzionalmente ambigue. L’utilizzo di questa tecnica, non solo supera la finalità espressa dall’articolo 8 della Legge n. 300 del 1970, ma anche la contrasta: non mira a valutare le capacità del soggetto in merito alla mansione assegnatagli, ma mira invece alla raccolta di dati personali. Allo stesso modo, violano la finalità espressa dall’articolo 8 i cosiddetti stressinterviews, i colloqui stressanti durante i quali, attraverso domande improvvise su argomenti spiacevoli od offensivi, vengono studiate le reazioni a difficili situazioni emozionali di un candidato all’assunzione. I test psicoattitudinali, finalizzati a verificare la capacità e la competenza di un soggetto nello svolgimento di determinate attività, possono invece essere considerati legittimi, ma soltanto nella misura in cui sia evidente una connessione tra le prove previste dal test e le mansioni assegnategli.50

Il divieto previsto dall’articolo 8 dello Statuto per il datore di lavoro (e gli altri soggetti ai quali egli si può rivolgere) viene estesa dal D.Lgs. del 10 settembre 2003, n. 276 anche alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti pubblici o privati che svolgano attività di preselezione del personale e di formazione dei lavoratori. L’articolo 10 del citato Decreto Legislativo vieta infatti a tali soggetti di effettuare indagini o di discriminare i candidati «in base alle convinzioni personali, all’affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all’orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, all’età, all’handicap, alla razza, all’origine etnica, al colore, all’ascendenza,

48Si veda il già citato SCALISI,A., Milano, 2002, pagina 387.

49AIMO,M., Privacy, libertà di espressione e rapporto di lavoro, Napoli, 2003, pagine 104-105. 50AIMO,M., Privacy, libertà di espressione e rapporto di lavoro, Napoli, 2003, pagine 104-108.

all’origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute»51. È inoltre fatto divieto

di «trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo», nonché di indagare su «eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro, a meno che non si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa»52. Tale divieto permane anche in caso di consenso del lavoratore

al trattamento dei suoi dati personali.

L’articolo 10 del D.Lgs. n. 276 del 2003, oltre ad estendere il divieto di indagine nella sfera privata del lavoratore a tutti i soggetti con i quali egli possa venire a contatto in fase preassuntiva, ha anche rafforzato ed allargato la portata del divieto stesso. Non si tratta più solo del divieto di indagare sulle opinioni politiche, religiose e sindacali di un individuo; non si tratta neppure soltanto del divieto di indagine in merito a fatti non inerenti alla prestazione lavorativa. L’articolo 10 sopra citato estende tale divieto alle modalità di trattamento dei dati personali, nonché alla preselezione dei candidati basata sulla razza, sul sesso, sull’orientamento sessuale, sullo stato di famiglia o gravidanza, sull’età, sull’handicap, sullo stato di salute.53

La tutela della riservatezza del lavoratore assume anche natura anti-discriminatoria grazie all’articolo 15 dello Statuto dei lavoratori, il quale condanna ogni comportamento discriminatorio dell’imprenditore recante pregiudizio al lavoratore.

In primo luogo viene condannata la subordinazione dell’assunzione di un individuo alla condizione che egli rispecchi determinati canoni riguardanti ad esempio politica, religione, adesione o meno ad un sindacato, razza, età, sesso.54 In secondo luogo viene

condannato il licenziamento e il trasferimento di un dipendente, nonché l’assegnazione delle mansioni, in virtù della sua adesione ad un partito o sindacato, della sua

51Tratto dall’articolo 10 del D.Lgs n. 276 del 2003. 52Tratto sempre dall’articolo 10 del D.Lgs n. 276 del 2003.

53SANTONI,F., in Tecnologie della comunicazione e riservatezza nel rapporto di lavoro, a cura di P.TULLINI,

in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F.GALGANO, volume LVIII,

Padova, 2010, pagine 29-30.

partecipazione ad uno sciopero, o di altre circostanze quali ad esempio l’età, la razza, la religione, il sesso.55 A garanzia della norma anti-discriminatoria, il Legislatore ha previsto

una responsabilità penale in caso di violazione di quanto disposto dalla lettera a) del primo comma dell’articolo 15. L’articolo 38 dello Statuto dei lavoratori prevede infatti l’arresto o l’ammenda in caso di comportamenti discriminatori che rechino pregiudizio al lavoratore, anche se tale responsabilità penale è prevista nel solo caso di subordinazione dell’occupazione di un individuo all’appartenenza a particolari categorie. Una simile previsione non è contemplata invece per la lettera b) del primo comma dell’articolo 15 (discriminazione in caso di licenziamento, trasferimento, provvedimenti disciplinari).

1.7 Il ricorso ad agenzie investigative per verificare atti illeciti del