Se C è una curva con singolarità il fascio canonico introdotto nella prima sezione non è ben definito. Dimostriamo che su uno schema proiettivo X esiste un fascio coerente ω◦
X che gioca lo stesso ruolo nella teoria duale. In
particolare, se lo schema X è di Gorenstein, abbiamo un teorema di dualità molto simile a quello per curve nonsingolari.
2.2.1 Esistenza e unicità
Teorema 2.2.1 (Dualità per Pnk). Sia X = Pn
k su un campo k e sia ωX = ΛnΩX/k il fascio canonico su X.
Allora:
1. Hn(X, ω
X) ∼= k. Fissato un tale isomorfismo;
2. per ogni fascio coerente F su X, la mappa k-bilineare naturale Hom(F , ωX) × Hn(X,F ) −→ Hn(X, ωX) ∼= k
è una mappa perfetta tra k-spazi vettoriali di dimensione finita; 3. per ogni i ≥ 0 esiste un isomorfismo funtoriale
Exti(F , ω
X) −→ Hn−1(X,F )0
e per i = 0 è la mappa indotta dal punto (2).
Prima di passare alla dimostrazione del teorema enunciamo alcuni utili risultati algebrici.
Teorema 2.2.2 ([Har13], III, 5.1.). Sia A un anello noetheriano e sia X = PrA, con r ≥ 1. Allora: 1. la mappa naturale S = A[x0, . . . , xr] −→ Γ∗(OX) = M n∈Z H0(X, OX(n))
2. Hi(X, O
X(n)) = 0per 0 < i < r e per ogni n ∈ Z;
3. Hr(X, O
X(−r − 1)) ∼= A;
4. la mappa naturale
H0(X, OX(n)) × Hr(X, OX(−n − r − 1)) −→ Hr(X, OX(−r − 1)) ∼= A
è una mappa k-bilineare perfetta di A-moduli liberi finitamente generati, per ogni n ∈ Z.
Teorema 2.2.3([Ser55], Teorema 2, n°66). Sia X uno schema proiettivo su un anello noetheriano A, OX(1) un fascio invertibile molto ampio su X e
sia F un OX-modulo coerente. Allora esiste un intero n0 tale che per ogni
n ≥ n0, il fascio F (n) può essere generato da un numero finito di sezioni
globali.
Lemma 2.2.4. Sia X uno schema proiettivo su un anello noetheriano A, allora ogni fascio coerente F su X può essere scritto come un quoziente di un fascio E , dove E è una somma diretta finita di fasci OX(ni), con ni interi
opportuni.
Dimostrazione. Per il Teorema 2.2.3 F (n) è generato da un numero finito di sezioni globali, allora abbiamo una mappa suriettiva
N
M
i=1
OX −→F (n) −→ 0.
Tensorizzando per OX(−n) otteniamo N
M
i=1
OX(−n) −→F −→ 0
come richiesto.
Dimostrazione del Teorema 2.2.1. 1. Dalla teoria3 sui fasci di Pn
k, ωX ∼= OX(−n − 1), per cui (1) segue dal
punto (3) del Teorema 2.2.2.
2. Se F ∼= OX(q), per q ∈ Z, allora Hom(F , ωX) ∼= H0(X, ωX(−q))e si
conclude per il punto (4) del Teorema 2.2.2. Quindi (2) è vero anche per una somma diretta finita di fasci della forma OX(qi). Se F è un
3
fascio coerente arbitrario su X, allora F può essere realizzato come il cokernel di una successione esatta di fasci E1 −→E0−→F −→ 0, dove
ogni Ei è una somma diretta di fasci OX(qi). Dato che Hom(·, ωX) e
Hn(X, ·)0 sono entrambi funtori controvarianti esatti a sinistra, per il Lemma dei 5
Hom(F , ωX) ∼= Hn(X,F )0.
3. Exti(·, ω
X) e Hn−i(X, ·)0 sono entrambi δ-funtori controvarianti. Per
i = 0abbiamo isomorfismo per il punto (2), quindi per provare gli altri isomorfismi è sufficiente provare che entrambi i funtori siano cancellabili per i > 0. Dato un fascio coerente F , per il Lemma 2.2.4, possiamo scrivere F come quoziente di un fascio E = LN
i=1OX(−q), con q
0. Allora Exti(E , ωX) = L Hi(X, ωX(q)) = 0 per i > 0. D’altra
parte, Hn−i(X,E )0=L Hn−i(X, O
X(−q))0 che è 0 per i > 0. Quindi
entrambi i funtori sono cancellabili per i > 0, per cui i δ-funtori sono universali4 e isomorfi.
Definizione 2.2.1. Sia X uno schema proprio di dimensione n su un campo k. Un fascio dualizzante per X è un fascio coerente ω◦
X su X assieme a un
morfismo traccia t : Hn(X, ω◦
X) −→k, tale che per ogni fascio coerente F
su X, la mappa naturale Hom(F , ω◦
X) × Hn(X,F ) −→ Hn(X, ω◦X)
seguita da t, realizza un isomorfismo Hom(F , ω◦
X) ∼
−→ Hn(X,F )0.
Proposizione 2.2.5. Sia X uno schema proprio su un campo k. Allora un fascio dualizzante per X, se esiste, è unico. Più precisamente, se ω◦ è un
fascio dualizzante con traccia t e ω0 con t0 ne è un altro, allora esiste un
unico isomorfismo ϕ : ω◦ −→ ω∼ 0 tale che t = t0◦ Hn(ϕ).
Dimostrazione. Dato che ω0 è dualizzante, abbiamo un isomorfismo
Hom(ω◦, ω0) ∼
= Hn(ω◦)0.
Per cui esiste un unico morfismo ϕ : ω◦ −→ ω0 corrispondente all’elemento
t ∈ Hn(ω◦)0, ovvero tale che t0◦ Hn(ϕ) = t. Analogamente, esiste un unico
4
morfismo ψ : ω0−→ ω◦ tale che t ◦ Hn(ψ) = t0.Allora t ◦ Hn(ψ ◦ ϕ) = t. Ma
dato che ω◦ è dualizzante, ψ ◦ ϕ è la mappa identità di ω◦. Analogamente
ϕ ◦ ψ è la mappa identità di ω0, per cui ϕ è un isomorfismo.
Lemma 2.2.6. Sia X un sottoschema chiuso di codimensione r di P = PNk, allora Exti
P(OX, ωP) = 0 per i < r.
Dimostrazione. Per ogni i, il fascio Fi= Exti
P(OX, ωP)è un fascio coerente
su P , per cui per un intero sufficientemente grande q, Fi(q) è generato da
sezioni globali per il Teorema 2.2.3. Per provare che Fi è nullo, è sufficiente
dimostrare che Γ(P, Fi(q)) = 0per q 0. Dalle proprietà del funtore Ext5,
abbiamo
Γ(P,Fi(q)) ∼=ExtiP(OX, ωP(q))
per q 0. D’altra parte, per il punto (3) del Teorema 2.2.2, il gruppo Ext è lo spazio duale di HN −i(P, O
X(−q)). Allora, per i < r, N − i > dim X e
questo gruppo è 0.
Lemma 2.2.7. Sia X un sottoschema chiuso di codimensione r di P = PNk e sia ω◦
X = ExtPr(F , ωP). Allora per ogni OX-modulo F esiste un isomorfismo
funtoriale
HomX(F , ω◦X) ∼=ExtrP(F , ωP).
Dimostrazione. Sia 0 −→ ωP −→I• una risoluzione iniettiva di ωP. Dato
che F è un OX-modulo, ogni morfismo F −→ Ii fattorizza attraverso
Ji = Hom
P(OX,Ii), per cui
Exti
P(F , ωP) = Hi(HomX(F , J•)).
Ogni Ji è un O
X-modulo iniettivo, infatti,
HomX(F , Ji) =HomP(F , Ii),
per cui HomX(·,Ji) è un funtore esatto. Inoltre, per il Lemma 2.2.6,
hi(J•) = 0 per i < r e il complesso J• è esatto fino al passo r. Dato che i Ji sono iniettivi, la successione esatta spezza fino al passo r. Que-
sto significa che possiamo scrivere il complesso come somma diretta di due complessi iniettivi J• =J•
1 ⊕J2•, dove J1• è nei gradi 0 ≤ i ≤ r esatta,
mentre J•
2 è nei gradi i ≥ r. Da cui segue che ωX◦ = ker(dr:J2r−→J2r+1)
e che per ogni OX-modulo F
5
HomX(F , ω◦X) ∼=ExtrP(F , ωP).
Proposizione 2.2.8. Sia X uno schema proiettivo su un campo k, allora X ha un fascio dualizzante.
Dimostrazione. Sia X un sottoschema chiuso di P = PN
k per N opportuno,
sia r la sua codimensione e sia ω◦
X = ExtPr(OX, ωP). Per il Lemma 2.2.7
abbiamo un isomorfismo per ogni OX-modulo F ,
HomX(F , ω◦X) ∼=ExtrP(F , ωP).
D’altra parte se F è un fascio coerente, il Teorema 2.2.1 realizza un isomor- fismo
Extr
P(F , ωP) ∼= HN −r(P,F )0.
Ma N − r = n è la dimensione di X e F è un fascio coerente su X, per cui otteniamo un isomorfismo funtoriale
HomX(F , ω◦X) ∼= Hn(X,F ) 0
. In particolare, prendendo F = ω◦
X, l’elemento 1 ∈ Hom(ωX◦, ω◦X)realizza un
omomorfismo t : Hn(X, ω◦
X) −→ k che consideriamo come traccia. Allora,
per funtorialità, (ω◦
X, t)è un fascio dualizzante per X.
In particolare, se X è una curva C abbiamo provato che il fascio dualiz- zante ω◦
C esiste ed è unico.
Un altro importante risultato6 afferma che per una varietà proiettiva
senza punti singolari il fascio dualizzante è isomorfo al fascio canonico. Per cui denoteremo il fascio dualizzante per uno schema proiettivo X con ωX,
esattamente come il fascio canonico.
2.2.2 Dualità
Definizione 2.2.2. Sia A un anello e sia M un A-modulo, una successione x1, . . . , xr di elementi di A si dice regolare per M se x1 non è un divisore
di M e per ogni i = 2, . . . , r, xi non è divisore di M/(x1, . . . , xi−1)M. Se
A è un anello locale con ideale massimale m, allora la profondità di M, depthM, è la massima lunghezza di una successione regolare x1, . . . , xr di
6
M con ogni xi ∈ m. Queste definizioni si applicano all’anello stesso A e un
anello noetheriano A si dice di Cohen-Macaulay se depthA = dim A. Definizione 2.2.3. Uno schema X si dice di Cohen-Macaulay se ogni suo anello locale è di Cohen-Macaulay.
Enunciamo il Teorema di dualità7 per tali curve discusso a inizio para-
grafo.
Teorema 2.2.9. Se X è uno schema proiettivo di Cohen-Macaulay su un campo algebricamente chiuso k, allora per ogni fascio coerente F su X, esistono naturali isomorfismi funtoriali
θi:Exti(F , ωX◦) −→ H1−i(C,F )0,
per i = 0, 1. Dove θ0 è la mappa che realizza il fascio dualizzante su X.
Definizione 2.2.4. Una schema X si dice di Gorenstein se il suo fascio dualizzante ω◦
X è invertibile.
La caratterizzazione algebrica che contraddistingue una curva di Goren- stein è data dalla seguente identificazione.
Lemma 2.2.10 ([Har66], V, 9). Sia C una curva. Allora C è una curva di Gorenstein se e solo se ogni suo anello locale (A, m, k) è di Gorenstein, ovvero Ext0
A(k, A) = 0 e ExtA1(k, A) ∼= k.
Osserviamo che per un anello di Cohen-Macaulay A, richiedere che la profondità di ogni ideale di A coincida con la sua altezza equivale a richiedere in coomologia che Exti
A(K, A) = 0 per i < dim A, dove K è il campo dei
residui di A. Quindi, per il Lemma 2.2.10, ogni schema di Gorenstein è anche uno schema di Cohen-Macaulay e il Teorema 2.2.9 si applica alle curve di Gorenstein.
Concludiamo dimostrando un risultato che mette in relazione i fasci dualizzanti, dato un morfismo tra gli schemi associati.
Proposizione 2.2.11. Sia π : Y −→ X un morfismo finito di schemi proiettivi tali che dim Y = dim X = n, allora
ωY ∼= HomOX(π∗OY, ωX). 7
Dimostrazione. Sia F un fascio coerente su Y , allora8 per definizione di
fascio dualizzante
Hn(Y,F )0 = Hn(X, π∗F )0 ∼=HomOX(π∗F , ωX)
∼
=HomOY(F , HomOX(π∗OX, ωX)).
Quindi, per la proprietà universale del fascio dualizzante su Y , ωY ∼=HomOY(F , HomOX(π∗OX, ωX)).
2.3
Divisori generalizzati
Come è stato ampiamente svolto nel primo capitolo, per studiare le pro- prietà di una curva algebrica è importante trovare una corrispondenza fra divisori e fasci algebrici coerenti. Infatti, nel caso di una curva liscia C, abbiamo sfruttato a pieno le potenzialità delle rispettive corrispondenze Divisori su C ↔ Divisori di Cartier su C ↔ Fasci invertibili su C
Nel caso di una curva (integrale) con singolarità un divisore non è necessaria- mente anche un divisore di Cartier, poiché nei punti singolari potrebbe non essere localmente principale, ovvero, il corrispettivo ideale nell’anello locale non sarebbe principale.
D’altra parte, come abbiamo visto nella seconda sezione, anche il fascio dualizzante potrebbe essere non invertibile e non corrispondere al divisore canonico KC.
Per porre un rimedio a queste problematiche è sufficiente richiedere che il fascio dualizzante sia invertibile e introdurre il concetto di divisore generaliz- zato per una curva di Gorenstein, seguendo il lavoro svolto da R. Hartshorne, [H+86].
Definizione 2.3.1. Sia C una curva integrale. Un ideale frazionale di C è un sottofascio di K(C) non nullo e un OC-modulo coerente. Allora un
divisore generalizzato su C è un ideale frazionario su C e denotiamo con GDiv(C)l’insieme di tutti i divisori generalizzati su C.
8
Infatti, π∗ porta un OX-moduloG in HomOX(π∗OY,G ) assieme alla moltiplicazione
per gli elementi di π∗OY che lo rende un OY-modulo, identificando la categoria degli
OY-moduli su Y con gli OX-moduli su X. In particolare, per ogni OY-modulo F e
per ogni OX-moduloG esiste un isomorfismo canonico bifuntoriale HomOX(π∗F , G ) ∼=
Osserviamo che GDiv(C) contiene il sottoinsieme dei fasci di ideali non nulli coerenti su C che corrispondono ai sottoschemi chiusi di dimensione 0 di C. Diremo che tali divisori generalizzati sono effettivi su C.
GDiv(C) contiene inoltre il gruppo degli ideali frazionali localmente principali CDiv(C), che sono esattamente i divisori di Cartier su C.
Se Z è un divisore generalizzato e D è un divisore di Cartier, definiamo la somma Z + D come la moltiplicazione dei corrispondenti ideali frazionali. In questo modo il gruppo CDiv(C) agisce sull’insieme GDiv(C). Dato che ogni ideale frazionale F può essere scritto localmente come f−1 ·I
Z per
f ∈ OC e IZ ⊂ OC, ogni divisore generalizzato può essere scritto nella
forma Z +(−D) dove Z è un divisore effettivo generalizzato e D è un divisore effettivo di Cartier.
Per un divisore generalizzato Z definiamo il grado di Z, deg Z, come la lunghezza del fascio di struttura OZ corrispondente alla sottovarietà chiusa
di C, notando che lengthOZ = h0(OZ). Per linearità il grado si estende a una
mappa GDiv(C) −→ Z, che ristretta a CDiv(C) è l’usuale omomorfismo del grado per i divisori di Cartier.
Per ogni divisore generalizzato Z, corrispondente a un ideale frazionale I ⊂ K(C), definiamo il suo inverso −Z come l’inverso dell’ideale frazionale I−1 che localmente è {f ∈ K(C)|f · I ⊂ O
C} e quindi −Z è un altro
divisore generalizzato. Per stabilire le buone proprietà di questa operazione, enunciamo il seguente Lemma.
Lemma 2.3.1. Sia C una curva di Gorenstein e F un fascio coerente privo di torsione su C. Allora
1. Exti
OC(F , OC) = 0 per ogni i > 0
2. F è riflessivo, ovvero F∨∨∼=F .
Dimostrazione. Il problema è locale, per cui possiamo considerare l’anello locale A di un punto chiuso di C e la spiga di F in quel punto come un A-modulo M finitamente generato e privo di torsione. Se M ha rango r, possiamo pensare M ⊂ Kr, dove K è il campo dei quozienti di A. Scegliendo
un opportuno comune denominatore per i generatori di M, possiamo trovare un’inclusione M ⊂ Ar e la successione esatta
dove il quoziente R è un A-modulo di lunghezza finita. Applicando il funtore HomA(·, A), otteniamo la successione esatta
0 −→ Ar −→ M∨ −→ Ext1
A(M∨, A) −→ 0
e isomorfismi
ExtAi(M, A) −→ ExtAi+1(R, A)
per i ≥ 1. Dato che A è un anello di Gorenstein di dimensione 1,
ExtAj(R, A) = 0 per j 6= 1. In particolare ExtAi(M, A) = 0 per i > 0 e R0 = ExtA1(R, A)è un altro A-modulo con stessa lunghezza di R. Applicando ancora il funtore HomA(·, A), abbiamo
0 −→ M∨∨−→ Ar−→ ExtA1(R0, A) −→ ExtA1(M∨, A) = 0. (2.2) Dove l’ultimo termine è nullo per il punto (1) applicato a M∨. D’altra
parte Ext1
A(R0, A) è isomorfo a R. Allora, dati i naturali isomorfismi tra le
successioni (2.1) e (2.2), per il Lemma dei 5, M ∼= M∨∨.
Il Lemma 2.3.1 è di fondamentale importanza perché suggerisce come svolgere in modo elementare operazioni sui divisori generalizzati.
Proposizione 2.3.2. Sia C una curva di Gorenstein e siano D1e D2diviso-
ri generalizzati su C. Allora l’operazione fra divisori generalizzati Z 7−→ −Z obbedisce alle usuali leggi dell’aritmetica:
• −(−Z) = Z;
• −(Z + D) = −Z − D con D un divisore di Cartier; e deg(−Z) = − deg Z.
Possiamo sviluppare l’usuale teoria sui sistemi lineari e i fasci associati. GDiv(C) contiene come sottoinsieme il gruppo P Div(C) dei divisori principali (f) per ogni elemento f ∈ K(C)∗. Diciamo che Z e Z0 sono li-
nearmente equivalenti se esiste f ∈ K(C)∗ tale che Z = Z0+ (f ). L’insieme
dei divisori effettivi linearmente equivalenti a Z viene denotato |Z| e si dice sistema lineare completo associato a Z. Definiamo il fascio OC(Z)associato a
un divisore generalizzato Z come il fascio I−1dell’ideale frazionale I corri-
spondente a Z. Quindi per ogni sottoschema chiuso Z di C, OC(−Z) =IZ.
Due divisori generalizzati Z e Z0 sono linearmente equivalenti se e solo se
OC(Z) ∼= OC(Z0) come OC-moduli, allora l’insieme dei divisori generaliz-
zati modulo equivalenza lineare è in corrispondenza biunivoca con le classi d’isomorfismo degli OC-moduli coerenti, liberi da torsione e di rango 1.
Se s è una sezione in H0(O
C(Z)), definisce un’inclusione OC −→ OC(Z)
e “dualizzando” un’altra inclusione OC(−Z) −→ OC. Per cui OC(−Z) è
identificato con il fascio di ideali IZ0 per un divisore generalizzato effettivo
Z0, che denoteremo anche Z(s). La mappa così ottenuta s 7−→ Z(s) induce una bigezione tra PH0(C, O
C(Z))e il sistema lineare completo |Z|. Un punto
P ∈ C è un punto base per un sistema lineare d su C se P ∈ SuppZ per ogni divisore Z ∈ d. In particolare, i divisori generalizzati, in conformità con quanto è stato esposto nella prima sezione del primo capitolo, soddisfano le proprietà
• OC(−D1) ∼= HomOC(OC(D1), OC) e
• OC(D1− D2) ∼= HomOC(OC(D2), OC(D1)).
Infine, dimostriamo i principali risultati visti nel primo capitolo per questa nuova e più generale teoria.
Teorema 2.3.3 (Dualità).
Per ogni divisore generalizzato Z su una curva C, Hi(O
C(Z)) è lo spazio
vettoriale duale di H1−i(O
C(KC− Z)) per i = 0, 1.
Dimostrazione. Per simmetria è sufficiente considerare il caso i = 1. Per il Teorema 2.2.9, H1(O C(Z)) è lo spazio duale di Hom(OC(Z), ωC) = H0(Hom(OC(Z), ωC)) ∼ = H0(OC(KC− Z)). Teorema 2.3.4 (Riemann-Roch).
Sia C un curva di Gorenstein, allora per ogni divisore generalizzato Z su C h0(Z) − h0(K − Z) = d + 1 − pa(C),
dove d = deg Z.
Dimostrazione. Scriviamo −Z = Z0 + D in cui Z0 è un divisore effettivo
generalizzato e D è un divisore di Cartier. Allora OC(Z) ∼= OC(D − Z0) e
consideriamo la successione esatta
Dalla successione esatta lunga in coomologia,
h0(Z) − h0(D) + h0(OZ0) − h1(Z) + h1(D) − h1(OZ0) = 0
e per il Teorema 1.2.1 e il Teorema 2.3.3
h0(Z) − h1(Z) = h0(Z) − h0(K − Z)
= deg D − deg Z0+ 1 − pa(C)
= deg Z + 1 − pa(C).
Proposizione 2.3.5.
Sia D un divisore di Cartier su una curva di Gorenstein C. Allora:
1. il sistema lineare completo |D| è privo di punti base se e solo se per ogni P ∈ C,
dim |D − P | = dim |D| − 1;
2. D è molto ampio su C se e solo se per ogni sottoschema Z ⊂ C di lunghezza 2,
dim |D − Z| = dim |D| − 2.
Dimostrazione. Usando il criterio che |D| è molto ampio se e solo se separa i punti e i vettori tangenti, la dimostrazione è del tutto analoga a quella del Teorema 1.4.7. L’unica importante differenza consiste nel considerare tutti possibili schemi di lunghezza 2 supportati in un punto P , invece di considerare i divisori della forma Z = P + Q e Z = 2P per un punto liscio P di C. Infatti, se esiste P ∈ C tale che l’immagine di H0(mPOC(H)) −→
mP/m2P è contenuta in un iperpiano V ⊂ mP/m2P, allora l’immagine inversa
di V in OC,P genera un fascio di ideali I ⊂ OC,P che definisce un sottoschema
Z di lunghezza 2 con supporto in P tale che H0(OC(H)) −→ OZ non è
Curve su superfici
D’ora in avanti useremo la parola varietà per indicare uno schema di tipo finito, integrale, separato su un campo algebricamente chiuso k. Se è anche proprio su k, diremo che la varietà è completa. In particolare, con le parole curva e superficie intendiamo rispettivamente varietà di dimensione 1 e 2.
La costruzione dei divisori su una curva liscia vista nella prima sezione del primo capitolo si può estendere facilmente nel caso in cui X sia una superficie algebrica nonsingolare. In questo caso, un divisore è una somma formale di curve irriducibili a coefficienti interi. Supporre quindi che una curva algebrica stia in una tale superficie, oltre a essere una curva di Gorenstein (si veda più avanti il Lemma 3.2.2), ci permette di considerarla come un divisore e di poterla studiare come tale. Inoltre, il gruppo di Picard Pic(X), che in questo caso è isomorfo al gruppo delle classi dei divisori Cl(X), contiene molte informazioni sulla geometria delle curve algebriche che sono su X.
Per non appesantire il linguaggio, in questa sezione una superficie è una superficie algebrica nonsingolare su un campo algebricamente chiuso k, men- tre una curva su una superficie è un divisore effettivo sulla superficie, ovvero una somma di curve irriducibili a coefficienti positivi.
Quindi denotiamo una curva C su X come C = P miCi e una sottocurva
C0 ⊆ C è un divisore P niCi con ni ≤ mi. Se D = Ci per qualche i, la
molteplicità mD di D in C è semplicemente l’intero ni.
3.1
Il numero di intersezione
Date due curve C e D su una superficie X, vogliamo studiarne i punti di intersezione. Per fare ciò, è necessario definire il numero di intersezione.
Ricordiamo che per quanto visto nella prima sezione, se denotiamo con Div(X)il gruppo dei divisori su X, abbiamo le importanti equivalenze
Div(X)/∼=Cl(X) ∼=Pic(X).
Se P ∈ C ∩ D è un punto di intersezione, diciamo che C e D si in- contrano trasversalmente in P se le equazioni locali f e g di C e D in P generano l’ideale massimale mP di OX,P. Questo implica inoltre che so-
no entrambi nonsingolari in P , poiché f genera l’ideale massimale di P in OD,P = OX,P/(g) e viceversa. In particolare, se C e D sono due curve
nonsingolari che si incontrano in un numero finito di punti P1, . . . , Pr, allora
vorremmo che il numero di intersezione C.D sia r, per questo enunciamo il seguente Teorema.
Teorema 3.1.1. Esiste un’unica mappa Div(X) × Div(X) −→ Z, denotata C.D per ogni due divisori C, D, tale che
1. se C e D sono curve nonsingolari che si incontrano trasversalmente, allora C.D = #(C ∩ D),
2. C.D = D.C,
3. (C1+ C2).D = C1.D + C2.D, e
4. se C1 ∼ C2 allora C1.D = C2.D.
Per la dimostrazione del Teorema dobbiamo enunciare alcuni risultati preliminari.
Lemma 3.1.2. Siano C1, . . . , Cr curve irriducibili sulla superficie X e sia
D un divisore molto ampio su X. Allora quasi tutte le curve D0 nel sistema lineare completo |D| sono curve irriducibili nonsingolari e ognuna incontra trasversalmente ogni Ci.
Teorema 3.1.3 (Bertini; [Har13], II, 8.18). Se X è una sottovarietà chiusa nonsingolare di Pn, allora esiste un iperpiano H ⊂ Pn che non contiene X
e tale che H ∩ V è regolare in ogni punto. Inoltre, l’insieme degli iperpiani con questa proprietà forma un aperto denso del sistema lineare completo |H|. Infine, se la dim X ≥ 2 vale anche che H ∩ X è una varietà connessa, irriducibile e nonsingolare.
Dimostrazione del Lemma 3.1.2. Poiché D è molto ampio, esiste un’immer- sione X ,→ Pn. Applicando simultaneamente il Teorema 3.1.3 a X e
Inoltre, anche le intersezioni Ci∩ D0, con D0 ∈ |D|, sono nonsingolari e sono
quindi un punto con molteplicità uno. Allora Ci e D si incontrano trasver-
salmente per ogni i. Infine, se le curve Ci avessero un numero finito di punti
singolari, potrei escludere gli iperpiani che li contengono, poiché formano un chiuso proprio di |H|.
Lemma 3.1.4. Sia C una curva irriducibile nonsingolare su X e sia D una curva che incontra trasversalmente C. Allora
#(C ∩ D) = degC(OX(D) ⊗ OC).
Dimostrazione. Dato che OX(−D)è il sottofascio di OX generato dalle fun-
zioni che definiscono D come divisore di Cartier, per la Proposizione 1.1.6, OX(−D) è in realtà il fascio di ideali associato a D su X e abbiamo quindi la successione esatta corta
0 −→ OX(−D) −→ OX −→ OD −→ 0.
Tensorizzando per OC, otteniamo
0 −→ OX(−D) ⊗ OC −→ OC −→ OC∩D−→ 0,
quindi il fascio OX(−D) ⊗ OC è il fascio invertibile su C associato al divisore
C ∩ D. Dato che l’intersezione è trasversale, il grado del divisore C ∩ D è il numero di punti #(C ∩ D).
Dimostrazione del Teorema 3.1.1. Prima dimostriamo l’unicità.
Fissiamo un divisore ampio H su X. Dati altri due divisori C e D su X possiamo trovare un intero n > 0 tale che C + nH, D + nH e nH siano tutti molto ampi. Infatti, scegliamo un opportuno k > 0 tale che OX(C + kH),
OX(D + kH)e OX(kH)siano generati da sezioni globali e questo è possibile
per definizione di ampiezza. Poi sia l > 0 affinché lH sia molto ampio e Scegliendo n = k + l, segue che C + nH, D + nH e nH sono tutti molto ampi.
Per il Lemma 3.1.2 possiamo considerare le curve nonsingolari C0 ∈ |C + nH|
D0 ∈ |D + nH|, trasversale a C0 E0 ∈ |nH|, trasversale a D0 F0 ∈ |nH|, trasversale a C0 ed E0.
Allora C ∼ C0 − E0 e D ∼ D0 − F0, così per le proprietà (1)-(4) del
Teorema, abbiamo
C.D = #(C0∩ D0) − #(C0∩ F0) − #(E0∩ D0) + #(E0∩ F0).
Questo dimostra che il numero di intersezione di due divisori è determinato da (1)-(4) del Teorema e quindi è unico.
Per l’esistenza, usiamo lo stesso metodo e controlliamo che la mappa risultante sia ben definita. Per semplificare i calcoli, procediamo in due passi.
Sia B ⊂ Div(X) l’insieme dei divisori molto ampi su X. Presi C, D ∈ B, definiamo il numero di intersezione C.D come segue: per il Lemma 3.1.2 esistono C0 ∈ |C| nonsingolare e D0 ∈ |D| nonsingolare e trasversale a C0,
definiamo così C.D = #(C0 ∩ D0). Per dimostrare che questa è una buona
definizione, prima fissiamo C0 e poi prendiamo D00 ∈ |D| un’altra curva
nonsingolare, trasversale a C0. Allora per il Lemma 3.1.4, abbiamo
#(C0∩ D0) = deg OX(D) ⊗ OC0,
e lo stesso per D00. Ma D0 ∼ D00, quindi O
X(D0) ∼= OX(D00), per cui la
definizione è indipendente da D0.
Ora supponiamo che C00 ∈ |C|sia un’altra curva nonsingolare. Per quan-
to visto precedente, possiamo assumere che D0sia trasversale a C0 e C00. Ap-
plicando il Lemma 3.1.4 alla curva D0, si ottiene che #(C0∩D0) = #(C00∩D0).
Così abbiamo una ben definita mappa B × B −→ Z, che è chiaramen- te simmetrica, e per definizione dipende solo dalle classi di equivalenza li- neare dei divisori. Dal Lemma 3.1.4 segue anche che è additiva, poiché OX(D1) ⊗ OX(D2) ∼= OX(D1 + D2) e il grado è additivo su una curva.
Infine, questa mappa su B × B soddisfa la condizione (1) per costruzione. Per definire il numero di intersezione su tutti i divisori Div(X), siano C e Ddue divisori qualunque su X. Allora abbiamo visto che possiamo scrivere C ∼ C0 − E0 e D ∼ D0 − F0, dove C0, D0, E0, F0 sono tutti divisori di B.
Definiamo
C.D = C0.D0− C0.F0− E0.D0+ E0.F0. Se C ∼ C00− E00 con C00, E00 divisori ancora molto ampi, allora
Ma dalle equivalenze lineari
C0+ E00∼ C00+ E0, e per quanto dimostrato
C0.D0+ E00.D0 = C00.D0+ E0.D0. Quindi le due espressioni
C.D = C0.D0− C0.F0− E0.D0+ E0.F0, C.D = C00.D0− C00.F0− E00.D0+ E00.F0 coincidono.
Analogamente se D ∼ D00− F00, e questo prova che il numero di interse-
zione C.D è ben definito su Div(X).
Inoltre, esso soddisfa (2),(3) e (4) per costruzione e per le corrispondenti proprietà su B, mentre la condizione (1) segue usando ancora una volta il Lemma 3.1.4.
Ora che abbiamo definito il numero di intersezione, è utile avere un modo di calcolarlo senza aver bisogno di “muovere” le curve. Se C e D sono curve senza componenti irriducibili in comune e P ∈ C ∩ D, allora definiamo la molteplicità d’intersezione (C.D)P di C e D in P come la lunghezza di