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Divisori su curve singolari

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Academic year: 2021

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(1)

Corso di Laurea Magistrale in Matematica

Divisori

su curve singolari

Relatore:

Chiar.mo Prof.

Marco Franciosi

Presentata da:

Andrea Rendina

Sessione di Maggio

Anno Accademico 2017/18

(2)
(3)

Introduzione 1

1 Curve lisce 5

1.1 Dualità di Serre e prime definizioni . . . 5

1.1.1 Dualità di Serre . . . 5 1.1.2 Divisori . . . 6 1.2 Il Teorema di Riemann-Roch . . . 10 1.2.1 Il Teorema . . . 10 1.2.2 Prime applicazioni . . . 11 1.3 Il Teorema di Hurwitz . . . 12

1.4 Embedding in spazi proiettivi . . . 15

1.4.1 Risultati generali . . . 17

1.4.2 Embedding theorem per curve lisce . . . 20

1.5 La mappa canonica . . . 22

1.5.1 Curve lisce iperellittiche . . . 22

1.5.2 Il Teorema di Clifford . . . 24

2 Curve integrali 27 2.1 Normalizzazione di una curva algebrica . . . 27

2.2 Il fascio dualizzante . . . 29 2.2.1 Esistenza e unicità . . . 29 2.2.2 Dualità . . . 33 2.3 Divisori generalizzati . . . 35 3 Curve su superfici 41 3.1 Il numero di intersezione . . . 41

3.2 Connessione numerica e Dévissage . . . 48

4 Curve di Gorenstein 53 4.1 Prime proprietà . . . 53

4.1.1 La formula di Noether . . . 53 1

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4.1.2 Conduttore e fascio dualizzante . . . 54 4.2 The embedding theorem . . . 59 4.2.1 Divisori molto ampi su curve su una superficie liscia . 60 4.2.2 Divisori molto ampi su curve di Gorenstein . . . 66 4.2.3 Applicazioni . . . 70 4.3 Morfismi canonici . . . 71

Bibliografia 77

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La geometria algebrica si propone come linguaggio universale per la trattazione dei problemi classici dell’algebra e della geometria.

Nella seconda metà del XIX secolo, B. Riemann avvia un lungo e frut-tuoso studio sulle curve algebriche, considerate astrattamente come varietà analitiche complesse compatte di dimensione uno, oggi dette superfici di Riemann.

Nei risultati di Riemann, conseguiti con metodi di analisi e concretizza-tisi negli anni 1850-1859, ha un ruolo fondamentale l’invariante topologico oggi noto a tutti come genere. Riemann dimostra che il genere g entra nella determinazione del massimo numero r di funzioni razionali linearmente in-dipendenti con n poli dati sulla curva. Si trova infatti che r ≥ n − g + 1, un teorema completato nel 1864 da G. Roch, allievo di Riemann, con l’in-terpretazione della differenza i = r − n + g − 1 come il massimo numero di differenziali olomorfi linearmente indipendenti nulli nei poli dati: il Teorema di Riemann-Roch.

Dopo Riemann, fu particolarmente Clebsch in Germania a sviluppare applicazioni e interpretazioni geometriche della sua teoria, legando la nozione di differenziale olomorfo su una curva piana di grado d dotata di soli nodi a quello di curva aggiunta alla curva data, cioè una curva di grado d − 3 passante per tutti i nodi della curva data.

L’esito di queste applicazioni geometriche è lo sviluppo di un approccio algebrico-geometrico alla teoria analitica riemanniana. Questo complesso e ambizioso programma viene intrapreso negli anni settanta del 1800 prin-cipalmente da M. Noether, alle cui teorie può esser fatto risalire l’inizio dell’uso di tecniche di algebra commutativa in geometria. In una fonda-mentale memoria, facendo tesoro della lezione proiettiva di L. Cremona, la teoria analitica di Riemann viene tradotta nel rivoluzionario linguaggio geometrico-proiettivo dei sistemi lineari.

Un notevole contributo è stato inoltre apportato da G. Castelnuovo. Ispi-rato al ben noto programma di Erlangen di F. Klein, che proponeva una

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nuova soluzione al problema di come classificare e caratterizzare le geome-trie basandosi sulla geometria proiettiva e la teoria dei gruppi, e sfruttando ed ampliando i risultati prevalentemente algebrici e trascendenti di B. Rie-mann, A. Clebsch, A. Brill, M. Noether, contribuisce a fondare una vera e propria “geometria delle curve algebriche”.

Nel secolo successivo, la teoria dei fasci, fondata da J. Leray, deve la sua prima applicazione sistematica in geometria algebrica al fondamentale articolo di J. P. Serre Faisceaux algébriques cohérents ([Ser55]). In tale arti-colo viene proposta la definizione di varietà e vengono interpretati, oltre ai divisori e ai sistemi lineari, vari invarianti classici delle varietà in termini di teoria dei fasci e di coomologia. Il punto di vista di Serre viene ripreso da Grothendieck che si può ritenere il vero fondatore della geometria algebri-ca moderna. In una lunga serie di articoli pubblialgebri-cati negli anni sessanta e settanta, egli introduce la nozione di schema, che estende quella di varietà.

La geometria algebrica moderna si sviluppa grazie a queste nuove idee introdotte nella seconda metà del ’900. Ad esempio, la teoria dei moduli e lo studio di varietà singolari, sono due argomenti di ricerca di notevole importanza e ancora di grande attualità.

In questo lavoro di tesi affronteremo lo studio di divisori di curve alge-briche, eventualmente singolari.

Nel primo capitolo, si danno i risultati classici per curve lisce come la Dualità di Serre e il Teorema di Riemann-Roch. Inoltre, dopo aver consta-tato l’importante identificazione tra divisori e fasci invertibili, si dimostrano diversi risultati sulle immersioni di curve lisce in spazi proiettivi, tra i quali il Teorema di Clifford che fornisce un limite sulla dimensione di un sistema lineare completo, caratterizzando in particolare le curve iperellittiche.

Nel secondo capitolo si passa allo studio di curve integrali, ovvero ridotte e irriducibili. In questo caso, una curva ammette punti in cui l’anello locale non è regolare, detti punti singolari. A tal proposito, si introduce la defini-zione di normalizzadefini-zione di una curva integrale che permette di “sciogliere” le singolarità e studiarne la geometria. Come nel caso di curve di lisce, si dimostra l’esistenza di un fascio, detto fascio dualizzante, e se ne dà un im-portante Teorema di dualità analogo alla Dualità di Serre. Infine, grazie all’innovativo articolo di Hartshorne, Generalized divisors on gorenstein cur-ves and a theorem of noether del 1986, si introducono i divisori generalizzati per una curva di Gorenstein integrale, cioè una curva in cui il fascio dualiz-zante è invertibile, che permettono di identificare i divisori con i fasci privi di torsione di rango 1, in modo da ottenere gli stessi risultati per le curve lisce in questo caso più generale.

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circo-stanza, le curve sono divisori su una superficie e la teoria svolta nel primo capitolo si estende a questo caso. Si introduce poi la definizione di numero di intersezione che permette di studiare i punti di intersezione fra due curve in una superficie liscia e si illustrano alcuni risultati di fondamentale impor-tanza per lo studio dei divisori molto ampi. La Formula di aggiunzione, che come conseguenza ha che ogni curva in una superficie liscia è di Gorenstein, e il Dévissage, introdotto inizialmente da C.P. Ramanujam [Ram72], che per-mette di studiare una curva attraverso una sua decomposizione in divisori effettivi.

Nel quarto e ultimo capitolo si passa a uno studio delle immersioni pro-iettive per le curve di Gorenstein. Dopo aver studiato alcune interessanti proprietà del caso ridotto, si dimostra che per una curva di Gorenstein C un divisore di Cartier H è molto ampio se per ogni sottocurva B ⊆ C degBH ≥ 2pa(B) + 1. Inizialmente si dà una dimostrazione nel caso di una

curva su una superficie liscia dovuta a F. Catanese e M. Franciosi nel lavo-ro Divisors of small genus on algebraic surfaces and plavo-rojective embeddings ([CF96]). Successivamente lo si dimostra in generale per una qualsiasi curva di Gorenstein. L’idea innovativa, che permette di dare una generalizzazione di questo risultato, realizzata nell’articolo Embeddings of curves and surfaces ([CFHR99]), è la tecnica definita come Automatic adjunction che consente di studiare un morfismo da un fascio coerente su una curva di Gorenstein nel suo fascio dualizzante, realizzandone una fattorizzazione tramite il sottoschema definito dall’annullatore di tale morfismo.

L’importanza di tali risultati risiede in alcune applicazioni di notevole rilevanza. In geometria algebrica gli spazi di moduli sono spazi che parame-trizzano classi di isomorfismo di oggetti di tipo fissato e appaiono solitamente nella classificazione di tali oggetti. Esempi tipici sono gli spazi di moduli di curve di genere g maggiore o uguale a 2. Proprio in questo caso, attraver-so lo studio di curve stabili, ovvero curve che hanno attraver-solo nodi come punti singolari, lo studio di curve singolari e i risultati dimostrati in questa tesi si rivelano estremamente utili per la compattificazione dello spazio dei moduli delle curve di genere g.

Inoltre, lo studio dei fasci invertibili su curve numericamente connesse ha diverse applicazioni in molti aspetti della teoria delle superfici algebriche: per esempio, la risoluzione di singolarità di una superficie normale oppure lo studio dell’algebra canonica relativa di una fibrazione su una superficie. Un altro tipo di applicazione risiede nello studio di sistemi lineari su super-fici, come i sistemi pluricanonici per una superficie di tipo generale. Infatti, per restrizione alle curve in un appropriato sistema lineare si possono trovare

(8)

informazioni sul comportamento del sistema della superficie. Questo approc-cio risulta particolarmente utile nel caso in cui non sia possibile utilizzare il Teorema di Bertini e le sue generalizzazioni.

(9)

Curve lisce

In questo capitolo, una curva liscia è uno schema integrale di dimensione 1, proprio su un campo algebricamente chiuso k, i cui anelli locali sono regolari.

Iniziamo enunciando i risultati principali.

1.1

Dualità di Serre e prime definizioni

1.1.1 Dualità di Serre

Un oggetto di grande rilevanza per lo studio di una curva liscia C è il fascio canonico. Sia ΩC,k, o più semplicemente ΩC, il fascio dei differenziali

relativi di C su k. In generale, per una varietà nonsingolare X definita su k, il fascio canonico è definito come ωX = Λn(ΩX,k), ovvero l’n-esima potenza

esterna del fascio dei differenziali, dove n = dim X. Per cui, nel nostro caso ωC = ΩC,k.

Il primo risultato, conosciuto come Dualità di Serre, che ci limitiamo ad enunciare1, lega il fascio canonico a un qualsiasi altro fascio localmente libero

sulla curva liscia C.

Teorema 1.1.1. Sia C una curva liscia su k. Allora per ogni fascio local-mente libero F su C esistono naturali isomorfismi per i = 0, 1

Hi(C,F ) ∼= H1−i(C,F∨⊗ ωC)0. Dove ∨ denota il fascio duale F= Hom(F , O

C), mentre 0 lo spazio

vetto-riale duale.

1

Per la dimostrazione di questo risultato vi sono molte referenze. Ne elenchiamo alcune: [Har13], III, 7; [Mir95], IV, 3; [Ser12], IV, 10.

(10)

Il primo importante invariante per una curva algebrica è il suo genere. Ci sono diversi modi per definirlo, tutti equivalenti. Il genere aritmetico di una curva C è

pa(C) = 1 − χ(C, OC),

dove χ(C, OC) = h0(C, OC) − h1(C, OC) è la caratteristica di Eulero di C,

mentre il genere geometrico è

pg(C) = h0(C, ωC).

Nel caso di una curva liscia, i due generi, per la Dualità di Serre, coinci-dono.

Teorema 1.1.2. Se C è una curva liscia, allora pa(C) = pg(C) = g.

Denotiamo quindi con g il genere di una curva liscia.

1.1.2 Divisori

Il gruppo dei divisori Div(C) su C è il gruppo abeliano libero generato dall’insieme dei punti di C. Scriviamo un divisore D = P niPi, con ni ∈ Z.

Il grado di D è deg D = P ni. Un divisore D = P niPi si dice effettivo se

ni≥ 0 per ogni i.

Dato che in ogni punto di C, l’anello locale è un anello di valutazione discreta, esiste un sottogruppo dei divisori su C formato dai divisori, detti principali, associati alle funzioni razionali f su C definiti tramite la formula

(f ) = X

P ∈C

vP(f )P.

Due divisori si dicono linearmente equivalenti se differiscono per un divisore principale. Provando che il grado di un divisore principale è 0, allora il grado di un divisore dipende solo dalla sua classe di equivalenza lineare.

Lemma 1.1.3. Sia C una curva liscia e sia D = (f) con f ∈ K(C)∗ un divisore principale su C, allora deg D = 0.

Dove con K(C) indichiamo il campo delle funzioni razionali su C. Dimostrazione. Supponiamo che f sia non costante, poiché altrimenti deg f = 0. Quindi f è una mappa da C nella retta proiettiva P1k e (f) non è nient’altro che il divisore f−1(0) − f−1(∞), ma per ogni punto P di P1

(11)

grado di f−1(P )è uguale al grado della mappa f2, per cui il grado di D è

0.

Nel caso di curve lisce, esiste una fondamentale corrispondenza fra divi-sori e fasci invertibili su C, che induce un isomorfismo fra il gruppo Cl(C) dei divisori modulo equivalenza lineare e il gruppo di Picard Pic(C) dei fa-sci invertibili su C modulo isomorfismo. Per dimostrare questo risultato, introduciamo un nuovo gruppo di divisori, denominati divisori di Cartier, e proviamo che nel caso di curve lisce, non sono nient’altro che un’equivalente caratterizzazione dei divisori.

Definizione 1.1.1. Un divisore di Cartier su C è una sezione globale del fascio K(C)∗/O

C, dove K(C) è il fascio costante delle funzioni razionali su

C e O∗C è il fascio degli elementi invertibili di OC. Un divisore di Cartier

si dice principale se è nell’immagine della mappa naturale Γ(C, K(C)∗) −→

Γ(C, K(C)∗/O∗C).

Osserviamo che per le proprietà dei fasci quoziente, un divisore di Cartier può essere descritto dando un ricoprimento aperto {Ui}di C e per ogni i un

elemento fi ∈ Γ(Ui, K(C)∗), tale che per ogni i, j, fi/fj ∈ Γ(Ui∩ Uj, O∗C).

Proposizione 1.1.4. Sia C una curva liscia, allora il gruppo dei divisori su C è isomorfo al gruppo dei divisori di Cartier Γ(C, K(C)∗/OC∗).

Dimostrazione. Sia {Ui, fi} un divisore di Cartier su C, dove {Ui} è un

ricoprimento aperto di C e fi ∈ Γ(Ui, K(C)∗) per ogni i. Per ogni P ∈ C

consideriamo vP(fi), dove i è un indice per cui P ∈ Ui e vP è la mappa di

valutazione in P . Se j è un altro tale indice, allora fi/fj è invertibile in

Ui∩ Uj, vP(fi/fj) = 0 e vP(fi) = vP(fj). Si ottiene quindi un ben definito

divisore D = P vP(fi)P su C.

D’altra parte, sia D un divisore su C. Se x è un punto di C, D definisce in modo naturale un divisore Dx sullo schema locale Spec(OC,x). Dato che

OC,x è regolare e quindi un dominio a fattorizzazione unica, Dx è principale

e Dx = (fx), per fx ∈ K(C)∗. In particolare, D e (fx) hanno la stessa

restrizione su Spec(OC,x), per cui differiscono solo per un numero finito di

punti diversi da x. Allora esiste un intorno Ux di x tale che D e (fx)hanno

stessa restrizione su C. Ricoprendo C con tali aperti Ux, le funzioni fx

realizzano un divisore di Cartier su C. Infatti, se f, f0 sono due funzioni che

realizzano lo stesso divisore su un aperto U, f/f0∈ Γ(U, O

C)e il divisore di

Cartier è ben definito.

2

(12)

Queste due costruzioni sono una l’inversa dell’altra e i divisori principali corrispondono gli uni agli altri.

Definizione 1.1.2. Sia D un divisore di Cartier su una curva liscia C, rappresentato da {Ui, fi}. Definiamo il suo fascio associato OC(D) come

l’OC-modulo generato da fi−1 su ogni Ui. Dato che fi/fj è invertibile su

Ui∩ Uj, allora fi−1, f −1

j generano lo stesso OC-modulo e il fascio OC(D) è

ben definito.

Proposizione 1.1.5. Sia C una curva liscia, allora:

• per ogni divisore di Cartier D, OC(D)è un fascio invertibile su C. La

mappa D 7−→ OC(D) è una corrispondenza biunivoca fra divisori di

Cartier e sottofasci invertibili di K(C); • OC(D1− D2) ∼= OC(D1) ⊗ OC(D2)−1;

• D1 ∼ D2 se e solo se OC(D1) ∼= OC(D2). In particolare, esiste un

naturale isomorfismo Cl(C) ∼=Pic(C). Dimostrazione.

• Dato che ogni fi ∈ Γ(Ui, K(C)∗), la mappa OUi −→ OC(D)|Ui definita

da 1 7−→ f−1

i è un isomorfismo, per cui OC(D)è un fascio invertibile.

Un divisore di Cartier D può essere recuperato dal suo fascio associato OC(D) prendendo fi su Ui come l’inversa di un generatore locale di

OC(D). Inoltre, questa costruzione realizza un divisore di Cartier per ogni fascio invertibile su C, ottenendo la corrispondenza voluta. • Se D1 è localmente definito da fi e D2 da gi, allora OC(D1− D2) è

localmente generato da f−1

i gi e OC(D1− D2) = OC(D1) · OC(D2) −1=

OC(D1) ⊗ OC(D2)−1.

• Per il punto precedente, è sufficiente provare che D = D1 − D2 è

principale se e solo se OC(D) ∼= OC. Se D è principale, definito da

f ∈ Γ(X, K(C)∗), allora OC(D)è globalmente generato da f−1, per cui

la mappa 1 7−→ f−1 dà un isomorfismo O

C ∼= OC(D). Viceversa, Dato

un tale isomorfismo, l’immagine di 1 è un elemento di Γ(C, K(C)∗) il

cui inverso definisce D come un divisore principale.

Per provare che Cl(C) ∼= Pic(C), basta dimostrare che ogni fascio invertibile su C è un sottofascio di K(C). Sia L un fascio invertibile su C e consideriamo L ⊗OCK(C). Su ogni insieme aperto U dove L ∼=

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C è irriducibile, ogni fascio che su ogni aperto si restringe a un fascio costante è in realtà un fascio costante. Quindi L ⊗OCK(C)è isomorfo

al fascio costante K(C) e la mappa naturale L −→ L ⊗K(C) ∼= K(C) esprime L come un sottofascio di K(C).

Inoltre, per le proprietà dei fasci invertibili su C • OC(−D1) ∼= HomOC(OC(D1), OC) e

• OC(D1− D2) ∼= HomOC(OC(D2), OC(D1)).

Definizione 1.1.3. Un divisore di Cartier su una curva C si dice effettivo se può essere rappresentato da {Ui, fi}dove ogni fi ∈ Γ(Ui, OUi). In tal caso si

definisce il sottoschema associato di codimensione 1 Y , come il sottoschema definito dal fascio di ideali I localmente generato da fi.

Questa definizione realizza una corrispondenza biunivoca fra divisori di Cartier su C e sottoschemi chiusi localmente principali, ovvero sottoschemi il cui fascio di ideali è localmente generato da un singolo elemento. Notiamo inoltre, che in questo caso poiché C è una curva nonsingolare, i divisori di Cartier corrispondo ai divisori su C e analogamente per i divisori effettivi. Proposizione 1.1.6. Sia D un divisore di Cartier su una curva C e Y il sottoschema chiuso localmente principale associato, allora il suo fascio di ideali IY è isomorfo a OC(−D).

Dimostrazione. OC(−D) è il sottofascio di K(C) generato localmente da fi.

Dato che D è effettivo, questo è in realtà un sottofascio di OC, che non è

nient’altro che il fascio di ideali IY di Y .

L’insieme di tutti i divisori effettivi linearmente equivalenti a un dato divisore D si dice sistema lineare completo e si denota |D|. Per quanto visto sinora, gli elementi di |D| sono in corrispondenza con lo spazio

(H0(C, OC(D)) r {0})/k∗ = P(H0(C, OC(D)))

Allora la dimensione di |D| è h0(D) − 1ed è finita perché la dimensione dello

spazio vettoriale delle sezioni globali di un OC-modulo F è finita ([Har13],

II, 5.19).

Come conseguenza di questa corrispondenza abbiamo il seguente elemen-tare, ma utile risultato.

(14)

Lemma 1.1.7. Sia D un divisore su una curva liscia C. Se h0(D) 6= 0, allora deg D ≥ 0. D’altra parte, se h0(D) 6= 0 e deg D = 0 allora D ∼ 0,

ovvero OC(D) ∼= OC.

Dimostrazione. Se h0(D) 6= 0, il sistema lineare completo |D| è non vuoto.

Quindi D è linearmente equivalente a un divisore effettivo. Dato che il grado dipende solo dalla classe di equivalenza lineare e il grado di un divisore effettivo è non negativo, abbiamo deg D ≥ 0. Se deg D = 0, allora D è linearmente equivalente a un divisore effettivo di grado 0, cioè 0 stesso.

1.2

Il Teorema di Riemann-Roch

1.2.1 Il Teorema

Sia C una curva liscia e sia ωC = ΩC,k il suo fascio canonico. Dato che C

ha dimensione 1, ωC è un fascio invertibile e definiamo il divisore canonico

KC, o più brevemente K, come il divisore associato al fascio invertibile ωC.

Teorema 1.2.1 (Riemann-Roch).

Sia D un divisore su una curva liscia C di genere g. Allora h0(D) − h0(K − D) = deg D + 1 − g.

Dimostrazione. Il divisore K − D corrisponde al fascio invertibile ωC ⊗

OC(D)∨. Per la Dualità di Serre, Teorema 1.1.1, lo spazio vettoriale

H0(C, ωC ⊗ OC(D)) è lo spazio duale di H1(C, OC(D)). Per cui bisogna

provare che per ogni D,

χ(OC(D)) = deg D + 1 − g,

dove per ogni fascio coerente F su C, χ(F ) è la caratteristica di Eulero χ(F ) = h0(C,F ) − h1(C,F ).

Consideriamo il caso D = 0. Allora la formula

h0(C, OC) − h1(C, OC) = 0 + 1 − g

è vera poiché H0(C, O

C) = ke h1(C, OC) = g per definizione.

Sia D un divisore qualsiasi e P un punto. Se proviamo che la tesi è vera per D se e solo se è vera per D + P , allora il teorema è dimostrato poiché possiamo partire dal divisore 0 e in numero finito di passi ottenere D, aggiungendo o sottraendo punti.

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Il fascio di struttura di P , come sottovarietà di C, è il fascio grattacielo k(P )concentrato in P , mentre il suo fascio di ideali è OC(−P ). Si ha quindi

la successione esatta

0 −→ OC(−P ) −→ OC −→ k(P ) −→ 0

e tensorizzando per OC(D + P )otteniamo

0 −→ OC(D) −→ OC(D + P ) −→ k(P ) −→ 0.

Dato che la caratteristica di Eulero è additiva sulle successioni esatte corte e dato che χ(k(P )) = 1,

χ(OC(D + P )) = χ(OC(D)) + 1.

D’altra parte, deg(D + P ) = deg D + 1, per cui la tesi è vera per D se e solo se lo è per D + P .

1.2.2 Prime applicazioni

Definizione 1.2.1. Se X è uno schema integrale e F è un fascio algebrico coerente su X, definiamo il rango di F , rkF = dimKF , dove ξ è un punto

generico di X e K = OX,ξ.

Definizione 1.2.2. Sia C una curva liscia e F un fascio coerente su C. Definiamo il grado di F come

degF = χ(F ) − (rkF ) · χ(OC).

Lemma 1.2.2. Sia C una curva liscia e D un divisore su C, allora deg OC(D) = deg D.

Dimostrazione. Segue direttamente dal Teorema 1.2.1 (Riemann-Roch). Su una curva liscia C di genere g, il divisore canonico KC ha grado

2g − 2. Infatti, se applichiamo il Teorema 1.2.1 con D = KC, dato che

h0(KC) = pg(C) = g e h0(0) = 1, abbiamo

g − 1 = deg KC+ 1 − g,

(16)

Diciamo inoltre che un divisore D è speciale se h0(K

C− D) > 0, o

equi-valentemente h1(D) > 0, e chiamiamo h0(K

C− D)il suo indice di specialità.

Altrimenti, diciamo che D è nonspeciale.

Se deg D > 2g − 2, allora deg(KC − D) < 0 e h0(KC − D) = 0 per il

Lemma 1.1.7.

Definizione 1.2.3. Una curva liscia C si dice ellittica se g = 1.

In questo caso, il suo divisore canonico KC ha grado 0. Inoltre, dato che

h0(KC) = pg(C) = 1, per il Lemma 1.1.7, KC ∼ 0.

Una curva liscia C si dice razionale se è isomorfa a P1. Proviamo che C

è razionale se e solo se esistono due punti distinti P, Q ∈ C tali che P ∼ Q. Se C ∼= P1, presi due punti P e Q di C, esistono due ideali primi, omogenei, di altezza 1 in k[x0, x1]che realizzano P e Q. Quindi P − Q ∼ 0 e P ∼ Q.

Viceversa, supponiamo che esistano due punti P 6= Q di C tali che P ∼ Q. Allora esiste f ∈ K(C) tale che (f) = P − Q. Consideriamo il morfismo ϕ : C −→ P1 determinato da f, allora ϕ∗({0}) = P e ϕ è un morfismo di grado 1, ovvero un isomorfismo.

Supponiamo ora che C sia una curva liscia di genere 0. Siano P e Q due punti distinti di C e applichiamo il Teorema 1.2.1 al divisore D = P − Q. Dato che deg(K −D) = −2 < 0, per il Lemma 1.1.7, h0(K − D) = 0e quindi

h0(D) = 1. Ma D è un divisore di grado 0 e quindi D ∼ 0, ovvero P ∼ Q. Per cui ogni curva liscia di genere g = 0 è razionale.

1.3

Il Teorema di Hurwitz

Consideriamo un morfismo finito di curve lisce f : C1 −→ C2 e studiamo

la relazione fra i divisori canonici. La formula risultante, che coinvolge il genere di C1, C2e il numero dei punti di ramificazione è descritta dal Teorema

di Hurwitz.

Ricordiamo che il grado di un tale morfismo f : C1 −→ C2 è il grado

dell’estensione [K(C1) : K(C2)] dei campi di funzioni. Per ogni punto P

di C1 definiamo l’indice di ramificazione come segue. Sia Q = f(P ) e sia

t ∈ OC2,Q un parametro locale in Q. Consideriamo t come un elemento di

OC1,P tramite la mappa naturale indotta da f sugli anelli locali f#: OC2,Q−→ OC1,P

e definiamo

(17)

dove vP è la mappa di valutazione su OC1,P. Se eP > 1, diciamo che f è

ramificata in P e che Q è un punto di ramificazione di f. Se invece eP = 1,

diciamo che f è non ramificata in P . Se la caratteristica di k è 0, o è p e p non divide eP, diciamo che la ramificazione è tame, mentre se p divide eP,

diremo che la ramificazione è wild.

Ricordiamo anche che esiste un ben definito omomorfismo f∗ : Div(C2) −→ Div(C1)

ponendo

f∗(Q) = X

P 7→Q

eP · P

per ogni punto Q di C2 ed esteso per linearità.

Se D è un divisore su C2, allora f∗(OC(D)) ∼= OC(f∗D). Ovvero f∗ è

compatibile con il morfismo indotto

f∗ :Pic(C2) −→Pic(C1)

sui fasci invertibili.

Diremo infine che un morfismo f : C1 −→ C2 è separabile se l’estensione

di campi di K(C1) su K(C2) lo è.

Proposizione 1.3.1. Sia f : C1 −→ C2 un morfismo separabile tra curve

lisce. Allora esiste una successione esatta di fasci su C1,

0 −→ f∗ΩC2 −→ ΩC1 −→ ΩC1/C2 −→ 0.

Dimostrazione. La successione

f∗ΩC2 −→ ΩC1 −→ ΩC1/C2 −→ 0.

è esatta per le proprietà dei fasci di differenziali ([Mat70], Teorema 2, p. 186). Per provare l’iniettività di f∗

C2 −→ ΩC1, dato che i due fasci sono

invertibili, è sufficiente provare che la mappa è non nulla in un punto generico. Dato che K(C1)è separabile su K(C2), il fascio ΩC1/C2 è zero in un generico

punto di C1 ([Mat70] Teorema 59, p. 191).

Quindi f∗

C2 −→ ΩC1 è suriettiva in un punto generico.

Dato che ΩC1 e ΩC2 corrispondono ai divisori canonici rispettivamente

su C1 e C2, il fascio dei differenziali relativi ΩC1/C2 misura la loro differenza.

Per ogni punto P ∈ C1, sia Q = f(P ), t un parametro locale in Q e

(18)

-modulo libero ΩC2,Q e du è un generatore dell’OC1,P-modulo libero ΩC1,P.

In particolare, esiste un unico elemento g ∈ OC1,P tale che

f∗dt = g · du. Denotiamo questo elemento g con dt/du.

Proposizione 1.3.2. Sia f : C1 −→ C2 un morfismo finito e separabile di curve lisce. Allora:

• ΩC1/C2 è un fascio di torsione su C1, con supporto l’insieme dei punti

di ramificazione di f. In particolare, f è ramificata solo in quei punti; • per ogni P ∈ C1, la spiga (ΩC1/C2)P è un OC1,P-modulo principale di

lunghezza finita uguale a vP(dt/du);

• se in P la ramificazione è tame, allora

length(ΩC1/C2)P = eP − 1.

Se altrimenti è wild, length(ΩC1/C2)P > eP − 1.

Dimostrazione. • Dato che f∗

C2 e ΩC1 sono due fasci invertibili, per la Proposizione

1.3.1, ΩC1/C2 è un fascio di torsione. (ΩC1/C2)P = 0se e solo se f

(dt)

è un generatore per ΩC1,P. Ma questo accade se e solo se t è un

parametro locale per OC1,P, ovvero f non è ramificata in P .

• Dalla Proposizione 1.3.1, (ΩC1/C2)P

= ΩC1,P/f

C2,Q che è isomorfo,

come OC1,P-modulo, a ΩC1,P/(dt/du).

• Se f ha indice di ramificazione e = eP, allora possiamo scrivere t = aue,

per un elemento invertibile a ∈ OC1,P. Quindi

dt = aeue−1du + ueda.

Se la ramificazione è tame, allora e è un elemento non nullo di k, per cui vP(dt/du) = e − 1. Altrimenti vP(dt/du) ≥ e.

Definizione 1.3.1. Se f : C1 −→ C2 è un morfismo separabile e finito tra

curve lisce, allora il divisore di ramificazione R è definito

R = X

P ∈C1

(19)

Proposizione 1.3.3. Sia f : C1 −→ C2 un morfismo separabile e finito tra

curve lisce. Siano KC1 e KC2 i divisori canonici di C1 e C2 rispettivamente.

Allora

KC1 ∼ f

KC2+ R.

Dimostrazione. Preso R come un sottoschema di C1, il fascio di

struttu-ra OR, per la Proposizione 1.3.2, è isomorfo a ΩC1/C2. Tensorizzando la

successione esatta della Proposizione 1.3.1 per Ω−1

C1, abbiamo

0 −→ f∗ΩC2⊗ Ω

−1

C1 −→ OC1 −→ OR−→ 0.

Per la Proposizione 1.1.6, il fascio di ideali su R è isomorfo a OC1(−R). Da

cui f∗ΩC2 ⊗ Ω −1 C1 ∼ = OC1(−R)

e il risultato segue prendendo i divisori associati. Corollario 1.3.4 (Hurwitz).

Sia f : C1 −→ C2 un morfismo separabile e finito tra curve lisce e sia

n = deg f. Allora

2g(C1) − 2 = n · (2g(C2) − 2) + deg R.

Inoltre, se f ammette solo ramificazioni tame, deg R = X

P ∈C1

(eP − 1).

Dimostrazione. Dato che f∗ è la moltiplicazione per n ([Har13] II, 6.9),

ba-sta considerare i gradi dei divisori della Proposizione 1.3.3. Inoltre, se la ramificazione è tame, R ha grado P(eP − 1) per la Proposizione 1.3.2.

1.4

Embedding in spazi proiettivi

In questo paragrafo studiamo i sistemi lineari su una curva liscia C e gli embedding di una curva liscia in uno spazio proiettivo.

Ricordiamo che un sistema lineare completo |D| è l’insieme di tutti i divisori effettivi linearmente equivalenti a un dato divisore D. Esiste inoltre la corrispondenza

(20)

e la dimensione di |D| è h0(D) − 1.

Lemma 1.4.1. Per ogni divisore effettivo D su una curva liscia C, dim |D| ≤ deg D.

Inoltre si ha l’uguaglianza se e solo se D = 0 o g = 0.

Dimostrazione. Dato che D è effettivo, |K − D| ⊂ |K|, per cui h0(K − D) ≤ h0(K) = g.

Per il Teorema di Riemann-Roch, h0(D) = h0(K − D) + deg

D+1 − g. Allora

dim |D| = h0(D) − 1 ≤ deg D.

Se D = 0 si ottiene l’uguaglianza, mentre se g = 0, h0(K − D) = h0(K) =

g = 0 e dim |D| = h0(D) − 1 = deg D.

Viceversa, sia dim |D| = deg D e supponiamo che valga h0(K) = g 6= 0,

allora ogni funzione razionale con poli e zeri nel supporto di K con la loro molteplicità, hanno anche zeri e poli con stessa molteplicità su K − D, ma questo è possibile solo se D = 0.

Un fascio invertibile L su una curva liscia C si dice molto ampio se è isomorfo a OC(1) per un’immersione di C in uno spazio proiettivo. Si dice

invece ampio se per ogni fascio coerente F su C, il fascio F ⊗Lnè generato

da sezioni globali per n  0. È vero inoltre che L è ampio se e solo se esiste n > 0tale che Ln è molto ampio3.

Un divisore D si dice ampio o molto ampio se il suo fascio associato OC(D)lo è.

Un sistema lineare è un insieme d di divisori effettivi che formano un sottospazio del sistema lineare completo |D| e un punto P è un punto base del sistema lineare d se P ∈ SuppD per ogni D ∈ d.

Lemma 1.4.2. Sia d un sistema lineare su una curva liscia C corrispondente al sottospazio V ⊂ Γ(C, L ). Un punto P ∈ C è un punto base per d se e solo se sP ∈ mPLP per ogni s ∈ V , dove mP è l’ideale massimale dell’anello

locale LP. In particolare, d è privo di punti base se e solo se L è generato

dalle sezioni globali in V .

Dimostrazione. Segue direttamente dal fatto che per ogni s ∈ Γ(C, L ), il supporto del divisore degli zeri (s)0 ∈ d è il complementare dell’insieme

3

(21)

aperto Cs. Dove (s)0 è definito come segue. Su ogni aperto U ⊂ C in cui

L è banale, sia ϕ : L |U ∼

−→ OU un isomorfismo. Allora ϕ(s) ∈ Γ(U, OU) e dato che U varia su un ricoprimento di C, la collezione {U, ϕ(s)} definisce un divisore di Cartier su C. Infatti, ϕ è determinata a meno di moltiplicazione per un elemento di Γ(U, O∗

U)e (s)0 è ben definito.

1.4.1 Risultati generali

Prima di enunciare un classico risultato che fornisce un utile criterio per capire quando un divisore sia molto ampio, è necessario affrontare alcuni risultati preliminari di generale importanza. In tal caso, è necessario avere buona confidenza con gli schemi e i principali oggetti della geometria algebri-ca. Infatti, per approfondimenti sui prossimi risultati indichiamo la sezione 7 del capitolo II di [Har13].

Teorema 1.4.3. Sia A un anello fissato e sia X uno schema su A. • Se ϕ : X −→ Pn

A è un A-morfismo, allora ϕ∗(OX(1)) è un fascio

in-vertibile su X generato dalle sezioni globali si = ϕ∗(xi), i = 0, 1, . . . , n.

• Se L è un fascio invertibile su X e s0, . . . , sn∈ Γ(X,L ) sono sezioni

globali che generano L , allora esiste un unico A-morfismo ϕ : X −→ PnA tale che L ∼= ϕ∗(OX(1)) e si = ϕ∗(xi) sotto questo isomorfismo,

dove xi è la i-esima sezione globale in Γ(PnA, OX(1)) associata alla

coordinata omogenea xi.

Dimostrazione. Per la prima parte, è sufficiente osservare che il fascio OPn(1)

è generato dalle sezioni globali x0, . . . , xn, i.e., le immagini di queste sezioni

generano la spiga OPn(1)P del fascio OPn(1) come un modulo sull’anello

locale OPn,P per ogni P ∈ PnA. Allora ϕ∗(OX(1)) è un fascio invertibile su

X e le sezioni globali s0, . . . , sn, dove si = ϕ∗(xi), si ∈ Γ(X, ϕ∗(OX(1))),

generano il fascio ϕ∗(O X(1)).

Per la seconda parte, sia Xi = {P ∈ X|(si)P 6∈ mPLP} per ogni i. Gli

Xi sono insiemi aperti di X e, dato che le sezioni si generano L , formano un

ricoprimento aperto di X. Definiamo un morfismo da Xiall’aperto standard

Ui = {xi 6= 0} di PnA. Ricordiamo che Ui ∼=SpecA[y0, . . . , yn] dove yj = xxji,

senza yi = 1. Definiamo il morfismo di anelli A[y0, . . . , yn] −→ Γ(Xi, OXi)

ponendo yj 7−→ ssji ed estendendo per A-linearità. È ben definito poiché per

ogni P ∈ Xi, (si)P 6∈ mPLP e L è localmente libero di rango 1, per cui sj

si è un elemento di Γ(Xi, OXi). Questo omomorfismo di anelli induce un

(22)

un morfismo ϕ : X −→ Pn

A. È chiaro dalla costruzione che ϕ è un

A-morfismo, L ∼= ϕ∗(O(1))e le sezioni si corrispondono a ϕ∗(xi) sotto questo

isomorfismo. Inoltre, ogni morfismo con queste proprietà è dato da questa costruzione, per cui è unico.

In termini di un sistema lineare, dare un morfismo da una curva liscia C in Pn

k è equivalente a dare un sistema lineare d senza punti base e un insieme

di elementi s0, . . . , sn∈ V che generano lo spazio vettoriale V corrispondente

al sistema lineare d. In tal caso, s0, . . . , sn formano una base di V e se ne

scegliessimo un’altra, il corrispondente morfismo C −→ Pncambierebbe solo

per un automorfismo di Pn.

Proposizione 1.4.4. Sia ϕ : X −→ PnA un morfismo di schemi su un anello fissato A corrispondente a un fascio invertibile L su X e sezioni s0, . . . , sn∈ Γ(X,L ) come nel Teorema 1.4.3.

Allora ϕ è un’immersione chiusa se e solo se • ogni aperto Xi= Xsi è affine e

• per ogni i, la mappa di anelli A[y0, . . . , yn] −→ Γ(Xi.OXi) definita da

yj 7−→ ssji è suriettiva.

Dimostrazione. Se ϕ è un’immersione chiusa, allora Xi = X ∩ Ui è un

sotto-schema chiuso di Ui e dato che ogni sottoschema chiuso di uno schema affine

è affine, Xi è affine e la corrispondente mappa di anelli è suriettiva.

Viceversa, per ipotesi ogni Xi è un sottoschema chiuso di Ui e poiché

Xi = ϕ−1(Ui)e gli Xi ricoprono X, X è un sottoschema chiuso di PnA.

Proposizione 1.4.5. Sia X uno schema proiettivo su un campo algebrica-mente chiuso k e sia ϕ : X −→ Pn

k un morfismo (su k) corrispondente a un

fascio invertibile L e sezioni s0, . . . , sn∈ Γ(X,L ) come nella proposizione

precedente. Sia V ⊂ Γ(X, L ) il sottospazio generato dalle si.

Allora ϕ è un’immersione chiusa se e solo se

1. gli elementi di V separano i punti, i.e., per ogni due punti chiusi distinti P, Q ∈ X, esiste s ∈ V tale che s ∈ mPLP ma s 6∈ mQLQ, o viceversa,

e

2. gli elementi di V separano i vettori tangenti, i.e., per ogni punto chiuso P ∈ X, l’insieme {s ∈ V |sP ∈ mPLP} genera il k-spazio vettoriale

mPLP/m2PLP.

Dimostrazione. Sia ϕ un’immersione chiusa e pensiamo X come un sotto-schema chiuso di Pn

(23)

V ⊂ Γ(X, OX(1)) è generato dall’immagine di x0, . . . , xn ∈ Γ(Pn, OX(1)).

Dati due punti chiusi distinti P 6= Q in X, esiste un iperpiano che contiene P, ma non Q. Se la sua equazione è P aixi = 0, con ai ∈ k per ogni i,

allora s = P aixi ristretta a X soddisfa la proprietà richiesta al punto (1).

Per il punto (2), osserviamo che gli iperpiani passanti per P danno origine alle sezioni che generano mPLP/m2PLP e per semplicità supponiamo che P

sia il punto (1, 0, 0, . . . , 0). Allora sull’aperto affine U0 ∼=Spec(k[y1, . . . , yn])

L è banale, P è il punto (0, 0, . . . , 0) e mP/m2P è lo spazio vettoriale

gene-rato da y1, . . . , yn. Dato che k è algebricamente chiuso, ogni punto di Pn è

della forma (a0, . . . , an)per opportuni ai∈ k, per cui i punti possono essere

separati da iperpiani a coefficienti in k.

Viceversa, sia ϕ : X −→ Pnche soddisfa (1) e (2). Dato che gli elementi

di V sono il pull-back di sezioni di OX(1) su Pn, è chiaro dal punto (1)

che ϕ è iniettiva come mappa di insiemi. X è proiettivo, quindi è proprio su k e la sua immagine ϕ(X) in Pn è chiusa, per cui ϕ è un morfismo

proprio. In particolare, ϕ è una mappa chiusa ed essendo un morfismo, è anche continua. Allora ϕ è un omeomorfismo di X con la sua immagine ϕ(X) che è un chiuso di Pn. Per provare che ϕ è un’immersione chiusa, rimane da verificare che il morfismo di fasci OPn −→ ϕ∗OX sia una mappa

suriettiva. Per cui basta provare che per ogni punto chiuso P di X, OPn,P −→

OX,P è suriettiva. Entrambi gli anelli locali hanno campo dei residui k e per l’ipotesi del punto (2), l’immagine dell’ideale massimale mPn,P genera

mX,P/m2X,P. In questo caso ϕ∗OX è un fascio coerente su Pn, per cui OX,P

è finitamente generato come OPn,P-modulo. Infine, il risultato segue dal

prossimo elementare Lemma4.

Lemma 1.4.6. Sia f : A −→ B un omomorfismo locale di anelli noetheriani locali, tali che

• A/mA−→ B/mB è un isomorfismo,

• mA−→ mB/m2B è suriettiva, e

• B è un A-modulo finitamente generato. Allora f è suriettiva.

4

(24)

1.4.2 Embedding theorem per curve lisce

Nell’ultimo paragrafo abbiamo visto che un sistema lineare d privo di punti base, su una curva liscia C, realizza un morfismo da C in uno spazio proiettivo. In particolare, per quanto si è visto nella dimostrazione della Proposizione 1.4.5, se ϕd : C −→ Pn è il morfismo corrispondente al sistema

lineare d, ϕ è un’immersione chiusa se e solo se

• d separa i punti, i.e., per ogni due punti distinti chiusi P, Q ∈ C esiste D ∈ dtale che P ∈ SuppD e Q 6∈ SuppD, e

• d separa i vettori tangenti, i.e., dato un punto chiuso P ∈ C e un vettore tangente t ∈ TP(C) = (mC,P/m2C,P)0 esiste D ∈ d tale che

P ∈SuppD, ma t 6∈ TP(D). In questo caso D è un sottoschema chiuso

localmente principale e lo spazio tangente TP(D) = (mD,P/m2D,P) 0 è in

modo naturale un sottospazio di TP(C).

Siamo pronti per enunciare il Teorema discusso a inizio sezione. Teorema 1.4.7. Sia D un divisore su una curva liscia C. Allora

1. il sistema lineare completo |D| non ha punti base se e solo se per ogni punto P ∈ C

dim |D − P | = dim |D| − 1;

2. D è molto ampio se e solo se per ogni due punti P, Q ∈ C, incluso il caso P = Q,

dim |D − P − Q| = dim |D| − 2.

Dimostrazione. Anzitutto, consideriamo la successione esatta di fasci 0 −→ OC(D − P ) −→ OC(D) −→ k(P ) −→ 0.

Passando alle sezioni globali,

0 −→ Γ(C, OC(D − P )) −→ Γ(C, OC(D)) −→ k,

per cui dim |D−P | è uguale a dim |D| oppure dim |D|−1. Inoltre, mandando un divisore E in E + P , si definisce una mappa lineare iniettiva

ϕ : |D − P | −→ |D|.

Quindi le dimensioni di questi due sistemi lineari sono uguali se e solo se ϕ è suriettiva. D’altra parte, ϕ è suriettiva se e solo se P è un punto base di |D|, così (1) è dimostrato.

(25)

Per provare il punto (2), possiamo assumere che |D| non abbia punti base. Infatti, questo è vero se D è molto ampio. Mentre, se D soddisfa la condizione del punto (2), allora

dim |D − P | = dim |D| − 1 per ogni punto P ∈ C, così |D| non ha punti base.

Per il Teorema 1.4.3, |D| determina un morfismo da C in Pn e per la

Proposizione 1.4.5, tale morfismo è un’immersione chiusa quando |D| separa i punti e separa i vettori tangenti. La prima condizione dice che per ogni due punti distinti P, Q ∈ C, Q non è un punto base di |D − P |. Per il punto (1), questo è equivalente a dire che

dim |D − P − Q| = dim |D| − 2.

La seconda condizione dice che per ogni punto P ∈ C, esiste un divisore D0 ∈ |D|in cui P ha molteplicità 1, poiché dim TP(C) = 1la dim TP(D0) = 0

se P ha molteplicità 1 in D0o dim T

P(D0) = 1se P ha molteplicità maggiore.

Allora P non è un punto base di |D − P | e, per il punto (1), dim |D − 2P | = dim |D| − 2.

Il risultato infine segue per la Proposizione 1.4.5.

Corollario 1.4.8. Sia D un divisore su una curva liscia C di genere g. 1. Se deg D ≥ 2g, allora |D| non ha punti base.

2. Se deg D ≥ 2g + 1, allora D è molto ampio. Dimostrazione.

1. In questo caso, sia D che D − P sono nonspeciali e per il Teorema di Riemann-Roch dim |D − P | = dim |D| − 1.

2. D e D − P − Q sono entrambi nonspeciali, per cui dim |D − P − Q| = dim |D| − 2sempre per il Teorema di Riemann-Roch.

Corollario 1.4.9. Un divisore D su una curva liscia C è ampio se e solo se deg D > 0.

Dimostrazione. Se D è ampio, allora esiste un multiplo di D che sia molto ampio e nD ∼ H dove H è una sezione iperpiana di un embedding proiettivo,

(26)

per cui deg H > 0 e deg D > 0. Viceversa, se deg D > 0, allora esiste n > 0 tale che deg nD ≥ 2g(C) + 1 e per il Corollario 1.4.8 nD è molto ampio, da cui D è ampio.

1.5

La mappa canonica

Data una curva liscia C, in questo paragrafo studiamo la mappa razionale indotta dal sistema lineare canonico |KC|in uno spazio proiettivo. Per curve

lisce di genere g ≥ 3 che non sono iperellittiche vedremo che questa mappa, detta mappa canonica è un embedding. In seguito, dimostreremo il Teorema di Clifford che è strettamente legato a questa discussione.

In particolare,

• se g = 0, il sistema lineare |KC|è vuoto,

• se g = 1, |KC| = 0 per cui determina la mappa costante da C in un

punto e

• per g ≥ 2, vedremo che |KC|è un sistema lineare senza punti base e

determina così un morfismo da C in uno spazio proiettivo.

1.5.1 Curve lisce iperellittiche

Lemma 1.5.1. Sia C una curva liscia di genere g ≥ 2, allora il sistema lineare canonico |KC|è privo di punti base.

Dimostrazione. Per il Teorema 1.4.7, basta provare che per ogni P ∈ C, dim |KC − P | = dim |KC| − 1. Per definizione,

dim |KC| = h0(KC) − 1 = g − 1.

Dato che g ≥ 2, C non è razionale e per il Lemma 1.4.1, dim |P | = 0 per ogni punto P ∈ C. Infine, per il Teorema di Riemann-Roch

dim |KC− P | = g − 2

come richiesto.

Definizione 1.5.1. Una curva liscia C di genere g ≥ 2 si dice iperellittica se esiste un morfismo finito f : C −→ P1 di grado 2.

Una curva liscia C, per quanto dimostrato nella sezione precedente, è iperellittica se e solo se ammette un sistema lineare di dimensione 1 e grado

(27)

2. È conveniente quindi introdurre la seguente classica notazione. Per un “sistema lineare di dimensione r e grado d” useremo il simbolo gr

d e diremo

che una curva liscia C è iperellittica se e solo se ammette una g1 2.

Se C è una curva liscia di genere 2, allora deg KC = 2 e il sistema lineare

canonico |KC|induce una g12. Quindi C è necessariamente iperellittica.

Proposizione 1.5.2. Sia C una curva liscia di genere g ≥ 2, allora KC è

molto ampio se e solo se C non è iperellittica.

Dimostrazione. Per il Teorema 1.4.7, dato che dim |KC| = g − 1, KC è molto

ampio se e solo se per ogni P, Q ∈ C, dim |KC− P − Q| = g − 3. Applicando

il Teorema di Riemann-Roch al divisore P + Q, abbiamo dim |P + Q| − dim |K − P − Q| = 2 + 1 − g.

Quindi ci chiediamo quando dim |P + Q| = 0. Se C è iperellittica, allora per ogni divisore del tipo P +Q della g1

2 abbiamo che dim |P +Q| = 1. Viceversa,

se dim |P + Q| > 0 per due punti P e Q, allora il sistema lineare |P + Q| contiene una g1

2 e C è iperellittica.

Dimostriamo ora l’esistenza e l’unicità di una g1

2 per una curva liscia

iperellittica di genere g ≥ 2.

Proposizione 1.5.3. Sia C una curva liscia iperellittica di genere g ≥ 2. Allora C ammette un’unica g1

2. Se f0 : C −→ P1 è il corrispondente morfismo

di grado 2, allora il morfismo canonico f : C −→ Pg−1 è in realtà f

0 seguita

dall’embedding di P1 in Pg−1definito come segue: se P = (a

0, a1) è un punto

di P1, allora l’immagine di P è (M

0(a), . . . , Mg−1(a)) dove gli Mi sono i

monomi di grado g − 1 nelle variabili x0, x1 e gli Mi(a) sono ottenuti per

sostituzione delle coordinate di P nelle variabili x0, x1 di Mi. In particolare,

f è un morfismo di grado 2 e ogni divisore effettivo canonico su X è una somma di g − 1 divisori nell’unica g1

2, per cui scriviamo

|KC| = g−1

X

i

g12.

Dimostrazione. Consideriamo il morfismo canonico f : C −→ Pg−1 e sia

C0 = f (C) l’immagine di f. Dato che C è iperellittica, ammette una g12. Non sappiamo ancora che è unica, per cui ne fissiamo una. Per ogni divisore P +Q ∈ g12, la dimostrazione della Proposizione 1.5.2 prova che Q è un punto base di |KC− P |, quindi f(P ) = f(Q). Dato che g12 ha un numero infinito di

(28)

e sia d = deg C0. Allora, poiché deg K

C = 2g − 2, abbiamo che dµ = 2g − 2

e d ≤ g − 1.

Sia adesso ˜C0 la normalizzazione5di C0 e sia d il sistema lineare associato

alla mappa ˜C0 −→ C0⊂ Pg−1. Allora d è un sistema di grado d e dimensione

g − 1. Dato che d ≤ g − 1, per il Lemma 1.4.1 d = g − 1, g( ˜C0) = 0per cui

˜

C0 ∼= P1 e d è l’unico sistema lineare completo su P1 di grado g − 1, ovvero |(g − 1) · P |.

Da dµ = 2g − 2 possiamo concludere che µ = 2 e dato che f collassa le coppie della g1

2 che abbiamo fissato inizialmente, f deve essere la

compo-sizione della mappa f0 : C −→ P1 con l’embedding definito nell’enunciato.

Quindi g1

2 è univocamente determinata da f.

Infine, ogni divisore canonico effettivo K su C è f−1 di una sezione

iperpiana di C0. Quindi è una somma di g−1 divisori nell’unica g1

2. Viceversa,

ogni insieme di g − 1 punti di C0 è una sezione iperpiana, per cui possiamo

identificare il sistema lineare canonico |KC| con l’insieme delle somme di

g − 1divisori di g1 2 e scriviamo |KC| = g−1 X i g12. 1.5.2 Il Teorema di Clifford

Per un divisore non speciale D su una curva liscia C, possiamo calcolare la dim |D| esattamente come una funzione del grado di D grazie al Teorema di Riemann-Roch. Invece, per un divisore speciale D, dim |D| non dipende solo dal suo grado, per cui è utile ricavare un limite per la dimensione di |D| e questo viene fornito dal Teorema di Clifford.

Teorema 1.5.4 (Clifford).

Sia D un divisore speciale effettivo su una curva liscia C. Allora dim |D| ≤ 12deg D.

Inoltre, l’uguaglianza si ottiene se e solo se D = 0, D = KC, oppure C è

iperellittica e D è un multiplo dell’unica g1 2 di C.

Lemma 1.5.5. Siano D ed E due divisori effettivi su una curva liscia C. Allora

dim |D| + dim |E| ≤ dim |D + E|.

5

(29)

Dimostrazione. Definiamo la mappa di insiemi ϕ : |D| × |E| −→ |D + E|

mandando (D0, E0) in D0 + E0 per ogni D0 ∈ |D| e E0 ∈ |E|. La mappa ϕ

è finita-a-1, poiché ogni divisore effettivo può essere scritto come somma di altri due divisori effettivi solo un numero finito di volte. D’altra parte, ϕ corrisponde a una mappa bilineare tra spazi vettoriali

H0(C, OC(D)) × H0(C, OC(E)) −→ H0(C, OC(D + E)),

ed è un morfismo quando dotiamo |D|, |E| e |D + E| con la loro struttura di spazi proiettivi. Quindi, dato che ϕ è finita-a-1, la dimensione della sua immagine è esattamente dim |D| + dim |E| e per questo abbiamo la tesi. Dimostrazione del Teorema 1.5.4. Se D è effettivo e speciale, allora anche KC− D è effettivo. Per il Lemma 1.5.5,

dim |D| + dim |K − D| ≤ dim |K| = g − 1, e per Riemann-Roch, otteniamo

dim |D| − dim |K − D| = deg D + 1 − g. Sommando queste due espressioni

2 dim |D| ≤ deg D, ovvero

dim |D| ≤ 12deg D.

Chiaramente, si ha l’uguaglianza se D = 0 o se D = KC. Quindi, per provare

la seconda parte dell’enunciato, supponiamo che D 6= 0, KC, dim |D| = 1

2deg D e proviamo che C è iperellittica e che D è un multiplo della g12.

Procediamo per induzione sul grado di D. Se deg D = 2, allora |D| è una g1

2 e C è una curva iperellittica.

Se deg D ≥ 4, allora dim |D| ≥ 2. Fissiamo un divisore E ∈ |KC − D| e

fissiamo due punti P, Q ∈ C tali che P ∈ SuppE e Q 6∈ SuppE. Dato che dim |D| ≥ 2, possiamo trovare un divisore D ∈ |D| tale che P, Q ∈ SuppD. Sia ora D0= D ∩ E e notiamo che poiché Q è nel supporto di D, ma non in

quello di E, allora Q 6∈ SuppD0 e deg D0 < deg D. D’altra parte, deg D0> 0

(30)

corta

0 −→ OC(D0) −→ OC(D) ⊗ OC(E) −→ OC(D + E − D0) −→ 0,

da cui, passando alle sezioni globali,

dim |D| + dim |E| ≤ dim |D0| + dim |D + E − D0|.

Ma E ∼ K − D e D + E − D0∼ K − D0, quindi il membro sinistro è uguale

a

dim |D| + dim |KC− D|,

che in realtà è proprio dim |KC| = g − 1 per ipotesi. Il membro destro

invece è ≤ g −1 per il Lemma 1.5.5 applicato al divisore D0.Allora si ottiene

l’uguaglianza

dim |D0| = 1 2deg D

0

e per ipotesi induttive C è una curva iperellittica.

Supponiamo infine che D 6= 0, KC e dim |D| = 12deg D e poniamo r =

dim |D|. Consideriamo il sistema lineare |D| + (g − 1 − r)g1

2

che ha grado 2g −2 e dimensione ≥ g − 1, sempre per il Lemma 1.5.5. Allora è uguale al sistema canonico KC, ma per la Proposizione 1.5.3

|KC| = (g − 1)g21,

per cui |D| = r · g1 2.

(31)

Curve integrali

Dopo aver introdotto e studiato le curve lisce, ovvero senza singolarità, dimostrando i risultati principali, passiamo alla studio delle curve integrali, ovvero ridotte e irriducibili. In questo caso, una curva potrebbe avere alcuni punti in cui l’anello locale del fascio di struttura non sia regolare, ovvero punti singolari. Per ricavare informazioni su una tale curva è necessario quindi introdurre il concetto di normalizzazione di una varietà algebrica che permette di “sciogliere” le singolarità e capirne la geometria, dare una nuova formulazione del fascio canonico e definire i divisori generalizzati.

In questo capitolo, una curva C è uno schema integrale proiettivo, di dimensione 1 su un campo algebricamente chiuso k.

2.1

Normalizzazione di una curva algebrica

Definizione 2.1.1. Uno schema si dice normale se tutti i suoi anelli locali sono domini integralmente chiusi.

Sia C una curva. Per ogni aperto affine U = SpecA di C sia ˜Ala chiusura integrale di A e sia ˜U =Spec ˜A, dotato della proiezione canonica π : ˜U −→ U. Incollando gli schemi ˜U, otteniamo uno schema ˜Cintegrale e normale, detto normalizzazione di C, dotato di una proiezione canonica π : ˜C −→ C.

Un importante oggetto di correlazione tra una curva e la sua normaliz-zazione è il conduttore.

Definizione 2.1.2. L’annullatore c del fascio di moduli π∗(OC˜)/OC si dice

conduttore di π∗(OC˜) in OC. In seguito sarà molto più utile identificare1 il

conduttore con il fascio di omomorfismi HomOC(π∗(OC˜), OC)).

1

Si veda [HS06], Lemma 2.4.2, per tale identificazione.

(32)

Il conduttore c è un fascio coerente di ideali su C e il sottoschema S ad esso associato è l’insieme dei punti di C in cui l’anello locale non è integral-mente chiuso, o equivalenteintegral-mente, non è regolare; ovvero i punti singolari di C. Posto ˜S = π−1(S), la proiezione π è un isomorfismo biregolare da ˜C r ˜S a C r S. In particolare, se ˜OC,P è la chiusura integrale di OC,P, dato che π è un morfismo finito affine, abbiamo la successione esatta corta

0 −→ OC −→ π∗( ˜OC) −→

X

P ∈C

˜

OC,P/OC,P −→ 0.

Il fascio coerente π∗( ˜OC)/OC è concentrato in S, per cui per ogni P ∈ C è

ben definito δP =length( ˜OC,P/OC,P).

Dalla successione esatta lunga indotta in coomologia, si ottiene pa(C) = pa( ˜C) +

X

P ∈C

δP

e se pa(C) = 0, C è nonsingolare.

Vediamo infine un semplice risultato che descrive il fascio di ideali in un punto singolare di una curva C, in relazione alla normalizzazione e allo scoppiamento2 in quel punto.

Lemma 2.1.1. Sia P un punto singolare di una curva C, ˜C la normaliz-zazione di C, ˆC lo scoppiamento di C in P e π : ˜C −→ C, p : ˆC −→ C le rispettive mappe naturali. Allora il fascio HomOC(mP, OC) è in modo

natu-rale immerso in π∗OC˜ o più precisamente nel sottofascio p∗OCˆ. Dove mP è

il fascio di ideali associato a P su C.

Dimostrazione. Dato che P è punto singolare c ⊂ mP, quindi esiste una

mappa naturale

i : HomOC(mP, OC) −→ HomOC(c, OC) = π∗OC˜.

Siano f1, . . . , fr elementi di OC,P che inducono una base per mC,P/m2C,P e

tali che fi non sia un divisore degli zeri.

Sia ψ ∈ HomOC(mP, OC) e poniamo ψ(fi) = ϕi. Allora per ogni f ∈

mC,P abbiamo

ψ(f · fi) = f · ψ(fi) = fiψ(f ),

quindi ψ(f) = f ·ϕi

fi (stiamo lavorando nell’anello delle frazioni kP di OC,P).

Osserviamo che ϕi non può essere un elemento invertibile, infatti se fosse

2

Lo scoppiamento di un punto singolare per una varietà è un argomento classico della geometria algebrica. Per una costruzione rigorosa si veda [Har13], I,4 - II,7.

(33)

tale, fj = ϕj · fi· ϕ−1i contro la lineare indipendenza delle fi modulo m2C,P.

Ma allora ψ è la moltiplicazione per la funzione razionale ϕi

fi =

ϕj

fj che è

regolare su ˆC e realizza l’iniettività della mappa i.

2.2

Il fascio dualizzante

Se C è una curva con singolarità il fascio canonico introdotto nella prima sezione non è ben definito. Dimostriamo che su uno schema proiettivo X esiste un fascio coerente ω◦

X che gioca lo stesso ruolo nella teoria duale. In

particolare, se lo schema X è di Gorenstein, abbiamo un teorema di dualità molto simile a quello per curve nonsingolari.

2.2.1 Esistenza e unicità

Teorema 2.2.1 (Dualità per Pnk). Sia X = Pn

k su un campo k e sia ωX = ΛnΩX/k il fascio canonico su X.

Allora:

1. Hn(X, ω

X) ∼= k. Fissato un tale isomorfismo;

2. per ogni fascio coerente F su X, la mappa k-bilineare naturale Hom(F , ωX) × Hn(X,F ) −→ Hn(X, ωX) ∼= k

è una mappa perfetta tra k-spazi vettoriali di dimensione finita; 3. per ogni i ≥ 0 esiste un isomorfismo funtoriale

Exti(F , ω

X) −→ Hn−1(X,F )0

e per i = 0 è la mappa indotta dal punto (2).

Prima di passare alla dimostrazione del teorema enunciamo alcuni utili risultati algebrici.

Teorema 2.2.2 ([Har13], III, 5.1.). Sia A un anello noetheriano e sia X = PrA, con r ≥ 1. Allora: 1. la mappa naturale S = A[x0, . . . , xr] −→ Γ∗(OX) = M n∈Z H0(X, OX(n))

(34)

2. Hi(X, O

X(n)) = 0per 0 < i < r e per ogni n ∈ Z;

3. Hr(X, O

X(−r − 1)) ∼= A;

4. la mappa naturale

H0(X, OX(n)) × Hr(X, OX(−n − r − 1)) −→ Hr(X, OX(−r − 1)) ∼= A

è una mappa k-bilineare perfetta di A-moduli liberi finitamente generati, per ogni n ∈ Z.

Teorema 2.2.3([Ser55], Teorema 2, n°66). Sia X uno schema proiettivo su un anello noetheriano A, OX(1) un fascio invertibile molto ampio su X e

sia F un OX-modulo coerente. Allora esiste un intero n0 tale che per ogni

n ≥ n0, il fascio F (n) può essere generato da un numero finito di sezioni

globali.

Lemma 2.2.4. Sia X uno schema proiettivo su un anello noetheriano A, allora ogni fascio coerente F su X può essere scritto come un quoziente di un fascio E , dove E è una somma diretta finita di fasci OX(ni), con ni interi

opportuni.

Dimostrazione. Per il Teorema 2.2.3 F (n) è generato da un numero finito di sezioni globali, allora abbiamo una mappa suriettiva

N

M

i=1

OX −→F (n) −→ 0.

Tensorizzando per OX(−n) otteniamo N

M

i=1

OX(−n) −→F −→ 0

come richiesto.

Dimostrazione del Teorema 2.2.1. 1. Dalla teoria3 sui fasci di Pn

k, ωX ∼= OX(−n − 1), per cui (1) segue dal

punto (3) del Teorema 2.2.2.

2. Se F ∼= OX(q), per q ∈ Z, allora Hom(F , ωX) ∼= H0(X, ωX(−q))e si

conclude per il punto (4) del Teorema 2.2.2. Quindi (2) è vero anche per una somma diretta finita di fasci della forma OX(qi). Se F è un

3

(35)

fascio coerente arbitrario su X, allora F può essere realizzato come il cokernel di una successione esatta di fasci E1 −→E0−→F −→ 0, dove

ogni Ei è una somma diretta di fasci OX(qi). Dato che Hom(·, ωX) e

Hn(X, ·)0 sono entrambi funtori controvarianti esatti a sinistra, per il Lemma dei 5

Hom(F , ωX) ∼= Hn(X,F )0.

3. Exti(·, ω

X) e Hn−i(X, ·)0 sono entrambi δ-funtori controvarianti. Per

i = 0abbiamo isomorfismo per il punto (2), quindi per provare gli altri isomorfismi è sufficiente provare che entrambi i funtori siano cancellabili per i > 0. Dato un fascio coerente F , per il Lemma 2.2.4, possiamo scrivere F come quoziente di un fascio E = LN

i=1OX(−q), con q 

0. Allora Exti(E , ωX) = L Hi(X, ωX(q)) = 0 per i > 0. D’altra

parte, Hn−i(X,E )0=L Hn−i(X, O

X(−q))0 che è 0 per i > 0. Quindi

entrambi i funtori sono cancellabili per i > 0, per cui i δ-funtori sono universali4 e isomorfi.

Definizione 2.2.1. Sia X uno schema proprio di dimensione n su un campo k. Un fascio dualizzante per X è un fascio coerente ω◦

X su X assieme a un

morfismo traccia t : Hn(X, ω

X) −→k, tale che per ogni fascio coerente F

su X, la mappa naturale Hom(F , ω◦

X) × Hn(X,F ) −→ Hn(X, ω◦X)

seguita da t, realizza un isomorfismo Hom(F , ω◦

X) ∼

−→ Hn(X,F )0.

Proposizione 2.2.5. Sia X uno schema proprio su un campo k. Allora un fascio dualizzante per X, se esiste, è unico. Più precisamente, se ω◦ è un

fascio dualizzante con traccia t e ω0 con t0 ne è un altro, allora esiste un

unico isomorfismo ϕ : ω◦ −→ ω∼ 0 tale che t = t0◦ Hn(ϕ).

Dimostrazione. Dato che ω0 è dualizzante, abbiamo un isomorfismo

Hom(ω◦, ω0) ∼

= Hn(ω◦)0.

Per cui esiste un unico morfismo ϕ : ω◦ −→ ω0 corrispondente all’elemento

t ∈ Hn(ω◦)0, ovvero tale che t0◦ Hn(ϕ) = t. Analogamente, esiste un unico

4

(36)

morfismo ψ : ω0−→ ωtale che t ◦ Hn(ψ) = t0.Allora t ◦ Hn(ψ ◦ ϕ) = t. Ma

dato che ω◦ è dualizzante, ψ ◦ ϕ è la mappa identità di ω. Analogamente

ϕ ◦ ψ è la mappa identità di ω0, per cui ϕ è un isomorfismo.

Lemma 2.2.6. Sia X un sottoschema chiuso di codimensione r di P = PNk, allora Exti

P(OX, ωP) = 0 per i < r.

Dimostrazione. Per ogni i, il fascio Fi= Exti

P(OX, ωP)è un fascio coerente

su P , per cui per un intero sufficientemente grande q, Fi(q) è generato da

sezioni globali per il Teorema 2.2.3. Per provare che Fi è nullo, è sufficiente

dimostrare che Γ(P, Fi(q)) = 0per q  0. Dalle proprietà del funtore Ext5,

abbiamo

Γ(P,Fi(q)) ∼=ExtiP(OX, ωP(q))

per q  0. D’altra parte, per il punto (3) del Teorema 2.2.2, il gruppo Ext è lo spazio duale di HN −i(P, O

X(−q)). Allora, per i < r, N − i > dim X e

questo gruppo è 0.

Lemma 2.2.7. Sia X un sottoschema chiuso di codimensione r di P = PNk e sia ω◦

X = ExtPr(F , ωP). Allora per ogni OX-modulo F esiste un isomorfismo

funtoriale

HomX(F , ω◦X) ∼=ExtrP(F , ωP).

Dimostrazione. Sia 0 −→ ωP −→I• una risoluzione iniettiva di ωP. Dato

che F è un OX-modulo, ogni morfismo F −→ Ii fattorizza attraverso

Ji = Hom

P(OX,Ii), per cui

Exti

P(F , ωP) = Hi(HomX(F , J•)).

Ogni Ji è un O

X-modulo iniettivo, infatti,

HomX(F , Ji) =HomP(F , Ii),

per cui HomX(·,Ji) è un funtore esatto. Inoltre, per il Lemma 2.2.6,

hi(J•) = 0 per i < r e il complesso J• è esatto fino al passo r. Dato che i Ji sono iniettivi, la successione esatta spezza fino al passo r.

Que-sto significa che possiamo scrivere il complesso come somma diretta di due complessi iniettivi J• =J

1 ⊕J2•, dove J1• è nei gradi 0 ≤ i ≤ r esatta,

mentre J•

2 è nei gradi i ≥ r. Da cui segue che ωX◦ = ker(dr:J2r−→J2r+1)

e che per ogni OX-modulo F

5

(37)

HomX(F , ω◦X) ∼=ExtrP(F , ωP).

Proposizione 2.2.8. Sia X uno schema proiettivo su un campo k, allora X ha un fascio dualizzante.

Dimostrazione. Sia X un sottoschema chiuso di P = PN

k per N opportuno,

sia r la sua codimensione e sia ω◦

X = ExtPr(OX, ωP). Per il Lemma 2.2.7

abbiamo un isomorfismo per ogni OX-modulo F ,

HomX(F , ω◦X) ∼=ExtrP(F , ωP).

D’altra parte se F è un fascio coerente, il Teorema 2.2.1 realizza un isomor-fismo

Extr

P(F , ωP) ∼= HN −r(P,F )0.

Ma N − r = n è la dimensione di X e F è un fascio coerente su X, per cui otteniamo un isomorfismo funtoriale

HomX(F , ω◦X) ∼= Hn(X,F ) 0

. In particolare, prendendo F = ω◦

X, l’elemento 1 ∈ Hom(ωX◦, ω◦X)realizza un

omomorfismo t : Hn(X, ω

X) −→ k che consideriamo come traccia. Allora,

per funtorialità, (ω◦

X, t)è un fascio dualizzante per X.

In particolare, se X è una curva C abbiamo provato che il fascio dualiz-zante ω◦

C esiste ed è unico.

Un altro importante risultato6 afferma che per una varietà proiettiva

senza punti singolari il fascio dualizzante è isomorfo al fascio canonico. Per cui denoteremo il fascio dualizzante per uno schema proiettivo X con ωX,

esattamente come il fascio canonico.

2.2.2 Dualità

Definizione 2.2.2. Sia A un anello e sia M un A-modulo, una successione x1, . . . , xr di elementi di A si dice regolare per M se x1 non è un divisore

di M e per ogni i = 2, . . . , r, xi non è divisore di M/(x1, . . . , xi−1)M. Se

A è un anello locale con ideale massimale m, allora la profondità di M, depthM, è la massima lunghezza di una successione regolare x1, . . . , xr di

6

(38)

M con ogni xi ∈ m. Queste definizioni si applicano all’anello stesso A e un

anello noetheriano A si dice di Cohen-Macaulay se depthA = dim A. Definizione 2.2.3. Uno schema X si dice di Cohen-Macaulay se ogni suo anello locale è di Cohen-Macaulay.

Enunciamo il Teorema di dualità7 per tali curve discusso a inizio

para-grafo.

Teorema 2.2.9. Se X è uno schema proiettivo di Cohen-Macaulay su un campo algebricamente chiuso k, allora per ogni fascio coerente F su X, esistono naturali isomorfismi funtoriali

θi:Exti(F , ωX◦) −→ H1−i(C,F )0,

per i = 0, 1. Dove θ0 è la mappa che realizza il fascio dualizzante su X.

Definizione 2.2.4. Una schema X si dice di Gorenstein se il suo fascio dualizzante ω◦

X è invertibile.

La caratterizzazione algebrica che contraddistingue una curva di Goren-stein è data dalla seguente identificazione.

Lemma 2.2.10 ([Har66], V, 9). Sia C una curva. Allora C è una curva di Gorenstein se e solo se ogni suo anello locale (A, m, k) è di Gorenstein, ovvero Ext0

A(k, A) = 0 e ExtA1(k, A) ∼= k.

Osserviamo che per un anello di Cohen-Macaulay A, richiedere che la profondità di ogni ideale di A coincida con la sua altezza equivale a richiedere in coomologia che Exti

A(K, A) = 0 per i < dim A, dove K è il campo dei

residui di A. Quindi, per il Lemma 2.2.10, ogni schema di Gorenstein è anche uno schema di Cohen-Macaulay e il Teorema 2.2.9 si applica alle curve di Gorenstein.

Concludiamo dimostrando un risultato che mette in relazione i fasci dualizzanti, dato un morfismo tra gli schemi associati.

Proposizione 2.2.11. Sia π : Y −→ X un morfismo finito di schemi proiettivi tali che dim Y = dim X = n, allora

ωY ∼= HomOX(π∗OY, ωX). 7

(39)

Dimostrazione. Sia F un fascio coerente su Y , allora8 per definizione di

fascio dualizzante

Hn(Y,F )0 = Hn(X, π∗F )0 ∼=HomOX(π∗F , ωX)

=HomOY(F , HomOX(π∗OX, ωX)).

Quindi, per la proprietà universale del fascio dualizzante su Y , ωY ∼=HomOY(F , HomOX(π∗OX, ωX)).

2.3

Divisori generalizzati

Come è stato ampiamente svolto nel primo capitolo, per studiare le pro-prietà di una curva algebrica è importante trovare una corrispondenza fra divisori e fasci algebrici coerenti. Infatti, nel caso di una curva liscia C, abbiamo sfruttato a pieno le potenzialità delle rispettive corrispondenze  Divisori su C  ↔  Divisori di Cartier su C  ↔  Fasci invertibili su C 

Nel caso di una curva (integrale) con singolarità un divisore non è necessaria-mente anche un divisore di Cartier, poiché nei punti singolari potrebbe non essere localmente principale, ovvero, il corrispettivo ideale nell’anello locale non sarebbe principale.

D’altra parte, come abbiamo visto nella seconda sezione, anche il fascio dualizzante potrebbe essere non invertibile e non corrispondere al divisore canonico KC.

Per porre un rimedio a queste problematiche è sufficiente richiedere che il fascio dualizzante sia invertibile e introdurre il concetto di divisore generaliz-zato per una curva di Gorenstein, seguendo il lavoro svolto da R. Hartshorne, [H+86].

Definizione 2.3.1. Sia C una curva integrale. Un ideale frazionale di C è un sottofascio di K(C) non nullo e un OC-modulo coerente. Allora un

divisore generalizzato su C è un ideale frazionario su C e denotiamo con GDiv(C)l’insieme di tutti i divisori generalizzati su C.

8

Infatti, π∗ porta un OX-moduloG in HomOX(π∗OY,G ) assieme alla moltiplicazione

per gli elementi di π∗OY che lo rende un OY-modulo, identificando la categoria degli

OY-moduli su Y con gli OX-moduli su X. In particolare, per ogni OY-modulo F e

per ogni OX-moduloG esiste un isomorfismo canonico bifuntoriale HomOX(π∗F , G ) ∼=

(40)

Osserviamo che GDiv(C) contiene il sottoinsieme dei fasci di ideali non nulli coerenti su C che corrispondono ai sottoschemi chiusi di dimensione 0 di C. Diremo che tali divisori generalizzati sono effettivi su C.

GDiv(C) contiene inoltre il gruppo degli ideali frazionali localmente principali CDiv(C), che sono esattamente i divisori di Cartier su C.

Se Z è un divisore generalizzato e D è un divisore di Cartier, definiamo la somma Z + D come la moltiplicazione dei corrispondenti ideali frazionali. In questo modo il gruppo CDiv(C) agisce sull’insieme GDiv(C). Dato che ogni ideale frazionale F può essere scritto localmente come f−1 ·I

Z per

f ∈ OC e IZ ⊂ OC, ogni divisore generalizzato può essere scritto nella

forma Z +(−D) dove Z è un divisore effettivo generalizzato e D è un divisore effettivo di Cartier.

Per un divisore generalizzato Z definiamo il grado di Z, deg Z, come la lunghezza del fascio di struttura OZ corrispondente alla sottovarietà chiusa

di C, notando che lengthOZ = h0(OZ). Per linearità il grado si estende a una

mappa GDiv(C) −→ Z, che ristretta a CDiv(C) è l’usuale omomorfismo del grado per i divisori di Cartier.

Per ogni divisore generalizzato Z, corrispondente a un ideale frazionale I ⊂ K(C), definiamo il suo inverso −Z come l’inverso dell’ideale frazionale I−1 che localmente è {f ∈ K(C)|f · I ⊂ O

C} e quindi −Z è un altro

divisore generalizzato. Per stabilire le buone proprietà di questa operazione, enunciamo il seguente Lemma.

Lemma 2.3.1. Sia C una curva di Gorenstein e F un fascio coerente privo di torsione su C. Allora

1. Exti

OC(F , OC) = 0 per ogni i > 0

2. F è riflessivo, ovvero F∨∨∼=F .

Dimostrazione. Il problema è locale, per cui possiamo considerare l’anello locale A di un punto chiuso di C e la spiga di F in quel punto come un A-modulo M finitamente generato e privo di torsione. Se M ha rango r, possiamo pensare M ⊂ Kr, dove K è il campo dei quozienti di A. Scegliendo

un opportuno comune denominatore per i generatori di M, possiamo trovare un’inclusione M ⊂ Ar e la successione esatta

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