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4.1 Il gioco delle forme

4.1.1 Il framework teorico:Gestalt e integrazione visuomotoria

Il gioco delle forme si propone di valutare, misurare, ed “allenare”, tramite un attività ludica ad elevato grado di coinvolgimento corporeo, le abilità di integrazione visuo-motoria, abilità ritenute, dalla letteratura scientifica, strettamente vincolate ai processi di apprendimento e riportate al centro del dibattito pedagogico dalla recente attenzione alla componente legata all’elaborazione visuo-spaziale presente nei disturbi specifici di apprendimento. Già nel 1960, una lunga serie di studiosi, fra i quali ricordiamo Lefford, Bruner, Hunt, Piaget e Vereecken, avevano sviluppato “teorie che sostenevano una base sensomotoria nello sviluppo dell’intelligenza e dell’apprendimento. Secondo i loro studi, “i più alti livelli di pensiero e di comportamento richiedono una qualche integrazione tra gli input sensoriali e le azioni motorie”(K. E. Beery, 1967). Alcuni task motori come il ricopiare forme geometriche elementari erano però stati oggetto di ricerca fin dagli inizi del ‘900. Numerosi studi avevano infatti dimostrato che copiare forme geometriche correlava in modo significativo con determinate funzioni psicologiche . L’autore del V.M.I. test (Visual-Motor Integration test) rilevò ,negli anni ‘60, una correlazione tra tali abilità e:

 Il rendimento scolastico (.50-.70).  Le abilità di lettura (.40-.60) .  Il rendimento nell’aritmetica  Il quoziente d’intelligenza

In particolare l’abilità di copiare forme geometriche era stata oggetto di un dettagliato studio da parte della psicologia della Gestalt.

Tali studi affondano le proprie radici nelle ricerche effettuate sulla percezione, ed in particolare sulla percezione visiva, da parte di Wertheimer, che, nel 1910, fornì una prima formulazione di gestalt.

 Si percepiscono oggetti come un tutto e non come la somma di singole sensazioni

 Gli elementi fondamentali della percezione sono forme strutturate in determinati modi (gestalt).

Nel 1912 Wertheimer pubblicò una ricerca sul fenomeno "phi", un particolare tipo di movimento chiamato apparente perché viene percepito pur non esistendo nella realtà (Max Wertheimer, 1912). L’esperimento effettuato da Wertheimer sul “fenomeno phi” consisteva nel presentare due luci proiettate su uno schermo a una certa distanza l'una dall'altra, la cui accensione era separata da un breve intervallo temporale.

Lo studioso notò che quando l’intervallo temporale, che separava l’accensione delle luci, scendeva sotto una determinata soglia (200 millisecondi), i soggetti dell’esperimento dichiaravano di non percepire più due stimoli discreti, ovvero l’accensione due luci separate immobili, ma un'unica luce in movimento dalla prima alla seconda posizione.

Wertheimer diede molta importanza a questo fenomeno perché in esso due stimoli stazionari (le luci) danno origine ad una percezione unitaria di movimento (la luce che scorre dall’una all’altra posizione), dunque la nostra percezione non può essere in questo caso spiegata riducendola alle sue componenti elementari.

Il fenomeno phi dimostrava, infatti, come il fatto percettivo non fosse analizzabile tramite la scomposizione in stimoli elementari; il movimento della luce (ovvero il dato più importante che emergeva a livello percettivo) sarebbe infatti stato distrutto da un processo di analisi, che avrebbe portato solo a trovare degli stimoli stazionari e discreti. Secondo la psicologia della forma, quindi, quando percepiamo un oggetto non abbiamo a che fare con un insieme di sensazione frammentarie, che vengono analizzate e poi riunite in una sintesi, ma abbiamo sempre di fronte un’unità strutturata.

Nel 1923 Wertheimer formulò, partendo da queste basi, una serie di leggi atte a spiegare come gli stimoli percettivi vengono organizzati in forme:

 Legge della vicinanza, gli stimoli percettivi vengono organizzati in gestalt sulla base della loro distanza. Quanto meno sono distanti, tanto più è probabile che verranno raggruppati in forme.  Legge della somiglianza, gli stimoli che presentano proprietà comuni (colore, densità,

dimensione tendono a organizzarsi in forme strutturate.

 Legge del moto comune, gli stimoli che si muovono solidalmente tendono a essere percepiti come unità.

 Legge della chiusura, le forme chiuse vengono percepite meglio delle aperte. (M. Wertheimer, 1923)

Generalmente si potrebbero sintetizzare queste leggi affermando che gli stimoli tendono a raggrupparsi in forme in base al loro grado di omogeneità, quanto più sono fra loro omogenei, tanto più è elevata la possibilità che si raggruppino in una gestalt (Katz & Arian, 1950; Köhler & De Toni, 1998).

Partendo da queste basi teoriche la psicologa Lauretta Bender pubblica nel 1928 la presentazione di un test atto a studiare la struttura visuo-motoria nell’adulto (Bender, 1938). La Bender ribadisce in questo testo la necessità di considerare come un tutto gli stimoli percettivi (gli oggetti) e le risposte dell’organismo ad essi (la strutturazione percettiva), tuttavia essa si distacca dal pensiero di Wertheimer su due punti principali:

 L’evolutività dei fattori di strutturazione.

 La necessità di integrare la percezione nella sua componente espressiva.

La funzione di strutturazione visuo-motoria, infatti, costituiva per la psicologa una funzione in stretto rapporto con l’intelligenza, il linguaggio, il vissuto spazio-temporale e l’autrice riteneva che essa appartenesse ai livelli più alti della cognizione, in una prospettiva di funzionalismo gerarchizzato della personalità. Esaminando l’evoluzione delle capacità di riproduzione grafica, la Bender risale allo studio della maturazione visuo-motoria che si modifica articolandosi da una iniziale attività primitiva a forme via via più complesse, modificate dalle esperienze percettive, attraverso una continua interazione senso-motoria (Bender Gestal Test). E’ utile però precisare che la serie di forme presentate nel test della Bender non costituisce una sequenza evolutiva, questo perché lo scopo primario del test non era quello di valutare e misurare le abilità di integrazione visuo-motorie in soggetti in età evolutiva, ma quello di individuare soggetti adulti in stato patologico.