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Il giornalismo transnazionale e la rivoluzione tecnologica satellitare

I. 6.3 ‘Abd Rabbuh Mansur Hadi

II.1 Il panorama mediatico arabo

II.1.2 Il giornalismo transnazionale e la rivoluzione tecnologica satellitare

Dalla metà degli anni Ottanta e per tutto il corso degli anni Novanta, si assistette a un nuovo fenomeno. In seguito all’emigrazione di un gran numero di giornalisti durante la diaspora araba, numerose testate stabilirono la propria sede in Europa, in particolare nelle grandi città di Londra, Parigi e Roma.

È questo il periodo in cui la stampa, pur assistendo a un aumento nella sua diffusione, caratterizzato da un vivace dibattito culturale ma mancante di orientamento politico, si trovò a dover fuggire dalle costrizioni imposte da una critica orientata non più soltanto contro il dissenso interno, ma che colpiva anche ogni commento negativo verso qualsiasi attore dello scacchiere politico mediorientale. In Europa, invece, i giornalisti ebbero la possibilità di scrivere con libertà di espressione e i loro articoli poterono essere pubblicati in tutto il mondo grazie alla tecnologia satellitare.

Tra le testate giornalistiche che nacquero e si affermarono in questo periodo, le più importanti furono Al Sharq Al Awsat (Al-Šarq Al-Awsaṭ)98, Al Hayat (Al-Ḥayât)99, Al Quds Al Arabi (Al-Quds Al-‛Arabî)100.

Inoltre, negli anni Novanta anche i lettori arabi divennero bisognosi di ricevere notizie e si orientarono verso un consumo attivo, preferendo le fonti occidentali che ritennero più complete.

Tale atteggiamento divenne evidente in particolare nel corso della prima guerra del Golfo101. Al paragone con i media arabi, quelli occidentali si presentarono senza dubbio come i più preparati a fornire un quadro esaustivo del conflitto, nonostante la differenza linguistica e, più in generale, la mancanza di un punto di vista condiviso. Il caso rappresentativo fu il ruolo assunto dalla CNN, la cui copertura mediatica ne fece l’emittente televisiva leader nel campo dell’informazione di guerra. Fu proprio l’importanza del ruolo ricoperto dalla CNN nel

98 «Il Medio Oriente». È stato il primo quotidiano transnazionale, fondato da un gruppo saudita a Londra nel

1977. Di stampo moderato e conservatore, il giornale è di proprietà del principe Faisal, figlio di Salman bin Abdal Aziz, il quale ne acquisì l’80% della proprietà nel 1999. Cfr. Valeriani, Il giornalismo arabo, 25.

99 «La vita». È uno dei più diffusi quotidiani panarabi. Fu fondato in Libano nel 1946, e trasferì la propria sede a

Londra nel 1987. È stato lentamente acquisito dal principe saudita Khalid bin Sultan, la sua linea editoriale si presenta più critica rispetto all’avversario Al Sharq Al Awsat ed è rivolta soprattutto alle questioni internazionali. Cfr. Valeriani, Il giornalismo arabo, 25.

100 «La Gerusalemme araba». Fondato a Londra nel 1989 da immigrati palestinesi, è un quotidiano panarabo

indipendente, finanziato con sottoscrizioni e sostegni economici provenienti da vari stati e organizzazioni, tra cui l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. La sua linea editoriale conferisce grande importanza alla questione palestinese; presenta inoltre una pagina di traduzioni della stampa israeliana. Ibid., 26.

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corso del conflitto iracheno che scatenò la reazione nel mondo arabo, il quale rispose con la fondazione di canali satellitari arabi102.

Secondo Alterman103, sono tre i fattori essenziali che portarono allo sviluppo di canali satellitari nel mediascape arabo: (1) la risposta multilaterale all’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nella cosiddetta Operazione Desert Storm; in effetti la copertura mediatica di quest’ultima da parte dei canali all news occidentali mise in evidenza la capacità degli arabi di rappresentare il corso delle vicende secondo il proprio punto di vista e la mancanza in generale di competitors arabi nel campo dell’informazione; (2) la nascita di ARABSAT (‛Arab Sât )104, un consorzio di membri degli stati della Lega Araba, che lanciò il proprio satellite in orbita nel 1985105 (anche in concomitanza al fatto che la tecnologia che permetteva la ricezione del canale satellitare conobbe un progresso significativo sia da un punto di vista quantitativo che in quello qualitativo, nella riduzione dei costi e nelle migliori condizioni di trasmissione106); (3) l’emergere di una classe professionale formatasi all’estero, soprattutto in Occidente, e abituatasi ad una prospettiva più orientata verso il consumatore. Questo gruppo contribuì alla formazione di un mercato basato sul libero accesso ai canali satellitari, finanziati sia dai ricavi delle pubblicità sia dai costi di sottoscrizione degli utenti.

La presenza di questi fattori portò dunque alla nascita di nuovi canali in Medio Oriente, i quali avevano il fine di porsi come competitors della controparte occidentale. I principali media che si affermarono in questo periodo furono: Middle East Broadcasting Center (MBC)107, canale satellitare di proprietà saudita,il primo ad essere definito come“la CNN del mondo arabo”; Orbit Communications Company108

,di proprietà del gruppo saudita Al Mawarid Holding; Arab Radio and Television (ART)109, un canale di proprietà saudita basato principalmente su programmi di intrattenimento, con riferimento al format della televisione

102

Valeriani, Il giornalismo arabo, 41.

103Jon B. Alterman, “New Media New Politics?: From Satellite Television to the Internet in the Arab World”,

Washington for Near East Policy, 1998,16-19:

https://www.washingtoninstitute.org/uploads/Documents/pubs/PolicyPaper48.pdf. Consultato il 15/01/2016.

104 Acronimo di Arab Satellite Communications Organization (Munaẓẓamat al-Ittiṣâlât al-Faḍâʼiyya al-

‛Arabiyya), il maggior provider di comunicazioni satellitari della regione MENA.

105 Da segnalare anche la nascita della piattaforma satellitare Nilesat (Nâîl Sât), nel 1996, che radunò sotto di sé i

canali satellitari egiziani.

106 Cfr. Alterman “New Media New Politics?”, 16: «As satellite become more powerful and occupy lower orbits

in the sky, there will likely be a continued increase in broadcasting capacity as well as a continuing diminution in the size and cost of satellite dishes».

107

In arabo: Markaz Tilfizîûn Al-Šarq Al-ʼAwsaṭ. È stata la prima compagnia satellitare del mondo arabo, di proprietà saudita, fondata nel 1991 a Londra. Attualmente la sua sede è a Dubai, nel Media Center, in cui è stata spostata nel 2002. Cfr. Valeriani, Il giornalismo arabo, 41.

108 In arabo: Šarikat ʼÛrbit li-l-ʼIttiṣâlât. Nel 2009, in seguito ad una fusione, il canale è diventato Orbit

Showtime Network (ŠabakatʼÛrbit Šûtâîm), noto anche come OSN.

109

In arabo:Šabakat Râdîû wa Tilfizîûn Al-‛Arab. ART, dopo essersi separato dai canali sportivi, cedette i restanti a OSN e annunciò così la chiusura del suo network nel 2009.

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occidentale; Lebanese Broadcasting Corporation (LBC)110, molto popolare nel campo dell’intrattenimento e, ovviamente, Al Jazeera, di cui parleremo più avanti.

Fu subito evidente il ruolo dominante che l’Arabia Saudita, grazie ai propri investimenti nel settore, assunse all’interno del nascente settore ed esercitò sotto la forma di un controllo diretto su un doppio binario: da un lato verso le scelte editoriali dei media, mai in contrasto con la propria visione, dall’altro la proprietà sulle pubblicità delle grandi multinazionali, le quali risiedono in terra saudita111:

The Kingdom has been pursuing a monopoly strategy which enables it either to claim or to own the bulk of Arab newspapers, magazines and Arab satellite channels which are likely to contribute to forming and informing Arab public opinion in an attempt to absorb any criticism of the Saudi regime.112

Caratteristica che accomunò tutti questi network fu inoltre il fatto che essi, pur tendendo ad emulare la struttura dei palinsesti dei canali occidentali, non riuscirono a differenziarsi nei contenuti. Sarà Al Jazeera il primo canale a unificare una forma di stampo occidentale con un contenuto diverso e prettamente arabo, in grado di rivaleggiare con gli avversari occidentali.

Iniziarono dunque a delinearsi fin da subito le potenziali problematiche poste dall’uscita dal ferreo controllo dei regimi degli stati-nazione, grazie all’apertura di uno spazio transnazionale: le sfide alla sicurezza (ovvero l’utilizzo di queste nuove comunicazioni da parte del terrorismo) e l’affermarsi di nuove forme di arabismo in gradi di unire un pubblico che fosse il più vasto possibile: «A media driven transnational movement that is uniting Arabs across international borders»113. Questi movimenti unitari possono essere creati sia attraverso legami laici basati sull’arabicità, come il panarabismo, sia riferiti alla comune appartenenza alla Umma islamica. Non bisogna dimenticare che, essendo il prodotto dei media orientato verso il commercio, esso deve essere competitivo e tendere sempre ad aumentare la propria

audience.

Tali movimenti si contrapposero fin dai primi anni Sessanta nel cosiddetto «duopolio Egitto-Arabia Saudita114» che terminò con l’effettiva estromissione dell’Egitto dal sistema a seguito della firma della firma dei trattati di Camp David115.

110 In arabo: Al-Muʼassasa Al-Lubnâniyya li-l-ʼIrsâl. 111

Cfr. Simone Sibilio “La rivoluzione dei (nuovi) media arabi”, in Le rivoluzioni arabe: La transizione

mediterranea, Francesca M.Corrao (a cura di), Milano: Mondadori, 2011, 81-109.

112 Mohammed El Oifi, “Influence Without Power: Al Jazeera and the Arab Public Sphere”, The Al Jazeera

Phenomenon: Critical Perspective on New Arab Media, in Zayani, Mohamed (ed.),Londra: Pluto Press, 2005,

70.

113

Stein e Weimberg, “Preface” in Alterman,” New Media New Politics?”, x.

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