VI. Conclusioni
2. La “ Filosofia Lean”
2.5 Il Miglioramento Continuo – Kaizen
Kaizen è la composizione di due termini giapponesi, KAI (cambiamento, miglioramento) e ZEN (buono, migliore), e significa appunto cambiare in meglio, miglioramento continuo. La vision della strategia Kaizen è quella del rinnovamento a piccoli passi (incoraggiare ogni persona ad apportare ogni giorno piccoli cambiamenti il cui effetto complessivo diventa un processo di selezione e miglioramento dell’intera Organizzazione), da attuarsi quotidianamente, con continuità, in radicale contrapposizione con concetti quali innovazione, rivoluzione e conflittualità di matrice squisitamente occidentale.Il kaizen è una metodologia che ha lo scopo di ripensare continuamente i processi di produzione, al fine di eliminare progressivamente lo spreco. Coinvolge tutti i settori dell’azienda, in particolare il miglioramento della qualità e la riduzione dei tempi di spedizione.
2.5.1 Il Ciclo Kaizen
L’implementazione di un modello di gestione Kaizen presuppone:
Un'elevata ingegnerizzazione dei processi in fase di progettazione; Il massimo controllo sui processi sulla falsa riga del Ciclo di Deming.
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Questo modello tende a ridurre al massimo i controlli a valle (test distruttivi e non, misurazioni empiriche e verifiche direttamente sui prodotti) e a monte in favore dei controlli concomitanti e presuppone un atteggiamento proattivo generale finalizzato all’eccellenza. In sintesi, il ciclo Kaizen può essere definito come:
Ricerca della standardizzazione massima delle operazioni, dei processi e delle attività; Misurazione dei processi (non quindi degli output di processo), delle operazioni e delle attività con riferimento al consumo di risorse ed ai cicli temporali per l’esecuzione;
Valutazione delle misurazioni e non dei requisiti dei processi e progressivo miglioramento;
Innovazione solo quando il processo ha esaurito le possibilità di ulteriori sviluppi e dunque perde di efficienza e di conseguenza di legittimazione;
Standardizzazione dell’innovazione ed implementazione attraverso un Blitz (cfr. infra Kaizen Blitz) minimizzando i tempi fra concezione ed applicazione;
Ripetizione del ciclo ad infinitum.
Questo risultato viene raggiunto attraverso la costituzione di gruppi di lavoro misti di manager e lavoratori che mettono in comune le loro esperienze con l’obiettivo di incrementare l’efficienza dei processi. Se eseguito correttamente, permette di raggiungere anche notevoli risultati indiretti, tra cui:
Rendere il posto di lavoro più vivibile (sia mentalmente che fisicamente) ;
Formare i lavoratori all’uso di un metodo scientifico per individuare gli sprechi e sperimentare nuovi miglioramenti.
Il kaizen coinvolge tutti i livelli di un’organizzazione, in maniera individuale o in piccoli o grandi gruppi (è comunque consigliata la costituzione di piccoli gruppi che operino per migliorare i processi nei quali sono direttamente coinvolti) ed è basato sul principio che tanti piccoli miglioramenti, se messi insieme, conducono a grandi risultati. La metodologia che sta alla base, evidenzia il concetto di “imparare facendo”, che si pone in contrasto rispetto alla filosofia del “comandare e controllare” alla base dei programmi di miglioramento utilizzati nel secolo scorso. La sua applicazione si rifà al cosiddetto ciclo di Deming o PDCA (Plan-Do-
Check-Act) in cui i cambiamenti devono essere pianificati, eseguiti, controllati e di nuovo
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precedenza pervenendo ad un quadro di sintesi chiarificativo. Non bisogna dimenticare che l’obiettivo primario della lean production è tendere rigorosamente e sistematicamente all’annullamento totale dello spreco (obiettivo zero), non alla sua semplice riduzione. Infatti ogni pilastro ha un proprio obiettivo zero:
- JIT= Zero Scorte; - Jidoka= Zero Difetti; - TPM= Zero Fermi; - WO= Zero Inefficienze.
Questi singoli obiettivi, che concorrono ad ottenere Zero Sprechi, si trasformano in Valore percepito dal Cliente, in termini di qualità, di costo e di tempo.
Fig. 7- La Casa della Lean Production
Sulla base di quanto espresso, all’interno del gruppo Piaggio, tale approccio al miglioramento continuo ha permeato tutti i livelli dell’organizzazione, definendo, attraverso il PPS, un
“modus operandi” che può essere considerato ormai standardizzato ed a cui fanno
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seguito, la trattazione prosegue con un’ulteriore breve descrizione di altri strumenti Lean attraverso cui quotidianamente si ricerca il miglioramento continuo e che sono parte integrante della filosofia gestionale sposata dal gruppo Piaggio.
2.5.2 Flusso teso e applicazione del JIT
Il JIT (Just in Time) è la migliore metodologia di produzione attualmente disponibile per l’attuazione delle filosofia pull, la quale però comprende una visione molto più ampia, che riguarda direttamente il rapporto con il cliente. E’ infatti nel diverso modo di interpretare l’orientamento al cliente che il sistema pull si diversifica da quello push: infatti mentre nei sistemi occidentali (tradizionalmente push), si ritiene che l‘orientamento al cliente vada raggiunto tramite una grande capacità di fornitura e quindi tramite l’accumulo di giacenze, nella filosofia pull si riscontra un diverso approccio, per cui l’orientamento al cliente viene raggiunto tramite una grande reattività e quindi garantendo bassi tempi di attraversamento della catena produttiva (lead time). La filosofia alla base dei sistemi produttivi di tipo pull prevede infatti che la produzione di un certo bene inizi soltanto dopo che la domanda si è manifestata, cioè si produce per soddisfare una domanda realmente presente. Spostandoci a ritroso, dal cliente finale verso lo stabilimento, osserviamo che per lo stesso principio ogni processo a monte viene attivato solo da una richiesta del processo più a valle, per cui se a valle non si ha un effettivo consumo, la conseguenza è che a monte non si produce, ed è in questo contesto che entra in gioco il JIT. La diffusione di questa metodologia porta come conseguenze più immediate a una drastica riduzione delle scorte e all’accelerazione del ritorno degli investimenti (ROI), ma il risultato più rivoluzionario, è rappresentato senz’altro dalla “capacità di progettare, programmare e realizzare esattamente quello che il cliente vuole nel momento in cui lo vuole e permettere di buttare via le previsioni di vendita per fare semplicemente quello di cui i clienti dicono di avere bisogno” (Womack e Jones 1996). Il JIT è una metodologia di gestione della produzione mirata a produrre solo i quantitativi di ogni referenza richiesti nel breve periodo. Ogni prodotto deve essere approntato “quando serve” e non prima, di conseguenza le scorte, non devono esistere, o tutt’al più costituiscono piccole riserve che assicurano il rifornimento tra un centro di lavorazione e il successivo. Una delle caratteristiche vincenti del JIT è quindi la flessibilità operativa, cioè la capacità degli impianti di produrre un mix molto variato nel breve periodo e produrre lotti molto piccoli o addirittura unitari.
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Il JIT si fonda pertanto su quattro punti cardine:
Produrre a lotti unitari: in primo luogo si devono ottimizzare i setup (SMED) in quanto
lunghi tempi di attrezzaggio comporta un aumento dei costi unitari di produzione e una riduzione della capacità produttiva e della flessibilità. E’ necessario che i macchinari abbiano un elevatissima affidabilità (TPM), in quanto in un flusso tirato, la rottura di un impianto blocca totalmente la catena di produzione causando ritardi non colmabili. In un secondo momento è auspicabile un programma di progressiva modifica ella tecnologia produttiva, ovvero una sostituzione dei macchinari più grandi e potenti, con attrezzature più piccole e flessibili, adatte a produrre anche singoli pezzi.
Bilanciare i ritmi dei reparti:
è fondamentale che tutti i reparti producano con lo stesso intervallo di uscita tra un pezzo e il successivo. Per un impiego equilibrato di materiali e manodopera all’interno dello stabilimento, all’identificazione del takt time (tasso di richiesta del mercato per ogni articolo da produrre che varierà al variare della domanda), deve seguire una intensa attività di bilanciamento dei flussi produttivi che può essere attuata all’interno di ogni processo tramite l’introduzione del metodo heijunka.
Implementare un perfetto sistema di trasmissione delle informazioni: i sistemi
occidentali utilizzano a tal fine sistemi di Material Requirement Planning (MRP) per definire la produzione di ogni reparto. Lo svantaggio di tali sistemi è nell’estrema complessità di gestione delle numerose informazioni e nel fatto che ogni cella riceve un programma di produzione che non tiene conto di quello che accade a monte o a valle; questo causa una mancanza di sincronia nella produzione, e l’accumulo di scorte o ritardi. A questo metodo il JIT contrappone il metodo kanban (scheda, cartellino), che non necessita di alcuna programmazione esterna, relegando così il ruolo dell’MRP a semplice strumento per gestire gli ordini e all’approvvigionamento dei materiali.
Creare un Layout di stabilimento adeguato: è necessario predisporre un layout in cui
si ottimizzi la sequenza delle lavorazioni interne ai singoli processi, evitando qualunque movimento non necessario e qualsiasi altro tipo di spreco, tramite la revisione della posizione delle singole celle o postazioni, solitamente ispirandosi alla
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logica delle U cells (disposizione delle postazioni lungo un percorso a U). L’ottimizzazione deve coinvolgere anche la disposizione dei reparti produttivi all’interno dello stabilimento.