2. Finitude e Culpabilité
2.5 Simboli secondari: i miti
2.5.3 Il mito adamitico
Ecco che Ricoeur giunge all’analisi del mito antropologico per eccellenza, ossia il mito di Adamo, che viene privilegiato su tutti gli altri miti. Secondo il filosofo francese, soltanto il mito adamitico può definirsi pienamente antropologico, in quanto, al suo interno, l’origine del male è attribuita ad un antenato dell’uomo. Inoltre, il mito adamitico tenta di sdoppiare l’origine del male e del bene: “l’intention de ce mythe est de donner consistance à une origine radicale du mal distincte de l’origine plus originaire de l’être-bon des choses »279
. Questo mito è l’unico a presentare l’essere umano come principio del male. Ulteriore motivo per cui, secondo Ricoeur, il mito adamitico è il mito antropologico per eccellenza è il fatto che, in esso, non è presente solamente la figura di Adamo, ma vi sono altre figure, che decentrano il racconto, ad esempio quella di Eva e quella del Serpente. Il mito adamitico nasce come mito che propugna l’insorgenza del male all’interno della dimensione di una creazione già
278
FC, pag. 439.
134 compiuta e già buona. La struttura del mito può essere riassunta, secondo Ricoeur, in queste poche parole: un sol uomo, un sol atto, ossia attraverso un unico evento è scaturito l’intero male della storia, attraverso due soli gesti, prendere il frutto e mangiarlo, è terminato il tempo dell’innocenza, il cosiddetto paradiso perduto, e ha avuto inizio il tempo della maledizione, l’istante della caduta. A questo punto, tutta la condizione umana si ritrova sotto il simbolo della pena: la pena di essere uomo. Ancora una volta, torna la teoria di San Paolo, secondo la quale è la legge stessa ad indurre l’essere umano al peccato e Ricoeur arriva alla conclusione che la caduta non riguarda soltanto l’uomo, ma anche la legge stessa.
Il mito adamitico riflette la conclusione alla quale arriverà il filosofo svizzero Jean-Jacques Rousseau, ossia l’essere umano è buono per natura, ma egli è conosciuto solo all’interno di uno stato di civiltà, all’interno del quale si rivela depravato280
. Anche Kant arrivò alla medesima conclusione, all’interno di un’opera, cui abbiamo già accennato, ossia La religione entro i limiti della sola ragione. Finora abbiamo esposto una prima interpretazione del mito adamitico, ma ne è presente una seconda, che si concentra sulla figura del serpente. Esso si rivela come figura di transizione, che si lega, a sua volta, ad un’altra figura, presente nel mito, quella della donna, Eva. L’evento drammatico si instaura tra il serpente e la donna, nel momento in cui il serpente insinua il dubbio nella mente di Eva riguardo al divieto istituito da Dio. Ecco il momento in cui scaturisce nell’uomo una brama di infinità, il cosiddetto desiderio del desiderio, da cui nasce la possibilità di caduta. La finitezza, a questo punto, si rivela insopportabile per l’essere umano, il tormento circa il momento presente si profila come la nostra vera natura. Questa finitezza “est une finitude instable, prête à virer au mauvais infini ; sa
finitude, en tant que finitude éthique, est facile à séduire par perversion de la limite qui
280
Rousseau J.J., Discorso sull’ineguaglianza e i fondamenti dell'ineguaglianza tra gli uomini, Trad. it. di Gerratana, Editori Riuniti, Roma, 2006.
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le constitue. Ce n’est pas la libido humaine qui est occasion de chute, c’est la structure
d’une liberté finie. C’est en ce sens que le mal était possible par la liberté »281
. Il male, all’interno del mito adamitico, fuoriesce dalla struttura propria della libertà umana finita. Il serpente diviene, allora, in questa prospettiva, una parte di noi stessi, che l’essere umano non riconosce, ma esso rappresenta l’uomo che seduce se stesso. Il serpente può presentarsi come la proiezione psicologica della concupiscenza; esso non si esaurisce con l’essere una parte di noi stessi, ma si rivela come qualcosa dell’essere umano e qualcosa del mondo, parte del microcosmo e parte del macrocosmo. Ancora una volta, torna l’idea dell’essere umano come “malvagio in seconda”282, in quanto è malvagio a causa di qualcosa, ossia a causa della seduzione.
All’interno del mito adamitico, Ricoeur torna ad affrontare la tematica del perdono: il perdono avviene attraverso la figura di un personaggio misterioso, che trasforma i nostri peccati nella sua sofferenza; di conseguenza, il perdono si rivela come un rapporto interpersonale con questa figura, la quale si sacrifica per l’essere umano. Questa relazione enigmatica si basa, da una parte, su un dono e, dall’altra, su una accettazione. L’espiazione, per mezzo della sofferenza volontaria, viene interpretata da Ricoeur come chiave di volta della concezione di perdono. Ulteriore termine che si accosta all’idea di perdono è guarigione: perdono e guarigione sono manifestazioni dell’avvento del nuovo regno nel vecchio.
Per quanto riguarda la preminenza del mito adamitico su tutti gli altri, essa non significa affatto una loro definitiva eliminazione, bensì i miti rivivono all’interno del mito privilegiato: “il mito adamitico, per la sua complessità e le sue tensioni interne,
riafferma a gradi variabili l’essenziale degli altri miti”283
. Ecco in che modo nasce la possibilità della circolarità tra i miti, che implica il passaggio da una statica dei miti ad 281 FC, pag. 469. 282 Ivi, pag. 526. 283 Ivi, pag. 582.
136 una loro dinamica, rappresentante una lotta dei miti fra loro. Ulteriore caratterizzazione del mito adamitico è il suo essere antitragico, ma, nonostante ciò, Ricoeur rileva al suo interno diversi aspetti tragici, quali, per esempio, la figura del serpente, che esplica il suo senso tragico nell’essere già presente e già malvagio, ma non solo: la figura di Adamo stesso si rivela tragica, in quanto egli possiede un mistero, ossia “un fondo di
peccabilità”284
, orizzonte stesso del male.