2. Finitude e Culpabilité
2.6 Le symbole donne à penser
“Le symbole donne à penser” è la frase che racchiude in sé buona parte della filosofia ricoeuriana. Ricoeur scelse di collocarla alla conclusione di Finitude et Culpabilité288, ma essa non rimarrà imprigionata tra queste pagine, bensì evolverà verso una sua fase ermeneutica, che farà la propria comparsa negli anni successivi al 1960. Dopo aver analizzato la simbolica del male e la funzione dei miti e dei simboli, è possibile già intuire cosa stia a significare il motto di Ricoeur. “Le symbole donne à penser” esprime, allo stesso tempo, due concetti: prima di tutto, il simbolo dà senso e
287
FC, pag. 572.
139 dà anche ciò su cui pensare; l’aforisma ricoeuriano indica che ogni cosa si trova già sotto forma di enigma. Il dono proprio del simbolo viene dato all’uomo all’interno della disciplina ermeneutica, grazie alla quale è possibile arrivare ad intendere diverse realtà.
“Bisogna comprendere per credere, ma bisogna credere per comprendere”289
, ecco il cosiddetto circolo ermeneutico, appendice di Le symbole donne à penser: esso rivela che per comprendere è necessario avvicinarsi a ciò che riguarda il testo, ossia credere al testo stesso. Il primo momento dell’interpretazione sarà, quindi, costituito dalla comprensione. Il motto ricoeuriano del circolo è fortemente influenzato dal teologo Rudolf Karl Bultmann290, il quale affermava che il presupposto di ogni atto di comprensione è un legame intenso tra l’interprete ed il soggetto del testo interpretato. Ricoeur riprenderà, poi, il confronto con Bultmann nell’introduzione scritta proprio da Ricoeur alla pubblicazione francese di un testo dello stesso Bultmann, Jésus, mythologie et démythologisation291, accorpata, in un secondo momento, in Le conflit des interprétations 292.
Tornando al circolo ermeneutico, esso non viene influenzato solamente da Bultmann, ma anche dal filosofo tedesco Heidegger, il quale, in Sein und Zeit, porta alla luce la circolarità presente tra comprendere ed interpretare: il senso scaturisce dal generarsi nell’interpretazione di ciò che è già presente nella comprensione. Il circolo dell’ermeneutica si rivela di vitale importanza perché rende ancora oggi possibile intraprendere una comunicazione col sacro e superare l’oblio in cui era imprigionato. Questa è una prima tappa verso un’ermeneutica filosofica. La consapevolezza del circolo rivela il tendere verso un pensare autonomo, che si contrappone ad una mera ripetizione senza credenza. Il circolo dell’ermeneutica, secondo Ricoeur, deve, ad un
289 Ivi, pag. 627.
290 Bultmann Rudolf Karl, (Wiefelstede 1884–Marburgo 1976), teologo evangelico tedesco. 291
Ricoeur P., Introduction à Jésus, mythologie et démythologisation, Seuil, Paris, 1968.
140 certo momento, poter essere superato ed il superamento può avvenire solo trasformando il circolo stesso in una particolare scommessa: la scommessa riguarda il fatto che per avviare una migliore comprensione dell’uomo e del rapporto tra il suo proprio essere e l’essere di tutti gli altri essenti, sarà necessario avvalersi del pensiero simbolico. Se il simbolo porta alla luce la realtà dell’uomo entro la quale egli vive ed esiste, allora la filosofia si dovrà far guidare dal simbolo in questa intricata riflessione.
Con l’affermazione “Le symbole donne à penser”, Ricoeur muta completamente la prospettiva, cui finora era ancorato: non più la realtà vissuta, non più l’esperienza umana danno da pensare, ma è il simbolo ad assumere il ruolo protagonista all’interno dell’analisi. Una filosofia che scaturisca dal simbolo si delinea, secondo Ricoeur, attraverso una struttura anselmiana: essa coglie l’uomo già lì, insediato all’interno del proprio fondamento. La filosofia proviene dal simbolo e di continuo vi ritorna, ma non per questo essa perde la propria autonomia, in quanto la riflessione filosofica nasce comunque in un contesto storico, geografico, culturale inevitabile, cui è intimamente legata ed all’interno del quale si ritrova anche il simbolo. Assistiamo, così, ad una deviazione della concezione ricoeuriana, un cosiddetto detour, attraverso la simbolica: il detour ricoeuriano nasce dalla stessa ricerca sull’involontario, che conduce il filosofo francese alla conclusione che il soggetto non può essere ammesso per via diretta oppure immediata all’interno di un pensiero chiarificante, ma attraverso un percorso più lungo, che coinvolge le risorse simboliche. Jean Greisch ipotizza che l’aforisma ricoeuriano, Le symbole donne à penser, propugni una sorta di compartecipazione tra il filosofo ed il poeta: ritengo che questa ipotesi possa trovare una sua legittimazione, anche in vista del progetto ricoeuriano, che riguarda La Poétique de la Volonté, di cui tratteremo più avanti.
141 Le symbole donne à penser non costituisce solo la conclusione di Finitude et Culpabilité, ma appare come titolo ed argomento di un saggio apparso sulla rivista francese “Esprit”293 un anno prima della pubblicazione di Finitude et Culpabilité, nel 1959. Leggendo l’articolo di Ricoeur, si trovano parti che verranno riprese integralmente, senza alcuna modifica, in Finitude et Culpabilité, come per esempio la criteriologia del simbolo e “l’oubli des hiérophanies, oubli des signes du Sacré”294, ma anche la netta contrapposizione tra simbolo ed allegoria. I personaggi con i quali Ricoeur si confronta, all’interno di questo articolo, sono Eliade, Freud, Schelling, Bachelard, Bultmann, come abbiamo già potuto constatare nella conclusione di Finitude et Culpabilité. Ci sono anche alcune parti nuove ed inedite molto interessanti. Mi sto riferendo all’analisi che Ricoeur conduce a proposito del comprendere e che si sviluppa secondo tre diverse tappe: la tappa fenomenologica, la tappa ermeneutica e, infine, la tappa de “la pensée à partir du symbole”295
. All’interno di quest’ultima tappa, definita da Ricoeur come quella propriamente filosofica, ritroviamo i concetti ormai a noi familiari di souillure, di mal, di déviation, di insurrection, di errance e di perdition. Ricoeur definisce qui la sua nuova tendenza filosofica come “déduction transcendantale du symbole”296
: il richiamo è, naturalmente, alla dottrina kantiana della deduzione trascendentale, che propone di giustificare un concetto a partire dalla possibilità della costituzione di un campo d’oggettività. Inserito all’interno di questa prospettiva, « le symbole employé comme déchiffreur de la réalité humaine est « déduit », au sens technique du mot, lorsqu'il est vérifié par son pouvoir de susciter, d'éclairer, d'ordonner tout un champ d'expérience humain »297. Questo è proprio il caso dei simboli e dei miti del male, che possiedono la straordinaria capacità di fare luce sulla natura enigmatica
293
Ricoeur P., Le symbole donne à penser, in « Esprit » 27/7-8, 1959.
294 Ivi, pag. 2. 295 Ivi, pag. 14. 296 Ivi, pag. 17. 297 Ibidem.
142 dell’uomo. Ma l’espressione di deduzione trascendentale del simbolo non soddisfa pienamente Ricoeur, in quanto essa, trattando il simbolo come un semplice rivelatore della coscienza di sé, ne elimina la sua funzione ontologica. Ed è a questo punto che, ancora una volta, entra in gioco Heidegger, secondo il quale l’interpretazione dei simboli si presenta come un’elaborazione degli esistenziali, che si fanno portavoce delle possibilità principali del Dasein. Alla conclusione della trattazione ricoeuriana sul simbolo, finalmente esso può presentarsi come una ierofania, ossia una manifestazione del legame dell’uomo col Sacro.
Enigmatica la conclusione dell’articolo presente in “Esprit” nella quale Ricoeur cita il frammento 93 del filosofo greco Eraclito, che recita così: “Le roi dont l'oracle est à Delphes ne parle pas, ne dissimule pas, il fait signe (sêmaïneï)”298
. Secondo Ricoeur, questo frammento ripete la sua sentenza iniziale, Le symbole donne à penser, sotto un’altra forma, certamente più oscura. In questo frammento si rivive l’esperienza del sacro sotto la forma del segno, in quanto il signore fa una sola cosa: indica. L’articolo del 1959 e la conclusione di Finitude et Culpabilité sono solo un piccolo assaggio del cambiamento che avverrà nella filosofia di Ricoeur con l’ingresso del filosofo francese in ciò che egli stesso definisce come il conflitto delle interpretazioni299, che rivela quella svolta antisoggetivistica, cui abbiamo già accennato in riferimento al cogito, tipica di ciò che Ricoeur definisce come strutturalismo. L’ambito del simbolo, che interessa a Ricoeur, si trasformerà con l’avanzare delle sue riflessioni nella metafora e nel racconto300. Il detour ricoeuriano si radicalizzerà nel momento in cui egli verrà a contatto con l’ambiente universitario nordamericano: a Chicago ed a Toronto, avviene
298
Eraclito, Sulla natura, in Hermann Diels, Walther Kranz, I presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di Pasquinelli A., Einaudi, Torino, 1976.
299
Ricoeur P., Le conflit des interprétations, cit.
300
Ricoeur P., La métaphore vive, cit.
Ricoeur P., Temps et récit I, Éditions du Seuil, Paris, 1983, Trad. it. di Grampa G., Tempo e racconto, volume I, Jaca Book, Milano, 1986.
143 l’incontro tra Ricoeur e la filosofia analitica, la teoria linguistica e la critica letteraria, incontro che porterà il filosofo francese ad inedite scoperte. A loro volta, gli interpreti americani si mostrano interessati alla filosofia ricoeuriana, in particolare alla sua dimensione linguistica, alle sue analisi riguardanti la problematica del testo e la teoria generale dell’interpretazione. Il rapporto di stima tra Ricoeur e gli studiosi d’oltreoceano è chiaramente reciproco.
Ricoeur, a cose fatte, tornerà a riflettere sul suo modo di interpretare il simbolo ed affermerà a tal proposito: “L’interpretazione che avevo praticato ne La simbolica del male era stata spontaneamente concepita come una interpretazione amplificante, voglio dire una interpretazione attenta al sovrappiù di senso incluso nel simbolo, che la riflessione aveva il compito di liberare nello stesso tempo in cui essa doveva arricchirsene. Designavo talvolta questa interpretazione con il termine infelice di interpretazione ricuperatrice (…). Rimane che questa interpretazione amplificante si opponeva sempre, senza dirlo e senza nemmeno saperlo, ad una interpretazione riduttrice che, nel caso della colpa, mi sembra fosse illustrata dalla psicoanalisi freudiana”301
. Ricoeur rivela, in questa sua sorta di confessione, un primo modo di fare ermeneutica, che si risolve nello svelare simboli e trova nello stesso simbolo uno stimolo per la riflessione stessa. Ma la via intrapresa da Ricoeur è quella lunga, come abbiamo precedentemente spiegato, che porta ad una lenta e prolungata interpretazione dei simboli, senza prendere scorciatoie. Possiamo concludere che, ancora una volta, ci si presenta davanti agli occhi l’importanza che i cosiddetti textes mineurs di Ricoeur rivestono per la futura riflessione filosofica: l’articolo comparso su “Esprit” e l’aforisma posto alla conclusione di Finitude et Culpabilité non sono che un punto di partenza per approdare verso nuove e spesso inesplorate terre.
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