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La symbolique du mal tra simboli primari e simboli secondari

2. Finitude e Culpabilité

2.3 La symbolique du mal tra simboli primari e simboli secondari

Il secondo libro di Finitude et Culpabilité segna il passaggio definitiva dalla fallibilità alla colpevolezza, ossia dalla possibilità da parte dell’essere umano di realizzare il male alla sua piena realtà. Secondo un’immagine di Michel Philibert, attraverso la simbolica del male, “commence la longue traversée du Désert qui sépare le voyageur de la Terre promise de l’ontologie”230

Ancora una volta, Ricoeur si trova costretto a cambiare il proprio metodo di lavoro, rivolgendosi verso una fenomenologia della confessione ed una simbolica dei miti. Per motivare la scelta del metodo verso la simbolica dei miti, Ricoeur si premura, prima di tutto, di dare una definizione di mito: “On entendra ici par mythe ce que l’histoire des religions y discerne aujourd’hui: on point une fausse explication par le moyen d’images et de fables, mais un récit traditionnel, portant sur des événements arrivés à l’origine des temps et destiné a fonder l’action rituelle des hommes d’aujourd’hui et de manière générale à instituer toutes les formes d’action et de pensée par lesquelles l’homme se comprend lui-même dans son monde » 231. Il mito ha una funzione strettamente simbolica: mitica e simbolica sono legate tra loro, all’interno del discorso filosofico, in quanto il mito rimanda a ciò che Ricoeur definisce come linguaggio della confessione, ossia un linguaggio che, da cima a fondo, si rivela simbolico. È attraverso il linguaggio della confessione e la sua propria fenomenologia che viene portata alla luce la coscienza di colpa ed è proprio questo lo scopo di Ricoeur; la confessione dei peccati presenta diversi strati di esperienza, quali l’impurità, il peccato e la colpevolezza, che prenderemo in esame nel prossimo capitolo. La confessione, secondo Ricoeur, non deve mai soppiantare la

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Philibert M., Paul Ricoeur ou la liberté selon l’espérance,cit., pag. 71.

112 filosofia: essa si trova fra gli interessi della filosofia, in quanto la confessione è, a tutti gli effetti, una parola pronunciata dall’essere umano sul proprio essere, sulle proprie colpe e suoi propri peccati.

Per attuare una simbolica del male, Ricoeur delinea una breve e concisa criteriologia del simbolo, che verrà poi ripresa in Essai sur Freud, e nella quale individua tre principali dimensioni del simbolo: la dimensione cosmica, la dimensione onirica e la dimensione poetica. Il simbolo di natura cosmica s’impianta sul mondo, sui suoi aspetti e sui suoi elementi, quali il cielo, il sole, la luna: “le sacré est montré dans un fragment du cosmos”232

. Il simbolo cosmico raccoglie un insieme di intenzioni che fanno parlare, afferma Ricoeur. Per quanto riguarda la dimensione onirica, essa viene collegata alla sua funzione psichica: il simbolo, in questo caso, rappresenta un punto di partenza per divenire se stessi. Cosmos e Psiche sono facce della stessa medaglia e trovano il proprio complemento all’interno della modalità poetica del simbolo, dove il simbolo si fa portavoce dell’espressività allo stato nascente, in quanto esso situa il linguaggio nel suo affiorare, come affermava Gaston Bachelard233, filosofo che influenzò Ricoeur attraverso la sua fascinazione del poetico.

Veniamo, ora, alla definizione generale di simbolo: “Que les symboles soient des signes, cela est certain: ce sont des expressions qui communiquent un sens; ce sens est déclaré dans une intention de signifier véhiculée par la parole »234. Ricoeur precisa che non ogni segno è un simbolo, in quanto i segni cosiddetti tecnici sono del tutto trasparenti e non intendono dire altro rispetto a quello che già dicono, mentre i segni simbolici sono opachi, ossia il primo senso, letterale ed evidente, rimanda già ad un senso secondo. Ricoeur prende le distanze dall’interpretazione riduttiva della logica

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Ivi, pag. 213.

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Bachelard Gaston, La poétique de l’espace, PUF, Paris, 1957.

113 formale nei confronti del simbolo: il simbolo non semplifica né assolutizza, bensì rappresenta la complessità e l’ambiguità di ogni discorso. Ricoeur nell’analisi del simbolo viene influenzato da Jaspers, come è possibile constatare in Gabriel Marcel et Karl Jasper. Philosophie du mystère et philosophie du paradoxe235 ed in Karl Jasper et la philosophie de l’existence236

. Jaspers ha una concezione molto particolare del simbolo: egli ritiene che il simbolo, chiamato anche cifra, sia il modo in cui la trascendenza può essere esperita dall’essere umano.

Si vengono, così, a delineare i due protagonisti de La symbolique du mal, ossia mito e simbolo: il simbolo è ritenuto da Ricoeur più radicale rispetto al mito, il quale si rivela essere una sorta di simbolo, che adotta la forma del racconto e si sviluppa in un tempo ed in uno spazio. A questo proposito, Ricoeur riporta un esempio tratto dalla Bibbia: l’esilio rappresenta un simbolo primario dell’alienazione umana, mentre la storia di Adamo ed Eva, esiliati dal Paradiso, è un racconto mitico. Ricoeur al fine di leggere miti e simboli deve rinunciare a qualsiasi pretesa di sapere assoluto, facendo propria l’interpretazione e la situazione di conflitto, che ne consegue. La ricostruzione del simbolo da parte di Ricoeur non è un mero lavoro di interpretazione, ma ha come scopo finale di far fuoriuscire l’uomo contemporaneo dall’oblio: “Le moment historique de la philosophie du symbole, c’est celui de l’oubli et de la restauration. Oubli des hiérophanies, oubli des signes du sacré, perte de l’homme lui-même en tant qu’il appartient au sacré”237

.

Il confronto con la coscienza moderna circa la natura del simbolo si muove secondo tre linee principali: la prima di carattere epistemologico riguarda la distinzione

235 Ricoeur P., Gabriel Marcel et Karl Jasper. Philosophie du mystère et philosophie du paradoxe, cit.,

pp. 370 ss.

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Ricoeur P., Karl Jasper et la philosophie de l’existence, en collaboration avec Dufrenne M., Seuil, Paris, 1947, pp. 286 ss.

114 tra simbolo ed allegoria, poiché il simbolo non è allegoria, in quanto diverso è il tipo di correlazione. Ricoeur, a tal proposito, cita Pépin238, il quale ha compreso in maniera esemplare la questione. La seconda linea riguarda un processo di demitizzazione, che rivela una miticità residua e, infine, una terza linea che si confronta a livello critico con la riduzione freudiana del simbolo. I simboli, secondo Ricoeur, sono come le idee innate della filosofia ed essi sorgono dalla contingenza delle civiltà. Egli studia miti e simboli per comprendere l’entrata del male nel mondo e nella vita dell’essere umano, ma la questione che più gli sta a cuore è sempre il rapporto tra la libertà umana e la Trascendenza. Altra motivazione importante che indirizza il filosofo francese verso miti e simboli è il desiderio di distinguere la culpabilité dalla finitude: su questo punto Ricoeur si rivolge, ancora una volta, a Jaspers, a Nabert ed alla filosofia esistenziale, convinto del fatto che l’essere umano è accidentalmente colpevole, non necessariamente.

Per quanto riguarda la struttura di La symbolique du mal, ancora una volta, Ricoeur elabora la propria riflessione su tre diversi livelli: il primo riguardante i simboli primari, la souillure, la péché et la culpabilité, il secondo rappresentante i miti del principio e della fine e, infine, il terzo, che tratta di speculazioni teologiche gnostiche ed antignostiche. In realtà, La symbolique du mal si ferma al secondo livello dei tre, appena descritti: la discussione sui simboli speculativi è rinviata al terzo tomo di Finitude et Culpabilité ed ecco che si presenta una prima frattura nell’ordine della composizione ternaria abituale di Ricoeur. Ulteriore rottura nell’ordine ternario: se la prima parte dell’opera si divide in tre capitoli, come di consueto, la seconda parte consta, invece, di quattro capitoli, corrispondenti ai quattro miti del principio e della fine, il dramma della

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115 creazione, la visione tragica dell’esistenza, il mito adamitico ed il mito dell’anima esiliata.

Con il progetto di La symbolique du mal, per Ricoeur non muta solo il metodo di lavoro, ma egli si trova accanto nuovi compagni di viaggio, non più solo ed unicamente filosofi, ma anche storici, esegeti, studiosi di mitologia, giuristi e teologi. Nonostante questi nuovi partners, dal punto di vista filosofico, il secondo libro di Finitude et Culpabilité segue un fil rouge, che si rivela pienamente kantiano: l’intera analisi ricoeuriana ha il proprio culmine nel servo arbitrio, che esplica la compresenza di libertà e schiavitù e rimanda, a sua volta, alla contemporaneità kantiana della disposizione al bene e della tendenza al male tipica dell’essere umano. Dall’altra parte, invece, la mitica ricoeuriana sembra indirizzarsi verso una prospettiva dai lineamenti tipicamente hegeliani, riguardante la salvezza nella storia. La tensione tra Kant e Hegel raggiunge il proprio culmine all’interno della voce Mythe dell’Encyclopaedia Universalis239: “L’alternativa tra Kant e Hegel è imbarazzante; non li può certo prendere insieme o assommare”240, allora, l’unica soluzione, per Ricoeur, è ridimensionare il loro contrasto.

Ulteriore punto di riferimento importante in Finitude et Culpabilité, dal punto di vista fenomenologico, è Mircea Eliade241 per il suo concetto di manifestazione, ossia dell’epifania del sacro, che si rivela come potenza, potere, forza e si esplicita nella forma della ierofania, non in una modalità verbale, bensì estetica. Ogni manifestazione del sacro è importante per Eliade. Terminata l’introduzione a La symbolique du mal, Ricoeur muove verso le modalità principali del male, partendo dalla più antica, la souillure, fino ad arrivare alla culpabilité.

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Mythe, in Encyclopaedia Universalis, vol.II, Paris, 1971.

240

Ivi, pag. 551.

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