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Il mondo del lavoro e gli operatori sociali

Non abbiamo qui certo l'ambizione di trattare del mondo del lavoro nel-l'Unione Sovietica.1 Cercheremo solo di esporre come vengano affrontati in quel Paese problemi analoghi a quelli che formano oggetto del servizio sociale aziendale.

• Per tutta la parte delle cosidette « pratiche » sono ben funzionanti i Comi-tati Sindacali di fabbrica, a cui si affiancano talvolta Centri di Consultazione giuridica a carattere volontario,2 composti di operai della fabbrica, giuristi, esperti di previdenza sociale, ecc., con vari compiti di consulenza gratuita, interventi per ristabilire diritti lesi, aiuto alle Commissioni per le controversie di lavoro e alle Corti amichevoli, propaganda della legislazione vigente, ecc.

Più complesso è naturalmente il discorso sul disadattamento lavorativo. Per un verso si riconosce che esso può derivare da difficoltà a livello fami-liare, e si fanno allora intervenire le organizzazioni volontarie. Ecco un esempio:

La Pravda del 2 dicembre 1966 sotto la rubrica « Vita del Partito», scrive: «L'umore dell'individuo!... Oh! se si potesse cronometrare come si abbassa bruscamente la capacità produttiva dell'operaio che per qualche motivo è addolorato o turbato!...

In tali condizioni il lavoratore di solito non sta al passo con la norma e può commettere anche degli sbagli. Da un lato ciò ha ripercussioni economiche, riflettendosi sui risultati del lavoro del gruppo; d'altro lato reca all'individuo un determinato danno sul piano morale ».

Questa formulazione ancora fresca e ingenua di un problema che da noi è ormai vivisezionato da tutti i lati, potrebbe benis-simo servire da prolusione a un discorso sull'inserimento del servizio sociale aziendale.

Nell'URSS invece essa evoca una risposta d'altro tipo: « E' dovere della Sezione di Partito — prosegue l'arti-colo — aiutare l'operaio, alleviare la sofferenza del suo cuore, fare in modo che il lavoro diventi per1 lui una gioia ».

Così ad esempio è avvenuto nell'auto-officina n. 1 di T. « L'ope-raio V. E., sempre alacre e fiducioso nelle sue forze, un giorno improvvisamente si rabbuiò, si lasciò andare, cominciò a lavorare male. Che cosa era successo? Si chiarì che il figlio, adolescente, gli stava sfuggendo di mano. Aveva piantato la scuola e in casa non dava retta a nessuno ». Quali i provvedimenti?

« La Sezione di Partito della fabbrica incaricò i comunisti (cioè i membri del Partito) compagni di lavoro di F. di interessarsi quali fossero i gusti del figlio. Risultò che il ragazzo era un fanatico giocatore di foot-ball. In casa, chissà perché, non vedevano la cosa di buon occhio. Si trattò di parlare coi genitori e coi dirigenti del club sportivo aziendale. In brevissimo tempo il giovane fu iscritto alla sezione di foot-ball, e i rapporti familiari si normalizzarono. V. F., come si suol dire, ha ripreso fiato».

Noi qualificheremmo quanto meno « rudimentale » la procedura del tratta-mento; ma evidentemente esso, nel contesto locale, ha una certa efficacia.

Ma che avviene se il disadattamento ha origine propriamente lavorativa? Non sappiamo se questo fenomeno si manifesti in misura inferiore o supe-riore rispetto al nostro Paese.

Un possibile fattore di disadattamento è l'iperqualificazione del lavoratore rispetto alla attività svolta, fenomeno # che specie in certi settori tende ad accentuarsi a causa dell'elevamento del livello di istruzione che progredisce con ritmo più rapido della tecnica aziendale.3 D'altro canto in URSS la pos-sibilità di cambiare lavoro è assai facilitata dalla diffusa carenza di mano d'opera, e comunque il lavoratore ha molte possibilità di realizzazione perso-nale in sede di tempo libero.

Dal punto di vista degli Occidentali si sente anche argomentare che il sistema di compensi, punizioni e incentivi di natura più morale che materiale, che caratterizza la « emulazione socialista » incide negativamente sia sulla produttività sia sulla psiche dei lavoratori. Ciò sembrerebbe confermato, anche se la propaganda viene fatta in senso contrario, dalla semplice osservazione diretta nelle vie e nei negozi della capitale.

Occorrerebbe però valutare se essi lavorino malvolentieri per motivi intrinseci alla loro attività, o per la mancanza di certe prospettive di consumi.

Occorre comunque tener presente che la sede lavorativa significa per ciascun sovietico non solo fonte di reddito, ma anche un « collettivo » socialmente rile-vante. Esso — come si è visto — aiuta nei momenti di difficoltà e organizza attività di tempo libero e di volontariato; esercita inoltre un controllo sostan-ziale: espone severamente al pubblico biasimo dei compagni di lavoro (a cui viene attribuito grande valore educativo) coloro che seguono modelli di compor-tamento disapprovati sul lavoro o in famiglia; li denuncia ad altre organizza-zioni (comitati di scuola, di caseggiato); giudica la persona del lavoratore formulando le « caratteristiche », documento da esibirsi in molte situazioni. Il lavoro nella società sovietica, come si è detto all'inizio, è garantito come diritto. E' però anche affermato come obbligo: l'art. 12 della Costituzione suona testualmente « chi non lavora non mangerà »; tutto il sistema di previ-denza sociale, come abbiamo visto, si basa sul rapporto di lavoro dell'inte-ressato o di un suo familiare, e prende in considerazione, come rischio, l'inabilità lavorativa. E' significativo l'uso abituale nella lingua russa, del termine « lavoratore » ove noi parleremmo di « cittadino ».

Sebbene la violazione dell'obbligo di lavorare non sia prevista come vero e proprio reato penale, l'accidia è tra quelle deviazioni non tollerate, prese di mira dalla propaganda sovietica con un fiume di invettive condan-natorie,4 senza alcuna sottigliezza o approfondimento sul piano psicologico.

fisicamente validi, si ostinano a non voler lavorare onestamente, conducono una vita di parassitismo antisociale... ».5

Se essi commettono assenze ingiustificate dal posto di lavoro, vengono giudicati dal « tribunale amichevole » dei compagni; ma se rifiutano del tutto di lavorare, la competenza è del tribunale normale.

Essi allora, dopo essere stati ammoniti dalla Milizia e dalle organizzazioni volontarie, vengono assegnati a un lavoro socialmente utile per decisione inappellabile del Comitato Esecutivo del Soviet dei Deputati.

Se abitano a Mosca o a Leningrado (che sono le sedi di residenza più ambita), possono essere inviati, con sentenza del giudice popolare, in luoghi di soggiorno coatto, a lavorare per un periodo di 2-5 anni — riducibili alla metà se la persona « con condotta esemplare e onesto atteggiamento verso il lavoro mostri di essersi emendata » — . Lì le organizzazioni locali sono tenute a svolgere con loro un'opera educativa.6

Note

1 Sul tema imponentissimo dell'« organizzazione scientifica del lavoro » stanno progredendo anche in URSS, negli ultimi tempi, numerosi studi sociologici e ammi-nistrativi, per es. presso l'Istituto Scientifico di Ricerche Sociologiche Complesse dell'Università di Leningrado. V . * A. G . ZDRAVOMYSLOV e V . A. JADOV, Il lavoro e lo sviluppo della personalità, ed. Leningrado, 1 9 6 5 ; * K . K . PLATONOV, Tratti della personalità del nuovo operaio, Mosca, 1 9 6 3 ; * I . I . GANGLI, « Alcune questioni meto-dologiche di sociologia del lavoro», Questioni di Filosofia, 1 9 6 7 , n. I , pp. 1 7 - 2 7 ; * O . I . SKARATAN, « Struttura sociale della classe operaia sovietica », ibidem, pp. 2 8 - 3 9 ; * D . I . PANOV, « I l rapporto tra l'uomo e la macchina», ibidem, pp. 40-49.

2 "«Consultazione giuridica volontaria nella nostra fabbrica», Giustizia sovietica, agosto 1965, n. 16, p. 26.

3 Sul piano filosofico la cultura sovietica già da tempo si pone il problema del superamento della distinzione tra lavoro fisico e lavoro mentale: v. per. es.

* V . A . E L ' M E E V , V . R . POLOZOV, B . R . RJÀSCENKO, Il Comunismo e il superamento della distinzione tra lavoro mentale e lavoro fisico, ed. Univers., Leningrado, 1965.

4 H. e A. ALT, The New Soviet Man, Bookman Assoc., New York, 1964, p. 102.

5 Ordinanza del Presidium del Soviet Supremo della Repubblica Russa, 20 set-tembre 1965, « Rafforzamento della lotta contro le persone che rifiutano di svolgere un lavoro socialmente utile e conducono un tipo di vita di parassitismo antisociale ».

6 Si nota peraltro che la presenza di questi « deportati » esercita un cattivo influsso sul morale della popolazione del luogo, non di rado disagiato e isolato.

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