CAPITOLO II: L’AMBITO DI TUTELA DEL MARCHIO CHE GODE DI
7. Il «nesso»: un tentativo di definizione giuridica
tutela. La regola espressa dal principio dell’indebito vantaggio/pregiudizio diventa pertanto una regola di portata generale[147].
I casi non confusorî, numericamente più consistenti, sono quelli invece in cui il pubblico, pur non incorrendo in errore, e quindi consapevolmente distinguendo i due marchi, è indotto comunque a richiamare alla mente il ricordo del segno originale. Tale nesso è ciò che determina alternativamente o contemporaneamente quello che la norma definisce come «pregiudizio» e/o
«indebito vantaggio» rispettivamente alla capacità distintiva e alla rinomanza del marchio.
La capacità distintiva è in questo caso l’attitudine del segno a comunicare un messaggio che informa sull’esistenza di un’esclusiva. La rinomanza è invece l’attitudine del segno a trasmettere tutti gli altri messaggi, derivanti dalle
«componenti qualitative e suggestive di esso», che possano, in ipotesi, essere ricollegati dal pubblico ai prodotti contrassegnati[149]. Tale situazione di pregiudizio e/o di indebito vantaggio si verifica tutte le volte che l’uso del segno del terzo viene in qualche modo a interferire con le due funzioni del marchio, (in realtà sono una sola), ovvero quella di comunicare l’esistenza di un’esclusiva, da un lato, e quella di trasmettere ulteriori messaggi che possono risultare rilevanti per il pubblico, le quali non sono altro che espressione della «nuova» (e unica) funzione del marchio quale «strumento di comunicazione di impresa sul mercato», presupposto fondamentale della protezione del marchio. La ragione cioè della protezione del marchio sul mercato deriva proprio da tale funzione fondamentale di rappresentare l’elemento cardine della comunicazione d’impresa. Esso viene dunque oggi tutelato contro ogni uso di segni da parte di terzi che vanga ad interferire con tale sua funzione[150].
Abbiamo già visto che tale interferenza può avvenire, in una prima ipotesi «classica», in caso di confondibilità sull’origine imprenditoriale dei
149 Così GALLI, commento all’art. 20, par. 12, D.Lgs. 10.2.2005, n. 30, in GALLI-‐‑GAMBINO (a cura di), Commentario al C.P.I. , p. 308;
150 Il primo autore in Italia ad affermare la prevalenza della funzione di comunicazione in un marchio, con un’analisi dettagliata, è stato GALLI, Funzione del marchio e ampiezza della tutela, Milano, 1996, pp. 120-‐‑121;
prodotti e servizi contrassegnati dai marchi in conflitto: tale ipotesi è tuttavia sempre più remota e recessiva. Molto più spesso l’interferenza avviene invece con le componenti «nuove» e «suggestive del marchio» [151].
Tradizionalmente, invece, come si è già detto, nel vigore della prima Legge Marchi, era stata istituita una correlazione in base alla quale tanto più il marchio era famoso tanto più sarebbe stato facile per il pubblico confondersi[152]. La Corte di Giustizia[153], tuttavia, è arrivata a superare tale orientamento in una famosa sentenza nella vertenza che vedeva coinvolti la società automobilistica DaimlerChrysler AG e gli eredi del pittore Pablo Picasso, il padre del cubismo.
Questi ultimi avevano instaurato il ricorso davanti ai Giudici Comunitari al fine di ottenere l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado[154], con la quale i giudici avevano respinto il ricorso da essi proposto avverso la decisione della terza commissione di ricorso dell’UAMI[155], che aveva rigettato l'ʹopposizione proposta dagli «eredi Picasso» contro la domanda di registrazione del marchio denominativo «Picaro».
Tal decisione dell’ufficio UAMI aveva in sostanza affermato che «tenuto conto dell'ʹelevato grado di attenzione del pubblico pertinente, i marchi di cui trattasi non erano simili né sul piano fonetico né sul piano visivo, e che l'ʹimpatto concettuale del marchio anteriore era inoltre tale da neutralizzare qualunque eventuale somiglianza fonetica e/o visiva tra i detti marchi». Successivamente il Tribunale di primo grado, dopo aver constatato che «le differenze concettuali che separano i segni … sono tali …
151 Cfr. GALLI, «Nuova» contraffazione di marchio: dalla confondibilità all’agganciamento parassitario.
Relazione al convegno INDICAM 20.6.07, reperibile su www.indicam.it, in cui si afferma che «Sembra dunque opportuno ripensare la protezione del marchio come rivolta oggi principalmente contro questo sfruttamento parassitario, che fa leva sull’indebita appropriazione del «messaggio» legato al marchio: un concetto questo che non è in realtà alternativo a quello di confondibilità, ma di cui piuttosto la confondibilità rappresenta un caso particolare»;
152 Cfr. Trib. BO, 8 settembre 2005, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2006, p. 484;
153 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 12 gennaio 2006 – Causa C-‐‑361/04 P;
154 Cfr. sentenza 22 giugno 2004, causa T-‐‑185/02, Ruiz-‐‑Picasso e a./UAMI — DaimlerChrysler (caso
«Picaro»), in Racc., pp. II-‐‑1739;
155 Cfr. decisione UAMI dell’11 gennaio 2001 (nel procedimento R 247/2001-‐‑3 del 18 marzo 2002);
da neutralizzare le somiglianze visive e fonetiche» (proprio in ragione della notorietà del pittore Pablo Picasso), tenuto conto del fatto che, vista la natura dei prodotti
«il grado di attenzione del pubblico di riferimento è particolarmente elevato», aveva finito per concludere che «a torto i ricorrenti richiamano … la giurisprudenza secondo la quale i marchi dotati di un elevato carattere distintivo, sia intrinsecamente, sia a causa della notorietà di questi sul mercato, godono di una tutela più estesa rispetto a quelli il cui carattere distintivo è minore … Infatti, la notorietà del segno denominativo PICASSO, in quanto corrispondente al nome del famoso pittore Pablo Picasso, non è tale da rafforzare il rischio di confusione tra i due marchi per i prodotti considerati.»
In questo caso venivano in questione due marchi estremamente simili, entrambi registrati per prodotti identici, e cioè automobili. Il marchio anteriore era «PICASSO» il marchio posteriore era «PICARO», ma entrambi, oltre ad essere estremamente simili, erano utilizzati per prodotti identici. Tuttavia, la decisione del Tribunale di primo grado è stata netta: il nome di Picasso, proprio perché legato alla notorietà del pittore omonimo, è talmente famoso che non è possibile che un segno successivo simile, ma non identico, per prodotti anche identici, possa comportare che il pubblico, nel vederlo, istituisca un nesso. La conclusione raggiunta dalla Corte di Giustizia, che di fatto ribaltava la tradizionale diretta correlazione tra la rinomanza di un segno e la confonidbilità del pubblico, portava alla conseguenza, paradossalmente inversa, che più grande è la notorietà del segno anteriore, meno in concreto il pubblico può confondersi, a fronte di un segno simile usato per prodotti identici che comunichi un messaggio diverso a quello del marchio originale[156].
Anche la Corte di Giustizia ha confermato tale orientamento là dove rigetta l’argomento degli eredi di Piscasso relativamente alla «regola secondo cui la
156 Tale conclusione era già stata raggiunta da RICOLFI, La tutela dei marchi che godono di rinomanza nei confronti della registrazione ed utilizzazione per beni affini nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Giur. It., 2004, p. 283 e ss., il quale osserva che «l’esperienza insegna che, quando un marchio è molto conosciuto o ha caratteri molto individualizzanti (o, impiegando la terminologia comunitaria, gode di notorietà o ha carattere distintivo), il rischio di confusione con un segno successivo diminuisce invece che aumentare»;
tutela di cui il marchio fruisce dev'ʹessere tanto più estesa quanto più elevato è il suo carattere distintivo, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga intrinsecamente o in ragione della notorietà dello stesso sul mercato» e di conseguenza, confermava l’esito del giudizio di primo grado che aveva escluso il rischio di confusione tra i marchi in contesa.
La ragione di una tale decisione era dovuta al fatto che l’intera causa, e la contestazione di interferenza operata dagli redi di Picasso, era stata impostata sul rischio di confusione, come si legge proprio nelle premesse alle Conclusioni dell’Avvocato Generale Colomer[157] in cui egli riferisce che «la causa si inscrive nell’ambito del dibattito sul rischio di confusione». Questo era stato un errore drammatico per la difesa degli eredi di Picasso. Il rischio di confusione, infatti, difficilmente sussiste quando un segno famoso e il segno dell’imitatore non siano identici ma soltanto simili: si immagini l’ipotesi dell’uso di un logo LX al posto di LV per borse e altri accessori di pelle. In questo caso si parla anche di «plagio grossolano», che non è meno illecito per il solo fatto che non vi sia confusione circa la provenienza imprenditoriale[158].
Vi è invece comunque confusione nel pubblico in tutti quei casi in cui il segno dell’imitatore presenti delle caratteristiche tali per cui lo stesso può essere immaginato come un marchio in serie, come una variante del medesimo segno effettuata ad opera dello stesso titolare o con il suo consenso. A tal ultimo riguardo si può pensare al settore della moda e ai numerosissimi marchi che in qualche misura finiscono per riprendere degli elementi che fanno parte della stessa impostazione del marchio di base: e così il mercato ha conosciuto marchi come «Versus» usato per contraddistinguere la seconda linea casual di Versace, o
«Ice-‐‑B» per la seconda linea casual di Iceberg e infine «MAX&Co.» rispetto a MAX
157 Conclusioni dell’Avvocato Generale Dámaso Ruiz-‐‑Jarabo Colomer, presentate l’8 settembre 2005 1 nella Causa C-‐‑361/04;
158 Per una pronuncia che ha dichiarato il carattere non illecito dei c.d. falsi grossolani, del tutto isolata cfr. Cass. pen. 23 febbraio 2000, in Riv. Dir. Ind., 2000, II, p. 275 e ss., pronuncia unanimemente censurata;
MARA, solo per fare alcuni esempi[159]. In questo senso si può richiamare l’orientamento della Corte di Giustizia nel noto caso «Obelix»[160], in cui si legge che «in presenza di una famiglia o serie di marchi, un rischio del genere è la conseguenza del fatto che il consumatore può ingannarsi circa la provenienza o l'ʹorigine dei prodotti o servizi contrassegnati dal marchio richiesto e ritenere, erroneamente, che questo appartenga a tale famiglia o serie».
Ma questi sono casi in qualche misura «eccezionali», tipici di ambiti, come quello della moda, dove è frequente il lancio di «secondo linee« di marchi famosi, contraddistinte da marchi che riprendono solo una parte degli elementi caratterizzanti del segno principale e in cui la confondibilità dipende dal fatto che il pubblico è in qualche modo avvezzo a questa «moda» delle le varianti. Ma in generale se il segno è famoso (come PICASSO, che inoltre essendo un patronimico non può dare origine a significative varianti), piccole varianti escludono che il pubblico si possa confondere. Tanto più e famoso il segno tanto è più difficile che il pubblico si confonda di fronte a segni non identici ma soltanto simili.
Ma se da un lato diminuisce il campo di applicazione della confondibilità, dall’altro lato, aumentano diametralmente nella stessa misura i casi in cui vi sia il rischio che il pubblico istituisca un nesso non confusorio.
159 Si badi che in taluni casi, come nel caso di VERSUS, il significato ideologico della parola («contro» in latino) non ha nessuna attinenza con il marchio principale, VERSACE appunto, eppure il pubblico lo ricollega ad esso, e probabilmente di fronte ad un marchio VERSUM (che ha un significato ancora diverso sia da VERSUS che da VERSACE), con ogni probabilità il pubblico ancora penserebbe che si tratti di una variante di questo genere;
160 Cfr. Corte Giust., sentenza del 18 dicembre 2008, C-‐‑16/06, caso «Obelix» e per un commento della dottrina cfr. Cogo, Marchi e moda, in Giur. It., 2014, 11, dove riferisce di due pronunce giurisprudenziali nazionali che hanno fatto applicazione di questo principio, in particolare Trib.
Torino, (ord.) 8 aprile 2014, inedita, nel caso «JustFab» e Trib. Milano, 14 febbraio 2011, Giur. Ann.
Dir. Ind., 2011, 5690, caso «Max&Co.»)