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Il 16 giugno 1831, dopo un intervallo di circa sei anni nello scambio epistolare, uno dei fratelli Ceramelli scrive a Giuseppe. La lettera non è firmata e dalle cancellature sembrerebbe essere una bozza; tuttavia è opportuno leggerla.

Carissimo Fratello,

Replico alla cara tua del 10 stante; mi pare che per abbreviare le discussioni sulla nostra divisione tu dovresti presentarci senza altri preliminari il progetto del contratto ossia la minuta del medesimo redatto come tu crederai più giusto e più conveniente per tutti, e che ciascuno di noi dedicasse particolarmente le sue eccezioni contro quelli articoli che non gli piacessero e proponesse le necessarie ammende da discutersi e da approvarsi in seguito anche dagli altri. Per fare più facilmente adottare la redazione di questo progetto dovresti bensì unirvi le tue osservazioni per svilupparne lo spirito, e così tutto verrebbe approvato insieme senza tornar tante volte a discutere le medesime cose; molto più che anche la variazione di un’espressione ora fatta in un modo ora in un altro potrebbe essere soggetto di una nuova discussione, a non venir mai a capo di nulla. Io son persuaso come lo sarai tu che ciascheduno di noi non desideri altro che la giustizia, e gli elementi di questa si ritrovano tutti nel concordato fissato tra di noi nell’ottobre, tale ché l’allontanarsi da quelle basi non farebbe altro a mio vedere che suscitare delle opposizioni, produrre dei malumori, e trascinare in lungo l’affare senza prevedere ove potrebbe poi andare a terminare. Tu hai abbastanza criterio per distinguere se ti conviene più il ritirarti dai patti già fissati, mettendoti in opposizione diretta con quattro fratelli persuasi di aver concertate le cose con ogni giustizia e che non cadranno facilmente, o se devi sperar più dal mostrarti animato da uno spirito conciliatore e alieno affatto da vantaggi troppo personali o di località, anzi amico di una perfetta uguaglianza fraterna, e in una parola se […] dai fratelli nel sostenere i tuoi pretesi particolari diritti, o nell’accomodarti a godere ugualmente con loro quello soltanto che la natura ha ugualmente compartito a ciascuno. In quanto a me, particolarmente, accomodati una volta i nostri interessi, ti manterrò quello che ti ho promesso, riguardo alla porzione della casa e della villa, ma ciò dopo che tu avrai ratificato quanto dichiarasti sul concordato di questo rapporto, facendo io fino a quel punto causa comune con gli altri tre fratelli. Sto dunque attendendo con tutta la calma ciò che crederai meglio operare, e assicurandoti nel frattanto del mio sincero attaccamento. Ti prego di fare i miei saluti a tutti e mi confermo342.

All’inizio degli anni Trenta la lettera riapre un tema già indicato negli anni addietro: la divisione del patrimonio. Giuseppe viene accusato di non voler dividere equamente il patrimonio con gli altri fratelli. L’origine di una tale tensione va ricercata nella donazione di Raffaello a Giuseppe, a cui si è aggiunta la tenuta di Scarna acquistata con la dote della moglie Luisa. Ciò crea le condizioni per uno squilibrio con i fratelli, nel momento in cui si viene a concretizzare la divisone dell’intero

patrimonio. A tal proposito, Lorenzo, autore probabile della lettera, si appella al fratello perché venga meno dall’obiettivo di frazionare il patrimonio in base ai suoi “pretesi particolari diritti”, inerenti principalmente alla donazione paterna, associati a “vantaggi troppo personali o di località”, riferiti alla presenza di Giuseppe a Colle, rispetto a Lorenzo e Tommaso che, per ragioni d’impiego, vivono ancora stabilmente a Firenze, mentre Iacopo, in questo periodo, risulta aver lasciato la cancelleria di S. Gimignano per quella di Castelfiorentino343. A sanare gli squilibri, Lorenzo fa riferimento ad un concordato del mese di ottobre, probabilmente dell’anno precedente. Non sono state trovate copie di questo concordato nell’archivio di famiglia, fatta eccezione per un prospetto di divisione del patrimonio del mese di giugno del 1830, nel quale appare una ripartizione in cinque lotti344. Il primo lotto risulta assegnato a Lorenzo e consiste nel podere dello “Spedaletto” e di due abitazioni a Colle Val d’Elsa. Il secondo lotto spetta a Iacopo ed è composto dai poderi della “Consuma” e del “Poggio”. Il terzo lotto viene attribuito a Tommaso e contiene tre poderi: “Casanuova”, “Calcevia” e “Bardeggianello”, assegnato a Giuseppe nella donazione di Raffaello. Il quarto lotto va a Silvestro, il quale ottiene i poderi di “Bellospecchio” e di “Bardeggiano”, anche questo inizialmente destinato dal padre a Iacopo. Il quinto lotto infine spetta a Giuseppe, costituito dai poderi di “Casabassa” e “Vallibuona”. I poderi elencati nel prospetto di divisione corrispondono a quelli attribuiti alla proprietà di Raffaello nella divisione patrimoniale del 1783. Mancano all’appello la tenuta di Scarna, vincolata alla dote della moglie di Giuseppe, il palazzo e la villa rimaste quasi sicuramente appannaggio di Giuseppe, in ossequio alla donazione paterna, ed infine ciò che eventualmente rimane degli interessi della famiglia sulle cartiere. E’probabile che queste dovessero rimanere in società tra i fratelli. La rinunce, invece, di Giuseppe e di Iacopo rispettivamente ai poderi di Bardeggianello e di Bardeggiano saranno servite a rendere più equa la divisione del patrimonio con gli altri fratelli. A quanto pare, è su questi poderi che adesso si apre un nuovo confronto all’interno della famiglia.

La seconda lettera indirizzata a Giuseppe è scritta e firmata chiaramente da Lorenzo, il quale prende la penna anche a nome di Iacopo.

Carissimo fratello, Firenze, 7 agosto 1831

Tonino Puccinelli mi passò insieme con una tua lettera del 19 luglio passato tutte le carte che ti rimetto io stesso in di lui assenza per non trattenerle tanto, dovendomi portare a Montevarchi ove mi tratterò tutto il mese di agosto. Nella circostanza che Iacopo comparve a Firenze martedì scorso per sollecitare la sua promozione e si trattenne fino a giovedì, esaminammo insieme ponderatamente dette carte e particolarmente la minuta del contratto di divise redatta dal Morelli. Ci trovammo concordi nella risoluzione di non approvarla per le ragioni che abbiamo

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Ibidem.

esposte nel quaderno di osservazioni che la accompagna. Mi rincresce moltissimo che non ti interessa, ma l’affetto che hai per Bardeggianello ed annessi da cui non vorresti punto distaccarti, ti abbia indotto a variare quasi totalmente quello che si fissò nell’ottobre, e che tu con impropria definizione chiami progetto di divise, forse perché redatto in carta bianca (il che si accomoda con 50 lire di penale) e perché lo dici basato su dati insussistenti. Mi fa pena che tu abbia scordato tutte le lunghe discussioni che si fecero avanti di porre in essere il concordato del 23 ottobre, e vedo non senza meraviglia che tu ritorni da capo su tutti i punti di controversia che si appianarono allora. Se vi fossero stati nella divisa o nella stima degli errori di calcolo, sarei il primo a convenire di rimediarli, ma questi non vi sono neppure per Scarna, come vedrai nelle osservazioni, e il variar massima adesso quando tutto fu allora definito e stabilito è cosa a cui non possiamo di buon grado sottometterci. D’altronde questi fogli che tu chiami informi, son tali, a sentimento di Iacopo, da potervi benissimo basare anche una voltura, sanata che sia la contravvenzione al bollo e registrati, e non so comprendere perché tu non voglia riconoscerne la validità. Se tu hai fatto dei sacrifizi, come dici, colle tue concessioni, ne abbiamo fatti anche noi (parlo di Iacopo e di me) che avevamo diritto di darci credito della nostra quinta parte di tutto ciò che è stato consumato per la nostra famiglia in sei anni che siamo stati assenti, e se si verifica ad una scrupolosa liquidazione questo nostro titolo di credito aumenterebbe assai la nostra quota sulla paterna eredità. A te parlo chiaro e franco, non molto conta per la soddisfazione di amministrare e coltivare il poderino di Bardeggianello (giacché vedo la tua ira rivolta a questo scopo) di entrare in lizza con noi, e ritornare sulle difficoltà già appianate: lascialo godere a Tommaso, giacché la sorte glielo concesse, e contentati di tutta l’altra roba che ti è toccata. Noi sicuramente su questo punto sosterremo i di lui diritti perché ci sembrano giusti, e la tua intenzione di volerlo allontanare dalla villa (seppure hai agito in questa veduta) ci par troppo onerosa. Io non voglio però credere che tu pensi sul serio a voler sostenere la nullità del concordato di divise dell’ottobre scorso, e spero che fatto miglior senno ne adotterai le conseguenze, perché in caso contrario verrai a esporti a una guerra interminabile con noi alla quale non voglio neppur pensare, e perché poi, per la miserabile soddisfazione di poter dire: a Bardeggianello conto io e per la smania di spendervi un monte di denari il di cui profitto si vedrebbe tardissimo e forse mai in quella terraccia sterile e ingrata. Ti dirò ancora in confidenza che essendoti fatto onore della rinunzia alla donazione paterna non sarebbe decoro il ritirarsi, e in caso di attacco Iacopo ha nelle mani delle armi molto appuntite, ed anche senza di quelle sarebbe difficile il provare che l’importare totale di detta donazione intacca la nostra legittima, onde tu vedi in quale abisso di contraddizioni si cadrebbe. Pensaci dunque caro Beppe avanti di disgustare i fratelli, e rifletti che ne ricaverai avendoli più amici che nemici. Noi per non mettere il campo a rancore ci siamo sempre astenuti di comunicare a Tommaso di questa cosa, e dal canto nostro non sa neppure che abbiamo fatto distendere la minuta del contratto, onde proviamo di appianare queste difficoltà tra noi, in maniera che egli ha persuasa (giacché giustamente ha molta importanza la parola data) che tu non hai ragione di barattarla. Una volta che ti sarai liberato del contrappunto che hai di vederlo prosperare tuo vicino e padrone del poderino di Bardeggianello, vedrai che le cose passeranno meglio e rinascerà fra voi quella buona armonia che sembra adesso interrotta […] Tuo aff.ssimo Lorenzo345.

Dalla penna di Lorenzo emerge in modo chiaro che Giuseppe, contravvenendo agli impegni presi l’anno prima, rifiuta di cedere a Tommaso il podere di Bardeggianello, un’appendice della villa omonima. Il rifiuto di Giuseppe spinge Lorenzo e Iacopo a solidarizzare tra loro con lo scopo di proteggere Tommaso. La donazione paterna era stata concepita per mantenere il patrimonio indiviso e con esso unita la famiglia. La divisione del patrimonio avrebbe inevitabilmente messo in

discussione sul piano giuridico l’atto di Raffaello, ponendolo in opposizione al principio legale della legittima, già emerso in relazione alle doti. Oltre a questo impedimento legale, Lorenzo e Iacopo vorrebbero far valere la loro lontananza da Colle, a dispetto del “diritto di località” affermato da Giuseppe, in quanto li renderebbe creditori nei confronti degli altri famigliari residenti in loco, in particolare per il loro mantenimento sostenuto alle spese del patrimonio comune. In realtà, come si legge nella lettera, gli impedimenti legali hanno lo scopo di far ragionare Giuseppe ed impedirgli di rompere “l’armonia” con i fratelli per una “terraccia sterile e ingrata”. Bardeggianello, infatti, si trova in una zona della comunità di Colle Val d’Elsa che, secondo i dati del catasto leopoldino, arrivava ad avere una percentuale di terreno lavorativo di poco superiore al 60%, contro un 35% di terreno incolto, occupato per lo più da bosco e pastura. Questi numeri danno l’idea di una produttività non particolarmente elevata rispetto, ad esempio, ad altre aree della comunità di Colle vicino Poggibonsi, in cui il lavorativo aumentava, superando livelli superiori al 70%, ponendo in questo modo la campagna colligiana pressoché al confine tra la Toscana fiorentina, caratterizzata da un’intensa produttività agricola e la Toscana senese, tradizionalmente orientata ad una coltura sostanzialmente estensiva346. Se questi dati sembrano in parte confortare il giudizio di Lorenzo sulla redditività di Bardeggianello, diventa ancora di più necessario convincere Giuseppe ad abbandonare le sue pretese sul podere. Questo è il senso della lettera che egli scrive questa volta a Iacopo.

Caro Iacopo, Montevarchi, 19 agosto 1831 Ti mando molto da leggere! Esamina, considera, con tutto il sangue freddo, e dammi il tuo parere. Beppe sbraita, urla e strepita e poi mi pare che non sia lontano dal cadere: profitteremo di questa mobilità di carattere, non per nuocerli, ma per assicurare i nostri diritti. Ho creduto dover replicare subito senza consultarti alla lettera nella maniera che vedrai dall’annessa minuta: se ho fatto male strapazzami, ma siccome parmi non aver detto altro che la pura verità, voglio lusingarmi che approverai la mia responsiva, che ho voluto spedir subito, perché non si creda che l’abbia concertata teco e così faccia più effetto il botta e risposta. Ho creduto prender l’occasione che mi si è presentata per parlar con franchezza, e per toglier la benda dagli occhi su certi punti interessanti. Dimmi schiettamente il tuo parere. Non mi resta il tempo che di abbracciarti e ripetermi con tutto l’affetto tuo aff.ssimo fratello Lorenzo. Rispondimi più presto che potrai347.

346 I dati provengono dalla mia tesi di laurea, pp. 34-36. Buona parte del patrimonio dei Ceramelli si trova nella sezione

C del catasto di Colle, un’area intermedia per produttività agricola tra la parte settentrionale del territorio colligiano, quella più redditiva, posta tra i centri abitati di Colle e Poggibonsi, contrassegnata dalle sezioni A e B, e la parte meridionale che guarda verso la Montagnola senese, indicata nelle sezioni D, D’, E, F e G, caratterizzata da una percentuale di terreno incolto che arriva a raggiungere il 74% dell’intera superficie. Sulle dualismo della campagna toscana si veda: C. Pazzagli, La Terra delle città. Le campagne toscane dell’Ottocento, Firenze, 1992, pp. 35-48, 148- 211.

La minuta che Lorenzo menziona è probabilmente una copia della lettera inviata a Giuseppe all’incirca due settimane prima. Lorenzo appare quanto ormai orgoglioso, per aver affrontato a viso aperto Giuseppe anche a nome di Iacopo. Il carteggio sfortunatamente non comprende le repliche di Giuseppe, né tantomeno le risposte di Iacopo a Lorenzo. Le reazioni di Giuseppe vengono riportate e commentate solamente da Lorenzo, il quale ha intenzione di utilizzare a proprio vantaggio i lati deboli del carattere del fratello, “ma non per nuocerli, ma per assicurare i nostri diritti”. Lorenzo intende tranquillizzare Iacopo di non volere ledere i legami di solidarietà all’interno della famiglia. A ciò si aggiunge nella lettera successiva la percezione di Lorenzo che il valore stesso del patrimonio pare non avere ormai un peso tale da rendere così importante affannarsi tanto per ridistribuirlo all’interno della famiglia. Questo tipo di considerazioni già emerse in merito alla “terraccia” di Bardeggianello, adesso fanno leva sul declino della produzione della carta a Colle Val d’Elsa di fronte ad una crescente concorrenza che si sta affermando in altre aree della Toscana348. La presa di coscienza della svalutazione del patrimonio induce Lorenzo a riflessioni non sempre coerenti fra loro, a conferma del difficile passaggio che i Ceramelli stanno attraversando.

Caro Iacopo, Firenze, 6 settembre 1831 Replico subito a quanto mi domandi. Un anno fa ero più che persuaso esser per noi molto vantaggioso l’acquisto delle cartiere; ora giudico essere un fatto assai indifferente, perché il commercio che io credevo temporariamente illanguidito è per noi in gran parte decaduto per la quantità grande di fabbriche di carta eretta in ogni luogo, per il ritrovato dei cilindri, adottati dai cartai più danarosi di noi, invece delle pile, che triplicano il lavoro, e lo fanno più bello, per le vicende generali del commercio che fanno sì che si debba impiegare dei capitali quattro volte maggiori di prima, dovendovi dar tutto a lunghissimi respiri […] e per tante altre ragioni che sarebbe ora lungo spiegare. Perciò se anche questo patto deve andare all’aria non me ne inquieterò punto, come non sarà soggetto di gioia se dovrà detto patto mantenersi. Ho letto la tua lettera al Canonico, e non può contenere maggior verità, ma prima di spedirla faccio le seguenti riflessioni. Che faremo andando a Colle (giacché in detta lettera tu prometti di andarvi presto) che faremo? Quello che si è fatto tutti gli anni. Lavoreremo come cani, faremo delle sessioni, fisseremo delle massime da revocarsi il giorno dopo, ci diremo ogni tanto delle cose dure; Beppe oggi sarà di un sentimento domani di un altro, il Canonico darà retta all’ultimo che parla, Tommaso non intenderà nulla si arrugginirà per ogni piccola cosa, la mamma starà inquieta, la tua moglie si annoierà, la cognata sarà sempre in sospetto; passeranno quei dieci dodici giorni in un baleno, e si converrà partire e separarci con più amarezza di prima, e senza aver concluso nulla. O non sarebbe meglio dico io (bada poi mi rimetto) che tu dopo aver ben considerato il saldo e la minuta del contratto, manifestassi in quattro versi di lettera a Beppe che sei risoluto di stare al concordato in tutte le sue parti, e che solamente non facendo caso del patto dell’affitto perché Beppe dica essergli oneroso, tu pretendi avere il saldo del tuo lotto dal primo novembre 1830 in poi separato, e senza mescolarti punto nel resto del patrimonio. Questa dichiarazione assoluta che forse essendo in persona a Colle non ti riuscirebbe di fare e di sostenere, porterebbe Beppe a darti una replica decisiva o per il mantenimento del concordato o per l’annullazione, e ci potremmo regolare in conseguenza. La lettera al Canonico nonostante potresti mandarla togliendo quello che è relativo alla gita di Colle, e la potresti dirigerla al Pasci

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Cfr. R. Sabbatini, op.cit., pp. 307-374. Al declino delle cartiere colligiane nella prima metà dell’Ottocento farà da contro altare il decollo della produzione della carta in Valdinevole ed in particolare nel Pesciatino.

per la posta, pregandolo di recapitarla. E’ certo che farà buonissimo effetto. Se nonostante queste mie osservazioni tu persisti nella idea di andare a Colle, farò di tutto per venire al più presto […] Intanto tu andando lì prima di me potresti forse accomodarti con Beppe, ed io in qualunque maniera sai che mi adatto; ma tieni a mente, non si concluderà nulla e verremo via inquietati e con gli affari sempre in peggiori condizioni […] In attenzione della tua decisione mi confermo tuo aff.ssimo fratello Lorenzo349.

Lorenzo dipinge le relazioni all’interno della famiglia in un modo tale da rendere esplicita la difficoltà a portare la divisione del patrimonio sino in fondo, nella misura in cui anch’egli esprime l’incapacità di raggiungere una soluzione comune. Per questa ragione, Lorenzo propone a Iacopo di scrivere a Giuseppe, chiedendogli chiaramente il saldo della sua parte del patrimonio in base al concordato dell’anno precedente. E’necessario quindi per Iacopo fare una “dichiarazione assoluta”. I consigli di Lorenzo a favore di Iacopo sembrano andare nella direzione di spingere il fratello a far valere le proprie ragioni nei confronti di Giuseppe.

Ai primi di ottobre del 1831 Lorenzo scrive a Iacopo un’altra lettera densa di considerazioni sull’intreccio tra legami famigliari ed interessi patrimoniali. La lettera sembra mettere in luce la volontà, almeno da parte di Lorenzo, di costringere Giuseppe a fare i conti con la sua amministrazione del patrimonio negli ultimi sei anni, per ottenere così il legittimo rimborso delle quote spettanti a lui e a Iacopo, per la loro lontananza da Colle. Questo obiettivo prende forma da una riflessione, intrisa di delusione e amarezza, che Lorenzo espone a Iacopo sulle difficili condizioni del patrimonio, per le quali imputa a Giuseppe le maggiori responsabilità. Nonostante ciò, Lorenzo non riesce ad avere la freddezza di rigettare le ultime proposte di Giuseppe per la stipula di un contratto di divise. Su questo punto non può fare a meno di chiedere il giudizio di Iacopo.

Caro Iacopo, Firenze, 2 ottobre 1831

Ti rimetto la minuta del contratto di divise corretta nella maniera che Beppe crederebbe dover