2. ALLUVIONI
2.1 Il percorso normativo verso la Direttiva Alluvioni
In Italia, il primo significativo intervento legislativo in materia di difesa del suolo, risale al 1989, attraverso la Legge 183 del 18 maggio 1989 che, sebbene in ritardo rispetto ai tragici eventi alluvionali degli anni ’50 e ’60 (Polesine 1951; Firenze 1966), ebbe il merito di: 1) definire i bacini idrografici quali unità territoriali di riferimento per la valutazione e la pianificazione in materia di difesa del suolo, classificandoli su tre diversi livelli di rilevanza (nazionale, interregionale e regionale); 2) di
istituire le Autorità di Bacino (AdB) quali organismi misti Stato – Regioni per il conseguimento
coordinato, a livello di bacino, degli obiettivi della legge e 3) di indicare il Piano di bacino, quale strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo per pianificare e programmare le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione, difesa e valorizzazione del suolo. Successivamente, la L. 493/1993 introdusse la possibilità di redigere e approvare i piani di bacino idrografico anche per sottobacini o per stralci relativi a settori funzionali.
Nel maggio 1998, una serie di frane, colate di fango e sedimenti innescate dalle piogge cadute colpì in particolare l’abitato di Sarno, in Campania (ma anche i comuni di Quindici, Siano e Bracigliano), causando 160 morti. A seguito di tali eventi vennero promulgati in rapida successione il D.L. 180/1998 (più noto come Decreto “Sarno” convertito in legge con la L. 267 del 3 agosto 1998) e il DPCM del 29 settembre 1998. Con il D.L. 180/1998 venne richiesto alle AdB di redigere Piani Stralcio di bacino per l’Assetto Idrogeologico (PSAI o PAI) contenenti in particolare l’individuazione e la perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico, e di adottare per tali aree le cosiddette “misure di salvaguardia”; il DPCM del 1998 definì criteri e metodologie per l’individuazione e la perimetrazione delle suddette aree e la valutazione dei relativi livelli di rischio individuati all’interno di 4 classi (R1 = moderata; R2 = media; R3 = elevata; R4 = molto elevata). Il D.L. 132/1999 (convertito dalla L. 226/99), stabilì che le AdB approvassero piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio, a partire da quelle in stato di emergenza dichiarato ai sensi dell’articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e adottassero per esse misure di salvaguardia.
A settembre del 2000, l’evento di Soverato (13 vittime) portò ad un nuovo intervento normativo, il D.L. del 12 ottobre 2000, n. 279 (noto anche come decreto Soverato, convertito con modificazioni
dalla Legge 11 dicembre 2000, n. 365), recante interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato ed in materia di protezione civile, nonché a favore delle zone della regione Calabria danneggiate dalle calamità idrogeologiche di settembre ed ottobre 2000.
La L. 365/2000 definì ulteriori categorie di aree a cui applicare le misure di salvaguardia per le aree a rischio molto elevato definite dal DPCM del 1998. Essa stabilì che ai fini dell’adozione ed attuazione dei PAI e della necessaria coerenza tra pianificazione di bacino e pianificazione territoriale, le regioni convocassero una conferenza programmatica, articolata per sezioni provinciali, o per altro ambito territoriale deliberato dalle regioni stesse, alle quali partecipavano le province ed i comuni interessati, unitamente alla regione e ad un rappresentante dell’Autorità di bacino.
Apparve sempre più evidente la necessità di integrare e riordinare la complessa materia della difesa del suolo e in generale la materia ambientale e così, con la L.15/12/2004, n. 308, il Governo venne delegato ad adottare uno o più decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative in materia ambientale e misure di diretta applicazione, anche mediante la redazione di testi unici.
Nel 2006, in applicazione della suddetta Legge Delega, venne formalizzato il cosiddetto Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/2006 o TUA) in cui le Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione trovarono collocazione nella Sezione I della Parte Terza.
Nel decreto, all’art. 54, è riportata una serie di definizioni tra le quali, in particolare, quelle di difesa del suolo e di dissesto idrogeologico; per difesa del suolo è inteso il complesso delle azioni e attività riferibili alla tutela e salvaguardia del territorio, dei fiumi, dei canali e collettori, degli specchi lacuali, delle lagune, della fascia costiera, delle acque sotterranee, nonché del territorio a questi connessi, aventi le finalità di ridurre il rischio idraulico, stabilizzare i fenomeni di dissesto idrogeologico, ottimizzare l’uso e la gestione del patrimonio idrico, valorizzare le caratteristiche ambientali e paesaggistiche collegate; per dissesto idrogeologico si intende la condizione che caratterizza aree ove processi naturali o antropici, relativi alla dinamica dei corpi idrici, del suolo o dei versanti, determinano condizioni di rischio sul territorio.
In attuazione a quanto previsto dalla Direttiva Europea sulle Acque (Water Framework Directive – Dir. 2000/60/CE), il TUA ha introdotto una riorganizzazione dell’assetto territoriale e amministrativo che la legge 183/1989 aveva definito attraverso i bacini idrografici. L’intero territorio nazionale è dunque suddiviso in 8 Distretti Idrografici (River Basin District – RBD) a) Alpi orientali; b) Padano; c) Appennino settentrionale; d) Serchio; e) Appennino centrale; f) Appennino meridionale; g) Sardegna; h) Sicilia (Figura 2.1). Essi sono governati da istituite (ma non costituite) Autorità di bacino distrettuali alle quali sono attribuite le funzioni delle soppresse Autorità di Bacino.
Nelle more della costituzione delle Autorità di Distretto e del raggiungimento della loro piena operatività, le Autorità di bacino di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183 sono state mantenute in funzione attraverso il D.L. 208 del 30 dicembre 2008 (convertito con modificazioni in Legge 27 febbraio 2009, n. 13).
Il D.Lgs. 152/2006, all’art. 65, conferma il ruolo del Piano di bacino (distrettuale), analogamente a quanto stabilito dalla L. 183/1989, come piano territoriale di settore e la possibilità di redigerlo e approvarlo anche per sottobacini o per stralci funzionali, per cui nelle more dell’approvazione dei piani di bacino, le Autorità di bacino distrettuali adottano i PAI che contengono in particolare l’individuazione delle aree a rischio idrogeologico, la perimetrazione delle aree da sottoporre a misure di salvaguardia e la determinazione delle misure medesime. I piani di bacino ed i relativi stralci (ad esclusione di quelli straordinari per rimuovere rischio) devono essere sottoposti a VAS. Per le aree a rischio idrogeologico e prioritariamente per quelle ove persone e beni sono esposti a maggiori pericoli, gli organi di protezione civile, istituiti ai sensi della L. 225/1992, devono predisporre “piani urgenti di emergenza” contenenti le misure di salvaguardia dell’incolumità delle popolazioni interessate, compreso il pre-allertamento, l’allarme e la messa in salvo preventiva.
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Figura 2.1 - Distretti Idrografici (WFD) e Unità di Gestione (FD)
L’art. 5 della L. 225/92 sancisce la possibilità di deliberare lo stato di emergenza anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e secondo i criteri indicati nel decreto di dichiarazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico. Le ordinanze sono emanate, acquisita l’intesa delle regioni territorialmente interessate, dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile (OCDPC). All’art. 6 viene stabilito in particolare che i piani e i programmi di gestione, tutela e risanamento del territorio devono essere coordinati con i piani di emergenza di protezione civile. La legge 225/92 modificata dalla legge 100/2012 sancisce all’art. 15 l’obbligatorietà della pianificazione comunale di emergenza la cui rilevanza strategica viene ribadita dall’art. 19 del D.L. 95/2012, convertito con modificazioni dalla L. 135/2012. Con il DPCM 27 febbraio 2004 vengono definiti gli indirizzi operativi per la gestione organizzativa e funzionale del sistema di allertamento nazionale, statale e regionale per il rischio idrogeologico ed idraulico ai fini di protezione civile. L’organizzazione di tale sistema è assicurata dal Dipartimento della Protezione Civile e dalle Regioni e Province Autonome attraverso la rete dei Centri Funzionali, soggetti preposti allo svolgimento delle attività di previsione, di monitoraggio e di sorveglianza in tempo reale degli eventi e di valutazione dei conseguenti effetti sul territorio.