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Il riparto delle competenze tra Stato e Regioni

Franco Gallo

4. Il riparto delle competenze tra Stato e Regioni

Fin dall’inizio della crisi pandemica abbiamo spesso assistito ad un rimpallo di competenze tra Stato, Regioni ed enti locali riguardo all’adozione di provvedimenti di emergenza. Questi provvedimenti, pur avendo contenuti analoghi, sono stati spes-so non coincidenti o, addirittura, tra loro in contraddizione. Il che porta inevitabilmente a domandarci se, dopo vent’anni di applicazione del titolo V, parte II della Costituzione e nonostante la mediazione interpretativa della Corte costituzionale, non sia venuto il momento di effettuare un intervento di riforma che ri-medi a detto inconveniente disciplinando meglio il riparto delle competenze fra Stato e Regioni, senza mettere in crisi il principio di autonomia. È evidente che questo intervento sul piano costi-tuzionale investirebbe anche l’attuale competenza concorrente in materia di salute.

Si potrebbe, in altri termini, cogliere l’occasione dei contrasti emersi nella gestione della crisi pandemica per affrontare in via legislativa tale materia, attualmente disciplinata dai commi da 2 a 4 dell’art. 117 della Costituzione.

Una siffatta iniziativa sarebbe, a mio avviso, raccomandabile. Non può dubitarsi, infatti, che in questi ultimi venti anni il ripar-to delle competenze risultante dagli indicati commi si è rivelaripar-to non del tutto soddisfacente, tanto da indurre la Corte costitu-zionale a colmare detta lacuna fornendo interpretazioni per lo più improntate ai principi di ragionevolezza, di proporzionalità e di leale collaborazione. Essa ha, infatti, spesso ampliato l’area di materie, c.d. onnivore, come l’ordinamento civile, la tutela della concorrenza e, soprattutto, il coordinamento della finanza pubblica per principi fondamentali consentendo forti incursioni statali negli ambiti dell’autonomia e della stessa organizzazione interna delle Regioni.

È facilmente comprensibile ed anche giustificabile questo in-dirizzo della Corte. Sin dalla prima applicazione della riforma del 2001, tra le materie che l’art. 117, secondo comma Cost. at-tribuisce alla competenza legislativa esclusiva statale rientrano,

infatti, alcune di carattere trasversale che fanno riferimento non ad oggetti precisi, ma a finalità che devono essere perseguite e che, pertanto, si intrecciano con una pluralità di altri interessi, incidendo su ambiti di competenza concorrente e residuale delle Regioni9. È proprio con riferimento a tali materie che sono stati coniati in dottrina ed utilizzati anche dalla giurisprudenza costi-tuzionale i termini di “materie funzioni”10 o “materie compito”11

o anche “materie non materie”12.

Questo incerto quadro delle competenze e in più la mancanza di un Senato delle autonomie deputato a calibrare le regole del-la sussidiarietà verticale hanno, perciò, prodotto una forte con-flittualità tra Stato e Regioni che ha portato all’esplosione del contenzioso costituzionale, oltre che ad una certa paralisi dell’a-zione amministrativa e politica. La situadell’a-zione si è ulteriormen-te aggravata a causa della lievitazione dei costi di transazione delle decisioni politiche, che hanno fatto seguito alla previsione legislativa di meccanismi di codeterminazione pattizia tra Stato

9. V., ex multis, le sentenze n. 171 del 2012, n. 235 del 2001, n. 225 e 12 del 2009, n. 345 e 272 del 2004.

10. Riguardo alla materia della tutela della concorrenza, la giurisprudenza costituzionale ha costantemente sottolineato, stante il carattere “finalistico” della stessa, la “trasversalità” «corrispondente ai mercati di riferimento delle attività economiche incise dall’intervento», con conseguente possibilità di in-fluire su altre materie attribuite alla competenza legislativa concorrente o re-siduale delle Regioni (sentenze nn. 93 del 2017, 38 del 2013, 299 e 18 del 2012, 150 del 2011, 288 del 2010, 431, 430, 401 e 67 del 2007). Infatti, la materia “tutela della concorrenza” ha non solo un ambito oggettivamente individuabile che attiene alle misure legislative di tutela in senso proprio, ma ha anche una por-tata più generale e trasversale, non preventivamente delimitabile, da valutare in concreto al momento dell’esercizio della potestà legislativa sia dello Stato che delle Regioni nelle materie di loro rispettiva competenza (sentenze n. 291 del 2012).

11. Cfr. sentenza n. 272 del 2004. 12. Cfr. sentenza n. 336 del 2005.

e Regioni nei casi, appunto, di intreccio e di concorrenza in ma-terie statali e regionali. È successo così che il modello originario che aveva in mente il legislatore costituzionale nel 2001, sbaglia-to o giussbaglia-to che fosse, non è mai stasbaglia-to davvero applicasbaglia-to, ne’ op-portunamente corretto.

Ciò è, a mio avviso, sufficiente per giustificare un intervento di revisione costituzionale che ridisegni le aree di competenza esclusiva dello Stato, di quella concorrente Stato-Regioni e di quella residuale delle Regioni. Prima ancora si dovrebbe però avere ben chiaro su quale tipo di Regione e, conseguentemente, di regionalismo ricostruire le regole della sussidiarietà verticale. Questo passaggio è importante. Nel più recente passato e, so-prattutto, nella fase più critica della lotta contro il coronavirus l’abuso dell’ottica federalista ha, infatti, indotto molti politici a vedere nella Regione addirittura una sorta di piccolo Stato muni-to di ampi poteri di legislazione. La realtà ha, però, contraddetmuni-to tale visione ultrafederalista. Ci ha fatto scontrare con la sostan-ziale esiguità di fatto della legislazione regionale, resa ancora più evidente dal rafforzamento dei controlli statali sulla spesa de-centrata effettuati con lo specifico fine di far rispettare il vincolo costituzionale e unionale dell’equilibrio di bilancio, di cui all’art. 81, sesto comma della Costuzione.

In questa situazione, più che esautorare definitivamente il dise-gno federalista – come da più parti si è proposto prendendo lo spunto dai contrasti insorti tra Stato e Regioni durante la gestio-ne della pandemia – sarà igestio-nevitabile tornare a pensare alla Regio-ne come reale luogo di elaborazioRegio-ne delle politiche territoriali e come un indispensabile punto di sintesi, politica e amministrati-va, dei sistemi locali in sè e nei rapporti con il centro. Il che non significa che la Regione non debba continuare ad essere un ente di legislazione capace di adeguare le regole nazionali alle esigen-ze del territorio. Significa solo che la sua potestà legislativa resi-duale e, quindi, esclusiva, di cui al quarto comma dell’art. 117, dovrebbe essere esercitata con riguardo solo a materie

specifica-mente individuate e ad essa strettaspecifica-mente riferibili (attinenti cioè all’organizzazione, al personale e all’amministrazione degli uffi-ci e, comunque, corrispondenti puntualmente alle attività che, in forza del principio di sussidiarietà, essa è in grado di program-mare e di svolgere in modo più efficiente rispetto allo Stato). Sono queste, ad esempio, le materie del governo del territorio (principalmente l’urbanistica e l’edilizia), dei lavori pubblici di interesse regionale, della valorizzazione dei beni culturali e ambientali, dei servizi sociali, dell’istruzione e della formazione professionale (salvo l’autonomia delle istituzioni scolastiche), della promozione e dell’organizzazione di attività culturali e di fiere commerciali, dell’agricoltura, della caccia e della pesca in acque interne. Il che non esclude nemmeno che la Regione possa e debba esercitare, ex art. 119, secondo comma, Cost., anche una potestà normativa tributaria propria, necessaria al finanziamen-to delle funzioni relative a tali materie.

In questo assetto, solo la competenza legislativa ad essa attri-buita riguardo alle indicate materie sarebbe, dunque, primaria della Regione. Dovrebbe, invece, essere trasferita allo Stato la competenza relativa a materie, di sicuro interesse nazionale, che attualmente è anacronisticamente riconosciuta alla Regione, come i porti e aeroporti civili, le grandi reti di trasporti e di navi-gazione, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia, la programmazione strategica del turismo.

Un discorso più articolato andrebbe fatto per le materie “natu-ralmente” trasversali di cui si è detto, nelle quali è rinvenibile un forte intreccio – che la stessa Corte costituzionale ha definito «inestricabile»13 – fra interesse statale e interesse regionale. At-tualmente, alcune di esse sono attribuite alla competenza esclu-siva dello Stato (art. 117, secondo comma), altre alla competenza concorrente di Stato e Regione (art. 117, terzo comma).

interfe-In particolare, alla competenza esclusiva dello Stato sono attri-buite la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia sanitaria ed assistenza sociale (art. 117, secondo comma, lett. m) e la tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lett.

s). Sono attribuite alla competenza concorrente Stato-Regioni il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, l’alimentazione e – ciò che qui più interessa – la materia della tu-tela della salute e del lavoro, nonché la materia delle professioni, della ricerca scientifica e tecnologica, del sostegno all’innovazio-ne per i settori produttivi e dell’elaborazioall’innovazio-ne di piani di sviluppo regionali e locali (art. 117, terzo comma).

Riguardo a queste materie – che sono ora di competenza concor-rente e ripartita e quindi sono rimesse, per espressa disposizio-ne del terzo comma dell’art. 117, all’iniziativa legislativa delle Regioni assunta nel rispetto dei principi fondamentali dettati dallo Stato – una soluzione potrebbe essere quella di attribui-re allo Stato medesimo una competenza, derogabile o cedevole, a determinare norme (e non, come ora, principi) fondamentali, come tali pienamente cogenti. Si scioglierebbe così l’intreccio di interessi come quello che nella presente sfavorevole congiuntu-ra ha suscitato i contcongiuntu-rasti fcongiuntu-ra Stato e alcune Regioni in tema di

renze fra norme rientranti in materie di competenza statale ed altre di compe-tenza concorrente o residuale regionale, «può parlarsi di concorrenza di com-petenze e non di competenza ripartita o concorrente. Per la composizione di siffatte interferenze la Costituzione non prevede espressamente un criterio ed è quindi necessaria l’adozione di principi diversi». Tali principi sono quello di “prevalenza”, che può applicarsi «qualora appaia evidente l’appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre» (sentenze nn. 114 del 2017, 44 del 2014, 118 del 2013, 334 del 2010, 237 del 2009), e quello di “leale collaborazione”, «che per la sua elasticità consente di avere riguardo alla peculiarità delle singole situazioni» ed impone alla legge statale di predisporre strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a tutela delle loro competenze (sentenze nn. 71 del 2018, 44 del 2014, 234 e 187 del 2012, 88 del 2009, 50 del 2008, 213 e 133 del 2006).

sanità. Si concentrerebbe, in particolare, la competenza in una legge statale di rango elevato (ad esempio, una legge-quadro), lasciando però alla Regione spazi per l’integrazione dei livelli di tutela statale e per l’arricchimento della sua autonomia entro i limiti, non superabili, indicati espressamente dalla medesima legge statale.

Con riguardo alla materia specifica della salute, ciò ovviamente non esclude il potere-dovere delle Regioni di intervenire, con disciplina di dettaglio e (possibilmente) di concerto con il Go-verno, nel proprio ambito territoriale e, più in particolare, nel campo dell’organizzazione sia dei servizi di loro competenza, sia delle loro modalità di azione. Ciò può avvenire anche nelle si-tuazioni di emergenza, ma pur sempre nell’ambito e in attuazio-ne delle norme fondamentali dettate dallo Stato; fermo restando, naturalmente, il potere del Governo nazionale di sostituirsi agli organi della Regione o degli enti locali nel caso di un “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica” (art. 120 Cost.).

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