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IL SUPERAMENTO DELLA DOPPIEZZA ATTRAVERSO IL MITO DELL’ANDROGINO

4.1 Sulla funzione del mito nell’epoca contemporanea

Nei capitoli precedenti, analizzando la poetica e le opere I Gemelli e Travesti di Mircea Cǎrtǎrescu, si è fatto molte volte ricorso alla parola “mito”, specialmente in riferimento al “mito dell’Androgino”. Ciò ci porta, in quest’ultimo capitolo, a servirci di un’altra disciplina, che offre la possibilità di illuminare ancora sotto un’altra prospettiva le due opere dell’autore romeno: l’antropologia.

Prima di affrontare una panoramica sul mito dell’Androgino, sarà necessario capire cosa si intende per “mito”, una parola che nei secoli contemporanei, dominati dalla mentalità dell’uomo “razionale”, sembra essere ormai ridotta ad un paradigma di inautenticità.

Tentare di dare una definizione di mito è certamente un’impresa ardua: grava ineluttabilmente la tradizione di studi per opera di poeti, filosofi, antropologi e linguisti, che da sempre si interrogano sull’essenza del mito producendone le interpretazioni più disparate.

Wittgenstein nelle Note sul “Ramo d’oro” di Frazer332 afferma che il mito non può essere spiegato: è necessario rinunciare alla tenace volontà di interpretare (e di confutare) i miti, riconoscendo che essi, nel loro aspetto irrazionale, ci circondano e sopperiscono alla frammentarietà conoscitiva prodotta dalla scienza.

I miti si formano e si riformano in maniera poligenetica in tutte le culture umane (somigliandosi in maniera sconcertante): essi sono una risorsa indispensabile per dare senso alla vita.

Nella nostra epoca la parola “mito” è spesso trattata come equivalente a falso ed è sempre più radicata l’idea che il confuso “pensiero mitico” delle ere passate debba essere sconfitto dal “pensiero razionale”. Ma per quanto l’era scientifica contemporanea tenti di “demitizzare” la cultura, ristabilendo la verità contro l’errore, è certo invece che nessuna epoca, come nessuna civiltà, può fare a meno del mito:

332 Ludwing Wittegenstein, Note sul “Ramo d’oro” di Frazer, traduzione di Sabina de Waal, Adelphi,

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Oggi si sta comprendendo una cosa di cui il XIX secolo non poteva avere nemmeno un presentimento, ovvero che il simbolo, il mito, l’immagine appartengono alla sostanza della vita spirituale, che è possibile mascherarli, mutilarli, degradarli, ma che non li si estirperà mai...333.

Secondo Peppino Ortoleva334, in uno degli scritti che meglio sembra far luce sul mito e sulla sua persistenza nell’epoca contemporanea, il mito “è un racconto che fa da ponte tra il vissuto e il cosmo”335.

Il mito è, dunque, prima di tutto un racconto. La narrazione è un universale umano, è una risorsa indispensabile alla vita, che può essere “umana” proprio in quanto dotata della parola:

Nel principio era la Parola e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio. Egli (la Parola) era nel principio con Dio. Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui (la Parola), e senza di lui nessuna delle cose fatte è stata fatta.

Il passo riportato dal Vangelo di Giovanni336 dimostra come l’uomo, che indubbiamente è artefice materiale della Sacra Bibbia (senza indagare sulla “mitologia” cristiana, argomento culturalmente ancora troppo delicato) sia cosciente della funzione costruttrice della parola. È attraverso il Verbo che le culture assumono una fisionomia riconoscibile, che esso sia di tipo orale o scritto. L’atto del narrare permette di donare un senso all’esperienza e al tempo, e contemporaneamente permette di costruire e visitare mondi “al di là della nostra diretta esperienza”337.

Tramite il racconto il mito diviene il mezzo indispensabile per rispondere ai grandi dogmi della civiltà umana. A precedere il racconto vi è l’immaginazione che si innesca nel tentativo di comprendere l’insieme delle entità, dei luoghi e dei mondi che, inafferrabili, circondano il nostro vivere, quell’entità eterogenea che lo studioso Ortoleva identifica nel cosmo338.

333 Mircea Eliade, Immagini e simboli, saggi sul simbolismo magico-religioso, traduzione di Massimo

Giacometti, Jaca Book, Milano, 2007, p. 15.

334 Peppino Ortoleva, Miti a bassa intensità, Einaudi, Torino, 2019, p. XI. 335 Ivi, p. XII.

336 San Giovanni, Vangelo, 1, vv. 1-4, in La Sacra Bibbia Diodati, consultabile al link:

https://www.biblegateway.com/passage/?search=Giovanni%201&version=LND (consultato il 13/01/2020).

337 Peppino Ortoleva, Miti a bassa intensità, cit, p. XII. 338 Ivi, pp. XII-XIII.

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Il mito, quindi, è un bisogno indispensabile per la vita dell’uomo tanto da essere un fenomeno portante a livello sociale, culturale e psicologico. Il mito è ineliminabile ed eternamente mutabile: esso non scompare, ma si trasforma in base alle modificazioni sociali e culturali delle varie epoche. La “demitizzazione” scientifica non farà altro che smentire un racconto che lascerà il passo alla nascita di un altro.

Il mito è un racconto che assume significato in quanto viene ripetuto e riascoltato e che, connettendosi con i fenomeni di trasformazione delle culture umane, fornisce un contatto con ciò che non possiamo conoscere. Sembra a questo punto confutata l’idea che il mito sia scomparso nell’età del pensiero razionale e vi è da comprendere invece come esso si sia trasformato.

Durante gli ultimi secoli i miti si sono scontrati con la crescente mentalità individualista e hanno trovato un canale di diffusione nell’“industria culturale” odierna. Si intuisce, poi, come il loro statuto di narrazione abbia individuato uno dei principali canali di sfogo nella produzione letteraria, come del resto afferma l’antropologo Mircea Eliade:

Varrebbe la pena di studiare la sopravvivenza dei grandi miti per tutto il XIX secolo e si vedrebbe in che modo, umili, sminuiti, condannati a cambiare incessantemente d’insegna, essi abbiano resistito a questa ibernazione, grazie soprattutto alla letteratura339.

Peppino Ortoleva distingue due “stati” del mito: quello ad “alta intensità” e quello “a bassa intensità”340. Se il fine del mito è sempre lo stesso, ovvero dare una risposta alle

incertezze dell’uomo, la sua fisionomia nello stato “a bassa intensità”, ovvero nei secoli della modernità e della postmodernità, risulta estremamente mutata.

I miti nell’epoca contemporanea si spostano dall’aion dell’“alta intensità”, un tempo “altro” irraggiungibile se non tramite la pratica solenne del rito e la sua ripetitività, approdando nella nostra realtà e obbedendo alle nostre leggi temporali e spaziali. Il sistema di obblighi e divieti, riti e cerimonie crolla, e i racconti si presentano come oggetto di consumo nel tempo libero, soggetti ad una scelta personale. Le figure “altre”, dèi, dèmoni, animali parlanti, lasciano il passo ad una visione antropocentrica e i protagonisti

339 Mircea Eliade, Immagini e simboli, cit., p. 15.

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delle storie diventano esseri tali e quali a noi341: “L’eroe dei contemporanei non è Lucifero e non è nemmeno Prometeo, è l’uomo”342.

Il mito diviene così una presenza generalizzata nella nostra vita, quasi un luogo in cui ci è possibile trasferirci a vivere. Ma a questa spinta verso il basso, che rischia di minare alla base l’essenza del mito rendendolo solo una mimesi del quotidiano, vi è una spinta compensativa. Le narrazioni (romanzi, fumetti, film, ecc.) si caricano di connotazioni fantastiche, fatte di passioni eccezionali e narrazioni straordinarie, sino ai casi di recupero dell’“alta intensità”, in modo che il racconto possa conservare una delle sue caratteristiche fondamentali: destare meraviglia343.

Tutto il Novecento è stato attraversato da tentativi di ritrovare un mitico capace di fare uscire l’umanità dai limiti del mondo moderno, attraverso la ricerca di forme tradizionali e più vicine all’alta intensità, o attraverso sistematiche rievocazioni di figure e storie pre- moderne344.

L’“alta intensità”, infatti, non ha mai abbandonato l’uomo, piuttosto preferisce riemergere nel nuovo universo narrativo assumendo le caratteristiche dei miti moderni antropocentrici345. Ma al contempo essa permette alle nuove narrazioni orientate verso

l’umano di raggiungere il loro statuto mitico di ponte verso il cosmo:

Pur sempre di miti si tratta. […]. Possono essere pienamente compresi solo tenendo conto dell’insieme di credenze anche di antichissima origine che circolano nel nostro mondo, perché ne sono in parte la continuazione, in parte i sostituti346.

In questa prospettiva è possibile comprendere “la rifunzionalizzazione del mitologema dell’Androgino347”, indicata nello studio di Alvaro Barbieri condotto sul

romanzo Travesti.

341 Ivi, p. 20.

342 Maurice Merlau-Ponty, Senso e non senso, il Saggiatore, Milano, 1962, p. 217, citato in Peppino

Ortoleva, Miti a bassa intensità, cit, p. 21.

343 Peppino Ortoleva, Miti a bassa intensità, cit, p. 18. 344 Ivi, p. XX.

345 Ivi, p. XIX. 346 Ivi, p. 7.

347 Alvaro Barbieri, Mircea Cǎrtǎrescu e il mito della reintegrazione, in «Annuario dell’Istituto Romeno

di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia», a cura di Şerban Marin, Rudolf Dinu, Ion Bulei e Cristian Luca, n. 5, Casa editrice enciclopedica, Bucarest, 2003, p. 556.

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I meccanismi simbolici e contenutistici nelle opere di Mircea Cǎrtǎrescu che rimandano al mito della coincidentia oppositorum sono la riproposta dell’“alta intensità”, che, completamente immersa in delle storie “antropocentriche”, permette alla narrazione romanzesca di raggiungere delle vibrazioni cosmiche. Attraverso il recupero del mito a Mircea e ai suoi personaggi è permesso di ripercorrere la via verso il cosmo e verso il tutto, di travalicare il limite dell’umano.

Il lettore del romanzo, intanto, seduto comodo sul divano, potrà decidere di aderire liberamente al racconto, di indossare la maschera dei personaggi di Mircea Cǎrtǎrescu, e di raggiungere con (e attraverso) essi il sogno nostalgico di tutte le culture umane: l’essere primordiale.

4.2 Il mito dell’Androgino tra “alta” e “bassa” intensità

Secondo lo studioso delle religioni Mircea Eliade esiste un nodo ininterrotto di miti, riti e teorie tradizionali che hanno come loro base di elaborazione il mistero dell’unione dei contrari e della totalità, ovvero quel concetto definito da Niccolò da Cusa come coincidentia oppositorum348. Questo fascio di miti, riti e credenze avrebbe come scopo ultimo il ricordare all’essere umano che “la realtà ultima, il Sacro, la divinità349” si

pongono aldilà della conoscenza razionale, e che per approcciarsi ad essi è necessario accettare che il cosmo non sia pensabile attraverso le categorie umane, perché non si farebbe altro che percepirlo attraverso frammenti e tensioni.

Alla base del mito dell’Androgino vi sarebbe un’idea diffusa nelle culture umane, per cui tutto ciò che si pone “al di là della nostra diretta esperienza350” deve rispecchiare

un’idea di fondo di totalità, in cui si annullino le forze oppositive.

Il mito della coincidentia oppositorum si presenterebbe con forza nelle sfere del Sacro tanto nell’androginia degli dei, quanto nei riti di androginazione simbolica, quanto nelle cosmogonie351. La proliferazione di questi miti, con l’associazione della simbologia e della ritualità, sono numerose sia nelle culture che ci sono più vicine, ovvero quelle del mondo mediterraneo, sia nelle altre culture del mondo. La diffusione, secondo lo studioso Mircea Eliade, è da spiegarsi con il fatto che questi miti dovevano in qualche modo dare

348 Mircea Eliade, Mefistofele e l’Androgine, Edizioni mediterranee, Roma, 1995, p. 73. 349 Ivi, p. 75.

350 Peppino Ortoleva, Miti a bassa intensità, cit, p. XII. 351 Mircea Eliade, Mefistofele e l’Androgine, cit., p. 98.

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una risposta soddisfacente del mistero del cosmo come “totalità”, spingendo l’essere umano ad avvicinarsi “a questa pienitudine attraverso riti o tecniche mistiche di reintegrazione352”.

Vi è da rilevare, innanzitutto, una similitudine tra il mito dell’Androgino, in quanto essere perfetto antenato dell’umanità, e i miti cosmogonici. Difatti, entrambi sembrano rimandare ad una totalità, che è vissuta fuori dal nostro tempo e dal nostro spazio, dalla cui scissione è nato il mondo e gli esseri che lo popolano353.

In generale si può affermare che l’Essere primordiale si manifesta in forma androgina prima della polarizzazione, o il che è lo stesso, prima della sua separazione nelle due metà, maschio e femmina, Cielo e Terra, Yang e Ying. Così avviene per lo Ptah egiziano, per la Tiamat accadica. […]. In Giappone Izanagi e Izinami sono in origine confusi in un unico uovo del Caos. […]. «L’uno produce il due», come dice il Tao.354

Molti miti cosmogonici, disseminati per tutte le culture del mondo, presentano in origine una “totalità”, che conteneva all’interno tutte le polarità. Questa totalità sembra poi prendere delle forme simboliche che si rispecchiano nelle diverse culture: una sfera simile ad un uovo, nella quale Terra e Cielo si trovavano riunite; il Caos come massa informe; un Gigante contenente in sé la totalità355. Ciò che è importante mettere in luce è

che la creazione del mondo (quanto quella dell’uomo) avviene sempre attraverso una divisione, uno smembramento o una frammentazione.

Il concetto di coincidentia oppositorum è parimenti riscontrabile nella concezione della divinità come androgina.

Si potrebbe partire, a titolo esemplificativo, dalle teogonie greche più antiche, in cui “gli esseri neutri o femminili generano da soli356”. Difatti, come ci è testimoniato dalla

Teogonia357 di Esiodo, secondo la cultura greca, dal Caos primigenio sarebbero nati Erebo e Notte; dalla Terra si sarebbe generato il Cielo stellato. Ma il dono della bisessualità non è posseduto solamente dagli esseri cosmogonici, esso è riscontrabile parimenti nelle qualità delle divinità dell’Olimpo358. Tra i numerosi esempi si prendano alcuni tra i più

352 Ivi, p. 99. 353 Ivi, p. 105.

354 Jean Chevalier e Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli, Miti, sogni, costumi, gesti, forme, figure, colori, numeri, a cura di Italo Sordi, BUR, Milano, 2019, p. 51.

355 Mircea Eliade, Mefistofele e l’Androgine, cit., p. 105. 356 Ivi, 99.

357 Esiodo, Teogonia, a cura di Eleonora Vasta, Mondadori, Milano, 2004. 358 Mircea Eliade, Mefistofele e l’Androgine, cit., p. 99.

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spettacolari riportati nello studio antropologico di Mircea Eliade: a Labranda si adorava uno Zeus barbuto con sei mammelle disposte a triangolo sul petto; a Cipro si venerava un’Afrodite barbuta; Era aveva generato da sola Efesto e Tifeo359.

Parimenti a ciò che avveniva nella cultura religiosa greca (e poi romana) è possibile rintracciare manifestazioni della divinità come coincidentia oppositorum in tantissime altre culture sparse per il mondo. Ad esempio, in Cina l’androginia divina è rappresentata dalla coppia luce e oscurità, che rimanda inevitabilmente al simbolo molto conosciuto dello Yin e dello Yang, che rappresenta l’unione “dei principi maschile e femminile, celeste e terrestre, luminoso ed oscuro”360. Ancora si potrebbero citare, per annoverare altre due culture umane: Zervan, il dio iranico del tempo illimitato361, e il dio Ardhanârîshvara della religione induista362, entrambi androgini.

Se l’androginia è dunque la caratteristica fondamentale della totalità originaria, da cui poi si sono scisse le “opposizioni” che fanno parte del nostro mondo, anche l’antenato dell’essere umano doveva possedere, in illo tempore, il dono della bisessualità e, quindi, della coincidenza degli opposti.

L’antenato mitico androgino è anch’esso presente in molte culture del mondo, di cui ricordiamo ad esempio l’Adamo Tuisto della mitologia germanica, laddove “Tuisto” potrebbe essere ricondotto ad esempio al termine tvistr, ovvero bipartito nella lingua norvegese, e al latino bis363.

Il più noto antenato androgino dell’essere umano è sicuramente quello tramandatoci da Platone nel Simposio364. Il filosofo greco narra di un periodo in cui l’uomo non conosceva il sesso, aveva dell’uno come dell’altro. Gli uomini avevano quattro mani e quattro gambe, due visi contrapposti, quattro orecchie, due organi genitali: tutto era raddoppiato e allo stesso tempo riunito in un unico essere dalla forma sferica. Questi uomini erano più forti e più agili di noi, grazie alla loro forma che gli permetteva di muoversi facilmente in qualsiasi senso essi volessero e che, quando volevano correre, gli permetteva di fare delle agili e rapidissime capriole. Gli esseri umani inorgogliti di questa loro potenza, decisero di scalare l’Olimpo, allorquando Zeus decise di punirli, dividendoli per sempre in uomini e donne.

359 Ibidem.

360 Jean Chevalier e Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli, cit., p. 51. 361 Mircea Eliade, Mefistofele e l’Androgine, cit., p. 101.

362 Jean Chevalier e Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli, cit., p. 52. 363 Mircea Eliade, Mefistofele e l’Androgine, cit., p. 101.

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La concezione di Platone, ovvero che alla base dell’essere umano doveva esistere un’unità non scissa, riflesso della perfezione divina, si ritrova chiaramente anche nel mito della creazione dell’uomo della religione cristiana.

Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta365».

La Genesi afferma con forza la creazione della donna dalla costola di Adamo, dimostrando come anche nella religione cristiana si supponga un antenato umano indifferenziato366.

Un’interpretazione della genesi dell’uomo secondo un processo divisivo della totalità è stata proposta dal teologo Scoto Eriugenia, vissuto in Inghilterra nel IX secolo dopo Cristo. Il teologo propone una teoria sulla divisione dei sessi, nella quale essa fa parte di un processo cosmico367. Difatti, la scissione delle cose del Mondo era iniziata (come ricorda la Genesi) in Dio, in un processo continuo che aveva portato alla divisione dell’essere umano in uomo e donna. Dal momento che l’uomo sarebbe stato l’ultimo tassello della potenza creatrice di Dio, allo stesso modo il superamento della divisione, per ricongiungersi con l’Unico, sarebbe dovuta cominciare propriamente da questi. La divisione dei sessi è stata causata dal peccato, ma ad esso sarà possibile porre rimedio: nel giorno del giudizio seguirà la riunificazione di tutte le sostanze di Dio, a partire dall’uomo e dalla donna, fino alla riunione escatologica del mondo terrestre al Paradiso. Ancora si fanno portavoce dell’androginia di Adamo alcuni Midrashim. Infatti, come ricorda ancora Mircea Eliade: “secondo il Bereshit rabba, Adamo ed Eva erano stati creati schiena contro schiena, uniti per le spalle: poi Dio li separò con un colpo di ascia dividendoli in due368”.

Anche le correnti gnostiche della religione cristiana diedero ad Adamo le qualità divine di androgino. Ad esempio, i Nasseni, in particolar modo, concepivano il primo

365 Genesi, 1, 21, in La Sacra Bibbia, consultabile al link: https://www.maranatha.it/Bibbia/1-

Pentateuco/01-GenesiPage.htm (consultato il 13/10/202).

366 Jean Chevalier e Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli, cit., p. 52. 367 Mircea Eliade, Mefistofele e l’Androgine, cit., p. 94.

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uomo come arsenothelys, ovvero come maschio-femmina369. Adamo era il riflesso dell’essere celeste, dunque doveva condividerne le caratteristiche di totalità. Dal momento che tutti gli esseri viventi provengono da Adamo, ad essi è ancora concesso di ritrovare la condizione originaria di androginia, raggiungibile attraverso il perfezionamento spirituale.

Infine, bisogna prendere in esame, seppur brevemente, i riti di androginazione simbolica, in cui si manifesta con forza il mito della coincidentia oppositorum.

L’androginia iniziatica, in alcune culture (come ad esempio alcune popolazioni australiane370) è legata ad una vera e propria operazione, in molti casi però essa sembra essere ritualizzata attraverso il travestimento dei ragazzi e delle ragazze nel sesso opposto (come ad esempio in alcune tribù africane a polinesiane371). Il travestitismo intersessuale

è poi una pratica molto frequente nell’antica Grecia, specialmente come usanza nuziale, in alcune cerimonie dionisiache, ma anche in altre occasioni372. Mircea Eliade inoltre annovera nelle manifestazioni rituali dell’androginia i travestimenti del Carnevale in Europa, quelli delle cerimonie agricole dell’India, della Persia e di alcuni paesi dell’Asia373.

Tutti questi riti sembrano però avere sempre la stessa funzione:

uscire da se stessi, trascendere la propria situazione particolare, fortemente storicizzata, per ripristinare una situazione originaria, trans-umana e trans-storica perché anteriore alla costituzione della società umana; situazione paradossale, impossibile da mantenere nella durata profana, nel tempo storico, ma che era necessario reintegrare periodicamente, onde restaurare, anche per un solo istante, la totalità iniziale, la sorgente intatta della sacralità e della potenza374.

Si è fatta fino ad ora una breve, e sicuramente molto parziale, disamina di miti, simboli e riti che rimandano al concetto di coincidentia oppositorum. A questo punto sorge spontaneo il chiedersi da dove essi provengano, quale sia il processo immaginativo che ne ha permesso il proliferare nei secoli.

369 Ibidem. 370 Ivi, p. 102. 371 Ibidem. 372 Ivi, 103. 373 Ibidem. 374 Ivi, pp. 103-104.

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Si è detto nel primo paragrafo che la funzione del mito, e dei suoi apparati connessi della simbologia e della ritualità, assurge sempre ad una funzione conoscitiva: è attraverso di esso che l’uomo cerca di dare risposta ai grandi dogmi che lo pervadono.

L’uomo da sempre porta con sé un fardello, l’invitabile condizione umana. Egli si sente profondamente insoddisfatto della situazione in cui si trova, sente di aver perduto

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