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Il Terzo Settore: definizioni e sviluppo in Italia

LE AZIENDE NON PROFIT: ASPETTI ECONOMICI E CLASSIFICAZIONI ECONOMICO-AZIENDAL

3.2 Il Terzo Settore: definizioni e sviluppo in Italia

3.2.1Definizioni

“Durante gli anni Novanta del secolo scorso, all’improvviso e inaspettatamente, un settore che produce beni e servizi dalle caratteristiche peculiari si è trovato al centro dell’attenzione dei ricercatori, dei politici, degli amministratori e della stessa opinione pubblica. Organizzazioni che si occupano di tossicodipendenti e di portatori di handicap, circoli sportivi e ricreativi, cooperative scolastiche di genitori, cliniche e ospedali di enti religiosi, associazioni ambientaliste, organizzazioni non governative che operano con i paesi in via di sviluppo, associazioni culturali e politiche, gruppi locali di volontariato, fondazioni che gestiscono musei, cooperative di inserimento di ex carcerati, università non statali, fondazioni di erogazione e altro ancora, sono diventati oggetto di un interesse senza precedenti. Si tratta di organizzazioni che, al di là delle profonde differenze che le connotano, sono accomunate da una caratteristica: non distribuiscono a soci o dipendenti gli eventuali profitti che derivano dalla gestione della loro attività ma, al contrario, re-investono questi profitti per aumentare la quantità e migliorare la qualità dei servizi erogati. Sono quello che è stato chiamato – mutuando la terminologia americana – il settore non profit” (119). Nonostante la grande attenzione sorta, risulta di modesta entità la diffusione di informazioni relative alle caratteristiche specifiche e alle grandi differenze che esistono all’interno del settore non profit, tanto da generare confusione e sovrapposizioni. Già in riferimento alla terminologia utilizzata, si possono distinguere diverse espressioni: oltre alla più comune di “settore non profit”, ve ne sono altre largamente utilizzate come: “terzo settore (o terzo sistema)”, “privato sociale”, “economia civile”.

“L’espressione terzo settore probabilmente reca in sé un’individuazione in termini residuali del fenomeno (tutto ciò che non è Stato e non è impresa) e la constatazione del ruolo marginale ch’esso assume rispetto allo Stato e alle imprese (che implicitamente costituiscono i primi due settori). L’espressione privato sociale pone l’accento sul fatto che i soggetti di cui parliamo hanno certamente carattere privato, ma – mi si passi l’espressione – è un privato con forti connotazioni sociali, le quali in qualche modo

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sospingono questi soggetti verso lo Stato che, per definizione, ha contenuto sociale. Insomma, si tratta di entità che si pongono in mezzo tra lo Stato (tipica espressione del sociale) e le imprese (tipica espressione del privato)” (120

).

Il termine più generale è quello di economia civile: “economia”, perché le organizzazioni non profit producono beni (o forniscono servizi); “civile”, per l’applicazione dello stesso principio che permette l’istaurarsi di relazioni all’interno della società civile, il principio di reciprocità. Secondo vari autori, comunque, l’espressione più appropriata è quella di settore non profit, del quale termine è stata recentemente fornita una definizione strutturale-operativa, utilizzata dall’Istat per la realizzazione, nel 1999, del primo censimento sul settore non profit italiano. Secondo questa definizione, devono essere considerate come non profit quelle organizzazioni che:

 sono formalmente costituite;

 hanno natura giuridica privata;

 si autogovernano;

 non posso distribuire profitti a soci e dirigenti;

 sono volontarie, sia nel senso che l’adesione non è obbligatoria, sia perché sono in grado di attrarre una certa quantità di lavoro gratuito. Sono quindi escluse le organizzazioni informali, perché prive di uno statuto, di un atto costitutivo o di qualunque altro documento che regoli l’accesso dei membri, i loro comportamenti e le relazioni reciproche, evidenziando così la “consistenza organizzativa dell’istituzione e la sua stabilità nel tempo”. Posizionate al di fuori del perimetro non profit sono anche le società cooperative, organismi intermedi tra società di capitali e organizzazioni non profit, poiché violano il vincolo di non distribuzione degli utili. Si distinguono, però le cooperative sociali, regolate dalla legge 381/1991, considerate parte del settore non profit italiano (121).

120

P. Capaldo, op. cit., p.15.

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3.2.2 Le origini e l’evoluzione del non profit in Italia

In Italia, la presenza delle organizzazioni non profit trova le sue origini soprattutto nelle istituzioni filantropiche e caritative cattoliche di tradizione ottocentesca, anche se si possono riscontrare casi aventi storia più antica, addirittura delle charity anglosassoni. “L’azione sociale di queste istituzioni rispondeva ad un orientamento culturale e sociale di tipo assistenzialista, secondo il quale questa doveva rispondere ad un dovere morale che era proprio di chi prestava soccorso e non ad un diritto all’assistenza da parte di chi versava in condizioni di bisogno. L’azione caritativa veniva svolta non per eliminare la povertà, quanto allo scopo di realizzare un’azione di soccorso verso individui qualificati da uno stato di bisogno. Sulla base di questa impostazione, fortemente permeata di valori religiosi, l’intervento concreto si traduceva soprattutto nella tradizionale beneficienza (il cui scopo era di operare una redistribuzione del superfluo), nell’offerta di strutture residenziali, nell’assistenza domiciliare. Lo svolgimento di queste attività indubbiamente meritorie era finalizzato, oltre ad offrire sollievo agli indigenti, anche all’edificazione morale dei soccorritori” (122

).

Accanto a queste istituzioni secolari, se ne individuano altre, più recenti, frutto della nascita e dello sviluppo del movimento dei lavoratori. Fino agli anni Settanta le organizzazioni del Terzo Settore non avevano mai assunto un ruolo politico autonomo e, di conseguenza, non offrivano alcuna tutela politica alle categorie sociali che usufruivano dei loro servizi, né promuovevano nuovi diritti civili e sociali. Fungevano da intermediatori per la difesa degli interessi di queste, le autorità religiose e politiche presenti a livello locale e nazionale. L’unica forma di tutela evolutasi all’interno del Terzo settore è stata quella offerta dalle associazioni mutualistiche. Nascono e si sviluppano le Società di Mutuo Soccorso, “un’istanza di autorganizzazione popolare spesso contrapposta alla logica paternalistica della beneficienza e dell’assistenza privata”. Successivamente sorgono le prime associazioni di categoria, legittimate a rappresentanti degli interessi di specifiche categorie di soggetti. Anche i patronati di emanazione sindacale, hanno svolto la funzione di assicurare la tutela ai lavoratori, secondo un modello paternalistico fondato sulla centralità dell’intermediazione partitica e sindacale.

122

C. Ranci, La crescita del terzo settore in Italia nell’ultimo ventennio, in U. Ascoli (a cura di), Il

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Il settore non profit italiano conosce una profonda trasformazione a partire dagli anni Settanta; si assiste infatti ad una crescita importante del settore, che indebolisce progressivamente l’egemonia storica esercitata dalla Chiesta cattolica. Si costituiscono nuove organizzazioni: associazioni, gruppi di volontariato, comitati, cooperative sociali, volontarie e autonome dalla chiesa, presto chiamate a rispondere alle nuove esigenze sociali, quali la diffusione della tossicodipendenza, la prevenzione del disagio giovanile, la tutela dei portatori di handicap e dell’infanzia, l’assistenza agli anziani.

Lo Stato italiano, in queste circostanze, desidera assumere su di sé la responsabilità di soddisfare i bisogni della società ed incrementare il livello di benessere, limitando lo spazio di azione alle organizzazioni private. Gli anni più recenti, tuttavia, manifestano un’inversione di tendenza, causata dalla necessità di arrestare la dinamica espansiva della spesa pubblica e dalla consapevolezza della grave inefficienza dell’amministrazione pubblica. Nell’impossibilità di espandere ulteriormente l’intervento pubblico, le autorità pubbliche enfatizzano la capacità delle organizzazioni del Terzo settore di soddisfare una concreta domanda di servizi. Un ulteriore segnale di cambiamento consiste nell’attribuzione alle stesse di responsabilità sociali che vanno al di là della semplice fornitura di servizi pubblici, cooperando alla giustizia, alla 16 progettazione di nuovi programmi di welfare, al controllo sociale della devianza giovanile (123).