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Il trattamento dei sarcomi dei tessuti molli è assai complesso e richiede un approccio multidisciplinare che coinvolga diversi specialisti. E’ ormai pratica comune, nei centri terziari di discutere ogni paziente in meetings multidisciplinari in cui chirurghi, radioterapisti, radiologi, oncologi medici ed altri specialisti convergono per individuare il trattamento personalizzato migliore per ogni paziente, sulla base delle caratteristiche peculiari della neoplasia e del paziente stesso.

Generalmente, i cornerstones del trattamento sono la chirurgia, la radioterapia e la chemioterapia. Quando, a seguito di interventi particolarmente demolitivi che si associano alla presenza di importanti gap nei tessuti molli, si può richiedere una fase ricostruttiva con l’aiuto di specialisti in chirurgia plastica.

La scelta dell’approccio dipende da numerosi fattori tra cui l’istotipo, il grado, lo stadio e la sede del tumore, nonché l’età e le condizioni generali del paziente 9.

Tuttavia, è possibile categorizzare i pazienti in tre gruppi principali, che prevedono diverse strategie terapeutiche:

• Malattia locale limitata;

• Malattia localmente avanzata;

Diagnosi

Tranne in rare occasioni, come già specificato precedentemente, i sarcomi delle parti molli insorgono nelle estremità come masse non dolenti, del tutto assimilabili a lesioni benigne. Tuttavia, queste neoplasie, più raramente, sono localizzate nel distretto testa- collo, nel retroperitoneo e più raramente a livello viscerale.

Figura 6. A sinistra una lesione benigna, a destra una lesione maligna. Clinicamente

sono del tutto indistinguibili tra di loro.

Questi reperti sono molto frequenti nella pratica clinica e del tutto aspecifici. Nella maggioranza dei casi si tratta di lesioni di natura benigna che non minacciano la sopravvivenza dei pazienti. In una minoranza dei casi, tuttavia, queste lesioni si rivelano essere dei sarcomi. Ogni 300 lesioni benigne, una si rivela essere un sarcoma. Per tale motivo è molto frequente l’escissione non pianificata di sarcomi con margini non adeguati. Proprio per tale motivo è quanto mai necessario un corretto iter diagnostico.

Per combattere questo tipo di errore diagnostico negli anni sono state prodotte diverse raccomandazioni cliniche e campagne educative rivolte ai medici di base e ai chirurghi plastici e chirurghi generali. La raccomandazione più importante è quella di riferire un

individua una massa profonda di qualsiasi dimensione, una lesione in rapido accrescimento o associata a dolore 23. Putroppo, nonostante le raccomandazioni, è ancora relativamente comune imbattersi in escissioni non pianificate di lesioni che si rivelano essere sarcomi.

La diagnosi definitiva viene posta con lo studio anatomopatologico della lesione, tuttavia è necessaria una corretta caratterizzazione del tumore con tecniche di imaging sia per lo studio locale che sistemico della patologia, in modo da poter pianificare il trattamento.

1. Ecografia

L’ecografia come tecnica strumentale di primo livello permette di misurare le dimensioni della massa, valutare i rapporti con le strutture circostanti, la morfologia, i margini (regolari, irregolari, presenza o meno di capsula) e la componente solida e liquida e la vascolarizzazione mediante powerdoppler. L’indagine ecografica può essere completata con studio con mezzo di contrasto. per distinguere aree di neo- vascolarizzazione da quelle necrotiche, mucoidi o fibro-cicatriziali e per selezionare le zone tissutali sulle quali effettuare il campionamento bioptico 24.

L’ecografia tuttavia ha una specificità molto bassa, può essere utile ad esempio nell’identificare una lesione benigna come una cisti di Baker, un ganglioma, un’angioma, lipoma o miositi ossificanti, è una tecnica “real time” che può essere eseguita facilmente senza artefatti di movimento e questo è molto importante soprattutto nei bambini. Inoltre essendo dinamica può essere utilizzata nella diagnosi differenziale di alcune patologie come ad esempio un STM rispetto a un’ernia muscolare. L’elastosonografia è la nuova frontiera dell’ultrasonografia e può valutare il grado di elasticità di una massa rispetto al tessuto circostante o valutarne ad esempio la compressione delle strutture. Infine l’ecografia può essere utilizzata per effetuare biopsie25.

2. Tomografia Computerizzata

Come secondo livello, la TC senza mezzo di contrasto, è una metodica molto veloce ed accurata, consentendo di valutare con buona definizione il compartimento

anatomico interessato e il rapporto che ha la massa con le strutture circostanti. Lo studio sul piano assiale integrato con ricostruzioni multiplanari consente di stabilire esattamente le dimensioni, la localizzazione rispetto ai repere chirurgici e i rapporti con il fascio vascolo-nervoso. Oltre a questo può dare informazioni molto utili sulla presenza di componenti come grasso o calcificazioni, l’entità della vascolarizzazione ed è eccellente nella valutazione dei rapporti con l’osso adiacente per le masse profonde26. Sia l’ecografia che la TC sono molto importanti per la diagnosi, ma ad oggi sono messe in secondo piano dall’RM 27, per adesso soprattutto a livello di studio locale della patologia. La CT Total body, al momento è il gold standard per la stadiazione sistemica della malattia; in futuro, tecniche come PET-Scan, PET-TC, PET-RM, total body RM, potranno prendere campo e spodestare la Tc total body per lo studio sistemico della neoplasia.

3.La Risonanza Magnetica

La Risonanza Magnetica è una tecnica che negli negli ultimi anni sta assumendo un ruolo sempre più importante nella diagnostica dei sarcomi dei tessuti molli, sia nel planning pre-operatorio che nel follow up. La RM in virtù della maggior risoluzione di contrasto, è preferibile nello studio di particolari strutture come nervi e vasi. Ha un’estrema accuratezza inoltre nel valutare le dimensioni, i rapporti con le strutture circostanti, i contorni, la presenza di pseudocapsula e l’edema peritumorale. Col mezzo di contrasto, in modalità sia statica che dinamica, può dare informazioni molto utili sulla natura benigna o maligna della lesione. L’utilizzo crescente della risonanza magnetica negli ultimi anni ha portato quest’ultima ad essere la metodica d’elezione nello studio loco-regionale della patologia.

Figura 7. RM sagittale T2 pesata di un sarcoma pleomorfo della coscia distale,

possibile identificare la presenza di emorragia e la capsula ipointensa perilesionale.

Ai fini di stadiazione, inoltre, è fondamentale integrare con uno studio TC torace, con o senza mezzo di contrasto, essendo i polmoni la sede più frequente di metastatizzazione 2829.

La tecnica prevede il posizionamento più confortevole possibile del paziente in modo da minimizzare i movimenti e gli artefatti che potrebbero derivarne, con l’isocentro del magnete centrato sulla lesione.

E’ possibile per le lesioni più piccole ridurre il campo visivo in modo da ottenere immagini più nitide del tumore.

L’RM deve necessariamente precedere la biopsia, non solo perché quest’ultima potrebbe alterare le caratteristiche della lesione ma anche per valutare se effettivamente sarà necessaria o meno e dove posizionare il cosidetto biopsy tract, sulla base dell’estensione loco-regionale del sarcoma. Infatti in alcuni casi è possibile già con l’imaging avere un’accurata diagnosi di una numerosa varietà di neoplasie benigne

o lesioni dei tessuti molli non neoplastiche, inclusi lipomi, malformazioni vascolari, tumori dei nervi, gangli, ematomi, miositi ossificanti, necrosi del tessuto adiposo etc. Il sospetto di lesione maligna si può porre facilmente con una Risonanza Magnetica; difatti, grandi dimensioni, disomogeneità di segnale, margini irregolari, aree di necrosi intra-tumorali, ed una importante presa di contrasto sono segnali che aiutano nel sospettare la diagnosi di lesione maligna30.

Il ruolo della RM nelle radicalizzazioni.

A seguito di una Unplanned Excision sarebbe ottimale, quando non c’è evidenza clinica di ricorrenza tumorale, identificare con adeguate tecniche di imaging la presenza di tessuto tumorale residuo di modo da prevedere la ricomparsa della malattia. Se fosse possibile, si potrebbero distinguere i pazienti che hanno bisogno di una revisione della precedente operazione rispetto a chi potrebbe farne a meno. Nell’immediato post operatorio questo è praticamente impossibile in quanto la presenza di tessuto residuo sarebbe mascherata da tessuto infiammatorio reattivo del tutto indistinguibile dal primo.

Gli studi condotti da Kaste et al. Affermano che la risonanza magnetica sia inaffidabile per identificare l’eventuale presenza di residuo tumorale e di distinguerlo dal tessuto cicatriziale sano. Siebenrock riporta che non c’è sufficiente precisione nel prevedere la presenza di massa tumorale residua con una risonanza effettuata prima di una radicalizzazione chirurgica. James et al affermano l’utilità della risonanza magnetica nell’identificare la presenza di porzioni di residuo macroscopico adiacente a strutture neuro-vascolari senza però dar prova della capacità di individuare residui microscopici.

Denver, dopo aver analizzato una coorte di 111 pazienti ha individuato un valore predittivo positivo (PPV) del 93% ed un valore predittivo negativo (NPV) del 63% da parte della risonanza magnetica nell’individuare il residuo tumorale prima di una radicalizzazione chirurgica. In conclusione secondo questo studio l’utilità della MRI prima di un intervento potrebbe consentire un’adeguata identificazione della

non nell’escludere un gruppo di pazienti dalla necessità di doversi sottoporre ad una radicalizzazione 31.

Figura 8. Immagine tratta dallo studio citato in precedenza.

3. La biopsia.

La dimostrazione istologica di un sarcoma delle parti molli può avvalersi di numerosi strumenti, la scelta dipende da diversi fattori: sede e tipo della lesione, esperienza del chirurgo, del radiologo e del patologo.

• L’esame citologico mediante ago aspirato;

procedura di scelta nella maggior parte dei STM delle estremità qualsiasi sia la sede a patto che sia raggiungibile 33 ;

• Biopsia incisionale che viene preferita quando si prevede che sia difficile ottenere del tessuto adeguato per eseguire diagnosi con tecniche piu conservative come quelle precedenti. Questa metodica deve essere eseguita possibilmente nello stesso centro dove poi verrà eseguita la resezione chirurgica;

• Biopsia escissionale che si può eseguire soprattutto quando la lesione non da segni eccessivi di malignità e quando le piccole dimensioni consentono una escissione a margini ampi d’emblee;

L’agoaspirato ha valutazione esclusivamente citologica ma non cito-architetturale per questo ha un impiego limitato nella maggior parte degli altri paesi ed è utilizzato soprattutto nel sospetto di eventuali recidive dove è sufficiente la definizione di malignità e non di istotipo per procedere a trattamenti successivi.

La biopsia con ago tranciante rappresenta ad oggi la principale metodica di diagnosi. Tale mezzo mantiene i vantaggi di limitata invasività e inoltre può essere eseguito in regime ambulatoriale, come per la biopsia ad ago sottile. In questo caso viene prelevato un frustolo più o meno esteso di tessuto da inviare per esame istologico. Gli svantaggi legati alle agobiopsie si riferiscono al fatto che a volte non si ottiene un quadro preciso della lesione per cui si può sottostimare il grado di aggressività della malattia o si possono prelevare solo parti necrotiche del tumore, non rappresentative per giungere alla diagnosi. L’integrazione delle immagini radiologiche con il risultato istologico può aggiungere utili informazioni. La biopsia con ago tranciante è oggi considerata la procedura di scelta nella maggioranza dei casi dei STM delle estremità qualsiasi sia la sede a patto che sia raggiungibile. In caso di grosse masse inoltre può essere utile fare dei prelievi multipli per avere una maggior probabilità di diagnosi esatta.

La biopsia incisionale può essere impiegata tutte le volte che non si ottiene tessuto in quantità sufficiente per giungere alla diagnosi dopo una agobiopsia, ma solo per le forme degli arti e del tronco superficiale. Andrebbe evitata nelle forme retroperitoneali quelle degli organi interni, dato l’importante rischio di contaminazione. E’ importante che tale procedura venga effettuata nello stesso Centro che poi eseguirà la resezione chirurgica definitiva. E’ inoltre fondamentale che vengano rispettati i dettami della Chirurgia oncologica, per evitare il rischio di contaminare i tessuti circostanti e di inficiare il controllo locale della malattia.

La definizione di biopsia escissionale viene talora applicata ad interventi di asportazione di lesioni delle parti molli, in assenza di preventiva diagnosi patologica; può essere accettata per piccole forme superficiali, sempre preceduta da adeguata iconografia34.

La malattia locale limitata. 1. La chirurgia

Figura 10. Risonanza magnetica in sezione

coronale T1 pesata di una piccola lesione tumorale localmente limitata.

La malattia localmente limitata comprende un gruppo di pazienti con diagnosi di STM di piccole dimensioni e non localizzato profondamente alle fasce muscolari, in cui non vi è evidenza di metastasi allo staging sistemico.

La chirurgia è l’unico trattamento che consente la guarigione nei STM in fase localizzata e richiede che il tumore sia asportato in maniera completa circondato da una cuffia di tessuto sano. La semplice enucleazione marginale o intralesionale di un sarcoma predispone quasi inevitabilmente ad una recidiva locale (75%) per l’assenza

tumorali nella zona reattiva situata nelle immediate vicinanze della superficie tumorale39.

Lo scopo della resezione chirurgica a margini ampi è il controllo locale, che ad oggi si raggiunge nel 90% dei casi a 5 anni. La chirurgia deve sì avere margini adeguati, tuttavia bisognerebbe cercare di non indurre inutili danni funzionali ed estetici ampliando a dismisura i margini quando non ce ne fosse bisogno. La qualità della chirurgia effettuata viene definita in base al margine più vicino al tumore e dovrà essere sempre valutata dal patologo. Come detto in precedenza ed evidenziato dagli studi di Enneking, l’intervento risulta adeguato solo quando i margini sono radicali o ampi; non adeguati quando marginali o intralesionali40,41.

In particolare i margini possono essere:

• Intralesionali: definito come un’escissione intratumorale in cui non si ravvede tessuto sano nei margini di resezione;

• Marginale: definito come un’escissione attraverso la pseudocapsula o attorno al tessuto reattivo, che nei sarcomi sono infiltrati da cellule neoplastiche. Per cui questo è un approccio efficace solo se la neoplasia è benigna;

• Ampi: in cui viene asportato il tumore insieme ad una cuffia di tessuto sano circostante, a seconda del tumore il rischio di recidiva locale in questi casi varia dal 10-30%. La dissezione è intracompartimentale.

Radicali: E’ una chirurgia extracompartimentale. Il tumore è asportato completamente ed in cui il risultato prognostico è generalmente equiparabile ad un’amputazione. Tutto ciò provoca spesso delle compromissioni funzionali notevoli 42. Se la lesione è intracompartimentale vengono rimossi en bloc tutti i muscoli dall’origine fino all’inserzione tendinea, lasciando intatta la fascia circostante, vengono però sacrificate le strutture vascolari e nervose dentro il compartimento. Se il tumore è extracompartimentale , è necessario asportare anche le barriere fasciali per la stessa estensione longitudinale del muscolo adiacente 43.

Figura 11. I margini chirurgici di escissione secondo Enneking.

Sulla base di questa suddivisione quindi possiamo capire come la dimensione del tessuto rimosso non abbia implicazioni riguardanti il tipo di chirurgia. A seconda del sito anatomico infatti anche un’escissione di soli 2 cm può essere radicale se asporta completamente un compartimento anatomico (questo vale soprattutto per i sarcomi che si sviluppano nel piede e nella mano).

Nonostante i numerosi studi a riguardo, è ancora ampiamente dibattuto se la modalità di intervento impatti sulla sopravvivenza del paziente ed in particolare se la presenza di margini positivi macroscopici o microscopici a seguito dell’escissione sia un fattore prognostico negativo in termini di sopravvivenza. Molti studi hanno tuttavia evidenziato come margini negativi non solo controllano la malattia localmente ma sono anche associati ad un’aumentata sopravvivenza 44.

2. La terapia adiuvante/neoadiuvante Radioterapia

La finalità dell’approccio radioterapico è il controllo locale della malattia.

La radioterapia, a seguito o prima dell’intervento chirurgico, è in grado di far raggiungere un controllo locale della patologia nel 95% dei pazienti come testimoniato da diversi studi. D’altra parte però non è ancora chiaro se la radioterapia possa avere un impatto diretto positivo in termini di sopravvivenza a lungo termine 45.

La radioterapia, senza chirurgia, non garantisce un controllo locale sufficiente della patologia.

In caso di un trattamento radicale o compartimentale la radioterapia adiuvante può essere omessa.

Se l’intervento è ampio invece la radioterapia post-operatoria è indicata solo in sarcomi di alto grado, profondi o di dimensioni maggiori ai 5 cm.

Se il tumore è di basso grado la decisione di sottoporre il paziente a radioterapia post- operatoria non è automatica ma demandata ai vari meeting multidisciplinari 46. Negli ultimi anni si è discusso molto riguardo la radioterapia neoadiuvante, ovvero pre-operatoria. Questo approccio è stato pianificato per raggiungere ad un migliore controllo locale e rendere più semplice l’ottenimento di margini ampi intraoperatori. La radioterapia neo-adiuvante, rispetto a quella adiuvante ha diversi vantaggi:

• minori dosi da erogare (50 Gy anziché 60, utile soprattutto nei pazienti giovani che avrebbero un rischio di complicanze a lungo termine più significativo); • minor volume del campo da irradiare;

• verifica diretta dell’efficacia della radioterapia sulla malattia;

Tuttavia ha lo svantaggio di essere associata a una più complessa guarigione della ferita chirurgica. Infatti la radioterapia neo-adiuvante è accompagnata con ad un 35% di complicanze post-operatorie come deiscenza della ferita, ritardo della cicatrizzazione, infezioni, contro il 17% della post operatoria. Viceversa, esiste un

Ad oggi non ci sono ancora, tuttavia, studi randomizzati che definiscano quale dei due approcci sia migliore, da qui l’importanza dell’approccio multidisciplinare e pareri esperti 47.

Figura 12. Esempi di campo di irradiazione.

La radioterapia neo-adiuvante, appare quindi indicata soprattutto quando ci si trova a dover affrontare lesioni di grandi dimensioni o localizzate in regioni anatomiche critiche in prossimità di vasi o nervi.

Brachiterapia

La brachiterapia, utilizzando degli erogatori di radionuclidi a bassa energia, è stata introdotta per effettuare una radioterapia mirata e con diminuiti effetti collaterali. Attualmente, viene utilizzata molto raramente, tuttavia può essere una buona opzione terapeutica in particolari contesti clinici:

• quando si vuole apportare un dosaggio di radioterapia solo ad una piccola area di tessuto giudicata a maggior rischio di recidiva, senza coinvolgere tessuto più ‘in sicurezza’;

• quando ci si aspetta presenza di tessuto residuo microscopico;

Essa a differenza della radioterapia a fasci esterni colloca la sorgente radioattiva all’interno o vicino alla zona da trattare, l’irradiazione in questo modo colpisce solo i tessuti più vicini alla lesione riducendo la probabilità di inutili danni ai tessuti circostanti. Oltre a ciò il vantaggio che ne deriva è anche che il paziente possa recarsi meno frequentemente in ospedale in quanto questo approccio viene praticato in regime ambulatoriale, rendendola più accessibile e conveniente 50.

La chemioterapia

La chemioterapia, come la radioterapia, non sostituisce una chirurgia inadeguata. Essa si avvale di un ristretto numero di farmaci, principalmente antracicline e ifosfamide.

Purtroppo al momento, non è ancora stata dimostrata un’efficacia apprezzabile della chemioterapia in termini di aumento della ‘overall survival’ dei pazienti che vi si sottopongono, nonostante questo tema sia oggetto di discussione da più di 30 anni. Molti trial sono stati condotti negli anni ’80 quando però le casistiche erano scarse e non tenevano di conto dell’enorme variabilità istologica dei tumori delle parti molli, gli studi più consistenti sono stati condotti a partire dagli anni ’90 con maggiore uniformità dei criteri di selezione.

Due metanalisi pubblicate evidenziano un modesto vantaggio indotto dalla chemioterapia adiuvante con doxorubicina sulla sopravvivenza libera da malattia (7%) e sulla sopravvivenza globale (4% a 10 anni) 51,52, altre tuttavia hanno dei risultati

Negli ultimi anni stanno assumendo sempre più importanza le considerazioni legate all’istotipo del tumore nel planning pre-terapeutico in modo da valutare se effettivamente intraprendere un approccio chemioterapico risulta positivo in termini di probabilità di risposta. Alcuni istotipi sembrano rispondere meglio al trattamento farmacologico rispetto ad altri, in questo modo si cerca nel prossimo futuro di personalizzare il più possibile la terapia.

L’approccio preoperatorio ha un duplice significato: il primo è quello del downsizing della malattia, cioè riduzione del volume tumorale a scopo citoriduttivo; il secondo è quello di rendere l’intervento curativo sterilizzando i foci metastatici responsabili delle recidive a distanza. Alcuni studi riportano come il tasso di risposta efficace della chemioterapia nei STM si attesti tra il 30 e il 40%; tuttavia un effetto citoriduttivo che renda possibile l’esecuzione di un intervento meno demolitivo, è ottenibile solo nel 20% dei casi 53.

L’approccio chemioterapico nella malattia localmente avanzata

Per malattia localmente avanzata si intende la condizione in cui c’è assenza di metastasi a distanza ma il tumore a livello locale ha raggiunto un estensione tale che per il trattamento a scopo guaritivo, si necessita di interventi molto demolitivi.

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