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IL VALORE CULTURALE DELLE DOLOMITI: CONTRIBUTO DI UN

7. Lo stato di fatto delle Dolomiti: criticità

4.3. IL VALORE CULTURALE DELLE DOLOMITI: CONTRIBUTO DI UN

Per approfondire le tematiche affrontate nella presente sezione che vede il valore culturale delle Dolomiti quale filo conduttore del discorso ci si avvale delle conoscenze e del pensiero autorevole di Annibale Salsa, riportando integralmente un’intervista gentilmente concessa alla scrivente.

Laureato in Pedagogia, indirizzo filosofico-morale, il Dott. Salsa ha insegnato presso l’Università di Genova Antropologia Filosofica e Antropologia Culturale fino al 2007. Dal 2004 al 2010 è stato il Presidente Generale del Club Alpino Italiano e fino al 2006 Presidente del Gruppo di Lavoro “Popolazione e Cultura” della Convenzione delle Alpi. Ha partecipato, mediante relazioni e pubblicazioni di saggi, ad iniziative culturali della Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi (CIPRA). E’ membro accademico del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna (GISM). Nella sua carriera ha condotto studi e ricerche su tematiche relative alla genesi ed alla trasformazione delle identità delle popolazioni delle Alpi, soprattutto in rapporto alle problematiche dello spaesamento.

Svolge attività di docenza nell’ambito dei master della Scuola per il Governo del Territorio e del Paesaggio (Step) nell’ambito della «Trentino School of Management» (Tsm) di Trento. Ha studiato le comunità linguistiche storiche dell’arco alpino con particolare riferimento all’area occitana (o provenzale-alpina), franco-provenzale e walser, attraverso la partecipazione alle rispettive iniziative scientifiche e culturali. Collabora infatti con l’Associazione “Chambra d’Oc” ed “Espaçi Occitan” per la promozione e la difesa della lingua e della cultura occitane.

Attualmente fa parte del Comitato Scientifico della Fondazione Dolomiti UNESCO e collabora con il gruppo di lavoro transfrontaliero italo-francese per il riconoscimento UNESCO delle Alpi Marittime-Mercantour.

E’ membro inoltre dell’Associazione culturale «Dislivelli», composta da Docenti e Ricercatori dell’Università di Torino e finalizzata alla rinascita socio-economico-culturale della montagna alpina258.

258 Si vuole precisare che il curriculum del Dott. Annibale Salsa è ben più ampio e corposo e che qui sono stati

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1. Le Dolomiti sono state inserite nella Lista del Patrimonio Mondiale come bene naturale nel 2009, tuttavia secondo i suoi studi ed incarichi scientifico-culturali è corretto definire le Dolomiti come un caleidoscopio di culture e tradizioni?

Il riconoscimento delle Dolomiti quale Patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco ha riguardato il bene dolomitico dal punto di vista geologico e geomorfologico. I nove gruppi seriali dei “Monti Pallidi”, che insistono su cinque Provincie (Bolzano, Trento, Belluno, Pordenone, Udine) e su tre Regioni (Trentino-Alto Adige/Suedtirol, Veneto, Friuli-Venezia Giulia) sono stati oggetto di valutazione da parte di IUCN (Istituto per la Conservazione della Natura) in quanto la proposta di riconoscimento ha seguito la procedura relativa ai beni naturali. Certamente, ad una valutazione ex-post, circoscrivere il bene al solo ambito naturalistico appare riduttivo e limitante. Le Dolomiti sono un microcosmo abitato e, quindi, segnato dalla presenza dell’uomo che, nel corso dei secoli, ha modellato un paesaggio culturale in applicazione di regole comportamentali e forme codificate di governance territoriale. Tali segni di intervento antropico rispecchiano modelli culturali (materiali ed immateriali) del tutto diversi fra loro. Nel paesaggio dolomitico, inteso quale mix inscindibile di natura e cultura “costruito” dalle popolazioni residenti, sono leggibili tradizioni storiche e culturali tra loro lontane pur nella contiguità dei luoghi. Si passa, infatti, da realtà governate da regole di indivisibilità fondiaria (maso chiuso sudtirolese) a proprietà collettive di boschi e pascoli (prevalenti in Provincia di Trento), alle Magnifiche Comunità o Vicinie presenti sia in Trentino che nell’Ampezzano e in Cadore, a situazioni di iper-frazionamento fondiario nel resto del territorio dolomitico, causa principale dello spopolamento e del massiccio re- inselvatichimento degli spazi aperti (prati, prati-pascoli alberati, pascoli sommitali). Si tratta, quindi, di un vero caleidoscopio di culture e tradizioni.

2. Secondo Lei è possibile che in territorio dolomitico si sia verificata una lacerazione tra uomo e ambiente naturale?

In territorio dolomitico, come in buona parte dell’arco alpino, vi sono realtà territoriali nelle quali la lacerazione si è prodotta soprattutto in rapporto alle diverse modalità di governance cui ho fatto riferimento nella risposta precedente. Quindi, passando in rassegna i nostri territori, le migliori situazioni di equilibrio paesaggistico naturale-culturale le troviamo in Provincia di Bolzano, seguita a ruota dalla Provincia di Trento. Ciò riguarda soprattutto le valli minori, meno turisticizzate, dove le tradizionali attività agro-silvo-pastorali si sono mantenute

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vive. Meno rosea è invece la situazione, anche nelle due Provincie menzionate, in prossimità delle grandi aree turistiche ed in particolare in quelle ove prevale la monocultura sciistica. La pianificazione urbanistica e la qualità architettonica, nelle due Provincie autonome, è stata realizzata con un maggiore grado di attenzione al paesaggio. In particolare, nella Provincia di Bolzano, il bassissimo numero di seconde case e di strutture condominiali di tipo urbano, ha impedito che si producessero vistose lacerazioni.

3. A) Secondo i suoi studi è possibile parlare di perdita di identità culturali in ambito

dolomitico?

Per quanto concerne la questione dell’identità culturale, occorre prestare molta attenzione nell’impiego di tale concetto. Le scienze sociali demo-etno-antropologiche sono molto prudenti, ed a volte restie, nel parlare di identità. Tale parola, infatti, sottintende un quid di cristallizzato, statico, immutabile nel tempo. Le identità, sempre multiple e plurali, sono processi dinamici in continua trasformazione. Se parliamo di identità tradizionali - intendendo modelli comportamentali che hanno connotato, nel corso del tempo, forme di presunta “tipicità” (altro termine estremamente ambiguo) - dobbiamo rilevare che le identità del passato erano legate strettamente a pratiche funzionali alla vita contadina ed artigianale. Laddove queste pratiche, seppur rinnovate dalla tecnica e dagli stili di vita, si sono conservate nelle pratiche quotidiane possiamo parlare di equilibrate “metabolizzazioni delle trasformazioni” nel solco di specificità culturali consolidate. Viceversa, quando tali pratiche diventano dis-funzionali si rischia di cadere nella “folclorizzazione” eterodiretta (ad uso turistico). Essa rappresenta incontrovertibilmente l’indicatore del declino o della morte annunciata o intervenuta.

B) A suo avviso quali sono state la cause principali di questo processo?

Le cause principali di questo processo vanno ricercate nel venir meno delle condizioni socio- economiche che giustificavano quelle pratiche, nella diffusione – attraverso il turismo – di stili di vita urbano-metropolitani, in un senso di rassegnata subalternità a quei modelli, soprattutto nelle aree di cultura italiana (a differenza delle aree di cultura tedesca o di minoranza linguistica, in cui la tradizione è stata assunta quale forma di difesa o di contestazione nei confronti della cultura egemone).

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4. In che modo il riconoscimento UNESCO, che tutela esclusivamente i valori naturali del bene Dolomiti, potrebbe catalizzare l’interesse anche sulle questioni sociali e culturali dell’area dolomitica?

Ritengo che limitarsi a prendere in considerazione le sole aree naturali, prescindendo dai territori socializzati, sia estremamente riduttivo. Le Dolomiti, come tutti gli ecosistemi, posseggono livelli di complessità che includono anche i paesaggi cerniera nei confronti degli acrocori rocciosi. Pertanto, non si può prescindere dall’assumere a tema di ricerca e di tutela attiva la dimensione socioculturale che innerva il paesaggio modellato dall’uomo. Le modalità di intervento devono essere indirizzate, quindi, verso la pianificazione territoriale, urbanistica e paesaggistica dei rispettivi territori. Non possono essere ignorati, pertanto, quei tratti significativi del paesaggio tradizionale dolomitico che rivestono forti connotazioni identitarie per i diversi siti Unesco.

5. Secondo Lei gli abitanti delle comunità montane dolomitiche si ritengono insoddisfatti della propria condizione, percepita come subalterna alla città?

La risposta al quesito rimanda ai modelli culturali specifici delle diverse comunità. Nell’area di lingua tedesca non esiste subalternità della montagna rispetto alla città in quanto anche i centri amministrativi con funzione di decisori politici manifestano grande attenzione nei confronti delle problematiche della montagna. L’organizzazione sociale ed economica della Provincia autonoma di Bolzano guarda al mondo contadino come ad un importante “costruttore” di paesaggio privilegiando forme di ricettività turistica gestite dalle popolazioni locali. In senso lato, occorre rilevare come anche in Provincia di Trento, grazie all’autonomia amministrativa, i territori siano protagonisti ed attori di uno sviluppo attento al paesaggio. Le maggiori criticità si riscontrano invece, in maniera rilevante, nella Provincia di Belluno ed in parte anche nei territori friulani delle Province di Pordenone e Udine, lacerate dal dramma dello spopolamento e della marginalità sociale.

6. Gli abitanti delle comunità dolomitiche sono pronti a partecipare attivamente ad un processo di riappropriazione culturale del proprio territorio?

Anche in questo caso, non penso si possa generalizzare. Vi sono comunità più pronte ed attrezzate, altre meno. Occorre lavorare sulla formazione delle stesse e rafforzare fra la gente delle valli una maggiore presa di coscienza circa le opportunità che tale riconoscimento

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rappresenta a livello di immagine in rapporto ad una qualità ambientale e paesaggistica che sia di antidoto al degrado.

7. A) Potrebbe essere efficace un progetto di ampio respiro – affine alla Carta di Venezia o alla Dichiarazione di intenti di Lecce – in cui si auspica una serie di azioni concrete per incentivare la partecipazione dal basso volta al recupero dell’eredità culturale e alla valorizzazione del paesaggio culturale dolomitico?

Ritengo che le dichiarazioni e le assunzioni di responsabilità contenute nei documenti della Carta di Venezia e nella Dichiarazione di Lecce vadano nella giusta direzione: quella di incentivare e rafforzare il modello partecipativo costruito dal basso.

B) Che suggerimenti avrebbe a riguardo?

Al fine di conseguire tali obiettivi, occorre puntare su di una maggiore consapevolizzazione da parte delle popolazioni residenti nelle aree dolomitiche in questione. Gli strumenti dovrebbero essere individuati in seminari itineranti nei quali portare esempi di buone pratiche a confronto, reperibili fra le eccellenze presenti nelle Alpi, in Europa e nel mondo. In particolare, per le Alpi, si potrebbe fare riferimento al sito Unesco svizzero della regione Aletsch-Bitschorn in cui l’area in questione è valorizzata in tutta la sua unità sistemica. Si va dalla “core zone”, rappresentata dai ghiacciai più grandi dell’arco alpino, ai sistemi di fruizione turistica che comprendono i due villaggi “free-auto/ohne auto” di Riederalp e Bettmeralp. Si passa dalle forme di ricettività, compatibili con la tutela del sito, al sistema di trasporto pubblico integrato (ferrovie di montagna, trasporto a fune, ecc) allargato alla “buffer zone”.

4.4 CONSIDERAZIONI FINALI

Il bene Dolomiti UNESCO è un patrimonio naturale costituito da 141.903 ettari di vette rocciose (core zone) e da 89.266 ettari di territorio circostante caratterizzato prevalentemente da prati e boschi che interessa Parchi naturali e aree protette (buffer zone). Ne consegue che mediante la Convenzione UNESCO sulla protezione del Patrimonio culturale e naturale Mondiale ciò che si può realizzare in questo ambito consiste prevalentemente in progetti conservativi e di tutela dell’ambiente naturale da forme di degrado dovute a un turismo scarsamente sostenibile, come ad esempio il turismo invernale sciistico.

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Ampliando l’orizzonte del campo di indagine e coinvolgendo territori che sono – o che sono stati – popolati non si avrà più a che fare con la maestosità della natura selvaggia, bensì con un paesaggio culturale. Il connubio tra ambiente naturale e agire umano merita considerazione e, possibilmente, riconoscimento.

Non si vuole qui auspicare una tutela ed un’attenzione nei confronti dei valori culturali delle Dolomiti appellandosi alla Convenzione UNESCO del 1972 in quanto non sarebbe una proposta realizzabile. Per sua definizione la Lista del Patrimonio Mondiale contiene le eccellenze qualitative individuate tra tutti i beni culturali e naturali del mondo. Nel nostro caso invece ci si confronta con un patrimonio culturale vivente, che si è sviluppato in ambiente montano seguendo il cammino della diversità: Le diverse culture presenti nella regione dolomitica, da

quella tedesca delle valli sudtirolesi, a quella ladina degli antichi Reti romanizzati e posta a cavallo delle tre Province dolomitiche nella forma di un cuscinetto interlinguistico, a quella italiana delle valli trentine e bellunesi hanno trovato, sotto la spinta trasformazionale delle diverse strategie di adattamento all’ambiente, un habitat in grado di attualizzare il paradigma concettuale dell’”unità nella diversità”259.

Sulla base degli studi effettuati per questo lavoro, del contributo del Dott. Salsa e delle interessanti best practice chi scrive è portato a ritenere che sia opportuno avvicinarsi ad altri strumenti normativi per valorizzare in modo autentico anche il paesaggio culturale dolomitico. Si è voluto quindi porre l’attenzione sulla Convenzione di Faro emanata dal Consiglio d’Europa nel 2005 per fornire uno spunto da cui potrebbe iniziare un ragionamento.

La Convenzione delle Alpi e la strategia macroregionale per la regione alpina EUSALP – quest’ultima in fase di realizzazione – costituiscono i principali mezzi attraverso cui giungere concretamente alla tutela e allo sviluppo delle terre dolomitiche. Tuttavia la Convenzione di Faro, non sovrapponendosi ad altri strumenti normativi esistenti ma integrandoli semplicemente, cura un aspetto fondamentale che risulta strettamente connesso alle questioni più specificatamente economiche, paesaggistiche, ambientali costituenti il focus dei due strumenti sopra citati: l’eredità culturale intesa in modo unitario nella sua duplice essenza materiale e immateriale. Il processo di valorizzazione culturale partecipativo portato avanti mediante la collaborazione tra cittadini ed istituzioni può venire in aiuto – se non essere determinante – per permettere agli abitanti delle “terre alte” di ritrovare quel legame con la

259 A. SALSA, Dolomiti fra Natura e Cultura, in: «L’eco delle Dolomiti», anno III, n. 6, Dicembre 2008.

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propria terra che risulta necessario per poterla conservare, rigenerare e coltivare operando un percorso attivo di riappropriazione culturale. Si auspica per il territorio dolomitico l’inaugurazione di un percorso di valorizzazione autentica in cui sia la cultura a fungere da motore per l’agire sociale, permettendo all’eredità culturale di rivivere nella realtà quotidiana.

147 CONCLUSIONI

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